venerdì 22 maggio 2015

Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 20 maggio 201


La sequenza del film di Pasolini diventata l'iammagine degli Esewrcizi di Cl


Testo di riferimento: J. Carrón, Introduzione, in UNA PRESENZA NELLO SGUARDO, suppl. a TracceLitterae communionis, maggio 2015, pp. 4-19; L. Giussani, Perché la Chiesa, Rizzoli, Milano 2014, pp. 35-75.
• The dimming of the Day • Liberazione n. 2
Gloria
Cominciamo il nostro lavoro sull’Introduzione degli Esercizi della Fraternità insieme a quel che restava del capitolo del Perché la Chiesa su cui stavamo lavorando e che, per tanti indizi e segni, come abbiamo visto, è molto collegato con le cose che ci siamo detti a Rimini. Ho ricevuto una lettera sul tema della Risurrezione che è stato al centro dell’Introduzione. «Caro Carrón, in vista della prossima Scuola di comunità ti pongo una domanda già fatta al mio gruppetto di ripresa senza trovare risposta. Riguarda la Risurrezione. Con tutta la mia buona volontà, la Risurrezione rimane per me un concetto davvero astratto e vago. Dopo gli Esercizi mi è rimasto nella testa quel che hai detto, cioè che solo grazie alla Risurrezione possiamo rispondere alla domanda: veramente vale la pena essere nati? Perché questa domanda di senso me la pongo spesso e, visto che voglio poter rispondere, mi interessa capire cosa sia la Risurrezione, mi interessa che non rimanga qualcosa di astratto. Allora, visto che proprio non capisco la Risurrezione e ritengo di vivere come se non ci fosse stata – tanto che io ho paura della morte –, ti chiedo per capire: ma che cosa cambia nella tua vita la Risurrezione? Come sarebbe la tua vita senza la Risurrezione? Cosa cambia nella mia vita la Risurrezione? Mi chiedo infatti: se Gesù non fosse risorto, non avrei comunque una famiglia, non lavorerei – come fanno tutti –, non cercherei comunque soddisfazione in quel che faccio? E allora? Risorto o non risorto, cosa cambia? Pongo la domanda in negativo, perché se la pongo in positivo mi sembra che le risposte siano tutte così incomprensibili… Per esempio, alla mia Scuola di comunità mi hanno detto che grazie alla Risurrezione il cristianesimo esiste, perché i discepoli si erano persi dopo soli tre giorni dalla morte di Gesù. Ma io dico: tante religioni proseguono nel tempo! Oppure mi hanno detto che grazie alla Risurrezione le cose hanno un senso. Ma io dico: avrei comunque un marito, dei figli ai quali voglio bene, degli amici, un lavoro che mi piace e un desiderio di vivere. Spero che si possa rispondere a queste domande». Io ringrazio che la nostra amica abbia posto questa domanda, perché è rivolta a tutti. Che cosa potrebbe rispondere ciascuno di noi, a partire dalla propria esperienza? È concreta la Risurrezione (e non semplicemente un concetto astratto e vago)? Un’altra persona pone lo stesso problema in un altro modo: «Davanti alla testardaggine di uno che fa il male, cosa pu  fare la misericordia? Ma di che vittoria si tratta, se in fondo non riesce a cambiare niente?». A queste domande, ovviamente, non si pu  rispondere con delle riflessioni teoriche, perché chi pone la domanda percepirebbe le risposte come concettuali e inadeguate. Che emerga una domanda così è un bene per tutti, perché costringe ciascuno a vedere quale esperienza fa della Risurrezione.

Ho iniziato a lavorare da due mesi come infermiera. Desideravo poter venire agli Esercizi, ma a un certo punto è stato evidente che non c’era la possibilità, né cambiando turni né in altri modi. Parlando con un amico subito mi ha detto: «È evidente che devi rimanere a lavorare. Vediamo cosa c’è da scoprire, già da oggi, nell’attendere quei giorni». Davanti alla sua posizione, così ragionevole e semplice, mi sono ritrovata a guardare quel fatto con tutto un altro respiro: io desidero tutto già ora, desidero incontrarTi adesso. E così è riaccaduto cenando con alcune amiche proprio il giovedì sera prima degli Esercizi. Davanti a loro mi era impossibile dire che Gesù si stesse dimenticando di me. Eppure la mattina mi sveglio alle cinque e mezza, ero stanchissima, non
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volevo alzarmi. Ma dovevo, per cui mi alzo, mi catapulto in ospedale e lì le mie colleghe erano svogliatissime, non avevano voglia di lavorare, il reparto era un delirio. Allora incomincio a preparare la terapia prima di entrare nelle stanze; mi turbava un pensiero: come faccio a dire che tutto questo non è un “di meno” rispetto a quello che sta per accadere a Rimini? Dentro quel dolore ritornano le facce di quelle amiche vere della sera prima, la nostalgia di Cristo, cioè di quello sguardo che, unico, mi definisce. Allora inizio a entrare nelle stanze con quel tumulto nel cuore e mi ritrovo a voler bene ai miei pazienti, ai miei colleghi e a quel delirio di reparto. Ma il fatto che mi ha ribaltata di più è stato trovarmi di fronte a un paziente che mi inveiva contro perché, senza avvisarlo, il medico aveva cambiato la sua terapia e lui, giustamente, chiedeva spiegazioni. Allora io rimango ad ascoltarlo fino a che si calma e ci mettiamo a capire perché era stata cambiata la terapia, e quando è arrivato il medico abbiamo coinvolto anche lui. Quando esco dalla stanza la mia collega mi guarda e mi dice: «Ma scusa, io sentivo dal corridoio la scenata di quell’uomo e tu hai questa faccia! Ma come è possibile? Mi aspettavo di ritrovarti distrutta o che comunque te ne saresti andata dopo due minuti. Non se lo merita il tuo tempo. Sai, a volte mi chiedo perché faccio il mio lavoro con tanto impegno se poi in fondo non si riceve in cambio nulla. Allora tanto vale farlo senza amore». La mia collega mi ha ribaltata, perché la sua domanda era vera e io mi chiedevo: perché all’improvviso tutto pu  diventare “per me”? Perché la realtà, anche quando non è invitante, anche quando è così lontana dal bello, pu  diventare la cosa più cara del mondo? Perché si pu  amare? Iniziando a lavorare sull’Introduzione degli Esercizi mi ha impressionato quando parli della Risurrezione nello sguardo. Infatti quello spiraglio che si è fatto silenziosamente largo nel mio cuore mentre iniziavo a lavorare, quella nostalgia di Gesù, la nostalgia di quelle amiche, è la vittoria di Gesù nella mia vita. La verità della realtà è Gesù risorto. La verità del mio reparto in delirio, della mia collega, del mio paziente, è quello sguardo che è entrato nella mia vita e ha ferito il mio cuore per sempre, al punto tale che posso svegliarmi svogliata eppure torna a mancarmi. Quello che definisce la realtà non è la sua apparenza, ma è il mio sguardo abitato da Gesù; e la realtà è il luogo di questo Mistero che mi invita a incontrarLo ogni istante. In quei giorni al lavoro durante gli Esercizi della Fraternità, continuava a tornarmi alla mente il tuo saluto ai ragazzi di GS alla fine del Triduo: i nostri alleati sono il cuore e la realtà. Io vorrei lavorare tutta la vita come è accaduto quel weekend e vorrei vivere gli Esercizi come è accaduto in quei giorni, pur stando in ospedale e ora divorandomi ogni mattina gli appunti. Non c’è alcun rammarico nel mio cuore, perché qui c’era tutto quello di cui il mio cuore ha bisogno. E sono grata che il sacrificio di rimanere qui abbia fatto riaccadere l’amore a questa strada e a questa compagnia con una freschezza nuova che non mi tolgo più dagli occhi.

