giovedì 30 maggio 2013

Non solo un simbolo. La fede della Chiesa nel Corpo e nel Sangue di Cristo


Ogni messa è la festa del Corpo e del Sangue del Signore; ne è la presenza reale e necessaria, poiché la Chiesa non può fare a meno del Corpo di Cristo, ossia della sua passione e dell'amore che in quel Corpo ritrova e assume. Oggi viene esaltata soprattutto la presenza reale di Gesù nell'Eucaristia: la solennità è nata per proclamarla e farne oggetto di adorazione, quando sorse il rischio che nella coscienza cristiana tale presenza si obnubilasse.
La vigilia della sua passione Gesù non ha lasciato un semplice simbolo di se stesso, o una sua memoria affidata solo al desiderio o all'intensità del loro affetto: egli ha lasciato la sua persona nella forma del suo sacrificio; ha consegnato la sua vita (il suo sangue) non trattenuta per sé, ma offerta per la liberazione dell'uomo. Il simbolo religioso, commemorativo, non è la novità cristiana: questa novità consiste nel fatto sorprendente che nel modo e nell'indicazione del segno del pane e del vino e quindi di una convivialità umana, Cristo ha dato se stesso; così, il segno eucaristico non è indice di lontananza, rimando a un'assenza, ma tramite di vera presenza. Del resto con il Signore Gesù i simboli non contano più; alla loro ombra si è sostituita la Sua verità; alla loro attesa la Sua venuta, nell'Eucaristia Gesù ha reso disponibile se stesso, poiché l'uomo non ha bisogno di altri che di lui e dello Spirito che viene da lui. Professare la presenza di Gesù nell'Eucaristia, nella verità del suo Corpo e del suo Sangue, vuol dire riconoscere che da lui viene la nostra salvezza: dalla comunione personale e insostituibile che con lui si stabilisce.
di Inos Biffi

Il trionfalismo dei cristiani



Il trionfalismo che appartiene ai cristiani è quello che passa attraverso il fallimento umano, il fallimento della croce. Lasciarsi tentare da altri trionfalismi, da trionfalismi mondani, significa cedere alla tentazione di concepire un "cristianesimo senza croce", un "cristianesimo a metà". È stata l'umiltà il centro della riflessione di Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, mercoledì 29 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Nel vangelo di oggi (Marco 10, 32-45) è descritto il cammino verso Gerusalemme di Gesù, seguito dai discepoli. "Erano sulla strada che saliva a Gerusalemme - ha spiegato il Papa - e Gesù camminava davanti. Deciso. Possiamo anche pensare, in fretta". Soffermandosi sui sentimenti che si agitavano in quel momento nel cuore dei discepoli "sgomenti" e "impauriti", il Santo Padre ha voluto mettere in evidenza il comportamento del Signore che svela loro la verità: "Ecco noi saliamo a Gerusalemme, il Figlio dell'Uomo sarà consegnato" ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà. Gesù "dice la verità" e mostra loro il cammino che finisce "al terzo giorno".
Nonostante le parole di Cristo, i discepoli pensano che sia meglio fermarsi. E nello stesso tempo, ha fatto notare il Pontefice, cominciano a discutere tra loro "come sistemare la Chiesa". Anzi Giacomo e Giovanni "sono andati da Gesù a chiedergli l'ufficio di capo del governo". Ma anche gli altri "discutevano e si domandavano chi tra loro fosse il più importante" in quella Chiesa che volevano sistemare. Cristo, ha osservato il Papa, era davanti al compiersi della sua missione, mentre i suoi discepoli si erano fermati a discutere su "un altro progetto, un altro punto di vista della Chiesa".
In questo modo essi subivano la stessa tentazione di Gesù nel deserto, "quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino" e lo aveva sfidato a compiere "un miracolo - ha ricordato ancora il Pontefice - qualcosa che tutti chiedevano". Come gettarsi dal tempio e salvarsi, in modo tale che tutti potessero vedere il miracolo e redimersi.
Gesù, ha aggiunto, subì la stessa tentazione da parte di Pietro. Quando parlò della croce, ha ricordato il vescovo di Roma, l'apostolo lo implorò, dopo avergli ripetuto "tu sei il Figlio di Dio", di rinunciare. "E Gesù gli disse: satana! E rinunciò alla tentazione".
Oggi, ha sottolineato il Pontefice, il pericolo è quello di soccombere alla "tentazione di un cristianesimo senza croce. Un cristianesimo a metà cammino. Questa è una tentazione". Ma ce n'è un'altra, ha aggiunto il Pontefice, "quella di un cristianesimo con la croce senza Gesù" della quale, ha detto, forse parlerà in un'altra occasione. E riprendendo il tema dell'omelia, il Papa ha spiegato che si tratta della "tentazione del trionfalismo". "Noi vogliamo il trionfo adesso - ha detto - senza andare sulla croce. Un trionfo mondano, un trionfo ragionevole". Per fare un esempio ha citato l'episodio evangelico nel quale si racconta che il diavolo, dopo la provocazione del tempio, propone a Gesù un patto: "tu mi adori e io ti do tutto". E "questo - ha fatto notare il Papa - purché non arrivasse a fare quello che il Padre voleva che Gesù facesse".
"Il trionfalismo nella Chiesa ferma la Chiesa - ha proseguito il Papa -. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino". Una Chiesa che si accontentasse di essere "ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente", ma che rinnegasse i martiri sarebbe "una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo".
E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: "Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l'ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant'anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l'ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: "suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro". Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: "Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino". Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino". Questo modo, ha spiegato il Papa, "coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine".
Concludendo l'omelia il Santo Padre ha invitato tutti a chiedere al Signore "la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi". "Se la Chiesa è umile - ha detto - cammina con decisione come Gesù, va avanti, avanti, avanti!".
Con il Santo Padre hanno concelebrato i monsignori Valério Breda, vescovo di Penedo, in Brasile, e José Manuel Garcia Cordero, vescovo di Bragança-Miranda, in Portogallo. Alla messa hanno partecipato, tra gli altri, i dipendenti del servizio laboratori e impianti del Governatorato, don Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, e monsignor Francesco Ceriotti, per decenni impegnato nell'ambito della comunicazione della Conferenza episcopale italiana, che proprio oggi festeggia il settantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale.


(©L'Osservatore Romano 30 maggio 2013)
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Dio ci chiama all'amicizia con Lui.Udienza generale di Papa Francesco (Piazza San Pietro, 29 maggio 2013)





La figura bianca di Papa Francesco sulla jeep, che saluta e prende i saluti, regala e riprende lo zucchetto, e soprattutto prende tutta la pioggia senza un ombrello sulla testa e senza nessuna fretta di ripararsi, nessuno probabilmente l’aveva mai vista. La vede, stupito, il resto del mondo alla tv e soprattutto la vedono i 90 mila che affollano Piazza San Pietro, assembrati come una testuggine romana sotto gli ombrelli e che per prima cosa si sentono dire, loro, dal Papa:“Avete mostrato coraggio sotto la pioggia. Siete bravi, eh?”.Il Papa fradicio di pioggia che non pensa a sé ma a chi è venuto ad ascoltarlo, che guadagna la tettoia senza un cenno d’impazienza e senza che l’acqua che lo bersaglia spenga il suo sorriso pieno di calore, diventa d’istinto la personificazione di quel Padre buono di cui, poco dopo, parlerà durante la catechesi. Il tema del giorno è semplice e chiaro: spiegare come la Chiesa sia “famiglia di Dio”. La riflessione di Papa Francesco si snoda fino al punto in cui afferma – con la consueta, amabile sincerità – che anche in chi compone la Chiesa, Pastori e fedeli, si annidano miserie piccole e grandi:
“Ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo”.

