domenica 26 giugno 2016

Brexit: un gesto di grande libertà e di democrazia che riapre finalmente il dibattito sull’identità e sulla vocazione dell’Europa


 E’ un’Europa da rifondare: parla Benedetto XVI, La Nuova Bussola Quotidiana, 25 giugno 2016
Poi si tratta di andare a vedere che prezzo cercheranno di farci pagare le élites che erano sin qui riuscite con successo a costruirsi la loro Europa pretendendo che fosse anche la nostra. La prima cosa da dire però è che l’esito del referendum britannico pro o contro l’Unione Europea è un  atto di grande libertà; e apre a grandi speranze. L’altro ieri in Gran Bretagna gli elettori hanno votato innanzitutto contro un ordine costituito politico e mediatico che voleva votassero diversamente; e che aveva per questo fatto letteralmente di tutto.
Parlando alla Rai in un’ascoltatissima trasmissione del mattino l’ex-presidente della  Repubblica Giorgio Napolitano si è permesso ieri di definire “incauto” il premier britannico Cameron per aver sottoposto a referendum popolare la questione della permanenza o meno del suo Paese nell’Ue.  Da questioni di questa importanza, secondo Napolitano, è meglio che il popolo venga lasciato fuori. Dando prova di una notevole mancanza di comune senso del pudore, il suo pupillo Mario Monti ha detto anche di peggio. Capo di governo imposto al Parlamento, e nominato allo scopo senatore a vita pochi giorni prima della sua entrata in carica, Monti ha affermato che indicendo il referendum Cameron avrebbe nientemeno che “abusato della democrazia”.  Quando insomma  un popolo vota di testa sua, e non come avrebbero voluto loro, alle élites abituate a considerare “cosa nostra” le istituzioni europee casca la maschera. Da due giorni a questa parte i Napoletano e i Monti di ogni parte d’Europa sono fuori di sé al punto da non riuscire più a nascondere l’autoritarismo recondito, post-comunista o massonico che sia, che caratterizza non da oggi la loro visione politica.
Anche se a mio avviso la Brexit è uno shock salutare per l’Unione Europea [ cfr. in questo stesso sito “Brexit, una prospettiva salutare”, 12 maggio 2016], senza dubbio non è di certo un fatto di ordinaria amministrazione. Come si diceva, le élites che non la volevano cercheranno di far pagare al mondo il fallimento del loro progetto facendone il capro espiatorio su cui scaricare emergenze che con essa non hanno nulla a che vedere. E’ il caso ad esempio dei titoli dei grandi gruppi bancari italiani sulle cui sorti non si vede che cosa possa pesare l’esodo di Londra dall’Unione. Si deve quindi dare per scontato che ci attendono giorni di turbolenza sui mercati finanziari internazionali; e chi è in  grado di farlo ha il preciso dovere di intervenire per stabilizzarli. Frattanto è già scattata la “macchina” della mistificazione del significato profondo della Brexit. In ultima analisi l’episodio è un segno clamoroso del fallimento della pretesa di costruire l’Europa politica basandola solo sugli interessi e prescindendo testardamente dalla sua storia e dai  valori che la caratterizzano. L’Europa si può salvare soltanto se cambia risolutamente strada riscoprendo il meglio di se stessa. Viceversa già si sta tentando di far passare l’idea che dalla crisi evidenziata dalla Brexit si possa uscire non cambiando strada bensì andando avanti a testa bassa come se niente fosse.
Per evidenti motivi le chiavi della soluzione di questa crisi stanno in gran parte  nelle mani della gente di fede. Purché però la gente di fede sia a sua volta fedele a ciò che ha incontrato. E’ il caso in tale prospettiva di riandare a un documento oggi perciò quanto mai attuale: il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al congresso della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea riunita a Roma il 24 marzo 2007 alla vigilia del 50° anniversario dei trattati istitutivi delle prime organizzazioni europee. Dopo aver messo in luce gli aspetti positivi del processo allora avviatosi Benedetto XVI osservava però che l’Europa  sta “di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire. (…) Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari “capitoli” del progetto europeo siano stati “scritti” senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini”.
“Da tutto ciò emerge chiaramente”, continuava Benetto XI, “che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità  costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? (….) Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno (…). Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati”.
Sembra poi più che mai rivolto a ciascuno di noi oggi  l’invito e l’incoraggiamento con cui il discorso si concludeva: “so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Mt 5,13)”.
Sono urgenze – osserviamo infine — già al centro delle riflessioni che  l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva affidato  nel 1992 a un libro Svolta per l’Europa: Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti (Edizioni Paoline, Milano, 1992) oggi tutto da riscoprire.

