giovedì 16 maggio 2013

"Lectio magistralis" tenuta con il cardinale Angelo Scola. Tra storia e attualità, per illuminare le radici di una convivenza umana possibile

Bartolomeo I e il cardinale Scola a Milano.
Bartolomeo I e il cardinale Scola a Milano.

«CONOSCERETE LA VERITÀ E LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI» (GV 8,32)
Angelo Card. Scola
Arcivescovo di Milano
1. Cristo è risorto! Christòs anèsti! Santità Vi ringrazio infinitamente per avere accettato il 
mio invito a venire a Milano in visita alla nostra Diocesi. La Vostra presenza è segno, nello stesso 
tempo, del forte legame che unisce le nostre Chiese e dell’importanza cruciale dell’anniversario che 
stiamo celebrando: il XVII centenario del cosiddetto “Editto” di Milano.
2. Sempre Cristo si rivolge alla libertà dell’uomo
«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Non sembra esagerato affermare 
che queste parole del Signore Gesù intercettano, in modo immediato e sorprendente, l’anelito più 
profondo che qualifica da sempre il cuore dell’uomo. Se si tiene conto del contesto in cui il celebre 
versetto si colloca non sfugge però la sua componente altamente drammatica. Nella storia, tra verità 
e libertà si dà sempre inevitabilmente una tensione. La Verità in senso pieno si offre, e non può non 
farlo, come assoluta, totalizzante; la libertà, sua interlocutrice propria, d’altra parte, non accetta 
coercizioni. Dalla semplice apertura che caratterizza spontaneamente il nostro rapporto con la realtà 
fino ad arrivare all’atto di fede in Dio che si è comunicato in Gesù Cristo, Verità vivente e 
personale, i diversi gradi con cui la verità si offre all’uomo sempre richiedono l’implicazione 
cosciente della libertà. 
L’uomo, in forza della sua dignità, conosciuta sia attraverso la parola di Dio rivelata, sia 
attraverso la stessa ragione, «ha diritto alla libertà religiosa. Tale libertà consiste in questo: che 
tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione sia da parte di singoli, sia di gruppi sociali 
e di qualsivoglia potestà umana e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire 
contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua 
coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale associata»

Dignitatis humanae 2.2
Parlando di “materia religiosa” ci si riferisce alla questione decisiva del senso (significato e 
direzione) dell’umana avventura. Senso che ogni visione sostantiva della vita – religiosa, agnostica 
o atea che si voglia – mette in campo. L’anelito di libertà proprio dell’uomo, costitutivamente 
orientato alla ricerca della verità, esprime il carattere inviolabile della sua coscienza. Essa è un 
cardine di ogni forma di ordine sociale a misura d’uomo.
Il versetto biblico propone un rapporto dinamico con la persona di Gesù che rende pienamente 
liberi. Esso “merita” paradossalmente la celebre accusa che il grande inquisitore, nei fratelli 
Karamazov di Dostoievskij, rivolge a Cristo: «Invece di impadronirti della libertà degli uomini, Tu 
l’hai ancora accresciuta!».
È vero che l’uomo postmoderno spesso mette in questione la possibilità stessa di accedere alla 
verità. Eppure le parole di Gesù, «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», continuano 
indomite a risuonare e sfidano, dopo 2000 anni, ogni preclusione e pregiudizio. La capacità di Gesù 
di interloquire con ogni uomo, in ogni tempo storico, scaturisce dal fatto che Egli sa parlare “al 
cuore” della persona. Infatti porre la domanda circa la verità e circa la libertà e stabilire quale nesso 
debba sussistere tra loro, significa andare al centro dell’io, da cui ogni uomo parte per il percorso 
che lo porti al compimento di sé, cioè alla felicità, in termini cristiani alla santità. 
La celebrazione dei 1700 anni dal cosiddetto Editto di Milano costituisce un’occasione 
privilegiata per rimettere a fuoco tali questioni in se stesse irrinunciabili, connesse con la 
dimensione religiosa dell’umana esistenza. Lo riconosce acutamente il geniale scrittore di origine 
ebraica George Steiner: «Potessi soltanto buttare via la zavorra di una visione religiosa del mondo. 
Potessi soltanto lasciarmi alle spalle quella ‘malattia infantile’». L’ordinanza positivista che 
impone alla mente adulta di chiedere al mondo e all’esistenza soltanto “Come?” e non “Perché?” 
è una censura fra le più oscurantiste. Vorrebbe imbavagliare la voce sotto le altri voci dentro di 
noi. Persino al livello del “Come?” non è affatto certo che le scienze maestose troveranno risposte 
dimostrabili. Per me esiste la pressione assolutamente innegabile di una Presenza aliena alla 
spiegazione»
Come non cogliere, in ultima analisi, in questa Presenza la forza stessa della verità che 
interpella l’umana libertà?