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PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 maggio 2013

[Video]



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Mercoledì scorso ho sottolineato il legame profondo tra lo Spirito Santo e la Chiesa. Oggi vorrei iniziare alcune catechesi sul mistero della Chiesa, mistero che tutti noi viviamo e di cui siamo parte. Lo vorrei fare con espressioni ben presenti nei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Oggi la prima: la Chiesa come famiglia di Dio.
In questi mesi, più di una volta ho fatto riferimento alla parabola del figlio prodigo, o meglio del padre misericordioso (cfr Lc 15,11-32). Il figlio minore lascia la casa del padre, sperpera tutto e decide di tornare perché si rende conto di avere sbagliato, ma non si ritiene più degno di essere figlio e pensa di poter essere riaccolto come servo. Il padre invece gli corre incontro, lo abbraccia, gli restituisce la dignità di figlio e fa festa. Questa parabola, come altre nel Vangelo, indica bene il disegno di Dio sull’umanità.
Qual è questo progetto di Dio? E’ fare di tutti noi un’unica famiglia dei suoi figli, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina. La stessa parola “Chiesa”, dal greco ekklesia, significa “convocazione”: Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia. E questa chiamata ha la sua origine nella stessa creazione. Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie. Ha chiamato Abramo ad essere padre di una moltitudine, ha scelto il popolo di Israele per stringere un’alleanza che abbracci tutte le genti, e ha inviato, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio perché il suo disegno di amore e di salvezza si realizzi in una nuova ed eterna alleanza con l’umanità intera. Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sé una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa.
Da dove nasce allora la Chiesa? Nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù da cui escono sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Nella famiglia di Dio, nella Chiesa, la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati.
Quando si manifesta la Chiesa? L’abbiamo celebrato due domeniche fa; si manifesta quando il dono dello Spirito Santo riempie il cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire e iniziare il cammino per annunciare il Vangelo, diffondere l’amore di Dio.
Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia. Alcuni dicono che il peccato è un’offesa  a Dio, ma anche un’opportunità di umiliazione per accorgersi che c’è un’altra cosa più bella: la misericordia di Dio. Pensiamo a questo.
Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita? La fede è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa.
Chiediamo al Signore, in modo del tutto particolare in quest’Anno della fede, che le nostre comunità, tutta la Chiesa, siano sempre più vere famiglie che vivono e portano il calore di Dio. 

Saluti:
Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les fidèles venus de divers diocèse de France, ainsi que les nombreux jeunes présents. Aimez l’Eglise chers frères et sœurs, elle est l’œuvre de Dieu. Aimez l’Eglise comme Jésus l’aime, il lui a donné sa vie, il lui communique tout son amour. N’hésitez pas à la défendre ; n’hésitez pas à vous dépenser pour elle, à vous engager à son service, à la rendre plus fraternelle et plus accueillante. Jésus-Christ et l’Eglise c’est tout un ! Bon pèlerinage à chacun d’entre vous !
I offer a cordial welcome to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from England, Scotland, Ireland, Norway, Sweden, Canada and the United States. May you always grow in love for Christ and for God’s family which is the Church. God bless you all!
Von Herzen grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache. Gott lädt uns ein, unseren Glauben gemeinsam als Familie in der Gemeinschaft der Kir­che zu leben. Deshalb wollen wir uns heute fragen, ob wir die Kirche wirklich lieben wie wir unsere Familien lieben und ob wir für sie beten. Der Heilige Geist schenke euch Kraft, stets das Gute zu vollbringen.
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, El Salvador, Ecuador, Honduras, Perú, Argentina, México y los demás países latinoamericanos. Invito a todos a vivir la fe, no sólo como un don y un acto personal, sino como respuesta a la llamada de Dios de vivir juntos, siendo la gran familia de los convocados por Él. Muchas gracias.
Queridos peregrinos lusófonos do Estoril e de Lisboa, em Portugal, bem como do Brasil: sejam bem-vindos! Saúdo-vos como membros desta família que é a Igreja, pedindo-vos que renoveis o vosso compromisso para que as vossas comunidades sejam lugares sempre mais acolhedores, onde se faz experiência da misericórdia e do amor de Deus. Que o Senhor vos abençoe a todos!
الأخوات والإخوة الأحباء الناطقون باللغة العربية، الأخواتُ والإخوةُ الأحباءُ النّاطِقون بِاللُّغةِ العربيّةِ. إن الكنيسة هي أسرة الله التي فيها كل واحد يحب يشعر بأنه محبوب. فأن نكون كنيسة يعني إحضار وإعلان خلاص الله لجميع البشر حتى أقاصي الأرض. فاحبوا الكنيسة وصلوا من أجلها حتى تكون في العالم علامة منظورة للرحمة، وللشركة، ولمحبة الله والأخوة. وأمنح لكم جميعا البركة الرسولية!
Pozdrawiam przybyłych na audiencję Polaków. Moją myśl kieruję już dzisiaj do młodych, którzy wkrótce, 1 czerwca spotkają się na Polach Lednickich. Drodzy młodzi Przyjaciele! Łączę się z wami w modlitewnym czuwaniu. Rozważając temat ojcostwa będziecie dotykali wielkiej tajemnicy Bożej miłości. Pamiętajcie, że Bóg jest Ojcem każdego z nas. On sam nas stworzył, obdarzył talentami, prowadzi przez życie, jest z nami pomimo naszej słabości, grzechu, zapomnienia – pragnie nas zbawić! Jest wzorem każdego ojcostwa. Także tego ziemskiego. Każdy z nas wiele zawdzięcza temu, który przekazał nam życie, który troszczył się i może nadal się troszczy o codzienny nasz byt i wzrost. Nie zapomnijcie podziękować Bogu za waszego tatę! Pamiętajcie o nim w modlitwie, nawet gdyby wasze relacje nie były najlepsze. Ojcostwo to Boży dar i wielka odpowiedzialność za nowego człowieka, niepowtarzalny obraz Boga. Nie lękajcie się ojcostwa, rodzicielstwa. Także wielu z was będzie zapewne ojcami! Bądźcie też otwarci na ojcostwo duchowe – wielki skarb naszej wiary! Niech Bóg obdarzy was bogactwem i promieniowaniem ojcostwa Bożego i napełni was swoją radością. Wszystkich, którzy pielgrzymują na Pola Lednickie, do źródeł chrzcielnych Polski z serca pozdrawiam i błogosławię: w imię Ojca i Syna, i Ducha Świętego. Tym błogosławieństwem ogarniam także wszystkich uczestników dzisiejszej audiencji, wasze rodziny i waszych bliskich. Życzę wszystkim bogatej w przeżycia Uroczystości Bożego Ciała.
* * *
Prima di salutare i fedeli di lingua italiana, vorrei rivolgere un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dall’Albania, con i rispettivi Vescovi; a quelli provenienti dal Kosovo, con il loro Pastore; e al pellegrinaggio dei Militari dell’Ucraina. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro ed auspico che la vostra visita alle tombe degli apostoli vi rafforzi nella fede, consolidi la vostra speranza e animi in voi l’amore sempre pronto a servire l’uomo. Benedico di cuore voi, le vostre famiglie e i vostri connazionali.
Saluto ora i numerosi pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni, enti e scuole. In particolare, rivolgo un cordiale pensiero ai fedeli delle Comunità diocesane de L’Aquila, Vallo della Lucania, Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, accompagnati dai rispettivi Pastori. Il vostro pellegrinaggio in questo Anno della fede aiuti ciascuno di voi ad aderire più pienamente a Cristo e a testimoniarlo con gioia e con coraggio. Saluto i partecipanti all’incontro promosso dalla Caritas Italiana, con il Vescovo Presidente Mons. Giuseppe Merisi; come pure quanti prendono parte all’incontro della fondazione «Comunità di Gesù»; i seminaristi e gli studenti della Pontificia Facoltà dell’Italia meridionale e il pellegrinaggio promosso dalle Suore dell’Immacolata di Genova.
Mi rivolgo, infine, a voi, cari giovani, ammalati e sposi novelli. In quest’ultima Udienza del mese di maggio il pensiero va spontaneamente a Maria Santissima, stella luminosa del nostro cammino cristiano. Facciamo costante riferimento a Lei per trovare nella sua intercessione e nei suoi esempi ispirazione e guida sicura nel nostro quotidiano pellegrinaggio di fede.
Domani, festa del Corpus Domini, come ogni anno celebreremo alle ore 19 la Santa Messa a San Giovanni in Laterano. Al termine, seguirà la solenne processione che si concluderà a Santa Maria Maggiore. Invito i fedeli di Roma e i pellegrini ad unirsi in questo atto di profonda fede verso l’Eucaristia, che costituisce il più prezioso tesoro della Chiesa e dell'umanità.


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martedì 28 maggio 2013

Il Papa: non si segue Gesù per fare carriera, la sua via è quella della Croce

L’annuncio di Gesù non è una patina, una vernice, ma va dentro al cuore e ci cambia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi ribadito che seguire Gesù non vuol dire avere più potere, perché la sua strada è quella della Croce. Alla Messa, concelebrata da mons. Rino Fisichella e mons. José Octavio Ruiz Arenas, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti dello stesso dicastero e un gruppo di dipendenti della Centrale termoelettrica e del Laboratorio di falegnameria del Governatorato vaticano, accompagnati dall’ing. Pier Carlo Cuscianna, direttore dei Servizi Tecnici del Governatorato.