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 ne dell’Europa

 E’ un’Europa da rifondare: parla Benedetto XVI, La Nuova Bussola Quotidiana, 25 giugno 2016
Poi si tratta di andare a vedere che prezzo cercheranno di farci pagare le élites che erano sin qui riuscite con successo a costruirsi la loro Europa pretendendo che fosse anche la nostra. La prima cosa da dire però è che l’esito del referendum britannico pro o contro l’Unione Europea è un  atto di grande libertà; e apre a grandi speranze. L’altro ieri in Gran Bretagna gli elettori hanno votato innanzitutto contro un ordine costituito politico e mediatico che voleva votassero diversamente; e che aveva per questo fatto letteralmente di tutto.
Parlando alla Rai in un’ascoltatissima trasmissione del mattino l’ex-presidente della  Repubblica Giorgio Napolitano si è permesso ieri di definire “incauto” il premier britannico Cameron per aver sottoposto a referendum popolare la questione della permanenza o meno del suo Paese nell’Ue.  Da questioni di questa importanza, secondo Napolitano, è meglio che il popolo venga lasciato fuori. Dando prova di una notevole mancanza di comune senso del pudore, il suo pupillo Mario Monti ha detto anche di peggio. Capo di governo imposto al Parlamento, e nominato allo scopo senatore a vita pochi giorni prima della sua entrata in carica, Monti ha affermato che indicendo il referendum Cameron avrebbe nientemeno che “abusato della democrazia”.  Quando insomma  un popolo vota di testa sua, e non come avrebbero voluto loro, alle élites abituate a considerare “cosa nostra” le istituzioni europee casca la maschera. Da due giorni a questa parte i Napoletano e i Monti di ogni parte d’Europa sono fuori di sé al punto da non riuscire più a nascondere l’autoritarismo recondito, post-comunista o massonico che sia, che caratterizza non da oggi la loro visione politica.
Anche se a mio avviso la Brexit è uno shock salutare per l’Unione Europea [ cfr. in questo stesso sito “Brexit, una prospettiva salutare”, 12 maggio 2016], senza dubbio non è di certo un fatto di ordinaria amministrazione. Come si diceva, le élites che non la volevano cercheranno di far pagare al mondo il fallimento del loro progetto facendone il capro espiatorio su cui scaricare emergenze che con essa non hanno nulla a che vedere. E’ il caso ad esempio dei titoli dei grandi gruppi bancari italiani sulle cui sorti non si vede che cosa possa pesare l’esodo di Londra dall’Unione. Si deve quindi dare per scontato che ci attendono giorni di turbolenza sui mercati finanziari internazionali; e chi è in  grado di farlo ha il preciso dovere di intervenire per stabilizzarli. Frattanto è già scattata la “macchina” della mistificazione del significato profondo della Brexit. In ultima analisi l’episodio è un segno clamoroso del fallimento della pretesa di costruire l’Europa politica basandola solo sugli interessi e prescindendo testardamente dalla sua storia e dai  valori che la caratterizzano. L’Europa si può salvare soltanto se cambia risolutamente strada riscoprendo il meglio di se stessa. Viceversa già si sta tentando di far passare l’idea che dalla crisi evidenziata dalla Brexit si possa uscire non cambiando strada bensì andando avanti a testa bassa come se niente fosse.
Per evidenti motivi le chiavi della soluzione di questa crisi stanno in gran parte  nelle mani della gente di fede. Purché però la gente di fede sia a sua volta fedele a ciò che ha incontrato. E’ il caso in tale prospettiva di riandare a un documento oggi perciò quanto mai attuale: il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al congresso della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea riunita a Roma il 24 marzo 2007 alla vigilia del 50° anniversario dei trattati istitutivi delle prime organizzazioni europee. Dopo aver messo in luce gli aspetti positivi del processo allora avviatosi Benedetto XVI osservava però che l’Europa  sta “di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire. (…) Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari “capitoli” del progetto europeo siano stati “scritti” senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini”.
“Da tutto ciò emerge chiaramente”, continuava Benetto XI, “che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità  costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? (….) Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno (…). Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati”.
Sembra poi più che mai rivolto a ciascuno di noi oggi  l’invito e l’incoraggiamento con cui il discorso si concludeva: “so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Mt 5,13)”.
Sono urgenze – osserviamo infine — già al centro delle riflessioni che  l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva affidato  nel 1992 a un libro Svolta per l’Europa: Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti (Edizioni Paoline, Milano, 1992) oggi tutto da riscoprire.

