martedì 3 dicembre 2013

MONDO PARALLELO . CIVILIZZARE LA GLOBALIZZAZIONE


 I l rogo di Prato ci mette sotto gli occhi bru­talmente qualcosa che abbiamo sinora fat­to finta di non vedere. I dormitori con operai che lavorano 24 ore al giorno con le inferria­te alle finestre li abbiamo anche sotto casa, in un mondo invisibile ai più e parallelo al no­stro dove difendiamo coi denti il benessere e le conquiste di civiltà accumulate dalle gene­razioni precedenti. Le «fabbriche di schiavi» e le vicende come quelle del crollo del Rana Plaza a Dacca non dunque sono solo storie dei Paesi poveri o emergenti, ma vicende che ab­biamo importato da tempo anche a casa no­stra per «recuperare competitività».
  La speranza è che eventi drammatici e inac­cettabili come questo ricordino a tutti che la missione più urgente che abbiamo è quella di
 civilizzare la globalizzazione .Perché la di­gnità di una società è la dignità degli ultimi. La legge di gravità dell’economia è nota. I ca­pitali vanno laddove il lavoro è meno caro per cercare di massimizzare i profitti. Tutto que­sto produce (molto lentamente, molto dolo­rosamente e a prezzo di enormi disegua­glianze) una convergenza degli ultimi verso i primi (i Paesi poveri crescono più dei Paesi ricchi, ormai da molti anni). Ed è perciò ulis­simo e bellissimo l’accenno di Papa France­sco nella Evangelii Gaudium ai limiti della 'teoria della ricaduta favorevole' del benes­sere dei ricchi sui poveri. Quanto tempo ci vuole a 'svuotare' la miseria del mondo? Quanto a migliorare le sorti di un 'esercito di riserva' di manodopera da 1,2 miliardi di per­sone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno (soglia di povertà assoluta) ai quali (se­condo gli ultimi dati Onu) si aggiugono i 2,7 miliardi che vivono con meno di due dollari al giorno? Le conseguenze sul nostro lavoro di questa concorrenza a basso costo sono il triste rosario delle delocalizzazioni e la diffi­coltà crescente di creare lavoro sui nostri ter­ritori (se non a condizioni simili a quelle di Prato) quando non siamo abbastanza bravi a identificare, incorporare e raccontare nei prodotti il loro genius loci . Ovvero quando non puntiamo su quei vantaggi competitivi 
 non delocalizzabili
 (qualità tecnologica, ri­sorse artistiche, culturali, ambientali) che ri­ducono il peso del costo del lavoro nella con­correnza internazionale. La domanda più im­portante da farsi oggi è, perciò, come creare e accelerare processi di convergenza verso l’alto del costo del lavoro e del benessere a li­vello mondiale. Le vie le abbiamo individua­te da tempo, ma la nostra società non sta pro­cedendo in quella direzione con la consape­volezza e determinazione che l’urgenza del problema richiede. Da questo punto di vista esiste un compito preciso per ciascuno.
  I politici devono migliorare il sistema Paese lavorando sulle differenze che ci separano dai modelli nordeuropei in termini di autostra­de digitali, istruzione, ricerca, efficienza del­la giustizia e della pubblica amministrazione, lotta a corruzione e sprechi. Devono lavora­re per aumentare la nostra competitività, e­vitando però di contrabbandarci come 'con­quista di progresso' la riduzione media dei salari che deriva dal nero, dal sommerso e dall’insostenibilità sociale delle filiere come quella tristemente giunta ora alla nostra pie­na attenzione.E devono, a livello europeo, pretendere molta più creatività nel designa­re politiche monetarie e fiscali in grado di compensare i costi sociali della globalizza­zione con i suoi dividendi monetari, ovvero la possibilità di usare con più libertà e auda­cia i meccanismi di creazione di moneta per contrastare disoccupazione e rilanciare la do­manda interna seguendo il modello Fed.
  Gli imprenditori devono ingegnarsi per in­novare e individuare il
 genius loci di cui par­lavamo sopra perché fare affidamento su fi­liere nelle quali i fornitori sono aziende co­me quelle del rogo di Prato vuol dire fonda­re la propria competitività su radici fragili e fattori effimeri.
  Noi cittadini, infine, possiamo fare molto im­parando – lo ripeto ancora una volta – a 'vo­tare col portafoglio' e ad agire dal basso. Non fingendo più di ignorare cosa si cela dietro certe filiere e i costi di certi prodotti. E ca­pendo che abbiamo attraverso consumi, ri­sparmi e azioni di
 mail bombing ( come quel­la efficacissima lanciata dalla campagna 'sco­pri il marchio' di Oxfam) un potere enorme per premiare le aziende 'giuste'.  S u questa via c’è bisogno di risposte importanti della da parte delle autorità politiche. Forme leggere di 'protezionismo etico' cominciano a emergere a livello europeo con laSocial Business Initiative che autorizza e sollecita una fiscalità premiale verso le filiere socialmente e ambientalmente sostenibili. E le stesse amministrazioni locali iniziano a 'votare col portafoglio' attraverso l’introduzione di «criteri minimi ambientali e sociali» (Cad e Cas) al di sotto dei quali le aziende non possono partecipare agli appalti. E’ questo un fronte decisivo nel quale il nostro bene e quello dei poveri operai cinesi di Prato viaggiano a braccetto. Bisogna avere il coraggio di dire che il puro libero scambio non ce la fa da solo a riequilibrare la situazione e che c’è bisogno di una globalizzazione 2.0: anche gli economisti di tendenza più scolastici e schematici devono decidersi a uscire dalla semplicistica alternativa tra protezionismo e libero scambio per capire che dobbiamo progressivamente costruire un sistema di regole mondiali in grado di premiare il valore sociale ed ambientale delle filiere e riportare l’economia al servizio della persona. 
 Leonardo Becchetti 

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