Grazie. A volte gli altri si rendono più conto di noi di che cosa è la novità che la Risurrezione introduce nella vita, come la sua collega che davanti a come lei ha trattato il paziente dice: «Ma come è possibile? Mi aspettavo di ritrovarti distrutta o che comunque te ne saresti andata dopo due minuti». E invece è lì in piedi, contenta. Di questi episodi quanti ne vediamo, quanti fatti di questo tipo ci sentiamo raccontare appena ci troviamo a parlare in un pranzo o in un gruppo di amici! Ve ne leggo uno che potete leggere su Tracce e che riguarda i nostri amici perseguitati. «Un uomo di Mosul mi ha raccontato», dice padre Douglas dell’Iraq, «che quando l’Isis è arrivata in città, il suo vicino musulmano è andato a bussargli alla porta dicendogli: “Te ne devi andare e io prender  la tua casa. Se non lo far  io, lo farà qualcun altro. Se ti rivedo domani, ti uccider ”. L’uomo si prepara per partire, fa i bagagli, carica in auto la famiglia. Ma prima va alla porta del vicino e bussa. “Non ti avevo detto che ti avrei ucciso?”. E il cristiano: “È trent’anni che siamo vicini di casa, non volevo andarmene senza salutare”. Il musulmano si mette a piangere: “No, resta. Ti protegger  io”. E l’altro: “No, eravamo vicini. Ora non lo siamo più. La fiducia si è rotta”» («Apparteniamo solo a Gesù», intervista di Luca Fiore a padre Douglas Bazi, Tracce, maggio/2015, p. 15). Prima di andare via passa a salutare chi gli ha promesso di ucciderlo, questo è fatto concreto o è un concetto vago? Di questi episodi gli Atti degli apostoli sono pieni, la nostra stessa storia ne è piena: nella modalità con cui stiamo insieme, nella modalità con cui in tante occasioni si affronta la malattia, nella modalità con cui uno vive quando perde il lavoro, nella modalità con cui uno affronta il quotidiano,
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nella modalità con cui uno si alza al mattino, sono tanti, tanti, tanti i fatti. Non è che manchi questa valanga di fatti, ma perché non facciamo il collegamento con la Risurrezione? Da dove nascono tutti questi fatti? È come se ci trovassimo nella situazione di cui ho parlato nell’Introduzione: il giorno di Pentecoste i discepoli si comportavano così perché ubriachi? Era quella la ragione della loro “novità”? Che cosa occorre perché possiamo riconoscere nei fatti, e non soltanto come ripetizione di un concetto in fondo vuoto, la Risurrezione? Questo ci dice il lavoro che ciascuno deve fare. Non è che non accadano tante cose, ma spesso noi le diamo per scontate, come se fossero ovvie, fin quando uno viene toccato da una malattia, fin quando resta senza lavoro, fin quando si trova nella solitudine o la famiglia salta per aria, allora comincia − forse − a rendersi conto che molte cose non erano così ovvie e inizia a capire in che cosa consiste la Risurrezione. Ma, come diceva don Giussani (l’ho citato durante l’assemblea), non è tanto una riflessione teorica che ci aiuterà, ma se cominciamo a renderci conto che occorre il lavoro di cui parlavamo agli Esercizi; una domanda come quella sulla Risurrezione ci mostra la portata del lavoro da fare. Come vedete, neanche l’affermazione più eclatante della fede cristiana, cioè quella sulla risurrezione di Cristo, si impone semplicemente da sé, e non basta la sua ripetizione formale perché diventi cruciale per la vita. Per questo don Giussani, che conosceva bene la nostra situazione storica, diceva che non capiamo più le parole cristiane, e la Risurrezione è una delle parole chiave della fede; non la comprendiamo più noi, che pure continuiamo ad avere un rapporto con il fatto cristiano. Immaginate per gli altri, per esempio i cinesi. Per un cinese la parola “risurrezione” è qualcosa di assolutamente al di fuori di qualsiasi verifica. Don Giussani afferma: «La fede non pu  barare [La fede non pu  barare!], non pu  dirti: “È così”, ottenendo il tuo assenso […] gratuitamente. No! La fede non pu  barare perché è in qualche modo legata alla tua esperienza: in fondo è come se essa dovesse apparire al tribunale dove tu sei giudice attraverso la tua esperienza» (L. Giussani, L’io rinasce in un incontro. 1986-1987, Bur, Milano 2010, p. 300). Insisto, non è che non abbiamo sentito milioni di volte racconti di testimoni o non abbiamo visto niente, ma questo non basta. Se uno non fa esperienza personale, neanche lo stare insieme basta, perché uno pu  partecipare a una compagnia e dire che è vago. Se lo stare insieme non stimola di più al lavoro che don Giussani ci indica, se non è l’invito costante alla verifica, noi non troveremo risposta alle nostre domande. Deve «apparire al tribunale dove tu sei giudice attraverso la tua esperienza», dice Giussani. Per  «anche tu non puoi barare perché per poterla giudicare devi usarla [non puoi ripeterla come una frase vuota. No, devi giudicare, devi usarla] […], per potere vedere se trasforma la vita devi viverla sul serio; e non una fede come la interpreti tu, ma la fede come ti è stata tramandata, la fede autentica. Per questo il nostro concetto di fede ha un nesso immediato con l’ora della giornata, con la pratica ordinaria della nostra vita [se non vediamo lì che cos’è la Risurrezione, nessuno ci potrà convincere. E fa un esempio:] [...] Se tu, innamorandoti della ragazza [non puoi, a un certo momento, vedere come] […] la fede cambia quel rapporto [pensiamo all’elenco delle cose che diceva la prima lettera che ho proposto stasera: il rapporto con il marito, il lavoro, i figli; se tu non vedi in che modo la fede cambia la vita, rendendola migliore] […] se tu non hai mai potuto dire: “Guarda la fede come rende più umano il mio vivere”, se tu non hai mai potuto dire questo, la fede non diventerà mai convinzione e […] non genererà mai nulla, perché non ha toccato il tuo io più profondo» (ibidem, pp. 300-301). Allora a queste domande occorre rispondere con la verifica di quello che ci viene proposto. Ma per poterlo verificare io devo aprirmi a questa possibilità, perché se non mi apro alla possibilità di prendere sul serio che Cristo sia risorto, davanti a una malattia o davanti alla situazione del lavoro o davanti alla solitudine o davanti all’ansia che mi trovo addosso, comincio a vedere che alcuni vivono queste sfide in un certo modo e io in un altro. Cogliere questa differenza è un problema di attenzione, che io me ne renda conto è un problema di avere la bussola, il detector, perché altrimenti, come vedete, tutto diventa uguale. Ma se tutto è uguale – fate attenzione alla portata che questo ha per la vita –, crolla la ragione per cui don Giussani ha fatto il movimento, cioè mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Se questa pertinenza non appare ai nostri occhi, che interesse avrà la fede per noi? Proprio per questo iniziamo il lavoro sugli Esercizi.
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Anche una seconda domanda che ho ricevuto riguarda la Risurrezione: «Come fai tu a dire che ci  che documenta la verità, cioè la realtà, di ci  che abbiamo celebrato nella Pasqua è l’evento di un popolo?». Agli Esercizi, infatti, per mostrare che quello che abbiamo celebrato nella Pasqua non è solo un rito, non è solo un devoto ricordo, ma ha la consistenza reale di un fatto, ho sottolineato che la documentazione più palese di questo è l’evento di un popolo. «Appena letta questa frase», continua la lettera, «io sono sobbalzata, perché se penso all’infinito bisogno che ho, mai penserei che un popolo possa essere la risposta». Non abbiamo detto che il popolo sia la risposta! Vedete come si cambia l’interpretazione? Abbiamo detto che il popolo è il segno del fatto che tanti hanno incontrato la risposta nel Risorto e che quel popolo non sarebbe possibile senza la Sua risurrezione «Tommaso, vieni qui, metti le dita», «Pietro, mi ami tu?», «Maria Maddalena!», «Maria, svegliati!». Uno ad uno. Non è che, siccome erano soli e smarriti, si siano messi d’accordo e da questo sia nato quel popolo come risposta al bisogno che avevano. No! Quel popolo ha trovato la risposta nell’incontro con Cristo risorto e adesso comincia a vivere in un determinato modo. Quel popolo che trova la risposta in Cristo documenta la verità di quell’evento che non possiamo afferrare se non attraverso gli effetti che produce. Perché nessuno è stato testimone della risurrezione di Cristo nel momento in cui è accaduta. I discepoli Lo hanno posto nel sepolcro e quando sono tornati il sepolcro era vuoto. Nessuno Lo ha visto risorgere. Per questo la risurrezione di Cristo è un evento molto particolare, unico. Non è la “risurrezione” di Lazzaro: una rianimazione del cadavere per cui lo puoi reincontrare per la strada. La risurrezione di Cristo è un evento unico nella storia: un Uomo che era nel sepolcro è entrato nel mondo definitivo; è risorto e vive per sempre, non come Lazzaro che ritorna alla vita e deve comunque tornare a morire − sarebbe una magra consolazione: prolungare la vita per un certo periodo, come adesso pu  fare la medicina, rimandando la fine di qualche mese o anno −. La risurrezione di Cristo è un evento di tutt’altra natura, di cui non abbiamo una testimonianza immediata e diretta. Lo riconosciamo per le Sue apparizioni e per i segni che il Risorto ha dato agli apostoli, e che essi hanno testimoniato. Perché gli apostoli non ci hanno preso in giro inventandosi la risurrezione di Gesù? Come l’obiezione fatta nei Vangeli: non è che hanno rubato il corpo di Gesù? Tutto ci  che è nato dopo la Sua crocifissione sarebbe impossibile, se Cristo non fosse risorto. Perci  per la prossima Scuola di comunità riprenderemo il primo capitolo della seconda parte di Perché la Chiesa, nel quale Giussani risponde a questa questione: come si spiega il fatto che la Chiesa fin dall’inizio si pone nella storia come la continuità di Gesù Cristo, e che rapporto c’è tra la Risurrezione e questa continuità nella storia? Non è il popolo la risposta, perché l’unica risposta che la fede cristiana offre a ogni membro del popolo è Cristo risorto, non è la «compagnia utopia», non è la compagnia la risposta al bisogno dell’uomo, perché tutti dobbiamo morire; la compagnia, la Chiesa, è il luogo dove si attesta che Cristo è risorto, perché altrimenti noi non saremmo qui. Capire questo è cruciale. E un altro di voi scrive: «“Che cosa documenta la verità, cioè la realtà, di ci  che abbiamo celebrato nella Pasqua? Solo un fatto: l’evento di un popolo, come quello che noi abbiamo visto in piazza San Pietro” [sta citando gli Esercizi, pp. 7-8]. No! Non sono d’accordo. Dieci persone o un milione non confermano o smentiscono niente». Sono totalmente d’accordo. E con questo che cosa si conclude? È un modo di ragionare senza capo né coda! Il problema è che tipo di persone sono quelle radunate a Roma e che cosa documentano. Certo che se non facciamo ci  che Giussani ci ha detto tante volte, cioè un lavoro “sullo strumento del pensiero”, sul modo in cui come ragioniamo, su come stiamo davanti al reale, neanche le cose più evidenti potranno convincerci di qualcosa. E poi diciamo «no!». Ascoltate che cosa dice don Giussani: «La Chiesa si pone nella storia anzitutto come rapporto con Cristo vivo. […] Un devoto ricordo [elenca alcune delle possibili interpretazioni di quel nucleo di persone che si chiama “Chiesa”], per , non avrebbe potuto tenere insieme quel gruppo in condizioni così difficili, ostili, neppure se fosse stato sorretto dal desiderio di diffondere l’insegnamento del Maestro [come se la Chiesa fosse una sorta di circolo platonico]. Per quegli uomini l’unico insegnamento che non poteva essere messo in discussione era il Maestro presente, Gesù vivo. Ed è esattamente questo che hanno trasmesso: la testimonianza di un Uomo presente, vivo. [Possiamo pensare che ci stanno prendendo in giro o che dicono la verità, ma quel che è certo è che tutti i
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documenti del Nuovo Testamento, del primo secolo, scritti in greco, sono la testimonianza di un gruppo di persone che dice che un Uomo, loro amico, che era stato messo nel sepolcro, ora vive, e sanno perfettamente distinguere cosa significa dire: “Vive Lazzaro” e: “Vive Gesù risorto”; non si confondono!] L’inizio della Chiesa è proprio questo insieme di discepoli, questo gruppetto di amici, che dopo la morte sta insieme ugualmente. Perché?» (L. Giussani, Perché la Chiesa, Rizzoli, Milano 2003, pp. 82-83). A questo ciascuno deve trovare una risposta. Pensiamo all’esempio che fa Giussani ne Il senso religioso: se questa sera una di voi arriva a casa e trova sul comodino uno stupendo mazzo di fiori, deve darsi una ragione di quella presenza. Va a domandare a qualcuno che è a casa: «Ma chi mi ha portato questi fiori?». Perché domandi se vedi soltanto i fiori? Perché sei sicuro che c’è un “chi”, se non lo vedi? Tu puoi dare mille interpretazioni, ma fin quando non identifichi una spiegazione adeguata della presenza dei fiori non troverai pace. Lo stesso succede con la Risurrezione. Quelle persone cominciano a vivere una determinata vita, il mazzo di fiori è nulla rispetto alla novità di vita che documentano. «Perché? Perché Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro» (ibidem, p. 83). A uno non piace questa interpretazione perché è cristiana? La domanda resta comunque. È come chi domandasse: «Ma chi ha messo lì quei fiori?», e gli venisse risposto: «Perché te lo domandi? Sono lì perché sono lì»: non la sentirebbe come risposta adeguata alla domanda. Non basta una risposta qualsiasi. Se tu non sei d’accordo che Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro, la domanda permane tale e quale, duemila anni fa come adesso. Perché quelli che vivono in Cristo e riconoscono Cristo risorto vivono una determinata vita e stanno insieme in un determinato modo. Perché? Giussani continua: «Cristo rimane nella storia […] con il volto storico, vivo, della comunità cristiana, della Chiesa. Con la loro esistenza e con la loro testimonianza quei primi discepoli, quel gruppetto di amici, ci trasmettono che Dio non è sceso sulla terra un istante […] [ma che] è venuto […] per rimanere nel mondo». Tutti i racconti degli Atti degli apostoli «testimoniano semplicemente una presenza familiare che continua» (L. Giussani, Perché la Chiesa, op. cit., pp. 84-85). In tanti hanno scritto di quello che gli è capitato agli Esercizi: non sanno spiegare il perché, ma sono tornati a casa diversi, hanno ripreso la vita in un modo diverso e possono affrontare le circostanze del vivere in un modo diverso. Questo, la presenza nella storia di persone cambiate, e del popolo a cui appartengono, questa realtà non del passato, ma del presente, sarà ci  che costantemente sfiderà la ragione e la libertà di chiunque la incontra. Se uno trova delle persone per cui la risurrezione di Cristo è un fatto, si riproporrà la domanda come si pose all’inizio degli Atti degli apostoli, oggi come duemila anni fa, come abbiamo visto nel video La strada bella. Quindi, per poter capire questo, che cosa occorre?