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martedì 14 giugno 2016

I muri che salvano

porta latina
di Costanza Miriano
Da fuori forse posso anche dare ogni tanto l’impressione di essere una persona solida e realizzata, soprattutto a chi non mi conosce da vicino (gli altri lo sanno che sono pazza come una cavalla). Io, che mi conosco bene, sono certa guardandomi indietro di essere stata miracolosamente e misericordiosamente salvata più volte dal combinare non so quali disastri esistenziali, salvata un passo prima e a volte a dire il vero anche qualche centimetro dopo. Il fatto è che il nostro cuore è un groviglio incomprensibile anche a noi stessi. E questo, ne sono certa, vale per tutti. Non esistono persone rispettabili, esistono persone che fanno finta meglio delle altre. Sono stata salvata perché mi sono fidata delle cose che alcune persone mi avevano annunciato.
Ognuno trova il suo codice per decodificare il mistero che è il suo cuore. Chi crede nella Buona Notizia crede che è Gesù Cristo che svela l’uomo all’uomo. Crede che è lui che cerchiamo quando vaghiamo qua e là indecisi se ascoltare noi stessi o un’altra fonte di informazione sulla realtà – che è poi il primo dei comandamenti. Ascolta, Israele. Ascolta, non ti fidare solo del tuo cuore. Fidati di questa Buona Notizia che ti è arrivata (se non altro perché è la più bella di tutte e vale la pena di scommetterci su). Chi prova a fidarsi decide di appoggiarsi al deposito della fede tramandata nei millenni e confermata dalla vita dei santi, decide di legarsi a una compagnia di fratelli, decide di essere figlio di una madre, la Chiesa, maestra di umanità.
La Chiesa, nonostante la miseria dei suoi figli – tutti, laici e chierici – ha un dono speciale, il magistero, che è infallibile per dono dello Spirito Santo. Da brava mamma la Chiesa rompe le scatole ai suoi figli, ma lo fa perché li conosce più di chiunque altro, e li ama più di quanto li ami il mondo (che permette tutto ma non perdona nulla, mentre la Chiesa permette poco, ma perdona tantissimo, tutto). I muri che costruisce una mamma sono muri per proteggere i suoi figli. Prima di tutto i muri salvano noi da noi stessi, e dall’azione positiva – in senso etimologico – che il nemico continuamente tenta con noi. Il nemico, dunque, per la Chiesa non è mai il fratello. E’ sempre nel nostro cuore. Siamo noi. Siamo noi che abbiamo un cuore inaffidabile, un cuore che può diventare avido infedele ambizioso maligno, se non mendichiamo continuamente lo Spirito Santo che, lui solo, può renderci capaci di bene. Io ho bisogno dei muri. Come ho detto, mi accorgo di quante volte mi abbiano salvata. Spero che continuino a proteggermi, perché io senza muri non sono niente. Non so neanche chi sono, io, senza i comandamenti e la maternità della Chiesa e la paternità di Dio. I muri che mi hanno salvata sono stati quelli sui principi, quelli che non mi hanno lasciata sola nel giudizio, quelli che mi hanno permesso di trovare qualcuno a cui obbedire, quando capivo che non potevo fidarmi solo di me stessa.
Per questo quando sento parlare di abbattere i muri – adesso se non fai almeno un tweet contro i muri non firmi più un contratto a Hollywood, per non parlare di quanto giovi parlare di ponti alla candidatura per le presidenziali Usa – io vorrei tanto capire. Il mio nonno materno costruiva muri. La sua impresa costruì anche la casa dove sono cresciuta. Ricordo che per tutta l’infanzia nel fine settimana si andavano a guardare i lavori, che noia per me che non capivo come da quella collina piena di sassi e ulivi si sarebbe potuta ricavare una cameretta tutta mia. I lavori sembravano non finire mai, ma quei muri sono diventati il posto che ci ha custoditi, noi fratelli, finché fossimo in grado di abitare altre case. E sono il posto in cui torniamo quando vogliamo stare insieme. Se i muri hanno delle porte sono una cosa non solo buona, ma necessaria. Per questo voglio capire cosa intende chi parla. Forse è più chiara, la Clinton, quando dice direttamente che “codici culturali profondamente radicati, credenze religiose, e condizionamenti strutturali dovranno essere cambiati”, anche con la forza. Per quanto mi riguarda mi possono anche bombardare – con le bombe o con i modelli culturali – ma io le mie “credenze religiose” me le tengo strette perché sono quello che fa di me quella che sono. Senza, sono una canna vuota.