Quale sarà il premio che riceveremo nel seguirti? Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalla domanda che Pietro rivolge a Gesù e che, in fondo, riguarda la vita di ogni cristiano. Gesù, ha osservato il Papa, risponde che quanti lo seguiranno avranno “tante cose belle” ma “con persecuzione”. La strada del Signore, ha proseguito, “è una strada di ‘abbassamento’, una strada che finisce nella Croce”. Ecco perché, ha soggiunto, “sempre ci saranno le difficoltà”, “le persecuzioni”. Ci saranno sempre, “perché Lui ha fatto questa strada prima” di noi. E ha avvertito che “quando un cristiano non ha difficoltà nella vita – tutto va bene, tutto è bello – qualcosa non va”. Si può pensare che sia “molto amico dello spirito del mondo, della mondanità”. E questo, ha constatato, “è la tentazione propria di un cristiano”:

“Seguire Gesù sì, ma fino a un certo punto; seguire Gesù come una forma culturale: sono cristiano, ho questa cultura… Ma senza l’esigenza della vera sequela di Gesù, l’esigenza di andare sulla sua strada. Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni - non voglio dire tanti ma alcuni - preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera”.
Il Papa ha rammentato che un tempo, “nella letteratura di due secoli fa”, a volte si usava dire che uno “da bambino aveva voglia di fare la carriera ecclesiastica”. E ha ribadito che “tanti cristiani, tentati dallo spirito del mondo, pensano che seguire Gesù è buono perché si può far carriera, si può andare avanti”. Ma questo “non è lo spirito” è, invece, l’atteggiamento di Pietro che parla di carriera e Gesù gli risponde: “Sì, ti darò tutto con persecuzione”. “Non si può togliere la Croce dalla strada di Gesù: sempre c’è”. E tuttavia, ha avvertito, questo non vuol dire che il cristiano deve farsi del male. Il cristiano “segue Gesù per amore e quando si segue Gesù per amore, l’invidia del diavolo fa tante cose”. Lo “spirito del mondo – ha osservato – non tollera questo, non tollera la testimonianza”:

“Pensate a Madre Teresa: cosa dice lo spirito del mondo di Madre Teresa? ‘Ah, la Beata Teresa è una bella donna, ha fatto tante belle cose per gli altri…’. Lo spirito del mondo mai dice che la Beata Teresa, tutti i giorni, tante ore, era in adorazione… Mai! Riduce al fare bene sociale l’attività cristiana. Come se l’esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. L’annunzio di Gesù non è una patina: l’annunzio di Gesù va alle ossa, al cuore, va dentro e ci cambia. E questo non lo tollera lo spirito del mondo, non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni”.
Chi lascia la propria casa, la propria famiglia per seguire Gesù, ha detto ancora Papa Francesco, riceve cento volte tanto “già ora in questo tempo”. Cento volte insieme alle persecuzioni. E questo non va dimenticato:

“La sequela di Gesù è proprio questo: per amore andare con Lui, dietro di Lui: lo stesso cammino, la stessa strada. E lo spirito del mondo sarà quello che non tollererà e ci farà soffrire, ma una sofferenza come l’ha fatta Gesù. Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che Lui ci ha fatto vedere e che Lui ci ha insegnato. Questo è bello, perché mai ci lascia soli. Mai! Sempre è con noi. Così sia”.
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lunedì 27 maggio 2013

Il Papa: cultura del benessere e fascino del provvisorio non ci fanno seguire Gesù

Per seguire Gesù dobbiamo spogliarci della cultura del benessere e del fascino del provvisorio. E’ quanto affermato stamani da Papa Francesco, nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi sottolineato che dobbiamo fare un esame di coscienza sulle ricchezze che ci impediscono di avvicinare Gesù. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, hanno preso parte i membri del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, guidati dal presidente mons. Zygmunt Zimowski, e un gruppo di collaboratori dei Servizi Economici del Governatorato, guidati dal dott. Sabatino Napolitano.

Gesù chiede a un giovane di dare tutte le sue ricchezze ai poveri e seguirlo, ma questi se ne va rattristato. Papa Francesco ha svolto l’omelia muovendo dal celebre episodio raccontato dal Vangelo odierno. E subito ha sottolineato che “le ricchezze sono un impedimento” che “non fa facile il cammino verso il Regno di Dio”. Del resto, ha avvertito, “Ognuno di noi ha le sue ricchezze, ognuno”. C’è sempre, ha detto, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù”. E questa va cercata. Tutti, ha proseguito, “dobbiamo fare un esame di coscienza su quali sono le nostre ricchezze, perché ci impediscono di avvicinare Gesù nella strada della vita”. Il Papa si è quindi riferito a due “ricchezze culturali”: innanzitutto la “cultura del benessere, che ci fa poco coraggiosi, ci fa pigri, ci fa anche egoisti”. Il benessere “ci anestetizza, è un’anestesia”:

"‘No, no, più di un figlio no, perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa’. Sta bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto. Questo è quello che fa il benessere: tutti sappiamo bene com’è il benessere, ma questo ci getta giù, ci spoglia di quel coraggio, di quel coraggio forte per andare vicino a Gesù. Questa è la prima ricchezza della nostra cultura d’oggi, la cultura del benessere’.

C’è poi, ha soggiunto, “un’altra ricchezza nella nostra cultura”, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù: è il fascino del provvisorio”. Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, ha detto, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo:

“Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momento. Perché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò… Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza. Dobbiamo diventare padroni del tempo, facciamo piccolo il tempo al momento. Queste due ricchezze sono quelle che in questo momento ci impediscono di andare avanti. Io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!”.

Ma anche, ha detto, penso a tanti uomini e donne che “hanno lasciato la propria casa per fare un matrimonio per tutta la vita”; quello è “seguire Gesù da vicino! E’ il definitivo!”. Il provvisorio, ha ribadito Papa Francesco, “non è seguire Gesù”, è “territorio nostro”:

“Davanti all’invito di Gesù, davanti a queste due ricchezze culturali pensiamo ai discepoli: erano sconcertati. Anche noi possiamo essere sconcertati per questo discorso di Gesù. Quando Gesù ha spiegato qualcosa erano ancora più stupiti. Chiediamo al Signore che ci dia il coraggio di andare avanti, spogliandoci di questa cultura del benessere, con la speranza - alla fine del cammino, dove Lui ci aspetta - nel tempo. Non con la piccola speranza del momento che non serve più. Cosi sia
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domenica 26 maggio 2013

Maria ci aiuta sempre e subito, dalle periferie si vede meglio la realtà.Papa Francesco visita alla parrocchia di Santa Elisabetta e Zaccaria



OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Solennità della Santissima Trinità
Domenica, 26 maggio 2013

Il Santo Padre all’inizio della Celebrazione eucaristica, dopo il saluto del Parroco, ha improvvisato le seguenti parole.
Cara prima sentinella, cara seconda sentinella, carissime sentinelle, mi piace quello che tu hai detto: che periferia ha un senso negativo, ma anche un senso positivo. Tu sai perché? Perché la realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie. Si capisce meglio. Anche questo che tu hai detto: diventare sentinelle, no?
Vi ringrazio per questo ufficio, per questo lavoro di essere sentinelle. Ringrazio anche per l’accoglienza, in questo giorno di festa della Trinità. Qui ci sono i preti che voi conoscete bene, che sono i due segretari del Papa, il Papa che è in Vaticano, eh? Oggi è venuto il Vescovo qui. E questi due lavorano bene. Ma uno di loro, Padre Alfred, oggi fa l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale: 29 anni. Un applauso! Preghiamo per lui e chiediamo almeno altri 29 anni. E’ vero? Così cominciamo la Messa, con spirito di pietà, in silenzio, pregando tutti insieme per tutti.