Ho necessità di raccontarti, ringraziandoti, cosa mi sono portato a casa dagli ultimi Esercizi della Fraternità. Pur avvertendo il contraccolpo dell’esortazione del nostro responsabile, che sottolineava come dovessimo chiedere tutto a questo gesto, mi trovavo da settimane a sperimentare quella posizione da te sottolineata più volte: non capiremo niente se non siamo tesi a comprendere. Senza questa tensione avevo approcciato il gesto, pur nell’abbraccio lieto ed amicale della mia compagnia, accettando sotto sotto l’idea che tutto sommato avrei portato a casa sì qualcosa di buono, ma certo nulla di definitivo. Ora senti cosa mi è accaduto. Da premettere che, ormai cinquantaquattrenne e da una vita nel movimento (ho fatto il CLU in quel di Pisa), sposato con un figlio, mi porto comunque sempre dietro tutte le ferite raccolte nel corso di una vita, ma ce n’è una, una che mi perseguita e che tanto bene riaccade proprio quel sabato sera ponendomi in uno stato di profonda prostrazione, demoralizzato, non tanto dalla mia incoerenza ma proprio dalla sproporzione abissale, incolmabile tra il cammino di conversione a cui sono chiamato e lo stato dell’arte. Tanto che la mattina dopo, essendo così evidente la ferita, a colazione ben due persone accorgendosi mi si avvicinano chiedendomi se stessi bene ed io rispondevo biascicando un sì, ma senza il coraggio di guardarle negli occhi. Assemblea di domenica mattina praticamente ascoltata con la stessa attenzione di un ameba. Viaggio di ritorno addormentato come nella canzone di Guccini. Pur raccontando a casa la bellezza del gesto, mia moglie che mi conosce, capisce subito che non tutto è andato per il meglio ma, appunto perché mi conosce, giudica tout court che le mie
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sono sempre e comunque delle “menate” e, dispiaciuta, lascia correre. Così appesantito lunedì entro in ufficio e non posso fare a meno di giudicare pragmaticamente tutta la vicenda. Su un piatto della bilancia c’è la suggestione, anche deformata se vuoi, del mio male. E sull’altro? Cosa metto sull’altro piatto? La suggestione di un bel gesto magari ingigantita? Ma allora la mia struttura umana, lo sguardo che ho su di me, è la somma algebrica di due suggestioni? Ma la Sua presenza, la Sua presenza viva e sperimentabile è un’altra cosa. È un’altra cosa. Ed è di questo che io ho bisogno. Allora, non so come spiegare – come adesso –, la commozione mi ha assalito fino alle lacrime donandomi una gratitudine immensa per la nostra storia, per la verità di quella dinamica, ripresa dal Santo Padre per cui il Mistero arriva a prendermi proprio là dove io non lo pensavo possibile, e dal Gius dove negli Esercizi della Fraternità del 2013 esprime il fatto che «Il Signore permette i nostri errori ed i nostri peccati come un modo strano, ma il più drammaticamente operativo, il più pedagogicamente efficace, per approfondire il senso del nostro rapporto con Lui. Siamo così tenaci nell’amor proprio che, senza l’esperienza del nostro limite, non diremmo con autenticità: “Dio tu sei tutto” e “io sono niente”» (L. Giussani, in J. Carrón, «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?», suppl. a Tracce-Litterae communionis, maggio 2013, p. 51). È come se alla bellezza e alla solennità del gesto fosse mancata, fino a quel punto di giudizio, la mia carne. Allora ho vissuto tutta la giornata attento, teso e contento delle persone che avevo attorno. La prima conseguenza è stata che tornato a casa non ho potuto fare a meno di rispondere a lei che mi chiedeva: come stai? «Benissimo», guardandola negli occhi e amandola ancora di più. Questo e poco altro è stato bastante per convincerla a iscriversi agli Esercizi dei lavoratori. Ora questa dinamica non è mia, non è farina del mio sacco. Posso solo impararla, chiederla. E questo è l’unico, l’unico luogo che ho incontrato che la rende possibile, in cui il mio tessuto umano quando si lascia abbracciare dalla presenza di Colui che fa tutte le cose viene rigenerato. Un luogo così va sostenuto. Non vedo altri motivi plausibili per saldare quel fondo comune che fino a ieri era vuoto come un pozzo senza fondo. Ho già provveduto a riguardo. Chiedo perdono, ma solo adesso mi è più chiaro il livello a cui si gioca la questione.

Possiamo partecipare a un gesto, come dici tu, e non esserci. Quello che mancava alla bellezza del gesto era la tua carne. Quando la carne comincia a esserci, uno comincia a rendersi conto. E quando uno Lo lascia entrare, quando si lascia abbracciare dalla presenza di Colui che fa tutte le cose, come dice don Giussani, chi accetta questo, non dovrà aderire senza motivi, cioè senza ragioni, alla fede, ma potrà farlo vedendo che cosa provoca nella vita, e allora potrà decidere se è ragionevole o meno riconoscerLo, aderire. Per questo don Giussani non ci ha mai promesso che questo sarebbe stato automatico, come non lo ha fatto Cristo, perché non sarebbe degno dell’uomo. È solo una presenza che chiede di essere accolta da quella semplicità del bambino di cui parla Giussani a proposito della Risurrezione; è «l’intelligenza del bambino» che deve essere recuperata per poter guardare le cose in modo vero. «Si chiama “fede”» (J. Carrón, Una presenza nello sguardo, op. cit., p. 12).


Tu a una scorsa Scuola di comunità, rispetto a Roma, hai usato l’espressione: Roma locuta, causa finita est, cioè Roma ha parlato, non c’è da girarci intorno o da discutere. Questa espressione, questo giudizio è entrato in me di schianto e ha cominciato a lavorare in me moltissimo sia rispetto al fatto di Roma sia rispetto alle cose che man mano mi sono successe, ed è diventato per me il modo di guardare alle cose proprio come un’ipotesi. E la cosa che più mi ha colpito è stato come… da quando è entrata questa ipotesi è stato il potere di incidenza.

 Attenzione! Appena ha accettato di far entrare questa ipotesi… Giussani ci ha proposto la fede come una ipotesi. Quello che è una sua certezza, una certezza della totalità della Chiesa, fino al punto che si chiama “dogma”, l’ha proposta come ipotesi di lavoro alla nostra verifica, perché si possa rendere palese la verità davanti ai nostri occhi. Se non usiamo questa ipotesi, è impossibile che si renda palese, cioè che l’ipotesi trovi una conferma nella verifica.

Infatti in me ha trovato conferma, perché da quando è entrata ha avuto, come dicevo, un potere di incidenza fortissimo. Esemplifico un po’ come ho percepito, come mi sono accorta che questo Roma locuta ha avuto potere di incidenza. Perché io mi sono accorta che in me il crollo su cui
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abbiamo lavorato inizia… mi accorgo di questo crollo quando mi accorgo di aver deformato la realtà che ho di fronte. Per esempio mi succede con le persone, quando mi accorgo che deformo l’altro con quello che io vorrei vedere dell’altro o in come dovrebbe accadere il rapporto con lui, mentre invece quando sto di fronte alle cose con questa posizione di Roma locuta, cioè per quello che sono, mi accade quell’alleanza della realtà ed è come se si aprisse una possibilità di impegno e di scoperta totalmente nuovi. Ci sono vari dati che ho come registrato introdotti da questo sguardo di Roma locuta. Dico solo i due principali. Il primo è che questo sguardo apre in me un varco di coscienza inarrestabile come percezione nuova di me, anche come possibilità di conoscermi. Perché, per esempio, mi è capitato in un frangente dove mi sono trovata esposta secondo modalità per me insopportabili dove per  lo stare di fronte con questa posizione mi ha fatto ricordare di chi sono e quindi ho potuto conoscermi. Il secondo dato che registro è che quando accade questa posizione, quando entra questo giudizio, si crea come un filo rosso tra le varie cose e mi accorgo delle cose reali, degli oggetti che ho intorno, delle sfumature di parole di chi sta parlando. È come se le cose non fossero solo contorno ma prendessero vita come collocandosi in un orizzonte unitario. Diciamo che questi dati, al tribunale della mia esperienza di cui dicevi prima, mi convincono.