Anche il Papa parla spesso di abbattere muri, ma in ben altro senso. L’Amoris Laetitia non ha toccato nessuno dei paletti che sostengono questi muri. Ne sono certa. Ma sono altrettanto certa che ci sono alcuno passaggi volutamente lasciati aperti perché, affidando ai sacerdoti il compito di valutare le situazioni una per una – pur rimanendo fermi i punti che abbiamo ricevuto dal Vangelo e dalla tradizione – Francesco ha voluto che per ognuno la speranza della conversione fosse aperta fino all’ultimo giorno della sua vita. Questo è un Papa che non parla solo, e neppure principalmente, all’Europa. Parla ai più lontani dei lontani, quelli che “manco le basi” – come si direbbe a Roma – e allora capisco benissimo il senso di spalancare, aprire, nel desiderio di recuperare tutti per portarli dentro questi muri che sono lì dove erano sempre stati. Come ha detto un amico sacerdote, la Chiesa è una madre molto, molto prolifica, che prende in braccio ora uno ora l’altro dei suoi figli. E adesso in braccio non ci sono i figli un po’ più grandicelli, quelli che magari sembrano stare in braccio da soli. I famosi figli maggiori. Diciamo la verità, oltre a non stare in braccio, ultimamente stanno prendendo qualche bella sculacciata; io non sono contraria per principio a qualche energica correzione. L’importante però è che anche i figli maggiori possano sentire ogni tanto la paternità vicina e affettuosa, una carezza. Perché anche loro, anche se “stanno sempre col Padre”, come dice la parabola, fanno tanta fatica. Perché il cuore dell’uomo è lo stesso per tutti. Per i vicini e per i lontani. Il cuore dell’uomo è sempre bisognoso di guarigione. È sempre un cuore da cui “escono” come dice Gesù cattiverie in continuazione, e anche i figli maggiori non devono mai smettere di medicare lo Spirito per essere capaci di un qualche bene. Anche chi sembra rimanere nella sua vita rispettabile fa fatica, ha dubbi, ha bisogno di un abbraccio gratuito, di un regalo ogni tanto. Ha bisogno di conferme.
L’altro giorno con un’amica abbiamo passato in rassegna le vite di un sacco di gente (due amiche con un po’ di tempo a disposizione sono pericolose). Una Spoon River. Vite devastate, scombinate, assurde a vederle da fuori. Quasi tutti sono stati uomini e donne che hanno deciso di ascoltare il cuore, e che si ritrovano in situazioni più dolorose di quelle dalle quali cercavano di scappare. Per loro, certo, l’unica parola possibile è un abbraccio misericordioso. Silenzioso e senza prediche. Sapendo che la “punizione” sarà la loro stessa vita devastata. Ma questo abbraccio sinceramente io credo che già ci sia, nella Chiesa. Io non ho mai ricevuto parole dure o di condanna, neanche quando le avrei meritate. Ho sempre ricevuto comprensione e perdono. Quello che secondo me è mancato nelle vite dei nostri amici devastati è stata la certezza che i muri sono una custodia per te, qualcosa che ti salva da te stesso, qualcosa che è per la tua vera e profonda felicità, qualcosa che è per il tuo vero bene. Chi ti mette un limite, un divieto, chi ti dice un no, è chi non si rassegna a vederti sprecare tutto. Chi ti dice che il sesso è dentro al matrimonio, che l’apertura alla vita ti conviene, che la famiglia è fatta di un uomo e di una donna, è chi veramente ti vuole bene, ti vuole custodire salvare e far fiorire. L’inganno è sempre questo, dal giardino dell’Eden in poi: farci credere che Dio ci vuole fregare. Ma credo che nell’attuale relativismo questo inganno sia endemico, e sia anche a livello dottrinale in certe parti della Chiesa.
Oggi quello che manca all’Occidente – diversamente che alle parti più lontane e non evangelizzate del mondo – non è l’annuncio della misericordia (una parola a cui i più, intorno a me, mi sembrano abbastanza indifferenti), e neanche il senso del peccato – quello è scritto dentro di noi – ma la certezza che i comandamenti, i muri, le regole, i limiti, sono per la nostra felicità vera e piena e profonda, e che il peccato invece rende infelici. Manca un’alfabetizzazione umana, un’educazione affettiva, manca l’annuncio fondamentale su chi è l’uomo, e Chi è l’unico che può guarire il suo cuore malato, folle, disorientato.

