lunedì 28 marzo 2016

Papa Francesco via crucis Colosseo 25 marzo 2016


PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Palatino
Venerdì Santo, 25 marzo 2016


O Croce di Cristo!
O Croce di Cristo, simbolo dell’amore divino e dell’ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell’egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell’obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria.
O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.
O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate.
O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.
O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato. 
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei potenti e nei venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli e danno ai loro figli da mangiare il pane insanguinato. 
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque.   
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ladroni e nei corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l’etica si vendono nel misero mercato dell’immoralità.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra “casa comune” che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata.
O Croce di Cristo, immagine dell’amore senza fine e via della Risurrezione, ti vediamo ancora oggi nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l’ammirazione degli altri.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ministri fedeli e umili che illuminano il buio della nostra vita come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi. 
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati - i buoni samaritani - che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell’ingiustizia.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei misericordiosi che trovano nella misericordia l’espressione massima della giustizia e della fede.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell’osservanza filiale dei comandamenti.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei pentiti che sanno, dalla profondità della miseria dei loro peccati, gridare: Signore ricordati di me nel Tuo regno!
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in te e senza pretendere di capire il Tuo silenzio misterioso.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo.
O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto.
In te Santa Croce vediamo Dio che ama fino alla fine, e vediamo l’odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro preferiscono le tenebre alla luce.
O Croce di Cristo, Arca di Noè che salvò l’umanità dal diluvio del peccato, salvaci dal male e dal maligno! O Trono di Davide e sigillo dell’Alleanza divina ed eterna, svegliaci dalle seduzioni della vanità! O grido di amore, suscita in noi il desiderio di Dio, del bene e della luce. 
O Croce di Cristo, insegnaci che l’alba del sole è più forte dell’oscurità della notte. O Croce di Cristo, insegnaci che l’apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota e di fronte alla certezza della Risurrezione e dell’amore di Dio che nulla può sconfiggere od oscurare o indebolire. Amen!

giovedì 17 marzo 2016

NON IN NOME DELL'AMORE, PER FAVORE


In breve
Quando sento un capo politico che dice, dopo aver portato a casa un risultato politico, che "ha vinto l'amore" ( Renzi lo ha detto copiando Obama - suvvia un po' di originalità- a proposito della abborracciata legge sulle "unioni civili") mi preoccupo. Mi preoccuperei ovviamente anche se lo si dicesse a seguito di un risultato contrario, cioè se lo dicesse che so Alfano nel caso avesse prevalso in parlamento la sua posizione. Non voglio un parlamento o un politico che legiferi in nome dell'amore o che cerchi di far credere che lo faccia per quello. Non voglio uno Stato che si immischi nell'amore. Si occupi di contratti, di leggi, di salvaguardare diritti, ma lasci stare l'amore. è un bruttissimo segno quando un politico vuole giustificare la sua politica in nome dell'amore. Sta barando. Sta occultando qualcosa. Somiglia terribilmente a quelli che giustificavano le loro scelte ( sappiamo quali) in nome della purezza o della umanità. No, abbiamo il coraggio di dire in nome di che cosa veramente fanno alcune leggi o non ne fanno altre. In nome dell'amore si regalano fiori, si danno baci, si inumidisce la fronte di un malato, si aspetta per ore o per anni qualcuno. Le leggi si fanno - a volte sbagliando, a volte no- in nome di certi diritti che si considerano prevalenti su altri, in nome di convenienze politiche, in nome di benessere economico etc.
Siamo in un'epoca in cui la retorica politica deve cambiare il nome alle cose per coprire i suoi veri interessi. Chiamano "maternità surrogata" quel che è un orrendo commercio del corpo femminile. Chiamano "terroristi" i combattenti di uno stato nuovo che ha l'appoggio aperto di ottanta stati e quello occulto di molti altri. Hanno chiamato integrazione quel che era la condiscendenza a un fenomeno migratorio (voluto) senza regole e che ora sta esplodendo causando infinite sofferenze. Chiamano identità europea una cosa che non c'è e di cui eliminano ogni forno simboli e radici. E sono solo alcuni esempi evidenti. Domina questa retorica. Che odora di falso, di banale, di pericolo. Solo i babbei se ne contentano. Gli altri, quelli che sono attaccati al senso delle parole perché sono attaccati alla realtà, fanno bene ad allarmarsi.
Dr

mercoledì 16 marzo 2016

Pasqua 2016. Il Volantone di Comunione e Liberazione


«La fragilità dei tempi in cui viviamo è anche questa: credere che non esista possibilità di riscatto, una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva, ti inonda di un amore infinito, paziente, indulgente; ti rimette in carreggiata.
Quando si sperimenta l’abbraccio di misericordia, quando ci si lascia abbracciare, quando ci si commuove: allora la vita può cambiare, perché cerchiamo di rispondere a questo dono immenso e imprevisto, che agli occhi umani può apparire perfino “ingiusto”, per quanto è sovrabbondante».
Papa Francesco