 Perché?
 Potentemente perché nessun altro modo di guardare ha questo potere, nessun’altra interpretazione ha questo potere.

Noi possiamo assumere come ipotesi di lavoro l’affermazione della Risurrezione o l’intervento del Papa a Roma (e dopo che aveva parlato erano inutili le discussioni), e questo farà emergere la verità nell’esperienza davanti ai nostri occhi, o possiamo usarla come ci pare e piace. Ma allora non faremo mai la verifica di quello che ci viene detto, ma solo la verifica dei nostri pensieri. E il risultato sarà quello che tante volte vediamo! L’inizio del lavoro ci ha fatto identificare già qual è la modalità della verifica. Per questo, se non siamo tutti tesi a vedere in quali situazioni, in quali fatti si documenta davanti ai nostri occhi, nella mia esperienza o in quella di altri che Cristo è risorto, e che cosa mi ha fatto accorgere di questo, anche se abbiano parlato della Risurrezione, non resterà nulla. La fede nella Risurrezione non cresce ripetendo il discorso su di essa; la fede cresce, come è cresciuta la fede dei discepoli, vedendo i segni, vedendo i dati, per cui scattava e scatta una domanda che non potevano e non possiamo non farci: «Ma chi è Costui?». Questo li faceva aprire a riconoscere che non qualsiasi risposta era in grado di dare adeguata spiegazione di quel fatto. Ieri come oggi. Questo chiede da parte nostra tutto lo spazio di una verifica nell’esperienza. E nessuna ripetizione formale, come vediamo, neanche quella della Risurrezione, pu  bastare perché pu  diventare qualcosa di vago.
Concludo con una lettera che introduce il Quartino che abbiamo preparato per le Elezioni amministrative Ripartire dal basso. Implicarsi per il bene comune. Alcuni hanno cominciato già a usarlo; ci ha scritto un nostro amico che ha avuto una responsabilità in politica. Questa lettera pu  aiutare al lavoro che ci aspetta: «Mi permetto di scriverti perché sento il bisogno di ringraziarti per il quartino sulle elezioni amministrative che il movimento ha diffuso. Dopo l’amarezza con cui ho vissuto l’epilogo dell’esperienza vissuta come amministratore di Regione Lombardia, che nonostante i limiti e gli errori continuo a ritenere il più concreto tentativo fatto nel nostro paese di gestire una realtà istituzionale complessa a partire dal principio di sussidiarietà non solo teoricamente affermato ma concretamente delineato, questo richiamo al valore della buona politica mi ha fatto rivivere le ragioni profonde dell’inizio del mio impegno come amministratore locale quarant’anni fa nelle elezioni amministrative del 1975. Il mio sì di allora alla proposta che mi fece il movimento, in risposta a una chiara sollecitazione dei vescovi, rappresent  una naturale evoluzione, in un ambito diverso, di quanto per anni avevo vissuto nell’esperienza di caritativa: la vita ha senso come condivisione dei bisogni di chi il Signore ti fa incontrare. Dopo tanti anni di vita politica (adesso non ho più ruoli in politica, ma continuo a lavorare nell’ambito delle istituzioni pubbliche) posso testimoniare con certezza che la politica o è forma della carità o diventa un cancro che erode
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la tua umanità. Spero che anche questo giudizio che hai offerto alla nostra riflessione contribuisca a far nascere una nuova generazione di persone disposte a giocare la propria vita al servizio del popolo nell’ambito della politica e delle istituzioni pubbliche. Sarebbe gravissimo che per un mal inteso purismo lasciassimo tali ambiti a chi, con minore o maggiore capacità di mascheramento o mistificazione, cerca in fondo solo il proprio potere e il proprio tornaconto. Cordialmente». Come avete visto, il testo di papa Francesco contenuto nel Quartino è proprio un invito a questo impegno. Tante volte ci domandiamo che cosa possiamo fare: approfittando delle elezioni amministrative possiamo cominciare a giocare una possibilità di dialogo con chiunque.
La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 17 giugno alle ore 21,30. Riprenderemo l’Introduzione degli Esercizi insieme all’inizio della seconda parte del libro Perché la Chiesa, il capitolo intitolato: «La continuità di Gesù Cristo: radice della coscienza che la Chiesa ha di sé» (pp. 81-89), che contiene la risposta alla domanda che è emersa oggi.
Veglia di Pentecoste. Come sapete, il movimento ha aderito alla proposta della CEI di partecipare alla veglia di Pentecoste sabato 23 maggio, pregando per i nostri martiri di oggi e per i cristiani perseguitati. È possibile seguire le notizie e le testimonianze attraverso i social network, usando l’hashtag #free2pray, utile sia per attingere notizie che per la veglia stessa e per gli incontri che si stanno organizzando, sia per far conoscere le iniziative e le testimonianze di fede viva che provengono dalle zone più ferite della terra. All’interno di Tracce di maggio, c’è un Primo Piano (di cui prima ho letto una testimonianza) dedicato proprio ai cristiani perseguitati con storie, testimonianze e contributi che aiutano a capire la preoccupazione a cui continuamente richiama il Papa. Per questo motivo proponiamo a tutti una diffusione straordinaria della rivista il prossimo weekend. Rispetto alle veglie, ciascuno si informi di quali sono le proposte che la Chiesa fa nella propria diocesi o si faccia promotore di questa iniziativa se non è previsto nulla.
Ripartire dal basso. Implicarsi per il bene comune. Anche se le elezioni sono solo in alcune regioni il quartino di CL è uno strumento per un dialogo su questioni che riteniamo decisive per tutti, non solo per chi andrà a votare. Con il documento che abbiamo preparato, dal titolo «Ripartire dal basso», vogliamo offrire uno strumento per un dialogo come aiuto a una ripresa ideale per un bene comune, che in tante occasioni vediamo essere richiesto e desiderato da tante persone. Il documento è disponibile sul sito di CL. Vi proponiamo di farlo conoscere agli amici e conoscenti nei vari ambiti di vita e di utilizzarlo per eventuali incontri pubblici.
Vacanze. Per quanto riguarda le vacanze comunitarie, non diamole per scontate come se fossero un rito che si ripete ogni anno. Domandiamoci: perché facciamo la vacanza? Che cosa vogliamo comunicare? Che cosa vogliamo vivere insieme? Approfittiamo di questo momento per comunicare qualche cosa della bellezza e della letizia che abbiamo incontrato, perché la gente possa capire cosa vuol dire la Risurrezione. A un amico, che viene con noi per la prima volta, che cosa ci piacerebbe fargli vedere? Di cosa desidereremmo potesse fare esperienza? Allora le gite, un momento di testimonianza, la presentazione di un libro, un dialogo su qualcosa che interessa, la Messa, le Lodi, l’Angelus diventano un’occasione in cui uno pu  vedere che cosa è una vacanza, usando tutto il tempo come paradigma del vivere; la vacanza come una modalità di stare nel reale con la consapevolezza, con lo sguardo sul reale che nasce dalla fede.
Veni Sancte Spiritus

martedì 19 maggio 2015

Per spiegare la fede ho dovuto portare un letto sull’altare (un esempio vale più di mille prediche)

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La settimana scorsa, nel Giorno dell’Educatore, abbiamo ricordato i tanti maestri che sono passati nella nostra vita e che ci hanno trasmesso una esperienza viva, affascinante, capace di risvegliare in noi il desiderio di qualcosa di grande. Ricordiamo i nostri professori della scuola “Pa’ì Alberto” e del collegio “Pa’ì Lino”, insegnanti che da anni si sono tuffati nell’avventura dell’educazione. «Calli nella testa, calli nelle mani, calli nelle ginocchia», questi i pilastri che orientano tutta la vita della scuola e del collegio, dagli educatori agli alunni.
L’avventura di formare un uomo nuovo, nella storia delle Riduzioni, è trasmessa dalle osservazioni dei gesuiti di fronte ai guaraní. Come scrive padre Paramas, «questo popolo non agisce per astrazione ma per imitazione», vale a dire: guardando la realtà. Nei miei anni in Paraguay ho potuto verificare questa verità ogni giorno, sia a livello teorico che pratico. A livello teorico, perché se io faccio una domanda a un paraguaiano, quello mi risponderà con un esempio. A livello pratico, perché se voglio insegnare a qualcuno a pulire il pavimento, sarà sufficiente che prenda una scopa e l’altro dirà: «Padre, per piacere, lasci che lo faccia io!». Quando ho imparato questo metodo, che i padri gesuiti avevano già percepito secoli fa, ho cominciato a modificare l’omelia della Messa per i ragazzi in parrocchia. Al posto del lungo e teorico sermone di prima, mi sono messo a mostrare come la fede ha a che fare con la vita, concretamente e semplicemente.
Una domenica ho portato in chiesa un letto e l’ho messo davanti all’altare: ho mostrato come si sistema, il perché ci sono il materasso, le lenzuola, la coperta quando fa freddo… La domenica successiva ho chiamato alcuni bambini perché mi mostrassero se avevano capito, e con mia grande sorpresa tutti, maschi e femmine, si sono messi a fare come avevo mostrato loro. Senza l’esempio, non sarebbe stato possibile. Del resto, se la fede non mostra la sua capacità educativa di cambiare la vita, a cosa serve? Se un sacerdote non trasforma la sua omelia in catechesi di vita, a cosa servono le sue parole? Il Vangelo dice di Gesù: «Ha fatto bene ogni cosa».