Il Santo Padre ha tenuto l’Omelia, sviluppando un dialogo con i bambini e le bambine della Prima Comunione. 
Cari fratelli e sorelle,   
il Parroco, nelle sue parole, mi ha fatto ricordare una cosa bella della Madonna. Quando la Madonna, appena ricevuto l’annunzio che sarebbe stata madre di Gesù, e anche l’annunzio che sua cugina Elisabetta era incinta - dice il Vangelo - se ne andò in fretta; non aspettò. Non ha detto: “Ma adesso io sono incinta, devo curare la mia salute. Mia cugina avrà delle amiche che forse l’aiuteranno”. Lei ha sentito qualcosa e “se ne andò in fretta”. E’ bello pensare questo della Madonna, della nostra Madre, che va in fretta, perché ha questo dentro: aiutare. Va per aiutare, non va per vantarsi e dire alla cugina: “Ma senti, adesso comando io, perché sono la Mamma di Dio!” No, Non ha fatto quello. E’ andata ad aiutare! E la Madonna è sempre così. E’ la nostra Madre, che sempre viene in fretta quando noi abbiamo bisogno. Sarebbe bello aggiungere alle Litanie della Madonna una che dica così: “Signora che vai in fretta, prega per noi!”. E’ bello questo, vero? Perché Lei va sempre in fretta, Lei non si dimentica dei suoi figli. E quando i suoi figli sono nelle difficoltà, hanno un bisogno e la invocano, Lei in fretta va. E questo ci dà una sicurezza, una sicurezza di avere la Mamma accanto, al nostro fianco sempre. Si va, si cammina meglio nella vita quando abbiamo la mamma vicina. Pensiamo a questa grazia della Madonna, questa grazia che ci dà: di essere vicina a noi, ma senza farci aspettare. Sempre! Lei è - abbiamo fiducia in questo - per aiutarci. La Madonna che sempre va in fretta, per noi.
La Madonna ci aiuta anche a capire bene Dio, Gesù, a capire bene la vita di Gesù, la vita di Dio, a capire bene che cosa è il Signore, com’è il Signore, chi è Dio. A voi bambini, domando: “Chi sa chi è Dio?”. Alzi la mano. Dimmi? Ecco! Creatore della Terra. E quanti Dio ci sono? Uno? Ma a me hanno detto che ce ne sono tre: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! Come si spiega questo? Ce n’è uno o ce ne sono tre? Uno? Uno? E come si spiega che uno sia il Padre, l’altro il Figlio e l’altro lo Spirito Santo? Forte, forte! Va bene quella. Sono tre in uno, tre persone in uno. E che cosa fa il Padre? Il Padre è il principio, il Padre, che ha creato tutto, ha creato noi. Che cosa fa il Figlio? Che cosa fa Gesù? Chi sa dire che cosa fa Gesù? Ci ama? E poi? Porta la Parola di Dio! Gesù viene ad insegnarci la Parola di Dio. Benissimo questo! E poi? Che cosa ha fatto Gesù nella terra? Ci ha salvati! E Gesù è venuto per dare la sua vita per noi. Il Padre crea il mondo; Gesù ci salva. E lo Spirito Santo che fa? Ci ama! Ti dà l’amore! Tutti i bambini insieme: il Padre crea tutti, crea il mondo; Gesù ci salva; e lo Spirito Santo? Ci ama! E questa è la vita cristiana: parlare con il Padre, parlare con il Figlio e parlare con lo Spirito Santo. Gesù ci ha salvato, ma anche cammina con noi nella vita. E’ vero questo? E come cammina? Che cosa fa quando cammina con noi nella vita? Questo è difficile. Chi la fa vince il derby! Che cosa fa Gesù quando cammina con noi? Forte! Primo: ci aiuta. Ci guida! Benissimo! Cammina con noi, ci aiuta, ci guida e ci insegna ad andare avanti. E Gesù ci dà anche la forza per camminare. E’ vero? Ci sostiene! Bene! Nelle difficoltà, vero? Ed anche nei compiti della scuola! Ci sostiene, ci aiuta, ci guida, ci sostiene. Ecco! Gesù va sempre con noi. Va bene. Ma senti, Gesù ci dà la forza. Come ci dà la forza Gesù? Voi questo lo sapete come ci dà forza! Forte, non sento! Nella Comunione ci dà la forza, proprio ci aiuta con la forza. Lui viene a noi. Ma quando voi dite “ci dà la Comunione”, un pezzo di pane ti dà tanta forza? Non è pane quello? E’ pane? Questo è pane, ma quello sull’altare è pane o non è pane? Sembra pane! Non è proprio pane. Che cosa è? E’ il Corpo di Gesù. Gesù viene nel nostro cuore. Ecco, pensiamo a questo, tutti: il Padre ci ha dato la vita; Gesù ci ha dato la salvezza, ci accompagna, ci guida, ci sostiene, ci insegna; e lo Spirito Santo? Che cosa ci dà lo Spirito Santo? Ci ama! Ci dà l’amore. Pensiamo a Dio così e chiediamo alla Madonna, la Madonna nostra Madre, in fretta sempre per aiutarci, che ci insegni a capire bene com’è Dio: com’è il Padre, com’è il Figlio e com’è lo Spirito Santo. Così sia.


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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 26.05.2013



Piazza San Pietro
Solennità della Santissima Trinità
Domenica, 26 maggio 2013

Cari fratelli e sorelle!
Buongiorno! Questa mattina ho fatto la mia prima visita in una parrocchia della diocesi di Roma. Ringrazio il Signore e vi chiedo di pregare per il mio servizio pastorale a questa Chiesa di Roma, che ha la missione di presiedere alla carità universale.
Oggi è la Domenica della Santissima Trinità. La luce del tempo pasquale e della Pentecoste rinnova ogni anno in noi la gioia e lo stupore della fede: riconosciamo che Dio non è qualcosa di vago, il nostro Dio non è un Dio “spray”, è concreto, non è un astratto, ma ha un nome: «Dio è amore». Non è un amore sentimentale, emotivo, ma l’amore del Padre che è all’origine di ogni vita, l’amore del Figlio che muore sulla croce e risorge, l’amore dello Spirito che rinnova l’uomo e il mondo. Pensare che Dio è amore ci fa tanto bene, perché ci insegna ad amare, a donarci agli altri come Gesù si è donato a noi, e cammina con noi. Gesù cammina con noi nella strada della vita.
La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall’alto di una cattedra, ma camminando con l’umanità. E’ proprio Gesù che ci ha rivelato il Padre e che ci ha promesso lo Spirito Santo. Dio ha camminato con il suo popolo nella storia del popolo d’Israele e Gesù ha camminato sempre con noi e ci ha promesso lo Spirito Santo che è fuoco, che ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, che dentro di noi ci guida, ci dà delle buone idee e delle buone ispirazioni.
Oggi lodiamo Dio non per un particolare mistero, ma per Lui stesso, «per la sua gloria immensa», come dice l’inno liturgico. Lo lodiamo e lo ringraziamo perché è Amore, e perché ci chiama ad entrare nell’abbraccio della sua comunione, che è la vita eterna.
Affidiamo la nostra lode alle mani della Vergine Maria. Lei, la più umile tra le creature, grazie a Cristo è già arrivata alla meta del pellegrinaggio terreno: è già nella gloria della Trinità. Per questo Maria nostra Madre, la Madonna, risplende per noi come segno di sicura speranza. E’ la Madre della speranza; nel nostro cammino, nella nostra strada, Lei è la Madre della speranza. E’ la Madre anche che ci consola, la Madre della consolazione e la Madre che ci accompagna nel cammino. Adesso preghiamo la Madonna tutti insieme, a nostra Madre che ci accompagna nel cammino.


Dopo l'Angelus
Cari fratelli e sorelle,
 ieri, a Palermo, è stato proclamato Beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!
 Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti, le famiglie, i gruppi parrocchiali venuti da Italia, Spagna, Francia e da tanti altri Paesi. Saluto in particolare l’Associazione Nazionale San Paolo degli Oratori e dei Circoli Giovanili, nata 50 anni fa al servizio dei giovani. Cari amici, San Filippo Neri, che oggi ricordiamo, e il Beato Giuseppe Puglisi sostengano il vostro impegno. Saluto il gruppo di cattolici cinesi qui presenti, che si sono riuniti a Roma per pregare per la Chiesa in Cina, invocando l’intercessione di Maria Ausiliatrice.
 Rivolgo un pensiero a quanti promuovono la “Giornata del Sollievo”, in favore dei malati che vivono il tratto finale del loro cammino terreno; come pure l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Grazie per il vostro impegno! Saluto l’Associazione Nazionale Arma di Cavalleria, e i fedeli di Fiumicello, presso Padova.
Buona domenica a tutti e buon pranzo!