venerdì 10 giugno 2016

Europa, le radici cristiane e noi


L’editoriale di TRACCE di giugno e l’articolo dell’amico prof. Costantino Esposito, contenuto nello stesso numero, riprendono il concetto di Europa alla luce anche del discorso di Papa Francesco, che ha tenuto ai primi di maggio scorso, alla ricezione del premio Carlo Magno assegnatogli dalle autorità europee. Questi articoli mi offrono la possibilità di fare qualche riflessione con tutta l’umiltà ma anche con tutta la sincerità possibile.
E’ certo che l’Europa soffre di una crisi notevole che ha la sua origine sia nella sua modalità costitutiva (è stato prediletto l’aspetto economico-monetario a detrimento di quello politico in generale, e della politica fiscale in particolare) sia nella sua “anima”, ma che oggi è vieppiù provocata dalle ondate migratorie, in verità forse solo all’inizio, che sono portatrici sia di drammi di intere popolazioni, bisognose di tutto, sia di nuova cultura, radicata prevalentemente nella religione islamica. Tutto ciò richiama la prepotente domanda circa la nostra identità, che deve essere continuamente richiamata e riaffermata nella contingenza della vita, negli incontri che siamo destinati ad avere con i “nuovi”.
Ronzano le seguenti domande: l’Europa è destinata a perire sotto le martellate della perenne crisi economica? E’ destinata a sciogliersi sotto i colpi delle migrazioni che chiamano in causa la capacità di accoglienza di ciascuno Stato in solidarietà con tutti gli altri? In verità, alla base della capacità di rispondere a queste sfide vi è la tenuta della nostra “anima” europea. A tal proposito, nella lettura degli articoli, un particolare ha attirato la mia attenzione: la scomparsa della parola “cristiane” dalla frase “radici cristiane dell’Europa”, che viene così sostituita dalla più breve “radici dell’Europa”. Questo delle “radici cristiane” è un tema che si è posto più di una decina di anni fa, ai tempi del loro richiamo nella Costituzione Europea, e che ora torna alla ribalta per altri motivi. Viene poi fortemente sottolineata la necessità di un forte “dialogo” con il “diverso”, come condizione per superare questa crisi. Dunque, l’imputato principale è la parola “crisi”, e crisi della cristianità, una cristianità che ha innervato per secoli la civiltà europea, cioè quella occidentale.