3. L’“Editto” di Milano
Non è questa, ovviamente, la sede per dar conto – sia pur brevemente – delle numerose ed 
accurate indagini che, anche in questi ultimi tempi, hanno valutato la reale portata storica e il 
significato sociale e politico dell’accordo tra Costantino e Licinio. 
Si tratta di valutare se quell’evento possa essere assunto come uno dei tasselli utili a 
comprendere l’autentica natura della libertà religiosa, che la nostra fede custodisce e ci comunica e 
che l’umana ragione riconosce e conferma.
Per questo occorre fare i conti con una obiezione che ha attraversato la storia dell’Occidente 
cristiano e si è riaffacciata con discrezione, ma anche con tenacia, in questi mesi. L’obiezione è la 
seguente: l’“Editto” anziché favorire un’idea di libertà religiosa da far crescere dentro le società, ha 
invece finito col trasformarsi in uno strumento per un legame e un’alleanza tra cristianesimo e 
potere politico. Nei fatti, avrebbe indebolito – se non snaturato – la stessa fede cristiana, e avrebbe 
ingabbiato il funzionamento politico e sociale dentro uno schema sacrale. Avrebbe così 
condizionato in modo negativo lo sviluppo della stessa idea di uomo, delle culture e delle civiltà. Si 
dice: la storia della recezione dell’“Editto” di Milano più che operare una maturazione nel modo di 
pensare il rapporto religione-verità permettendo un equilibrato legame tra le religioni e il potere 
politico, avrebbe prodotto l’imposizione di una forma religiosa sulle altre (dal paganesimo al 
cristianesimo). Avrebbe così inibito, invece che favorire, la possibilità della nascita e dello sviluppo 
del concetto di libertà religiosa. Solamente in un periodo più tardo, e grazie a tutt’altri fattori, questa 
importante dimensione sarebbe riuscita a fare il suo ingresso nella storia delle nostre società.
Una simile lettura, pur contenendo talune giuste forme di critica su vicende storiche che in più 
di un’occasione hanno conosciuto gli eccessi segnalati, non può però essere assunta come la cifra in 
grado di interpretare nella sua globalità la svolta che l’“Editto” di Milano ha avviato dentro la storia 
dell’Europa e non solo.
Importanti tracce di questa originalità sono visibili soprattutto nel modo in cui la teologia 
cristiana fa suoi i due concetti che stanno alla base anche dell’“Editto” di Milano: l’idea di pace e il 
modo di pensare l’universalità della salvezza.
L’idea di pace, anzitutto. Sarà il pensiero di sant’Agostino a fissare in modo definitivo la giusta 
interpretazione che la fede cristiana dà a quella pace cui tende l’“Editto” di Milano. Il cristianesimo 
non si accontenta di una concezione funzionale e meramente politica di questo termine. Sviluppa 
una declinazione escatologica dell’idea di pace: soltanto la tensione al suo compimento definitivo 
ne spiega il significato pieno. Questa concezione della pace rende possibile una interpretazione non 
utopica della storia e dei soggetti che la costruiscono.
L’istanza universalistica. Proprio l’“Editto” di Milano spinge il cristianesimo ad elaborare, su 
basi nuove, il senso della sua presenza nella storia. Favorisce la nascita di uno spazio nuovo, in cui 
l’individuo è chiamato a scoprire le tracce del disegno creatore di Dio all’interno di un mondo e di 
una storia che sono consegnati alla libertà degli uomini. 4
Non si può pertanto rinunciare all’affermazione che l’“Editto” sia stato nei fatti «l’initium 
libertatis dell’uomo moderno». Quest’asserzione permette di evidenziare come l’accordo tra i due 
Augusti determinò non solo la progressiva cessazione delle persecuzioni contro i cristiani ma, 
soprattutto – pur nei limiti oggettivi della mentalità del tempo – l’alba della libertà religiosa.
Certo, fu un inizio mancato per i tanti motivi che gli storici, con vicende alterne a partire dal 
1700 continuano, ancor oggi, a mettere in luce.
4. Alle sorgenti della verità
Possiamo a questo punto svolgere qualche considerazione sul tema della libertà religiosa in 
quanto tale. Essa non comporta l’imposizione della verità, ma piuttosto l’accettare che sia la verità 
stessa, per essere riconosciuta in quanto tale, a chiamare in causa la libertà. 