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IL TUO «SALOTTO» ERA STRADA E SCUOLA


LETTERA A «3P». UN SANTO VERO: CARNE, OSSA E FUOCO

 C aro 3P, ti hanno fatto beato, anzi no, ti hanno proclamato beato, perché beato già lo sei. 'Santo': ti rendi conto?
  Quando qualcuno ti diceva provo­catoriamente «monsignore» tu ri­spondevi con una colorita espres­sione palermitana: «
 A tto’ patri », «A tuo padre». Così, dalle nostre par­ti, si rimanda al mittente un’offesa. Non ti piaceva quell’epiteto, per­ché non facevi il sacerdote per ac­quisire cariche, ma per portare ca­richi, servire, sapevi che la parola sacerdote non ha gradazioni. È as­soluta.
  E se ti avessero detto «santo», chis­sà come avresti reagito... Eppure o­ra te lo posso dire. Sei santo e la tua risposta scanzonata coglierebbe pure nel segno, perché il Padre no­stro è veramente l’unico a essere santo e noi siamo solo dei poveracci vestiti da re dal più grande stilista, che se veste così l’erba del campo figuriamoci l’uomo.
  Camminiamo per strada, con i no­stri vuoti fisici e morali, con le no­stre debolezze, stanchezze, paure e dubbi, eppure siamo santi. Siamo santi tutti e non lo vogliamo capi­re, santi per immagine e somi­glianza, santi per grazia e vocazio­ne. Siamo tutti santi. I primi cri­stiani si chiamavano così fra loro: santi. Noi a queste cose non ci cre­diamo più, noi cristiani adulti di og­gi. Pensiamo che i santi siano solo quelli dei santini. Cose da bigotti. Invece i santi sono carne, ossa e fuoco.
  Io ho avuto la fortuna di conoscer­ne di persona due, fatti di questi materiali. Il primo è stato Giovan­ni Paolo II. Il secondo sei tu. Lui e­ra un gigante e del gigante aveva la voce cavernosa. Tu eri piccolo e a­vevi la voce tenue. Lui veniva dal nord Europa, con i suoi occhi az­zurri come ghiacciai, tu venivi dal sud dell’Europa, con i tuoi occhi marroni come le scarpe che tuo pa­dre riparava. Non vi assomigliava­te affatto, eppure siete beati en­trambi. Come tutti, per vocazione, ma voi più di tutti, per risposta pie­na
 a quella chiamata, a quella gra­zia che è Fuoco. Averti conosciuto mi mette la san­tità a portata di mano e memoria. Eri lì nei corridoi della mia scuola e facevi lezione, e bene. Eri un santo, e nessuno lo sapeva, perché eri troppo ordinario. Credo neanche tu lo sapessi. Eppure avevi gli effet­ti sismici del santo: eri l’epicentro silenzioso di terremoti. Non si po­teva rimanere indifferenti, davi fuo­co alle braci. I santi sono questo: fuoco che fa ardere le braci che ab­biamo nell’anima, spesso sopite sotto la cenere della comodità, del­la noia, dell’incredulità. Causavi terremoti di libertà: fino a che non la tocchi e non te la mettono in ma­no, la libertà, te ne stai comodo e annoiato con la tua vita piccola e riempita di cose che si rompono. Da salotto. Il salotto è il contrario del santo. E infatti tu il salotto nean­che ce l’avevi. Avevi un letto, una cucina e poi libri, dappertutto. Ma ci tornavi solo la sera a casa, come quella sera del tuo compleanno in cui ti hanno sparato: dies natalis doppio il tuo, o unico, in your end is your beginningdirebbe il poeta.
  Il tuo salotto era la strada. La stra­da dove i ragazzi disfacevano le lo­ro vite, a Brancaccio, tra violenza, droga, ignoranza, prostituzione, spaccio, pizzo... E tu li prendevi u­no a uno e tra un calcio al pallone e uno nel sedere gli raccontavi che erano santi pure loro, perché figli e figlie del Padre e non del padrino. E loro, dall’inferno uscivano, alme­no alcuni, perché credevano a te e a come li guardavi, perché eri san­to e li guardavi con le pupille di Dio. Ti credevano perché un santo è u­no che ama e perdona come ama e perdona Cristo, e non ha tempo per sé come Cristo, come quel poster che avevi in casa, un orologio sen­za lancette con su scritto: tutto il tempo è per Cristo.
  Il tuo salotto erano le classi delle scuole in cui hai insegnato fino al­la fine. Non hai mai voluto smette­re. Perché sapevi che quella era la cosa da fare per cambiare Palermo: cambiare i ragazzi.
 

E loro cambiavano perché eri santo e martire: vedevano come parlavi, come sorridevi, come raccontavi la Bibbia, come celebravi la Messa e la Confessione. Tu eri santo perché maneggiavi con cura le cose sante di Dio: uomini, donne e sacramenti. E uno non aveva più scuse, perché Dio c’era. Eri ordinario, come Cristo tra i suoi, lui un figlio di falegname, tu di calzolaio. Eppure chi ti passava accanto si sentiva più libero, mai giudicato, atteso sempre, mai incalzato, ma spinto a dare il meglio. La santità era a portata di mano, la potevi toccare: aveva la consistenza del tuo volto, delle tue mani, dei tuoi piedi. Del tuo fuoco.
 
 Ora sei beato, caro 3P, e la santità è qualcosa di più abbordabile, tascabile quasi. Qualcosa che solo Dio può dare a chi non si chiude nel salotto, ma fa della strada il suo salotto. E la strada è lì dove Dio lo chiama: in ufficio, a scuola, al supermercato, tra i fornelli, allo sportello della banca, dietro un computer, al mare, in montagna, in centro e in periferia. Questo ti chiedo di ricordarci: che tutti siamo santi lì dove siamo, se solo non ci chiudiamo all’unica Beatitudine, l’unica possibile in queste vie del mondo così trafficate di uomini e donne che cercano la beatitudine con la minuscola, quella che una volta che l’hai afferrata è già perduta. La Beatitudine continua e infrangibile invece è lì a portata di mano. Così eri tu, per me. Così sei tu, adesso, per tutti. Grazie, caro amico e padre, martire dell’ordinario amore straordinario di Dio. 
 Alessandro D’Avenia
 


I mafiosi si convertano a Dio, non possono rendere schiavi donne e bambini. Il Papa all'Angelus

“I mafiosi e le mafiose si convertano a Dio”. Questa preghiera di Papa Francesco, salutata da salve di applausi, ha caratterizzato l’Angelus di questa mattina in Piazza San Pietro. Ricordando la Beatificazione, avvenuta ieri, di don Pino Puglisi, il Papa ha stigmatizzato lo sfruttamento delle mafie ai danni di milioni di vittime, esclamando: “Non possono fare di noi fratelli schiavi”.

Sullo sfondo non si staglia la Valle dei Templi di Agrigento ma le architetture vaticane, eppure 20 anni sembrano cancellati d’un colpo quando, con voce forse meno tonante ma non meno addolorata, Papa Francesco riecheggia le storiche parole di Giovanni Paolo II nel 1993. Ma prima di approdare all’analogo auspicio di conversione, la denuncia di Papa Francesco si allarga a tutti quei contesti dove il crimine la fa da padrone con soprusi e violenze:

“Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo. Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.

A innescare questo crescendo spontaneo è stato pochi istanti prima, appena dopo la preghiera dell’Angelus, il ricordo di don Pino Puglisi, beatificato ieri in quella Palermo nella quale il 15 settembre di 20 anni fa la mafia lo assassinò. Un uomo, afferma il Papa, la cui vita e la cui morte sono ancora oggi un monito per chi pensava di strappare con lui anche ciò che aveva seminato:

“Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto”.
Gli applausi della folla, enorme anche questa domenica, sono una scia sonora che prolunga l’eco delle parole del Pontefice nel Colonnato della Piazza. Ma lo stile comunicativo del Papa ha nel frattempo regalato altri efficaci spunti di riflessione, più eminentemente spirituali. Parlando della Trinità, come due ore prima con i bambini di una parrocchia romana – e affermando come questo mistero significhi qualcosa di concreto e non che Dio sia “qualcosa di vago” – Papa Francesco ritrova una espressione che da qualche settimana ha fatto il giro del mondo:

“Il nostro Dio non è un Dio 'spray', è concreto, non è un astratto, ma ha un nome: ‘Dio è amore’. Non è un amore sentimentale, emotivo, ma l’amore del Padre che è all’origine di ogni vita, l’amore del Figlio che muore sulla croce e risorge, l’amore dello Spirito che rinnova l’uomo e il mondo. Pensare che Dio è amore ci fa tanto bene, perché ci insegna ad amare, a donarci agli altri come Gesù si è donato a noi, e cammina con noi”. 
E per rafforzare il concetto di un amore che non è mai volato alto sul destino dell’umanità, ma al contrario si è strettamente intrecciato con le vicende della storia di ogni epoca, Papa Francesco prosegue:

“La Santissima Trinità non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall’alto di una cattedra, ma camminando con l’umanità (...) Dio ha camminato con il suo popolo nella storia del popolo d’Israele e Gesù ha camminato sempre con noi e ci ha promesso lo Spirito Santo che è fuoco, che ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, che dentro di noi ci guida, ci dà delle buone idee e delle buone ispirazioni.
La considerazione finale è per Maria, colei – afferma Papa Francesco – che grazie a Cristo “è già nella gloria della Trinità” e, allo stesso tempo, una Madre vicinissima ai suoi figli:

“E’ la Madre della speranza, nel nostro cammino, nella nostra strada, Lei è la Madre della speranza. E’ la Madre anche che ci consola, la Madre della consolazione e la Madre che ci accompagna nel camminoAdesso preghiamo la Madonna tutti insieme, a nostra Madre che ci accompagna nel cammino”.

