martedì 21 maggio 2013

IL FARE. CIÒ CHE FA LUI, CIÒ CHE CI SPETTA

«Ciò che abbiamo di più prezioso non sono le nostre opere o le nostre organizzazioni. Ciò che abbiamo di più prezioso è Cristo e il suo Vangelo». Sono parole del Papa riprese ieri dal car­dinale Bagnasco nel suo discorso intro­duttivo ai lavori dell’assemblea genera­le dei vescovi. Dove Bagnasco, partendo dal desiderio della Chiesa italiana di «pul­sare col cuore del Papa», ha posto al cen­tro la questione di come questa Chiesa possa essere vista da tanti che attendo­no «uno squarcio dal cielo»; da tanti che, in un momento storico di difficoltà e paura, domandano ai credenti di dare ragione della speranza che è in loro.
  Come una Chiesa può 'far vedere' la fe­de, si è chiesto il presidente dei vescovi di uno dei Paesi di più grande tradizione cristiana. Quasi incalzato egli stesso, e i suoi, dalla domanda posta giorni fa da Francesco: «Come sono io fedele a Cri­sto? ». (Perché questo Papa che seduce e affascina i lontani, continuamente per i credenti è una provocazione. Come se o­gni mattina da Santa Marta chiedesse: credi tu, ami tu Cristo, davvero?).
  E l’ansia di una Chiesa che 'faccia vede­re' la fede è il filo del discorso di Bagna­sco, che cita Mounier, quando esorta il cristiano perché «metta la vela grande dell’albero di maestra, e salpi verso la stella più lontana senza badare alla not­te che lo avvolge». Ma come si alza que­sta vela, e quale vento la spinge? Il rischio di cadere nel volontarismo, nella tenace applicazione dei propri anche ottimi pro­getti, è così umano. Ognuno di noi ten­denzialmente, nel suo fare, parte da sé, dalla propria logica, e volontà, e potere. Ma ciò che Francesco da due mesi ripe­te, in cento occasioni, è in sostanza una cosa: è invece Cristo che opera, attraver­so
 gli uomini, è Lui che fa. Così che il discorso di Bagnasco potreb­be stare tutto nella espressione di Am­brogio ricordata due mesi fa dal Papa, e ieri dal presidente della Cei: mysterium lunae. Ambrogio paragonò la Chiesa al­la luna perché come la luna la Chiesa non vive di luce propria, ma del riflesso di quella di Cristo. E quindi non di ottime opere e di efficienti apparati e di prova­te competenze: ma solo in quanto dav­vero rispecchi quella luce.L a vera luce che la Chiesa può mostrare a chi cerca in lei una speranza, non è sua; è Cristo riflesso nella faccia di uomini e donne che si lascino trasformare da Lui. E dunque perché la nostra fede possa essere 'vista', dice Bagnasco, «è necessario innanzitutto arrendersi» a Cristo (e non è facile, per quella istintiva tendenza umana a dire, a pensare sempre, prima di tutto: io posso, io voglio, io so). Poi, aggiunge il cardinale, dobbiamo vincere l’individualismo e l’indifferenza che «corrodono il cuore». E questo non ce lo vediamo forse addosso, guardandoci allo specchio, e magari di più se siamo cresciuti cristiani? Ci si può abituare anche a Dio, o almeno alla immagine che di Dio ci facciamo. Ci si può lasciar coprire da una crosta di apparente buonsenso, di garbato cinismo. Si può anche finire col confondere l’esser cristiani con l’onesto civismo di chi si dice perbene. Ma la fede non è cosa che si possa custodire come un oro di casa; se la si trattiene, la si perde. Si rafforza invece, dice Bagnasco, guardando fuori da noi stessi. (Perché una Chiesa che non esce da se stessa, va ripetendo da due mesi Francesco, si ammala). La Chiesa italiana vuole seguire il Papa in quella radicalità evangelica che insieme spaventa e innamora; nella tensione a Cristo, come centro di sé e del proprio fare. Centro profondo, che da fede si fa naturalmente opera, mano tesa – come è da secoli qui da noi – a chi ha bisogno.
  Perché, per dirlo come Paolo VI nella chiusura del Concilio, per conoscere l’uomo bisogna conoscere Dio; ma per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo. La fede, e le opere. Ma cominciando da Cristo. Intaccando quel nodo di incredulità che tutti, ha detto il Papa ieri, abbiamo dentro. Crediamo, sì, ma non rischiamo troppo, non ci affidiamo del tutto: «È il cuore chiuso, il cuore che vuole avere tutto sotto controllo», ha aggiunto. E ha esortato a pregare come il padre argentino che implorò tutta la notte la Madonna per la sua bambina, davanti al grande santuario di Lujan chiuso. E il miracolo accadde. Pregare dunque con coraggio, perfino con pazzia.
  Che poi vuol dire ancora la stessa unica cosa: sapere che è Cristo, il solo che, davvero, fa.
 
 Marina Corradi  

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