In quest’ottica il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Dignitatis humanae, si è occupato 
della libertà religiosa non in termini generali come libertà morale nei confronti della verità o di un 
valore – tesi essenziale, per altro esplicitamente richiamata dalla celebre Dichiarazione – ma si è 
volutamente limitato a considerare la libertà giuridica nell’ambito dei rapporti tra le persone e nella 
vita sociale. Così considerato, il diritto alla libertà religiosa è un diritto negativo che stabilisce i 
limiti dello Stato e dei poteri civili, negando loro una competenza diretta sulla scelta in materia 
religiosa. 
La strenua affermazione e difesa della libertà religiosa dice la centralità e l’inviolabilità della 
persona umana, la sua dignità, fondamento dell’organizzazione sociale.
Secondo alcuni le parole della Dignitatis humanae potrebbero ultimamente essere lette come 
una resa da parte della Chiesa cattolica, non più in grado di mantenere i propri privilegi, alle pretese 
della secolarizzazione, siano esse ritenute benefiche o meno.
Interpretare in questo modo l’insegnamento conciliare significa subire un clima culturale che 
non riesce più a pensare la realtà nella sua origine, cioè nell’orizzonte della creazione opera della 
Santa Trinità. Così facendo si ignora la presenza benefica del Dio Uno e Trino, sorgente della vita 
della persona, della comunità e del cosmo. A differenza dei nostri fratelli d’Oriente, noi cristiani di 
Occidente ci siamo spesso rassegnati a non fare più della confessione della nostra fede – basata sul 
credo che ogni domenica professiamo comunitariamente nella celebrazione eucaristica – il cardine 
del nostro pensiero. Veniamo colti da uno strano pudore a comunicare l’esperienza che scaturisce 
dalla nostra fede, nel timore che questo possa minare l’universale solidarietà con tutta la famiglia 
umana, i cui componenti si riferiscono a visioni diverse della realtà.
Eppure l’autentica tradizione ha sempre riconosciuto e affermato «quanto viva sia la 
relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri [la Santa Trinità appunto] e la nostra vita 
quotidiana». 
Il perfetto ed eterno scambio di amore, nello Spirito Santo, tra il Padre e il Figlio da Lui 
generato apre lo spazio, nel mondo creato – cioè nell’umana esperienza – ad una comunicazione 
della verità che chiede di essere accolta dalla libertà. Una libertà che non percepisce il legame di 
dipendenza da Dio in termini di sudditanza, ma in termini di filiazione. L’uomo creato ad immagine 
della Trinità – come maschio e come femmina, differenza questa interna ad ogni persona – si 
compie accogliendo la verità che sempre chiede il dono della libertà, come insegna la costituzione 
pastorale Gaudium et spes (N. 24).
5. Trinità e vita sociale
Il nesso Trinità, verità e libertà, lungi dal restare relegato nell’ambito cristiano illumina anche 
la vita sociale. E rappresenta un decisivo contributo che i cristiani debbono offrire, in quanto 
cittadini, a tutti i soggetti che abitano la società plurale. Pensare, nelle debite distinzioni, la 
dimensione personale e sociale a partire dalla Trinità rende più agevole riconoscere, 
nell’edificazione della società civile, la necessità di un duplice decisivo atteggiamento: «Amore, 
comunanza di tutto fino all’identità dell’essenza e della vita. Ma, nello stesso tempo, perfetta 
custodia di sé da parte della persona».
Dalla contemplazione della Trinità emerge una visione dell’uomo e della società praticabile 
da tutti, che supera in radice qualunque pensiero incapace di riconoscere la differenza come un bene 
e, nello stesso tempo, non rinuncia a quell’unità che è il marchio inconfondibile del vero.
Dal punto di vista dell’organizzazione sociale ne derivano conseguenze decisamente notevoli. 
Infatti, il riconoscimento del bene della differenza permette di combattere l’utopia del collettivismo 
in cui l’uomo si dissolve nello Stato. D’altra parte, non rinunciare mai all’unità come orizzonte 
necessario di ogni realizzazione sociale mette al riparo dall’utopia dell’individualismo, incapace di 
concepire la logica del dono necessaria, invece, al bene personale e sociale. La tradizione della 
Chiesa lo ha ben compreso sostenendo che la giustizia e la benevolenza sono inseparabili nella vita 
sociale. Così scrive il nostro padre Ambrogio: «Nulla s’accorda tanto con l’equità quanto la 
giustizia, la quale, inseparabile compagna della benevolenza, fa sì che amiamo quelli che crediamo 
uguali a noi (…) Per la benevolenza più persone diventano una sola, perché, se più persone sono 
amiche e perciò in esse v’è un solo spirito e un solo modo di pensare, diventano una sola persona».