Al termine della recita dell’Angelus, dopo aver affidato all’intercessione del Beato Puglisi – e di San Filippo Neri, altro grande formatore dei giovani che la Chiesa celebra il 26 maggio – il lavoro dell’“Associazione Nazionale San Paolo degli Oratori e dei Circoli Giovanili”, e ancora aver salutato l’Associazione italiana sclerosi multipla, Papa Francesco ha riservato attenzione particolare a uno tra i molti gruppi presenti in Piazza San Pietro:

“Saluto il gruppo di cattolici cinesi qui presenti, che si sono riuniti a Roma per pregare per la Chiesa in Cina, invocando l’intercessione di Maria Ausiliatrice”.

 http://it.radiovaticana.va

sabato 25 maggio 2013

Familiari della Trinità nell’iride di Chagall


È l’artista che piace di più a papa Francesco, ma è anche uno degli artisti più originali di tutto il Novecento: Marc Chagall.
  Già consapevole che sarebbe giunto un tempo in cui non avremmo più amato leggere, volle realizzare un libro scritto con pennello e colori, per gettare in faccia – come amava dire – a questo nostro secolo un guanto a sette dita (i sette colori dell’iride) e svegliarlo dal suo torpore. Nel Museo biblico di Nizza egli ci fa percorrere in 12 passi tutta la grande storia d’amore di Dio con il suo popolo, 12 passi che liberano una miriade di forme e colori, capace di rievocare la grande tradizione ebraico-cristiana. Uno di questi sigilla l’incontro di Abramo con i tre angeli. Un’icona biblica che per la tradizione cristiana rappresenta la prima rivelazione della Trinità (la cui solennità è in calendario domani). La moderna esegesi prende le distanze da questa interpretazione dei padri, pur tuttavia l’arte cristiana è profondamente segnata dalla loro intuizione. Abramo, sofferente per la circoncisione, incontra tre personaggi ma si rivolge loro parlando a un singolo. Parlò con quell’Uno di cui conosceva l’identità, ma già ricevette, quale amico di Dio, la rivelazione della Trinità. Chagall dipinse questa scena prendendo a modello l’icona dell’artista russo Andrej Rublev dal titolo, appunto, la Trinità. Benché esplicita la citazione di Chagall dell’artista conterraneo, le differenze raccontano il modo dell’uomo contemporaneo di confrontarsi col Mistero. L’oro in cui è immerso il banchetto di Rublev è diventato in Chagall rosso fuoco, come le trame tormentose della storia moderna. La tavola aperta, con gli angeli frontali che lasciano libero un lato della mensa per invitarci a sedere, lasciano il posto a tre angeli colti di spalle, i quali non ci guardano affatto e la cui mensa è nascosta dalle loro stesse ali. Che cosa è accaduto fra Rublev e Chagall? Fra i due passa il secolo dei lumi, la rivoluzione francese, le grandi filosofie moderne, fra Rublev e Chagall passa l’identità di un uomo che ha perso la sua origine. Abramo parla con l’unico angelo di profilo, i colori dell’abito del patriarca, infatti, si riflettono in quelli dell’angelo che rappresenta Dio Padre. Gli altri due angeli, invece, sono più decisamente di spalle e hanno ali bianchissime. Uno (a destra) ha la tunica viola, il colore che Chagall assegna alla sofferenza. È l’immagine di Cristo, il più vicino al Padre. L’altro angelo, invece, bianco con una striatura verde – colore della vita –, rappresenta lo Spirito Santo. È lui che indica con la mano quel banchetto. È per lo Spirito infatti che pane e vino divengono Corpo e Sangue di Cristo. In questa immagine biblica della prima teofania della Trinità Chagall ci racconta molto dell’uomo moderno il quale, avendo perduto l’intimità di quel banchetto divino, volta le spalle al Mistero. Così facendo però volta le spalle a se stesso e alla sua origine. Forse per questo Chagall pone sullo sfondo la mano di Dio che chiama Abramo a uscire da Ur dei Caldei, vale a dire dalla fornace ardente dell’idolatria per andare verso se stesso (leck leckà). Ritroviamo il patriarca (seguendo la direzione della mano di Dio) nell’angolo destro della tela. Lì Abramo in mezzo ai tre angeli scopre la sorte di Sodoma e Gomorra e intercede per le due città.
  Così Chagall addita all’uomo, che non percepisce più Dio come una presenza amica, all’uomo che annaspa dentro il panorama arrossato della sua solitudine, la via per ritrovare se stesso, quella stessa che fu di Abramo (
 leck leckà! Va verso te stesso), la via per uscire da Sodoma e Gomorra: ed è precisamente la via della familiarità con Dio, quella che conduce alla mensa con lui. 
 MARIA GLORIA RIVA

Papa Francesco. L'importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui

Papa Francesco (© Leonora Giovanazzi).Il volantino con il testo dell'incontro di papa Francesco con i movimenti e le associazioni laicali in Piazza San Pietro e l'omelia della messa di Pentecoste

VEGLIA DI PENTECOSTE CON I MOVIMENTI, LE NUOVE COMUNITÀ,LE ASSOCIAZIONI E LE AGGREGAZIONI LAICALI
Piazza San Pietro, Sabato 18 maggio 2013