«Quando il centurione vide Gesù; quando la samaritana si sentì guardata e descritta in tutto; e quando l’adultera si sentì dire: “Neanch’io ti condanno, va’ e non sbagliare più”; quando Giovanni e Andrea si videro quel volto fissarli e parlargli: fu un immergersi nella sua presenza.
Immergerci nella presenza di Cristo che ci dà la sua giustizia, guardarlo: questa è la conversione che ci cambia alla radice; vale a dire: che ci lascia perdonati. Basta riguardarlo, basta ripensarlo, e siamo perdonati».
Luigi Giussani

domenica 13 marzo 2016

"Non siamo il nostro peccato "


Papa Francesco Angelus
© PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa Quinta Domenica di Quaresima (cfr Gv8,1-11) è tanto bello, a me piace tanto leggerlo e rileggerlo. Presenta l’episodio della donna adultera, mettendo in luce il tema della misericordia di Dio, che non vuole mai la morte del peccatore, ma che si converta e viva. La scena si svolge nella spianata del tempio. Immaginatela lì, sul sagrato [della Basilica San Pietro]. Gesù sta insegnando alla gente, ed ecco arrivare alcuni scribi e farisei che trascinano davanti a Lui una donna sorpresa in adulterio. Quella donna si trova così in mezzo tra Gesù e la folla (cfr v. 3), tra la misericordia del Figlio di Dio e la violenza, la rabbia dei suoi accusatori. In realtà, essi non sono venuti dal Maestro per chiedere il suo parere – era gente cattiva –, ma per tendergli un tranello. Infatti, se Gesù seguirà la severità della legge, approvando la lapidazione della donna, perderà la sua fama di mitezza e di bontà che tanto affascina il popolo; se invece vorrà essere misericordioso, dovrà andare contro la legge, che Egli stesso ha detto di non voler abolire ma compiere (cfr Mt 5,17). E Gesù è messo in questa situazione.
Questa cattiva intenzione si nasconde sotto la domanda che pongono a Gesù: «Tu che ne dici?» (v. 5). Gesù non risponde, tace e compie un gesto misterioso: «Si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra» (v. 7). Forse faceva disegni, alcuni dicono che scriveva i peccati dei farisei… comunque, scriveva, era come da un’altra parte. In questo modo invita tutti alla calma, a non agire sull’onda dell’impulsività, e a cercare la giustizia di Dio. Ma quelli, cattivi, insistono e aspettano da Lui una risposta. Sembrava che avessero sete di sangue. Allora Gesù alza lo sguardo e dice: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (v. 7). Questa risposta spiazza gli accusatori, disarmandoli tutti nel vero senso della parola: tutti deposero le “armi”, cioè le pietre pronte ad essere scagliate, sia quelle visibili contro la donna, sia quelle nascoste contro Gesù. E mentre il Signore continua a scrivere per terra, a fare disegni, non so…, gli accusatori se ne vanno uno dopo l’altro, a testa bassa, incominciando dai più anziani, più consapevoli di non essere senza peccato. Quanto bene ci fa essere consapevoli che anche noi siamo peccatori! Quando sparliamo degli altri – tutte cose che conosciamo bene -, quanto bene ci farà avere il coraggio di far cadere a terra le pietre che abbiamo per scagliarle contro gli altri, e pensare un po’ ai nostri peccati!
Rimasero lì solo la donna e Gesù: la miseria e la misericordia, una di fronte all’altra. E questo, quante volte accade a noi quando ci fermiamo davanti al confessionale, con vergogna, per far vedere la nostra miseria e chiedere il perdono! «Donna, dove sono?» (v. 10), le dice Gesù. E basta questa constatazione, e il suo sguardo pieno di misericordia, pieno di amore, per far sentire a quella persona – forse per la prima volta – che ha una dignità, che lei non è il suo peccato, lei ha una dignità di persona; che può cambiare vita, può uscire dalle sue schiavitù e camminare in una strada nuova.
Cari fratelli e sorelle, quella donna rappresenta tutti noi, che siamo peccatori, cioè adulteri davanti a Dio, traditori della sua fedeltà. E la sua esperienza rappresenta la volontà di Dio per ognuno di noi: non la nostra condanna, ma la nostra salvezza attraverso Gesù. Lui è la grazia, che salva dal peccato e dalla morte. Lui ha scritto nella terra, nella polvere di cui è fatto ogni essere umano (cfr Gen 2,7), la sentenza di Dio: “Non voglio che tu muoia, ma che tu viva”. Dio non ci inchioda al nostro peccato, non ci identifica con il male che abbiamo commesso. Abbiamo un nome, e Dio non identifica questo nome con il peccato che abbiamo commesso. Ci vuole liberare, e vuole che anche noi lo vogliamo insieme con Lui. Vuole che la nostra libertà si converta dal male al bene, e questo è possibile – è possibile! – con la sua grazia.
La Vergine Maria ci aiuti ad affidarci completamente alla misericordia di Dio, per diventare creature nuove.
[Dopo l’Angelus:]
Cari fratelli e sorelle,
saluto tutti voi, provenienti da Roma, dall’Italia e da diversi Paesi, in particolare i pellegrini di Siviglia, Freiburg (Germania), Innsbruck e dell’Ontario (Canada).
Saluto i volontari della Casa “Mater Dei” di Vittorio Veneto. Saluto i numerosi gruppi parrocchiali, tra cui i fedeli di Boiano, Potenza, Calenzano, Zevio e Agropoli. Come pure i giovani di tante parti d’Italia: non posso nominarli tutti, ma ricordo quelli di Compiobbi e Mozzanica, quelli dell’Azione Cattolica della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, i cresimandi di Scandicci e di Milano-Lambrate.
Ed ora vorrei rinnovare il gesto di donarvi un Vangelo tascabile. Si tratta del Vangelo di Luca, che leggiamo nelle domeniche di questo anno liturgico. Il libretto è stato intitolato così: “Il Vangelo della Misericordia di San Luca”; infatti l’evangelista riporta le parole di Gesù: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (6,36), da cui è tratto il tema di questo Anno Giubilare. Vi sarà distribuito gratuitamente dai volontari del Dispensario pediatrico “Santa Marta” in Vaticano, con alcuni anziani e nonni di Roma. Quanto sono meritevoli i nonni e le nonne che trasmettono la fede ai nipotini! Vi invito a prendere questo Vangelo e a leggerlo, un brano ogni giorno; così la misericordia del Padre abiterà nel vostro cuore e potrete portarla a quanti incontrate. E alla fine, nella pagina 123, ci sono le sette opere di misericordia corporale e le sette opere di misericordia spirituali. Sarebbe bello che le imparaste a memoria, così è più facile farle! Vi invito a prendere questo Vangelo, perché la misericordia del Padre si faccia opere in voi. E voi, volontari, nonni e nonne che distribuirete il Vangelo, pensate alla gente che è in Piazza Pio XII – si vede che non è potuta entrare – che anche loro ricevano questo Vangelo.
Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 9 marzo 2016