Costantino Esposito, nel suo articolo, dice che in Europa si rileva un venir meno dei valori della tradizione cristiana, che è diventata minoritaria, e ciò “non tanto perché il relativismo e la secolarizzazione abbiano intaccato i suoi antichi fondamenti (questo piuttosto è una conseguenza, non l’origine della crisi dell’Europa) ma perché la grande storia cristiana può continuare solo se succede di nuovo oggi, nel presente”. Questo concetto di Costantino ha certamente del vero, ma sono anche convinto che non è tutto, e per questo è opinabile. Infatti, nella storia della cultura europea, fino ad un certo punto, fede e ragionehanno convissuto in feconda sintonia, in armoniosa distinzione dei ruoli. In seguito, la ragione si è contrapposta alla fede in un potente impeto di presunta e autoreferenziale superiorità nell’indagare la realtà. La ragione ha preteso di decifrare la realtà esclusivamente per mezzo del metodo scientifico, facendo fuori il suo Mistero, e dunque riducendola. Al di fuori di questa visione “scientifica”, secondo questo modo di pensare, vi è solo una volgare superstizione. Ma, a tal proposito, ci aiuta il prologo di Giovanni, nel Vangelo, che ci ricorda: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”; oppure, come ci dice il grande drammaturgo T.S. Eliot, nei Cori da “La Rocca”: “Essi (gli uomini) cercano sempre d’evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”. Quindi, è connaturata alla natura dell’uomo questa sua tendenza verso le “tenebre”, che oggi prendono le sembianze di quello che chiamiamo “ideologia”, una tendenza verso il sentirsi e voler essere Dio, come può chiaramente vedersi in questa letale ideologia del gender, oggi così diffusa, in cui l’uomo crede di poter definire, o “creare”, a suo piacimento, la sua natura, come appunto fosse Dio. L’ideologia tende ad eliminare la realtà, il vero, a sovrapporre un suo disegno esplicativo e definitorio, e per questo essa è intrinsecamente violenta. E allora, il relativismo e la secolarizzazione, come forme aggressive ideologiche che vogliono la “morte di Dio”, certo che possono aver intaccato gli antichi fondamenti della tradizione cristiana, anzi, l’hanno combattuta e continuano a combatterla. Il relativismo e la secolarizzazione, dunque, non sono solo una conseguenza della crisi dell’Europa, come afferma Costantino Esposito, poiché l’uomo ama farsi contagiare, anche dal “Male”. E’ sempre T.S. Eliot che dai Cori da “La Rocca” riprende: “Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli”.