Buonasera a tutti! Sono contento di incontrarvi e che tutti noi ci incontriamo in questa piazza per pregare, per essere uniti e per aspettare il dono dello Spirito. Io conoscevo le vostre domande e ci ho pensato questo, quindi, non è senza conoscenza!Primo, la verità! Le ho qui, scritte.
1 La prima - “come lei ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede; e quale strada ci indica perché ciascuno di noi possavincere la fragilità della fede?”  è una domanda storica, perché riguarda la mia storia, la storia della mia vita!Io ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna,la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo. Ricordo sempre che il Venerdì Santo ci portava, la sera, alla processione delle candele, e alla fine di questa processione arrivava il “Cristo giacente”, e la nonna ci faceva - a noi bambini - inginocchiare e ci diceva: “Guardate, è morto, ma domani risuscita”.Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio da questa donna, da mia nonna! È bellissimo, questo! Il primo annuncio in casa,con la famiglia! E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione della fede. Sono loro che trasmettono la fede. Questo avveniva anche nei primi tempi, perché san Paolo diceva a Timoteo:“Io ricordo la fede della tua mamma e della tua nonna” (cfr 2Tm1,5). Tutte le mamme che sono qui, tutte le nonne, pensate a questo!Trasmettere la fede. Perché Dio ci mette accanto delle persone che aiutano il nostro cammino di fede. Noi non troviamo la fede nell’astratto; no! È sempre una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, che ci trasmette la fede, ci dà il primo annuncio. E così è stata la prima esperienza di fede che ho avuto. Ma c’è un giorno per me molto importante:il 21 settembre del ‘53. Avevo quasi 17 anni.Era il “Giorno dello studente”, per noi il giorno della Primavera - da voi è il giorno dell’Autunno. Prima di andare alla festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, che non conoscevo, perché      avessi sentito questa voglia di confessarmi,ma la verità è che qualcuno m’aspettava. Mi stava aspettando da tempo. Dopo la Confessione ho sentito che qualcosa era cambiato.Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo,Lui ci aspetta, Lui è prima! Noi, in spagnolo,abbiamo una parola che spiega bene questo:“Il Signore sempre ci "primerea”, è primo, cista aspettando! E questa è proprio una grazia grande: trovare uno che ti sta aspettando. Tu vai peccatore, ma Lui ti sta aspettando per perdonarti. Questa è l’esperienza che i Profeti di Israele descrivevano dicendo che il Signore è come il fiore di mandorlo, il primo fiore della Primavera (cfr Ger1,11-12). Prima che vengano gli altri fiori, c’è lui: lui che aspetta.Il Signore ci aspetta. E quando noi Lo cerchiamo, troviamo questa realtà: che è Lui ad aspettarci per accoglierci, per darci il suo amore. E questo ti porta nel cuore uno stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la fede! Con l’incontro con una persona, con l’incontro con il Signore. Qualcuno dirà: “No,io preferisco studiare la fede nei libri!”. È importante studiarla, ma, guarda, questo solo non basta! L’importante è l’incontro con Gesù, l’incontro con Lui, e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà! Anche voi parlavate della fragilità della fede, come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità - è curioso, eh? - è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo.Ma Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c’è problema! Un bambino è fragilissimo  ne ho visti tanti, oggi , ma era con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore; questo ci fa crescere e ci rende forti. Ma se noi pensiamo di poterci arrangiare da soli... Pensiamo che cosa è successo a Pietro: “Signore, io mai ti rinnegherò!”(cfr Mt26,33-35); e poi ha cantato il gallo e l’aveva rinnegato per tre volte! (cfr vv. 69-75). Pensiamo: quando noi abbiamo troppa fiducia in noi stessi, siamo più fragili, più fragili. Sempre con il Signore! E dire con il Signore significa dire con l’Eucaristia, con la Bibbia, con la preghiera... ma anche in famiglia,anche con la mamma, anche con lei, perché lei è quella che ci porta al Signore; è la madre,è quella che sa tutto. Quindi pregare anche la Madonna e chiederle che, come mamma, mi faccia forte. Questo è quello che io penso sulla fragilità, almeno è la mia esperienza.Una cosa che mi rende forte tutti i giorni è pregare il Rosario alla Madonna. Io sento una forza tanto grande perché vado da lei emi sento forte.
2 Passiamo alla seconda domanda. “Penso che tutti noi qui presenti sentiamo forte-mente la sfida, la sfida della evangelizzazione,che è al cuore delle nostre esperienze. Per questo vorrei chiedere a Lei, Padre Santo, di aiutare me e tutti noi a capire come vivere questa sfida nel nostro tempo, qual è per lei la cosa più importante cui tutti noi movimenti,associazioni e comunità dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati.Come possiamo comunicare in modo efficace la fede di oggi?
”Dirò soltanto tre parole.La prima: Gesù. Chi è la cosa più importante?Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va. Gesù è più importante. Adesso, vorrei fare un piccolo rimprovero, ma fraternamente,tra noi. Tutti voi avete gridato nella piazza“Francesco, Francesco, Papa Francesco”. Ma,Gesù dov’era? Io avrei voluto che voi gridaste:“Gesù, Gesù è il Signore, ed è proprio in mezzo a noi!”. Da qui in avanti, niente “Francesco”, ma “Gesù”!La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto e questo è collegato con quello che ho detto prima sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda prima. La mia esperienza è ciò che sperimento davanti al sagrario [Tabernacolo] quando vado a pregare, la sera, davanti al Signore. Al-cune volte mi addormento un pochettino;questo è vero, perché un po’ la stanchezza della giornata ti fa addormentare. Ma Lui mi capisce. E sento tanto conforto quando penso che Lui mi guarda. Noi pensiamo che dobbiamo pregare, parlare, parlare, parlare... No! Lasciati guardare dal Signore. Quando Lui ci guarda, ci dà forza e ci aiuta a testimoniarlo perché la domanda era sulla testimonianza della fede, no? Primo “Gesù”, poi “preghiera”- sentiamo che Dio ci sta tenendo per mano.Sottolineo allora l’importanza di questo: la-sciarsi guidare da Lui. Questo è più importante di qualsiasi calcolo. Siamo veri evangelizzatori lasciandoci guidare da Lui. Pensiamo a Pietro;forse stava facendo la siesta, e ha avuto una visione, la visione della tovaglia con tutti gli animali, e ha sentito che Gesù gli diceva qual-cosa, ma lui non capiva. In quel momento,sono venuti alcuni non ebrei a chiamarlo per andare in una casa, e ha visto come lo Spirito Santo era laggiù. Pietro si è lasciato guidare da Gesù per giungere a quella prima evangelizzazione ai gentili, che non erano ebrei: una cosa inimmaginabile in quel tempo(cfr At10,9-33). E così, tutta la storia, tutta la storia! Lasciarsi guidare da Gesù. È proprio il leader; il nostro leader è Gesù.E terza: la testimonianza. Gesù, preghiera -la preghiera, quel lasciarsi guidare da Lui - e poi testimonianza. Ma vorrei aggiungere qualcosa. Questo lasciarsi guidare da Gesù ti porta alle sorprese di Gesù. Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie,ma questo è secondario.Infine, la testimonianza: la comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi. È come una sinergia fra noi elo Spirito Santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano avanti i Santi,che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto,ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri enon come un fatto sociale. Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo no! La testimonianza!
3 La terza domanda: “Vorrei chiederle, PadreSanto, come io e tutti noi possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri. In che modo l’uomo sofferente è una domanda per la nostra fede? Noi tutti, come movimenti, associazioni laicali, quale contributo concreto ed efficace possiamo dare alla Chiesa e alla società per affrontare questa grave crisi che tocca l’etica pubblica” - questo è importante! -“il modello di sviluppo, la politica, insomma un nuovo modo di essere uomini e donne?”.
Riprendo dalla testimonianza. Prima di tutto,vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. Noi non siamo una ONG, e quandola Chiesa diventa una ONG perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione.E in questo siate furbi, perché il diavolo ci inganna, perché c’è il pericolo dell’efficientismo.Una cosa è predicare Gesù, un’altra cosa è l’efficacia, essere efficienti. No, quello è un altro valore. Il valore della Chiesa, fondamentalmente,è vivere il Vangelo e dare testimonianza della nostra fede. La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione. Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore, ma è un “atteggiamento primario” che deve sparire... questo non va! Si sta pensando ad un’efficacia soltanto mondana. I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo - ma tu hai detto prima che“siamo in un mondo di menzogne” -, questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza difronte ai problemi. Non chiudersi, per favore!Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose... ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: “Andate per tutto il mondo! Andate!Predicate! Date testimonianza del Vangelo!”(cfr Mc16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse.Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore(cfr Ap3,20). Questo è il senso dell’Apocalisse.Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, perle nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio? In questa “uscita” è importante andare all’incontro;questa parola per me è molto importante: l’incontro con gli altri. Perché? Perché la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a pensare ed è parte della crisi agli anziani, che sono la saggezza di un popolo, ai bambini... la cultura dello scarto! Ma noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli,dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. Oggi - questo fa male al cuore dirlo - oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia,forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo ègrave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah... le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli.No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare - ancora non posso, perché per uscire a confessare... di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema - quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni esempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” - “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”.E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” - “Ah, non so,non me ne sono accorto”. Seconda domanda:“E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere sudi noi questo dolore per i poveri. La povertà,per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà  della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione.Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi  andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore. E questo non è facile. Ma c’è un problema che non fa bene ai cristiani: lo spirito del mondo, lo spirito mondano, la mondanità spirituale. Questo ci porta ad una sufficienza, a vivere lo spirito del mondo e non quello di Gesù. La domanda che facevate voi: come si deve vivere per affrontare questa crisi che tocca l’etica pubblica, il modello di sviluppo, la politica. Siccome questa è una crisi dell’uomo, una crisi che distrugge l’uomo,è una crisi che spoglia l’uomo dell’etica. Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica,un’etica di riferimento, tutto è possibile e tuttosi può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera.Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fattogià due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. È la storia che racconta un midrashbiblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la paglia, fare tutto...poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della Torre di Babele. Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altracosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’... tragedia...come si fa? Ma se muoiono di fame le per-sone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità. 
4La quarta domanda: “Davanti a queste situazioni, mi pare che il mio confessare,la mia testimonianza sia timida e impacciata.Vorrei fare di più, ma cosa? E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?”.Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il coraggio e la pazienza. Loro [icristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa; più martiri! Fratelli e sorelle nostri.Soffrono! Loro portano la fede fino al martirio. Ma il martirio non è mai una sconfitta;il martirio è il grado più alto della testimonianza che noi dobbiamo dare. Noi siamo in cammino verso il martirio, dei piccoli martiri: rinunciare a questo, fare questo...ma siamo in cammino. E loro, poveretti,danno la vita, ma la danno - come abbiamo sentito la situazione nel Pakistan - per amore a Gesù, testimoniando Gesù. Un cristiano deve sempre avere questo atteggiamento di mitezza, di umiltà, proprio l’atteggiamento che hanno loro, confidando in Gesù, affidandosi a Gesù. Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno un’origine religiosa; spesso ci sono altre cause, di tipo sociale e politico, e purtroppo le appartenenze religiose vengono utilizzate come benzina sul fuoco. Un cristiano deve saper sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi cerchiamo di far sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti -profondamente uniti! - alla loro situazione,che noi sappiamo che sono cristiani “entrati nella pazienza”. Quando Gesù va incontro alla Passione, entra nella pazienza. Loro sono entrati nella pazienza: farlo sapere a loro, ma anche farlo sapere al Signore. Vi pongo la domanda: pregate per questi fratelli e queste sorelle? Voi pregate per loro? Nella preghiera di tutti i giorni? Io non chiederò ora che alzi la mano colui che prega: no.Non lo chiederò, adesso. Ma pensatelo bene.Nella preghiera di tutti i giorni diciamo a Gesù: “Signore, guarda questo fratello,guarda a questa sorella che soffre tanto,che soffre tanto!”. Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del limite tra la vita e la morte. E anche per noi: questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Per-ché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio.E così, credo di avere detto qualcosa sulle vostre domande; mi scuso se sono stato troppo lungo. Grazie tante! Grazie a voi, e non dimenticate: niente di una Chiesa chiusa, ma una Chiesa che va fuori, che va alle periferie dell’esistenza. Che il Signore ci guidi laggiù. Grazie.