“Gesù non ci fa la morale, è venuto per liberarci!”


Luca Marcolivio  |  09/03/16
Papa Esercizi Spirituali 2
Gesù non è un “moralista”, semmai siamo noi che abbiamo “moralizzato il Vangelo”. Lo ha sottolineato padre Ermes Ronchi, durante la quinta meditazione in occasione degli esercizi spirituali della Curia Romana nella Casa del Divin Maestro, ad Ariccia.
L’episodio evangelico del perdono di Maria Maddalena (Lc8,2-3), ha fornito a padre Ronchi lo spunto per parlare dei farisei di ogni tempo, della burocratizzazione della fede e della “sclerocardia”, ovvero la durezza di cuore.
Tutti atteggiamenti più che mai estranei a Gesù Cristo che, invitato nella casa di Simone il fariseo, manda in frantumi tutte le convenzioni e si lascia lavare i piedi da una prostituta. Contestualmente la peccatrice viene “perdonata perché ha molto amato”.
“Nella cena a casa di Simone il fariseo – ha commentato il predicatore – va in scena un conflitto sorprendente: il pio e la prostituta; il potente e la senza nome, la legge e il profumo, la regola e l’amore a confronto”.
Mentre lo sguardo di Gesù è “non giudicante” e “misericordioso”, Simone ha fatto del peccato “l’asse portante della religione”, compiendo così “l’errore dei moralisti di ogni epoca, dei farisei di sempre”.
Gesù, al contrario, non mette al centro la morale ma “la persona con lacrime e sorrisi, la sua carne dolente o esultante, e non la legge”, al punto che, ha osservato Ronchi, nel Vangelo è più frequente la parola “povero” che non “peccatore”.
“Adamo è povero prima che peccatore – ha affermato Ronchi -. Siamo fragili e custodi di lacrime, prigionieri di mille limiti, prima che colpevoli”.
Nei secoli, i cristiani hanno “moralizzato il Vangelo”, eppure “in principio non era così”, ha aggiunto il Servo di Maria, citando il suo confratello padre Vannucci, che ricordava: “il Vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione”, che “ci porta fuori dal paradigma del peccato per condurci dentro il paradigma della pienezza, della vita in pienezza”.
Se il fariseo vede in Maria Maddalena soltanto il suo passato di “trasgressioni”, Gesù, pur non fingendo di non sapere chi è, preferisce vedere in lei “il molto amore di oggi e di domani”, quindi la accoglie “con le sue ferite e soprattutto con la sua scintilla di luce, che Lui fa sgorgare”.
Con il suo gesto di perdono, Gesù ha rovesciato la prospettiva di quel momento conviviale: non è più il padrone di casa al centro dell’attenzione, il fariseo, ricco, potente e rispettato ma una donna fragile, ferita, che ha commesso molti errori.
Gesù dà, così, “spazio agli ultimi”, sposta “il punto di vista dal peccato della donna alle mancanze di Simone, lo destruttura, lo mette in difficoltà come farà con gli accusatori dell’adultera nel tempio”. Egli non ragiona mai “per categorie o stereotipi” ed è “sovranamente indifferente al passato di una persona, al sesso di una persona”. Anche lo Spirito Santo, ha aggiunto padre Ronchi, distribuisce i suoi doni “senza guardare al sesso delle persone”.
È significativo, che Gesù, commosso dal gesto della “peccatrice sconosciuta e innamorata”, a sua volta, “laverà i piedi dei suoi discepoli e li asciugherà”. Infatti, “quando ama, l’uomo compie gesti divini, Dio quando ama compie gesti umani, e lo fa con cuore di carne”, ha aggiunto il predicatore.