C’è un passo del discorso di Papa Francesco che ha suscitato una qualche perplessità: “Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”. Ora, che l’Europa nella sua storia ha coinvolto popoli e culture diverse è indubbio. Ma è altrettanto certo che nell’arco della sua storia ultra millenaria il denominatore comune dell’Europa è stata l’eredità greca-cristiana-latina, dove per latina qui si intende la cultura relativa a popolazioni germaniche, anglosassoni ed in parte slave. L’Europa, infatti, prim’ancora che una entità geografica è innanzitutto una dimensione culturale ben definita, nella quale il cristianesimo ha giocato un ruolo essenziale e fondamentale. Per questo attribuire all’Europa l’aggettivo “multiculturale” appare azzardato. Tanto più se a questo aggettivo oggi gli si attribuisce il significato fallimentare e negativo che richiama il meticciato culturale, l’insieme di culture che, pur convivendo su un territorio, fianco a fianco, rimangono estranee l’una all’altra, fino a creare ghetti, come le Banlieue parigine o quelle di Bruxelles, entro le quali si sono generate le frange estremiste islamiche autrici delle recenti stragi. E’, dunque, da escludere che Papa Francesco abbia inteso il termine “multiculturale” in questo modo.

Proprio Benedetto XVI, nel suo dialogo con Marcello Pera intitolato “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam” dice: “La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie”. E’ questo annacquamento, questa rinuncia a ciò che ci ha da sempre alimentato, alle nostre radici, anche da parte di noi cristiani, succubi dello spirito dei tempi, che ha fatto invecchiare l’Europa e che la rende così fragile e vulnerabile.
A tal proposito, una delle pagine più nere della storia europea è quella legata alla seconda guerra mondiale. Una crisi fortissima che certamente ha avuto varie cause riconducibili, tra l’altro, a quelle economiche, a frustrazioni politiche a lungo covate, ecc. D’altra parte, possiamo anche dire che quelle cause hanno avuto un denominatore comune, una base, legata alla ideologia che ha preso il sopravvento sulla fede. La potenza della ideologia prende il sopravvento sull’anima cristiana. E fu così la catastrofe, con milioni di morti. Non è un caso che, da quelle terribili macerie, sarà proprio il ritorno a quell’anima, a quello spirito cristiano incarnato dai padri fondatori dell’Europa, SchumanDe Gasperi e Adenauer, che consentirà all’Europa di riprendersi, rinascere e prosperare. Non dimentichiamo che Schuman e De Gasperi sono già “servi di Dio” e per Adenauer da più parti si levano richieste per l’apertura della causa di beatificazione. Dunque, e venendo ai nostri giorni, anche l’attuale crisi dell’Europa potrebbe essere generata da un nuovo prevalere di uno spirito ideologico, che prende le sembianze del gender e del conformismo del Pensiero Unico, e che sta rapidamente contagiando tutta la popolazione, allontanandola dalle sue origini vere, quelle cristiane. Se la rinascita dell’Europa ha avuto la sua base ideale nel cristianesimo dei Padri Fondatori, un cristianesimo non “spirituale”, ma concreto, declinato necessariamente anche in valori come la dignità della persona, il rispetto della vita, ecc. che hanno trovato posto in leggi fondamentali, perché, oggi, che l’Europa è scristianizzata, ci poniamo proprio noi cristiani il problema di “scrostare” la nostra fede da quei valori che naturalmente da essa derivano?