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE SANTA MESSA CON I MOVIMENTI ECCLESIALI 
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro,Domenica 19 maggio 2013

Cari fratelli e sorelle, in questo giorno noi contempliamo e riviviamo nella liturgia l’effusione dello Spirito Santo operata da Cristo risorto sulla sua Chiesa;un evento di grazia che ha riempito il cenacolo di Gerusalemme per espandersi nel mondo intero. 
Ma che cosa avvenne in quel giorno così lontano da noi, eppure così vicino da raggiungere l’intimo del nostro cuore? San Luca ci offre la risposta nel brano degli Atti degli Apostoliche abbiamo ascoltato (2,1-11). L’evangelista ci riporta a Gerusalemme,al piano superiore della casa nella quale sono riuniti gli Apostoli. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è il fragore che improvviso viene dal cielo, «quasi un vento che si abbatte impetuoso» e riempie la casa; poi le «lingue come di fuoco» che si dividevano e si posavano su ciascuno degli Apostoli. Fragore e lingue infuocate sono segni precisi e concreti che toccano gli Apostoli, non solo esteriormente, ma anche nel loro intimo: nella mente e nel cuore. La conseguenza è che «tutti furono colmati di Spirito Santo», il quale sprigiona il suo dinamismo irresistibile, con esiti sorprendenti:«Cominciarono a parlare in altre lingue nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Si apre allora davanti a noi un quadro del tutto inatteso: una grande follasi raduna ed è piena di meraviglia perché ciascuno sente parlare gli Apostoli nella propria lingua. Tutti fanno un’esperienza nuova, mai accaduta prima: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue». E di che cosa parlano? «Delle grandi opere di Dio». Alla luce di questo brano degli Atti, vorrei riflettere su tre parole legate all’azione dello Spirito: novità, armonia, missione.
1 La novità ci fa sempre un po’ di paura,perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire,a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze,i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo,ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità- Dio porta sempre novità -, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva;Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà;gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo,escono con coraggio per annunciare il Van-gelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi:siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.
2 Un secondo pensiero: lo Spirito Santo,apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece,sotto la sua azione, è una grande ricchezza,perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità,che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e,nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi,nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione;e quando siamo noi a voler fare l’unità se-condo i nostri disegni umani, finiamo perportare l’uniformità, l’omologazione. Se in-vece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. È la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi!Quando ci si avventura andando oltre (proa-gon) la dottrina e la Comunità ecclesiale -dice l’Apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera - e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr 2Gvv. 9).Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa? 
3 L’ultimo punto. I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero del Dio vivente e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e di una Chiesa autoreferenziale,chiusa nel suo recinto; ci spinge ad aprire le porte per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare la gioia della fede, dell’incontro con Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima della missione. Quanto avvenuto a Gerusalemme quasi duemila anni fa non è un fatto lontano da noi, è un fatto che ci raggiunge, che si fa esperienza viva in ciascuno di noi. La Pentecoste del cenacolo di Gerusalemme è l’inizio, un inizio che si prolunga. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza di Cristo ri-sorto ai suoi Apostoli, ma Egli vuole chegiunga a tutti. Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, dice: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). È lo Spirito Paràclito, il «Consolatore», che dà il coraggio di percorrere le strade del mondo portando il Vangelo! Lo Spirito Santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo,o se lasciamo che lo Spirito Santo ci apra alla missione. Ricordiamo oggi queste tre parole: novità, armonia, missione. La liturgia di oggi è una grande preghiera che la Chiesa con Gesù eleva al Padre,perché rinnovi l’effusione dello Spirito Santo. Ciascuno di noi, ogni gruppo, ogni movimento, nell’armonia della Chiesa, si rivolga al Padre per chiedere questo dono.Anche oggi, come al suo nascere, insieme con Maria la Chiesa invoca: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen. 

Papa Francesco: no all’idolo del profitto, ridare “cittadinanza sociale” alla solidarietà

Il sistema economico e finanziario deve essere ripensato in chiave solidale, perché la crisi attuale ha bisogno di una “visione più etica” dei rapporti umani. Lo ha affermato Papa Francesco, nell’udienza ai convegnisti in questi giorni a Roma per la riunione organizzata dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. Il Papa ha affrontato il tema della disoccupazione e ribadito che l’impossibilità di “guadagnarsi il pane” è la “peggiore povertà materiale”, perché “priva della dignità del lavoro”. 

Dalla crisi economica non scappa più nessuno e le masse crescenti dei senza lavoro, specie in Occidente, sono una gigantesca spia di questa situazione. Servirebbe ripensare tutto un sistema, eppure a fare argine a questa che si staglia sempre più come un’impellenza sociale c’è la schiera dei servitori del profitto, che alla parola “solidarietà” invece storcono la bocca. Papa Francesco legge con la consueta incisività, che non fa sconti, lo scenario contingente del pianeta, partendo da chi oggi vive il dramma di una estrema precarietà:

“E’ un fenomeno, quello della disoccupazione - della mancanza e della perdita del lavoro - che si sta allargando a macchia d’olio in ampie zone dell’occidente e che sta estendendo in modo preoccupante i confini della povertà. E non c’è peggiore povertà materiale, mi preme sottolinearlo, di quella che non permette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro”.
Le affermazioni del Papa vengono ascoltate dagli esperti che in questo giorni sono a Roma per il Convegno internazionale della Fondazione Centesimus annus pro Pontifice, organismo fondato 20 anni fa da Giovanni Paolo II e dedito alla diffusione del Magistero sociale della Chiesa. Il cuore del Convegno quest’anno riguarda il bisogno di “ripensare la solidarietà”. Papa Francesco spiega in che modo:

“Non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini. A questa parola “solidarietà”, non ben vista dal mondo economico - come se fosse una parola cattiva -, bisogna ridare la sua meritata cittadinanza sociale. La solidarietà non è un atteggiamento in più, non è un’elemosina sociale: è un valore sociale, che ci chiede la sua cittadinanza”.
Nord e Sud del mondo, osserva Papa Francesco, sono ormai accomunati dalla ricorrente constatazione che c’è “qualcosa che non funziona”. Anche in questo frangente, il Pontefice è netto quando ribadisce che “la crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica”:

“Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio decisivo di organizzazione. Ci si è dimenticati e ci si dimentica tuttora che al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato, c’è l’essere umano e c’è qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo, in virtù della sua dignità profonda: offrirgli la possibilità di vivere dignitosamente e di partecipare attivamente al bene comune”.
Ringraziando la Fondazione Centesimus Annus, Papa Francesco indica anche agli specialisti degli insegnamenti sociali della Chiesa che la necessità di una nuova riflessione investe anche i loro studi, almeno in due direzioni:

“Anzitutto coniugare il magistero con l’evoluzione socio-economica, che, essendo costante e rapida, presenta aspetti sempre nuovi; in secondo luogo, ‘ripensare’ vuol dire approfondire, riflettere ulteriormente, per far emergere tutta la fecondità di un valore – la solidarietà, in questo caso – che in profondità attinge dal Vangelo, cioè da Gesù Cristo, e quindi come tale contiene potenzialità inesauribili”
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