Testimonianza è, ad esempio, far vedere che dopo una festa con gli amici delle opere della Fondazione, il giorno seguente tutto è bene ordinato, come se niente fosse successo. O il fatto che a qualsiasi ora del giorno, nessuna carta e nessun altro rifiuto resta abbandonato sul pavimento. È evidente che senza una posizione educativa chiara, paziente e continua, tutto questo non sarebbe possibile.
Ricordo anche che quando con i bambini della scuola Pa’i Alberto andavamo in gita a visitare qualche bella località, i camerieri del posto dicevano alla direttrice: «Si vede che sono passati di qui i ragazzi di San Rafael, perché hanno
lasciato tutto ordinato e pulito, non hanno causato nessun problema durante il soggiorno». Un gesto è educativo se nell’educatore parola e azione camminano insieme.
Un pittore a scuola
Quando sono arrivato in Paraguay il disordine che regnava dappertutto mi faceva paura. Ma davanti a questo mi sono chiesto: cosa significa educare? Cosa vuol dire introdurre un giovane alla conoscenza della realtà?
Gli anni con Giussani hanno trasformato il mio modo di vivere tutto. Un giorno ho conosciuto il famoso pittore brasiliano Claudio Pastro, che mi ha raccontato un aneddoto: «Una mia amica, direttrice di una grande scuola a San Paolo, era disperata perché non riusciva a offrire ai bambini nessuna esperienza educativa, e mi chiese aiuto. “La soluzione è semplice”, le dissi. “Il 50 per cento dipende da me, l’altro 50 dai professori. Da parte mia, posso ristrutturare totalmente l’edificio perché sia bello e accogliente, non deteriorato come è ora. Da parte vostra, dovete offrire una proposta di vita piena di significato e affascinante”. Dopo alcuni anni ho ritrovato la direttrice molto felice. Mi ha detto: “Professore, aveva ragione, ora sì che stiamo educando, e i bambini sono cambiati totalmente”».
Per questo, la prima caratteristica della scuola e del collegio è la bellezza. Cosa che sorprende non solo i funzionari del ministero, ma chiunque venga a visitarci. Nel cammino al Destino si inizia con le piccole cose, perché l’amore è una cosa grande ma si manifesta nei dettagli.
paldo.trento@gmail.com

Davide Van De Sfroos - AVE MARIA


Ave Maria,
Che te borlet fö del quadru,
Prega per el martul,
E prega per el ladru.
Ave Maria,
Inciudada là in söl mür
Nella ca' del magütt
E nella ca' del dutùr

Varda, varda,varda,varda giò
Madona del Rusari
Sèmm tücc lampeden
Del stess lampadari.
Varda,varda,varda,varda giò
Madona del Rusari
Sèmm tücc padreterni,
Sèmm tücc ciulandari.

Ave Maria
Che te mènum in prucesiòn,
Strepa fü i pecàa
Cunt el cavabüsciòn
Ave Maria
E forsi ghemm pagüra
Che vegna giò'n quai angel
Cun la facia pussè scüra.

Ave Maria, vestida de celest
Se regordumm de te  
Dumàa suta i fèst
Ave Maria
Cunt el cör pièe de spaad
Varda quel che sucéed
Giò in mezz ai stràad.
Ave Maria,
che cadi fuori dal quadro,
prega per lo sciocco,
e prega per il ladro.
Ave Maria,
inchiodata sul muro
nella casa del muratore
e nella casa del dottore. 

Guarda, guarda, guarda, guarda giù
Madonna del Rosario
siamo tutti lampadine
dello stesso lampadario.
Guarda, guarda, guarda, guarda giù
Madonna del Rosario
siamo tutti padreterni,
siamo tutti balordi.

Ave Maria
che ti portiamo in processione,
strappaci i peccati
col cavatappi
Ave Maria
e forse abbiamo paura
che scenda un angelo
con la faccia scura.

Ave Maria, vestita di celeste
ci ricordiamo di te
solo durante le feste
Ave Maria
col cuore pieno di spade
guarda quello che succede
giù nelle strade.