La meditazione si chiude con un appello ai confessori, perché nei penitenti non vedano la “norma applicata o infranta” ma “le persone, con i loro bisogni e le loro lacrime”. Se, al contrario, si classificano le persone all’interno di una “categoria”, si finisce per alimentare la “durezza del cuore, la sclerocardia, la malattia che Gesù più temeva” e diventare “burocrati delle regole e analfabeti del cuore”, non incontrando “la vita, ma solo il nostro pregiudizio”.
La sesta meditazione, tenutasi stamattina, ha avuto invece ad oggetto due temi di grande attualità per la Chiesa e non solo: la trasparenza dei beni e l’equa distribuzione del cibo.
“Ci sono persone così affamate che, per loro, Dio non può avere che la forma di un pane”, ha esordito padre Ronchi. Vi sono quindi milioni di persone che non chiedono una “definizione religiosa” ma soltanto da mangiare. La risposta della Chiesa a questo dramma sociale è essenzialmente nel Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14,13-21).
Alla lamentela dei discepoli sulla scarsità di cibo, Gesù, in modo “molto pratico”, domanda loro di “fare il conto” delle pagnotte e dei pesci presenti. Ha dunque proposto loro una operazione di “verifica” e di “trasparenza”, che chiama in causa anche la Chiesa di oggi. “Con la trasparenza si è veri. E quando sei vero sei anche libero”, ha commentato Ronchi. Gesù, ha osservato il Servo di Maria, “non si è fatto comprare da nessuno” e “non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero”.
Nessun cristiano deve farsi prendere dalla smania di “trattenere” o “gestire” i suoi beni ma, al contrario, sposare la “logica di Gesù”, che è “quella del dono”. Gesù “non bada alla quantità del pane”, vuole, piuttosto, che sia condiviso. “Secondo una misteriosa regola divina: quando il mio pane diventa il nostro pane, allora anche il poco diventa sufficiente”, ha spiegato Ronchi. Al contrario, guardacaso, “la fame comincia quando io tengo stretto il mio pane per me, quando l’Occidente sazio tiene stretto il suo pane, i suoi pesci, i suoi beni per sé”.
Sfamare tutta la terra è quindi possibile, ha proseguito il predicatore, poiché il pane “non occorre moltiplicarlo, basta distribuirlo, a cominciare da noi”, secondo la logica del “date e vi sarà dato”: solo così possiamo “battere il Golia dell’egoismo, dello spreco del cibo e dell’accumulo di pochi”.
“Il miracolo sono i cinque pani e i due pesci che la Chiesa nascente mette nelle mani di Cristo fidandosi, senza calcolare e senza trattenere qualcosa per sé e per la propria cena”, che si presenta come quella “goccia nel mare” che “può dare senso e può dare speranza alla vita”, ha quindi concluso padre Ronchi.

lunedì 7 marzo 2016

Fiat voluntas Tua, sicut in coelo et in terra


"Fiat voluntas Tua, sicut in coelo et in terra"

Cristo non ci fa chiedere che sia fatta la volontà del Padre...potremmo opporci?
Sarebbe  possibile che la Sua volontà non sia fatta? Occorrerebbe la nostra condiscendenza?

Ci fa chiedere, piuttosto, che quella Volontà misteriosa, terribile e provvida, lasciamo che accada con la stessa docilità con cui essa viene affermata "nei cieli".
Insomma gli chiediamo di saperci "arrendere" a Lui. In una consegna senza condizioni.

Una ferita che non si rimarginerà se non in cielo.
Quando sapremo aderirvi con tutta la ragione e di tutto cuore.

Ora mi basti il coraggio di pronunciarla.