E insegna l’enciclica Deus caritas est al n. 28: «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche 
nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il 
servizio dell'amore. Chi vuole sbarazzarsi dell'amore si dispone a sbarazzarsi dell'uomo in quanto 
uomo». Il servizio della carità fa emergere ciò che è specificamente umano ed esalta il necessario 
ordine di giustizia. Contrasta inoltre la tentazione che più insidia la piena libertà, ben descritta da 
Eliot: «L’uomo sogna sistemi così perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono».
6. Il futuro di Milano
Queste parole diventano particolarmente urgenti nell’attuale frangente storico in cui 
l’Occidente è segnato da un doloroso travaglio. In esso si innesta la crisi economico-finanziaria che 
non cessa di colpire pesantemente le nostre società e intere nazioni e popolazioni che continuano a 
subire il terribile flagello della fame, della miseria e della violenza.
Si profila in tal modo un compito particolarmente impegnativo per Milano, per la Lombardia e 
per le nostre terre. Sono chiamate a mostrare la capacità di rinnovare il corpo ecclesiale e quella di 
edificare un buon tessuto sociale, rispettoso della libertà di tutti. Consegneranno in tal modo alle 
nuove generazioni, nell’esercizio di una memoria viva, la fede operosa dei padri e, in solidale filìa
con tutti, l’eccellente esperienza civica delle terre ambrosiane.
La celebrazione dell’anniversario dell’“Editto” di Milano cade in un momento storico in cui la 
Chiesa ambrosiana, insieme a tutte le Chiese del nostro paese, è impegnata in un’opera di 
trasformazione delle forme di presenza in una società plurale. Il concreto tessuto ambrosiano di vita 
cristiana è capillarmente radicato nell’esteso territorio della diocesi attraverso l’annuncio esplicito 
della bellezza, della bontà e della verità dell’evento di Gesù Cristo presente nella comunità
ecclesiale. Un annuncio che giunge fino alla proposta di tutte le sue umanissime implicazioni 
antropologiche, sociali e di rapporto con il creato. Lo documentano le reti di accoglienza, di 
solidarietà, di costruzione di risposte ai bisogni fondamentali, di gestione del legame sociale, di 
luoghi di elaborazione e diffusione di arte e di cultura.
«Il campo è il mondo» (Mt 13,38). Le parrocchie, le associazioni, i movimenti sono 
consapevoli che per i cristiani non ci sono bastioni da difendere, ma vie da percorrere per 
documentare che Cristo è l’Evangelo dell’umano. 
7. Un cammino comune
Santità, l’annuncio della Trinità Santa e della salvezza compiuta nel Crocifisso Risorto trova 
le nostre Chiese unite nel cammino comune dell’evangelizzazione e del contributo all’edificazione 
di una civiltà del volto umano.
Infatti, come Vostra Santità ebbe a dire l’11 ottobre 2012 in Piazza San Pietro, «la nostra 
presenza qui – e quindi anche quella di oggi a Milano – significa e segna il nostro impegno a 
testimoniare insieme il messaggio di salvezza e guarigione per i nostri fratelli più piccoli: i poveri, 
gli oppressi, gli emarginati nel mondo creato da Dio». E il Santo Padre Francesco ribadiva 
nell’omelia dell’Eucaristia per l’inizio del ministero petrino: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, 
per custodire gli altri, per custodire il creato!».
A questo compito appartiene intrinsecamente la promozione della libertà religiosa sia in 
Occidente che in Oriente. Sono ben diverse le forme in cui questa libertà viene conculcata. Si va dal 
martirio come avviene nelle terre del Medio Oriente fino ad interventi giuridici che ne impediscono 
la piena attuazione come avviene talora in Europa. Promuoverla a beneficio delle nostre società e 
promuoverla insieme con i fratelli d’Oriente è un dovere che la Chiesa di Milano non intende 
disertare. 
I cristiani di Lombardia stanno progressivamente rendendosi conto della necessità di un senso 
di vita adeguato ai grandi cambiamenti in atto. Un senso della vita che necessita un 
approfondimento della dimensione affettiva e dell’esperienza del bell’amore, l’accettazione cordiale 
della società plurale ed il contributo costitutivo alla vita buona e al buon governo. Fattori che 
implicano un pensiero positivo e deciso della “differenza”. Esso, se rettamente perseguito, non 
spezza l’unità. Ne è garanzia proprio il mistero del Dio Uno e Trino.
Per questo, unendomi alla Sua persona e in considerazione della testimonianza e dell’originale 
riflessione che la Santità Vostra ci ha offerto, credo che possiamo affermare con un cuor solo e con 
l’umiltà propria di chi sa di non esserne degno, che «la verità ci è venuta incontro e ci farà liberi».

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