Intervista al card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

La preghiera del card. Angelo Scola

Intervento di Giacomo Poretti, attore comico

lunedì 18 maggio 2015

«Il catto-laicismo minaccia la Chiesa» di Riccardo Cascioli

Monsignor Luigi Negri
«Un fenomeno gravissimo caratterizza la Chiesa del nostro tempo: il cedimento totale alla mentalità catto-laicista, anche perché stiamo accettando che siano i mass media laicisti a definire l’immagine della Chiesa, del prete, di una autentica pastoralità». Non fa sconti alla verità monsignor Luigi Negri, neanche in questi giorni di festa che lo vedranno chiudere questa sera con una solenne messa pontificale nella cattedrale di Ferrara, i festeggiamenti per il X anniversario della sua ordinazione episcopale. Dieci anni sono un soffio, ma se guardiamo indietro non possiamo non riconoscere che molto è cambiato in questi dieci anni: nella Chiesa, in Italia, nel mondo. 
Monsignor Negri, lei è stato nominato vescovo di San Marino-Montefeltro il 17 marzo del 2005, una delle ultime nomine di san Giovanni Paolo II, morto appena 16 giorni dopo. In questi dieci anni ha perciò conosciuto ben tre Papi. Potrebbe dirci il tratto essenziale di ciascuno dei tre? Cominciamo da san Giovanni Paolo II.San Giovanni Paolo II è stato uno dei più grandi evangelizzatori nella storia della Chiesa moderna e contemporanea. Con lui ho avuto la percezione lucidissima che si apriva una fase nuova nel rapporto tra Chiesa e mondo. Voglio ricordare lo straordinario intervento che fece nell’ottobre 1980 al convegno su Evangelizzazione e ateismo in cui disse che bisognava riportare Cristo a contatto del cuore dell’uomo, che usciva distrutto ma non annichilito dalla vicenda moderna e contemporanea. Capii allora che bisognava aprire un dialogo non con le ideologie o con i sistemi politici e culturali, ma con quella realtà umana che precede qualsiasi opzione, consapevole o inconsapevole. San Giovanni Paolo II ha svolto in maniera mirabile questo compito. Ho sempre avuto la percezione che parlasse al livello del cuore dell’uomo, e per questo non si attardasse né in premesse né in conseguenze. Al contrario, andava al fondo della questione, che così valorizza ogni premessa e arriva alle conseguenze. Fermarsi alle premesse o correre alle conseguenze è una proposta assolutamente perdente, dal punto di vista di ciò che la Chiesa deve desiderare: che la gente venga investita dall’annunzio di Cristo presente. Vorrei al proposito ricordare due definizioni che di lui sono state date e che condivido pienamente. Ho in mente il breve messaggio del cardinale Stanislaw Dziwisz in risposta alle mie condoglianze: «Quest’uomo ha insegnato ai cristiani ad essere cristiani e agli uomini di questo tempo ad essere uomini». E George Weigel ha riconosciuto che è stato uno dei pochi uomini a cui è stato dato di cambiare il corso della storia. 
Una missione a cui ha dato un grosso contributo l’amicizia con chi poi gli è succeduto: Benedetto XVI. Benedetto ha aperto una stagione che ha fatto riscoprire il fascino della ragione, come sfida, come cammino verso il mistero. E senza nessuna tentazione di nostalgia ci ha fatto sentire la grandezza della grande civiltà cattolica, della grande civiltà occidentale che - come disse a Regensburg – nasce dal coinvolgimento di movimenti perenni, che tali rimangono: il domandare greco, il profetismo ebraico, la fede cattolica e la libertà di coscienza moderna. Ha aperto orizzonti di incontro con l’uomo di oggi proprio in forza della sua straordinaria capacità di parlare della ragione e della fede, oltre ad avere dato quel contributo fondamentale alla ripresa di identità dell’avvenimento cristiano con la dichiarazione Dominus Iesus, firmata da Giovanni Paolo II ma che porta il segno indelebile del grande magistero di Benedetto XVI. Mi auguro davvero che la Chiesa a un certo punto riconosca la grandezza intellettuale e la grandezza del suo magistero conferendogli il titolo di dottore della Chiesa.
Da due anni c’è papa Francesco; ancora presto per un bilancio ma non c’è dubbio che la strada di questo pontificato sia ben marcata.
Francesco ha aperto una prospettiva nuova in cui mi addentro, gradualmente, maturando con lui le prospettive di una rinnovata apertura missionaria, che è quello a cui sono stato formato da 50 anni di convivenza con quel grande teorico della missione e testimone della missione che è stato don Luigi Giussani.
A proposito di don Giussani. Abbiamo da poco ricordato i dieci anni della sua morte, non ha fatto in tempo a gioire dell’ordinazione episcopale di uno dei suoi amici della prima ora. Ho potuto svolgere la missione di vescovo soltanto perché don Giussani mi ha insegnato ad amare la Chiesa come mio padre e mia madre. Quelle pochissime volte che me ne ha accennato, era evidente che per lui la mia nomina episcopale era un desiderio vivo del suo cuore, che allora io non sapevo valutare. Per lui era la grande conferma della verità del movimento di Comunione e Liberazione. In uno degli ultimi incontri mi disse: se ti faranno vescovo ricordati che sarà un grande messaggio del Papa a tutta la Chiesa. Perché tu nella tua vita, come insegnante e come prete, non hai avuto altro che la sequela del movimento. E l’aver seguito fino in fondo il movimento secondo il papa ti abilita a diventare il capo di una Chiesa.
E come questo si è riflesso nel suo modo di essere vescovo?In questi dieci anni, di cui i primi sette a San Marino-Montefeltro, ho sentito il compito eccezionale di far nascere e rinascere continuamente il popolo cristiano. Perché il vescovo deve fare questo. Il vescovo che rende presente Cristo nella sua comunità deve generare il popolo nella Parola e nei sacramenti e rigenerarlo soprattutto attraverso il ministero del giudizio e della misericordia - perché nella Confessione c’è anche un giudizio non solo la misericordia –. E poi dare la consapevolezza gioiosa di avere un’identità nuova, irriducibile a qualsiasi identità umana e storica, una coscienza nuova di sé e della realtà, un ethos della vita che non si riduce a nessuna forma di sfruttamento, ma vive la carità come incondizionata apertura alla vita di ciascuno. Per il mio temperamento non sarei mai stato capace di abbracciare così il popolo, la sua vita e il suo destino, se non fossi vissuto per 50 anni con un uomo che ha fatto dell’amore a Cristo e alla Chiesa la sua unica ragione di vita.
San Marino e Ferrara, due realtà diverse ma anche con punti in comune. Dall’incontro con questa gente, cosa emerge quale priorità per la Chiesa?Farsi carico della grande povertà non soltanto materiale ma umana, culturale, spirituale. L’ho detto più volte ai responsabili di diverse iniziative e strutture caritative, che pure sono grandi ed esemplari. A Ferrara tutte le nostre risorse sono spese per questa terribile povertà materiale che ha dissolto la tranquillità e il benessere di tante famiglie. Ma dobbiamo anche essere molto chiari: nonostante tanta retorica sui poveri e sulla povertà, questo problema non sarà mai risolto, meno che mai sarà risolto dalla Chiesa. Lo ha detto lo stesso Gesù: «I poveri li avrete sempre con voi, me non avrete sempre». 
E dando un contributo quotidiano, nel soccorrere chi vive nella povertà, dobbiamo chiederci: noi ci facciamo carico della povertà culturale? Povertà culturale che è figlia di un vuoto esistenziale, di un vuoto di coscienza, di umanità, di capacità di amore, di capacità di sacrificio. Se non stiamo attenti rischiamo di ridurci soltanto al tentativo di aiutare la povertà materiale, di condividere una concezione materialistica della vita. Io penso che sarebbe terribile non avere aperto il cuore ad amare l’umanità di oggi in tutte le condizioni, secondo tutti gli aspetti, secondo tutte le sfide che riceviamo. Ma si può fare questo se al centro c’è l’amore a Cristo. Si ama i poveri perché si ama Cristo, si investe l’umanità di oggi - povera o ricca che sia - dell’annuncio unico: il Signore Gesù Cristo è il redentore dell’uomo e della storia, il centro del cosmo e della storia. 
Povertà culturale. Il rapporto tra fede e cultura è stato al centro della riflessione di don Giussani e di Giovanni Paolo II.
C’è una frase di san Giovanni Paolo II che ha confermato e dilatato il magistero di Giussani su fede e cultura: «La fede che non diventa cultura non è stata veramente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata». Da questo punto di vista c’è una gravissimo disagio che io percepisco. L’irruzione nel contesto della cultura cattolica di una sorta di catto-laicismo. Un cattolicesimo che tenta di convivere con il laicismo come forma sostanzialmente di rifiuto della tradizione cristiana, della presenza cristiana. Esempio; la storia della Chiesa. È letta e interpretata quasi universalmente anche nel mondo cattolico, come una storia di cui liberarsi. Più piena di ombri ed errori, di colpe e incomprensioni, che di luci. Si tratta di un irrealismo totale, si salvano a malapena i santi, ma secondo una accezione moralistica e pietista che non è un onore ai santi, ma la dimostrazione della meschinità intellettuale con cui si pensa la storia della Chiesa.
Può fare qualche esempio?Da qualche anno durante la messa prego ogni giorno per Antoine Eleonore Leon Leclerc de Juinier, che è stato vescovo di Parigi dal 1782 fino a quando per non piegarsi a Napoleone si dimise da arcivescovo. Andò all’assemblea costituente quando questa decretò la confisca di tutti i beni della Chiesa. Questo vescovo disse una cosa semplicissima: prendetevi pure tutti i soldi, avete l’arroganza di farlo e il diritto vostro ve ne dà la possibilità. Ma io vi anticipo quel che accadrà: nel giro di qualche mese vi dividerete fra voi tutti questi soldi a bassissimo prezzo e i poveri resteranno senza nessuna risorsa perché da secoli la Chiesa francese ha usato i suoi soldi, i suoi beni, per una cosa sola: rendere meno aspra la povertà dei poveri. C’è oggi qualcuno anche a livello ecclesiastico che non solo conosce questa cosa, ma si sentirebbe così in sintonia profonda con quest’uomo, perché in lui si è espressa una coscienza autentica e critica della storia della Chiesa? Non è accettabile che ecclesiastici, uomini di cultura cattolici, abbiano in partenza davanti alla Chiesa e alla sua storia un atteggiamento distruttivo. Salvando a malapena la Chiesa di oggi, come se la chiesa di oggi fosse nata o nascesse improvvisamente senza nessuna connessione vitale, esistenziale, con il flusso della tradizione, che comincia da Gesù e dei suoi amici e arriva inesorabilmente fino a noi oggi.
In altre occasioni lei ha parlato di catto-laicismo…Non è pensabile, non è più sopportabile, che i media anticattolici, laicisti, siano stati messi in condizioni di entrare così massicciamente e grevemente nella vita della Chiesa da fissare loro l’immagine dei preti di prima categoria, da contrapporre al povero clero che ha vissuto l’esistenza secondo le circostanze concrete della propria vita, obbedendo ai propri pastori e cercando di incrementare la vita del popolo che guidavano. È una posizione suicida accettare che il modello della vita ecclesiale sia formulato secondo la posizione di coloro che fino ad adesso – e ancora adesso – vogliono la distruzione della Chiesa. 
In dieci anni tante cose sono cambiate nel mondo, oggi la persecuzione dei cristiani è un fenomeno senza precedenti:Da quando ho fatto mettere sul frontone del palazzo episcopale il segno del Nazareno, quasi ogni giorno centinaia di turisti, si fermano, chiedono, la maggior parte non sa neanche cosa significhi. Comunque questa persecuzione ci ricorda che noi viviamo dentro un confronto escatologico fra la cultura della vita – l’avvenimento di Cristo -  e la cultura della morte, che è il nulla, che diventa l’alternativa a Dio.
Queste sono le proporzioni dello scontro in cui viviamo, dobbiamo essere consapevoli che la dimensione del martirio morde il nostro quotidiano. Dobbiamo sapere che quello che è in gioco - anche nelle piccole comunità del Montefeltro o della campagna ferrarese – è un’adesione a Cristo che ci mette di fronte al mondo come gente che può essere eliminata da un momento all’altro.
E in Italia da tanti anni si parla di emergenza educativa…Oggi l’emergenza educativa dimostra che si è perduto tempo perché non si è avuto il coraggio di affrontare la necessità di far diventare la Chiesa come aveva chiesto papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio ineunte: Ambiti di scuola di comunione, quindi di cultura. Adesso il gender è una lebbra che si sta diffondendo nei cuori e in questo ha perfettamente ragione papa Francesco. La questione dell’emergenza educativa è arrivata a livelli tali che o ci svegliamo adesso o non ci svegliamo più, ovvero siamo morti.

venerdì 15 maggio 2015

RIPARTIRE DAL BASSO - ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2015

ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2015
RIPARTIRE
DAL BASSO
.Implicarsi per il bene comune

«Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, e insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea e un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata» (don Giussani). Le prossime Elezioni amministrative per il rinnovo di 7 Consigli regionali e oltre 1.000 Consigli comunali offrono l’occasione per un dialogo su questioni che riteniamo decisive per tutti, non solo per chi andrà a votare.
LA CRISI DELLA POLITICA
È molto probabile che la scarsa considerazione in cui è tenuta la politica porti a votare alle prossime amministrative una percentuale bassissima di elettori, quasi da elezioni americane. Eppure anche questa realtà negativa può essere d’aiuto se sprona a un cambiamento quanto mai necessario. La forza dell’Italia rispetto ad altri era il fatto di essere il Paese dei cento campanili, di una miriade di municipalità capaci di essere vicine al cittadino, di non farlo sentire periferia di un lontano potere centrale che lo opprimeva imponendogli balzelli senza dare nulla in cambio. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti che la crisi della politica ha toccato il suo apice proprio nelle amministrazioni locali: scandali, sprechi, continui contrasti di tipo clientelare, incapacità a governare in modo efficiente. Quello che ha determinato la crisi della Prima Repubblica e l’incapacità della Seconda di risolvere i problemi non è solo il fallimento di un progetto politico, ma soprattutto e prima ancora il crollo di una tensione ideale, il venir meno di una continua ricerca ed educazione, di un’azione che pescasse le sue motivazioni nella coscienza profonda della persona, e non in meccanismi pragmatici e di utilità immediata. L’impegno politico si è quasi del tutto svincolato da quel percorso educativo che ogni uomo deve fare per non privare la sua azione di ragioni adeguate. Così, il venire meno di una esperienza integrale della persona ha svuotato dall’interno le grandi esperienze popolari, un tempo protagoniste della vita sociale e anche della politica italiana.
UNA RIPRESA IDEALE PER IL BENE COMUNE
Per questo affidare la soluzione a riforme organizzative, pur utili, è insufficiente perché significa non andare alla radice del problema. Occorre un cambio di passo molto più radicale, che faccia saltare il pendolo della politica e dell’antipolitica, rimettendo a tema il significato dell’azione pubblica e superando due rischi contrapposti. Da una parte, la politica può corrispondere al suo scopo solo se non pretende di essere “salvifica”. Dall’altra parte, i politici devono riprendere coscienza di essere strumento per aiutare i singoli e le realtà sociali a costruire risposte adeguate ai loro bisogni e problemi reali. In positivo, ciò significa non ritenere un semplice enunciato astratto e ricominciare a perseguire nei fatti il bene comune: il bene tuo, il bene nostro, il bene di ognuno. Occorre domandarsi e declinare concretamente che cosa vuol dire oggi “servire il popolo” a partire da una spinta ideale, secondo un’esigenza che dopo il crollo delle ideologie nasce dal profondo del cuore di chiunque conservi anche un minimo di interesse per la propria vita e per quella delle persone che gli sono care. Recentemente, papa Francesco ha ricordato che cosa significa fare politica per un cattolico, ma indicando una strada per chiunque: «Paolo VI ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune, pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco… ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schuman, che ha la causa di beatificazione. Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi» (30 aprile 2015).
RIPARTIRE DAL BASSO
 Da questo punto di vista, paradossalmente, proprio il livello locale può rappresentare il punto di ripresa di una politica che superi gli schemi consueti in favore di una rinnovata ricerca del bene comune. Non per niente Sturzo ripartì dalle amministrazioni locali con la sua proposta politica popolare e molti dei nostri politici più validi fin dal dopoguerra sono cresciuti dal basso – provenendo da associazioni, parrocchie, movimenti, sindacati di fabbrica − e sono stati prima amministratori locali e poi parlamentari; erano persone profondamente immerse nella realtà popolare, in cui hanno imparato a rispondere a bisogni collettivi e concreti. Le Elezioni locali possono essere un banco di prova per far ripartire la politica dal basso e per coinvolgere di nuovo il popolo intorno ad essa. Si può ricominciare a capire, in modo silenziosamente “rivoluzionario” rispetto al dopoguerra e alla Seconda repubblica, che la politica non è innanzitutto gestione del potere per il potere, ma che la politica è un servizio che puoi compiere anche quando si ha ben poco “potere”, anche trovandosi all’opposizione o amministrando dagli scranni della maggioranza senza tornaconti personali, in una rinnovata responsabilità verso i bisogni della gente.
CHE COSA TENERE PRESENTE IN QUESTO NUOVO PERCORSO?
Come dicevamo un anno fa in occasione delle Elezioni europee, il punto di partenza è il riconoscimento del valore irriducibile della persona, ormai dato troppo per scontato quando addirittura non viene negato in nome di una qualche ideologia: occorre riscoprire che l’altro è un bene, e non un ostacolo da superare, per la pienezza del nostro io, tanto in politica quanto nei rapporti umani e sociali. Per questo «ciascuno metta a disposizione di tutti la sua visione e il suo modo di vivere. Questa condivisione ci farà incontrare a partire dall’esperienza reale di ciascuno e non da stereotipi ideologici che rendono impossibile il dialogo» (Julián Carrón, Corriere della Sera, 13 febbraio 2015). Perciò c’è bisogno di nuovi soggetti capaci di esprimere una coscienza adeguata dell’umano, di ciò che è essenziale alla realizzazione dei singoli e del popolo. Ma questo impegno non può essere demandato alla sola politica, deve avvenire innanzitutto in luoghi che risveglino l’io di ciascuno, lo educhino a un rapporto adeguato con la realtà (qualunque essa sia), gli facciano percepire esistenzialmente la centralità, unicità e sacralità di ogni persona. A partire da questo giudizio, proponiamo alcuni spunti di lavoro: 1) Quando in un momento di crisi si spreca, quando si spende più di quello che si ha a disposizione, allora si compromette il benessere di tutti. Occorre perciò applicare agli enti locali la sussidiarietà fiscale, vale a dire il principio secondo cui bisogna premiare chi è capace di fornire servizi di qualità migliore a costi sostenibili.
Oggi l’Italia non è tutta uguale, ci sono comuni e
 regioni virtuosi e altri che vivono nel clientelismo, nello spreco e nell’incapacità di gestire razionalmente le risorse. Se si vuole che ognuno sia responsabile e maturo, bisogna abbandonare la prassi dei tagli orizzontali, che premiano inevitabilmente i più irresponsabili. Ed è sempre più urgente sapere distinguere tra amministrazione e amministrazione: solo in questo modo miglioreranno i conti dello Stato e la qualità dei servizi per i cittadini.
2) In particolare, questo si vede nella sanità: ci sono regioni che offrono servizi di altissimo livello a costi inferiori ed altre in cui interventi sanitari di livello mediamente mediocre sono erogati a costi molto più alti, con tempi di attesa molto superiori e sprechi che sono all’ordine del giorno. Occorre attuare una politica differenziata da parte dello Stato centrale, che premi chi è virtuoso e sottragga responsabilità − per riportarle al centro − solo alle regioni e ai comuni che si dimostrano incapaci di gestire in modo adeguato la sanità. Nelle singole regioni occorre privilegiare la libertà di scelta da parte dei cittadini di strutture sanitarie tra realtà statali e non statali che abbiano dimostrato di sapere raggiungere i risultati migliori.
3) Sono gli enti locali i più a contatto con la gente e, se si escludono le pensioni, sono essi a intervenire primariamente sul welfare. Se si continua a pensare che il pubblico coincida esclusivamente con l’amministrazione pubblica statale, essendoci sempre meno risorse finanziare da investire, è inevitabile un peggioramento delle condizioni di vita, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione. Occorre, perciò, attuare finalmente una sussidiarietà orizzontale che coinvolga le realtà migliori del terzo settore nella gestione dei servizi alla persona e di pubblica utilità, in un partenariato reale tra pubblico e privato sociale. Solo unendo gli sforzi si risponde al problema della gente, come avvenne tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento grazie al movimento cattolico e operaio. 4) Un welfare più efficace e duraturo si ottiene solo investendo sul processo educativo, cioè arricchendo la capacità di conoscenza delle persone. Alcune amministrazioni locali hanno fatto propria questa preoccupazione, contribuendo così a migliorare il nostro sistema di istruzione: nuova formazione professionale, politiche efficaci di diritto allo studio e contro l’abbandono scolastico, sostegno alla scuola paritaria, nuovi strumenti moderni ed efficaci come voucher e doti-scuola che all’estero sono ampiamente praticati da anni. Si tratta di interventi virtuosi che vanno sostenuti e incrementati perché stanno facendo solo del bene.
A cura di Comunione e Liberazione            Maggio 2015                                                                                                              


mercoledì 6 maggio 2015

La intelligenza del Papa

Il Papa ha detto che ha il sospetto che la "teoria Gender" venga da una specie di frustrazione nei rapporti maschio e femmina, vera sede della differenza.
Insomma ha ribaltato le carte in tavola rispetto alla difesa di questa ideologia di stampo individualista nata nelle grandi università americana e abbracciata dalla cosiddetta sinistra europea e italiana con la solita beota idiozia che Pasolini già le rimproverava. All'origine di questa teoria che vorrebbe portare a una auto-determinazione dell'esperienza sessuale e delle sue forme e conseguenze, non sta una esaltazione della differenza, un rispetto delle differenze, ma una frustrazione, una mancanza di sostegno di tale vera differenza maschio/ femmina. Una frustrazione. Parola grossa. Ma non inesatta. Non ci pare che sia seguito dibattito. Come dire: il silenzio è la congiura migliore per arginare le idee veramente pericolose.

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Milano, una festa di fede e di vita


Piazza Duomo si prepara per la serata del 18 maggio, con Giacomo Poretti, Davide van De Sfroos e altri nomi della cultura e del teatro. Ma non solo. Così la Chiesa ambrosiana si fa protagonista di Expo 2015

«Tutte le iniziative che stiamo mettendo in campo per Expo sono favorite dal fatto che il tema non è astratto. È per questo che è percepito come decisivo». Lo ha ricordato il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, sottolineando che anche la Chiesa sarà protagonista dell’Expo 2015. E non parteciperà solo dentro il padiglione della Santa Sede: in programma ci sono una serie di eventi che coinvolgeranno l’intera diocesi.

Primo tra tutti, la serata prevista per lunedì 18 maggio, dal titolo “Tutti siete invitati”, nessuno escluso. L’evento sarà nello stesso stile di quello andato “in scena” l’8 maggio dell’anno scorso, sempre in Piazza Duomo, e che ha visto la partecipazione di 40mila persone, come ricorda ironicamente Giacomo Poretti, attore e comico, presentatore d’eccezione nel video di lancio della serata.

Sul palco, anche quest’anno, assieme a Poretti si alterneranno grandi nomi della cultura, del cinema, del teatro e della musica: dal cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga al cantante Davide van De Sfroosdallo scrittore Luca Doninelli all’attrice Piera Degli Esposti. E tanti altri, tra cui il regista Andrea Chiodi, che con uno spettacolo proporrà l’Eucarestia come senso del vivere quotidiano.

sarà proprio il Corpo di Cristo, «che si fa nutrimento per noi», il tema centrale della serata. Come ricorda Davide Milani, responsabile della comunicazione diocesana: «È un’esperienza che ciascuno ogni giorno, più volte al giorno, compie: quella del nutrimento del corpo e del bisogno di cercare un cibo che sazi la fame più profonda di cura, condivisione, amore, senso dell’esistere». Obiettivo del gesto, dunque, è quello di condividere il significato profondo che il messaggio di Expo rappresenta per la vita e per la fede. Perché «partendo dall’alimentazione, dall’energia per la vita, per arrivare fino all’ecologia, come recentemente ha ricordato papa Francesco, siamo portati a far emergere interrogativi decisivi anche per l’uomo di oggi», ha spiegato il cardinale Scola.

Per maggiori informazioni, è possibile consultare il sito della Diocesi di Milano.

Guarda il video promozionale per la serata del 18 maggio: 

8 maggio 2014


Francesco: gli sposi si amino con coraggio come Cristo ama la Chiesa \ Udienza Generale



 




PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 maggio 2015


La Famiglia - 13. Matrimonio (II)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel nostro cammino di catechesi sulla famiglia tocchiamo oggi direttamente la bellezza del matrimonio cristiano. Esso non è semplicemente una cerimonia che si fa in chiesa, coi fiori, l’abito, le foto…. Il matrimonio cristiano è un sacramento che avvienenella Chiesa, e che anche fa la Chiesa, dando inizio ad una nuova comunità familiare.
E’ quello che l’apostolo Paolo riassume nella sua celebre espressione: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,32). Ispirato dallo Spirito Santo, Paolo afferma che l’amore tra i coniugi è immagine dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Una dignità impensabile! Ma in realtà è inscritta nel disegno creatore di Dio, e con la grazia di Cristo innumerevoli coppie cristiane, pur con i loro limiti, i loro peccati, l’hanno realizzata!
San Paolo, parlando della nuova vita in Cristo, dice che i cristiani – tutti – sono chiamati ad amarsi come Cristo li ha amati, cioè «sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21), che significa al servizio gli uni degli altri. E qui introduce l’analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa. E’ chiaro che si tratta di un’analogia imperfetta, ma dobbiamo coglierne il senso spirituale che è altissimo e rivoluzionario, e nello stesso tempo semplice, alla portata di ogni uomo e donna che si affidano alla grazia di Dio.
Il marito – dice Paolo – deve amare la moglie «come il proprio corpo» (Ef 5,28); amarla come Cristo «ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei» (v. 25). Ma voi mariti che siete qui presenti capite questo? Amare la vostra moglie come Cristo ama la Chiesa? Questi non sono scherzi, ma cose serie! L’effetto di questo radicalismo della dedizione chiesta all’uomo, per l’amore e la dignità della donna, sull’esempio di Cristo, dev’essere stato enorme, nella stessa comunità cristiana.
Questo seme della novità evangelica, che ristabilisce l’originaria reciprocità della dedizione e del rispetto, è maturato lentamente nella storia, ma alla fine ha prevalso.
Il sacramento del matrimonio è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio.
La Chiesa stessa è pienamente coinvolta nella storia di ogni  matrimonio cristiano: si edifica nelle sue riuscite e patisce nei suoi fallimenti. Ma dobbiamo interrogarci con serietà: accettiamo fino in fondo, noi stessi, come credenti e come pastori anche questo legame indissolubile della storia di Cristo e della Chiesa con la storia del matrimonio e della famiglia umana? Siamo disposti ad assumerci seriamente questa responsabilità, cioè che ogni matrimonio va sulla strada dell’amore che Cristo ha con la Chiesa? E’ grande questo!
In questa profondità del mistero creaturale, riconosciuto e ristabilito nella sua purezza, si apre un secondo grande orizzonte che caratterizza il sacramento del matrimonio. La decisione di “sposarsi nel Signore” contiene anche una dimensione missionaria, che significa avere nel cuore la disponibilità a farsi tramite della benedizione di Dio e della grazia del Signore per tutti. Infatti gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa. Ci vuole coraggio per questo! Perciò quando io saluto i novelli sposi, dico: “Ecco i coraggiosi!”, perché ci vuole coraggio per amarsi così come Cristo ama la Chiesa.
La celebrazione del sacramento non può lasciar fuori questa corresponsabilità della vita familiare nei confronti della grande missione di amore della Chiesa. E così la vita della Chiesa si arricchisce ogni volta della bellezza di questa alleanza sponsale, come pure si impoverisce ogni volta che essa viene sfigurata. La Chiesa, per offrire a tutti i doni della fede, dell’amore e della speranza, ha bisogno anche della coraggiosa fedeltà degli sposi alla grazia del loro sacramento! Il popolo di Dio ha bisogno del loro quotidiano cammino nella fede, nell’amore e nella speranza, con tutte le gioie e le fatiche che questo cammino comporta in un matrimonio e in una famiglia.
La rotta è così segnata per sempre, è la rotta dell’amore: si ama come ama Dio, per sempre. Cristo non cessa di prendersi cura della Chiesa: la ama sempre, la custodisce sempre, come se stesso. Cristo non cessa di togliere dal volto umano le macchie e le rughe di ogni genere. E’ commovente e tanto bella questa irradiazione della forza e della tenerezza di Dio che si trasmette da coppia a coppia, da famiglia a famiglia. Ha ragione san Paolo: questo è proprio un “mistero grande”! Uomini e donne, coraggiosi abbastanza per portare questo tesoro nei “vasi di creta” della nostra umanità, sono - questi uomini e queste donne così coraggiosi - sono una risorsa essenziale per la Chiesa, anche per tutto il mondo! Dio li benedica mille volte per questo!

Saluti:
Je salue cordialement les pèlerins francophone venus de France, de Suisse et de Belgique, en particulier le pèlerinage diocésain de Cambrai avec Monseigneur François Garnier, et les familles de la Garde Suisse Pontificale.
En ce début de mois de Marie je vous invite à renouveler votre amour envers la Mère de Jésus, passant un peu plus de temps auprès d’elle. Présentez lui avec confiance toutes vos intentions.
Bon pèlerinage à Rome !
[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese venuti da Francia, Svizzera e Belgio, in particolare il pellegrinaggio diocesano di Cambrai con Mons. François Garnier, e le famiglie della Guardia Svizzera Pontificia.
In questo inizio del mese di Maria vi invito a rinnovare il vostro amore verso la Madre di Gesù, trascorrendo un po’ più di tempo con lei. Presentatele con fiducia tutte le vostre intenzioni. Buon pellegrinaggio a Roma!
]
I offer an affectionate greeting to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from Denmark, Switzerland, Indonesia, Korea, the Philippines, Canada and the United States. May Jesus Christ confirm you in faith and make your families witnesses to his love and mercy. May God bless you!
[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua inglese presenti a questa Udienza, specialmente quelli provenienti da Danimarca, Svizzera, Indonesia, Corea, Filippine, Canada e Stati Uniti. Gesù Cristo vi confermi nella fede e renda le vostre famiglie testimoni del suo amore e della sua misericordia. Dio vi benedica tutti!]
Sehr herzlich grüße ich die Pilger deutscher Sprache, insbesondere die Angehörigen und Freunde der Päpstlichen Schweizergarde, die anlässlich der Vereidigung der neuen Gardisten nach Rom gekommen sind. Ich danke auch den Musikern aus dem Wallis für die musikalischen Beiträge. Begleiten wir die Eheleute mit unserem Gebet, dass sie die Gnade des Sakraments in ihr Leben aufnehmen und so jeden Tag die Schönheit der Ehe bezeugen können. Der Heilige Geist stärke euch alle im Glauben, in der Hoffnung und in der Liebe.
[Con affetto saluto i pellegrini di lingua tedesca, in modo particolare i familiari e gli amici della Guardia Svizzera Pontificia, venuti a Roma in occasione del giuramento delle giovani guardie. Ringrazio anche i musicisti vallesi per i contributi musicali. Accompagniamo gli sposi con le nostre preghiere, perché sappiano vivere la grazia del Sacramento, testimoniando ogni giorno la bellezza del matrimonio. Lo Spirito Santo confermi tutti voi nella fede, speranza e carità.]
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a  los Oficiales de la Academia Superior de Policía de Colombia, así como a los grupos venidos de España, México, Argentina, Guatemala, Venezuela y otros países latinoamericanos. Queridos hermanos y hermanas, pidamos para que el matrimonio y las familias sean un reflejo de la fuerza y de la ternura de Dios en nuestra sociedad. Muchas gracias.
Queridos peregrinos de língua portuguesa, particularmente os fiéis brasileiros de Ribeirão Preto: sede bem-vindos! Lembrai-vos que nunca estais sós: o Senhor crucificado e ressuscitado vos guia, nas vossas famílias e no trabalho, nas dificuldades e nas alegrias, para que leveis ao mundo a primazia do amor de Deus. Obrigado pela vossa presença!
[Cari pellegrini di lingua portoghese, in particolare i fedeli brasiliani di Ribeirão Preto: benvenuti. Ricordatevi che non siete mai soli: il Signore crocifisso e risorto vi guida, nelle vostre famiglie e nel lavoro, nelle difficoltà e nelle gioie, perché portiate al mondo il primato dell’amore di Dio. Grazie per la vostra presenza!]
أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية، وخاصةً بالقادمينَ منالشّرق الأوسط. أيّها الأزواج الأعزّاء، إنّ الكنيسة تحتاج لأمانتكم الشُجاعة لزواجكم، إحملوا هذا "السرّ العظيم" وكونواإشعاع محبّة الله وحنانه. ليبارككم الربّ!
[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari sposi, la chiesa ha bisogno della vostra coraggiosa fedeltà al matrimonio: manifestate allora questo “mistero grande” e siate l’irradiazione dell’amore e della tenerezza di Dio! Il Signore vi benedica!]
Zeer hartelijk groet ik de gelovigen van het bisdom Haarlem-Amsterdam, op pelgrimstocht in Rome, samen met hun Bisschop Monseigneur Jozef Marianus Punt en zijn hulpbisschoppen. Een bijzondere groet aan het Kathedrale Koor met veel dank voor de prachtige gezangen. Dierbaren, moge het bezoek aan de Apostelgraven van Sint Petrus en Paulus uw geloof versterken en U blijvend herinneren aan de plicht om het Evangelie te verkondigen met een waardig Christelijk leven. Ik zegen U met liefde.
[Saluto cordialmente i fedeli della Diocesi di Haarlem-Amsterdam, venuti in pellegrinaggio a Roma, insieme con il Vescovo Mons. Jozef Marianus Punt con i suoi Ausiliari. Rivolgo un saluto particolare ai membri del Coro della Cattedrale e li ringrazio per i bei canti. Carissimi, la visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo rinforzi la vostra fede e vi ricordi di testimoniare il Vangelo con la vostra vita cristiana. Vi benedico con affetto.]
Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z farnosti Čierne Kľačany, Košice, Lendak, Stropkov, Nacina Ves a Záhor, Martin a Trnové.
Bratia a sestry, začali sme mariánsky mesiac máj. Pozývam vás do školy Matky Božej, od nej sa učte milovať Pána a blížneho. S láskou vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!
[Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalle varie parrocchie.
Fratelli e sorelle, abbiamo iniziato il mese mariano di maggio. Vi invito a mettervi alla scuola della Madre di Dio per imparare da Lei ad amare il Signore e il prossimo. Con affetto vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!
]

Appello - Anniversario fine Seconda Guerra Mondiale
Nei prossimi giorni sarà commemorato in alcune capitali il 70.mo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa. In tale occasione affido al Signore, per intercessione di Maria Regina della Pace, l’auspicio che la società umana impari dagli errori del passato e che di fronte anche ai conflitti attuali, che stanno lacerando alcune regioni del mondo, tutti i responsabili civili si impegnino nella ricerca del bene comune e nella promozione della cultura della pace.
* * *
Porgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i gruppi presenti, l’Associazione l’Ora di Gesù di Taranto e gli studenti dell’Istituto “Maestre Pie Filippini” di Roma e del Liceo Classico “Duni” di Matera, che ricordano i 150 anni di attività didattica. Auspico che la visita alla Città Eterna stimoli ciascuno ad approfondire la Parola di Dio per poter annunciare che il Signore Risorto è il Salvatore e contribuire alla costruzione della civiltà dell’amore.
Un particolare pensiero rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Abbiamo iniziato venerdì scorso il mese mariano. La Madre di Dio, cari giovani, sia il vostro rifugio nei momenti più difficili; sostenga voi, cari ammalati, nell’affrontare con coraggio la vostra croce quotidiana e sia il vostro riferimento, cari sposi novelli, perché la vostra famiglia sia un focolare domestico di preghiera e reciproca comprensione.

 


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