Papa Francesco, nel suo discorso in occasione del premio Carlo Magno, ha detto: “Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice”. Ha esortato dunque l’Europa a riscoprire un “nuovo umanesimo”, che a suo parere dovrebbe essere fondato su tre capacità: “la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”. Papa Francesco in quel discorso sembra sorvolare sulla genesi di questa “sterilità” europea, ma si concentra sul “come” uscirne, ponendo con insistenza alla sua base il dialogo e l’integrazione. Ora, il dialogo è certamente il “mezzo” attraverso il quale due persone possono conoscersi, ma è altrettanto vero che non è il dialogo in sé e per sé che possa portare ad un nuovo umanesimo, ma quello che si comunica, la coscienza di una esperienza in atto. Infatti, uno può anche dialogare, ma se non ha nulla da comunicare, il dialogo, sarebbe meglio dire “parlare”, si trasforma in “vuoto spinto”.
In verità, è proprio ora, cioè mentre arrivano nuovi popoli, nuove culture, le quali spingono al confronto non solo dal punto di vista di un dialogo culturale, ma anche da un punto di vista del modo concreto di vivere, che si palesa la necessità di riapprofondire, ritornare al nostro proprium, al nostro essere come è sempre stato, alle nostre radici, che sono oggettivamente plasmate dal cristianesimo. Ma, attenzione, non come mera “tradizione”, o nazionalismo difensivo, ma proprio come origine del nostro essere per una giusta posizione nei confronti del reale. Se il dialogo non avviene fruttuosamente tra due coscienze, esso o non potrà avvenire, o sarà subìto dalla coscienza più debole, o sarà foriero di contrasti sociali.

La radice della crisi dell’Europa in realtà va ricercata in un male più profondo, che andrebbe indagato prima di trovare il “come” uscirne, e che ha fatto dire a Benedetto XVI queste profetiche parole: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere”.
Per questo, occorre sì andare incontro all’altro, offrire accoglienza, dialogare con chiunque, testimoniando la nostra esperienza di vita cambiata dall’incontro con Cristo, che è la Misericordia, poiché una vita cambiata è certamente contagiosa; ma questo dialogo non può che avvenire a partire da una posizione umana che si misura con il Mistero, con una coscienza critica e sistematica dell’esistenza, coscienza che si fa cultura. Perché, come ci ha ammoniti san Giovanni Paolo II: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Lo stesso Papa Francesco ci sta educando ad avere uno “sguardo di misericordia” come condizione per “penetrare” la realtà nella sua profonda essenza, prim’ancora di dotarci di una adeguata analisi interpretativa della vita. Ma, allo stesso tempo, dobbiamo tener conto di quanto ci dice il salmo 84: “misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”.

Dialogare è giusto, ma il dialogo, per essere fecondo, richiede un prerequisito che è la coscienza di sé, una coscienza che, certamente, si approfondisce sempre più, ma che non è “tabula rasa”. Un dialogo che voglia attuarsi nell’oblio della coscienza di ciò che si è, di ciò che è la nostra sorgente, si rivelerà velleitario. E ciò, tanto più oggi, poiché la cultura europea, quella occidentale, è caratterizzata dalla tirannia dell’indifferentismo, del relativismo, dell’abolizione di ogni certezza, che tende a spegnere la persona come essere autonomo pensante per soggiogarlo e affogarlo nel conformismo del Pensiero Unico. Per questo motivo, e perché il dialogo sia vero, occorre ritornare e recuperare le tre colonne portanti delle “radici cristiane”, radici che hanno plasmato la tradizione e la cultura europea:
a) RAGIONE: la tensione a voler comprendere la realtà, la tensione al vero, che era tipica del pensiero greco, e che rende rispettosi dell’altro poiché considerato fratello nella comune ricerca del vero;
b) FEDE: la dimensione profetica della fede in Gesù Cristo che ci dice che la verità che noi cerchiamo ci è stata rivelata, ci precede, è la Sua Persona, e questo ci dà una fiduciosa certezza nella nostra continua e necessaria ricerca del Vero;
c) REALTA’: la dimensione dello stare alla concretezza, dello spirito romano, oggi tanto mancante (vedi il gender). Il Pensiero Unico, per affermarsi, DEVE distruggere la tradizione cristiana; noi, per contrastarlo, e per far sì che il dialogo tanto bramato sia fecondo, dobbiamo recuperare questa tradizione che trova la sua fonte nella fede definita nelle sue dimensioni fondamentali di cultura, carità e missione.

Per noi cristiani, poi, è bene fare una precisazione. Parliamo, infatti, e giustamente, sempre di dialogo, ma noi cristiani non dobbiamo mai dimenticare che ci è stato dato un compito che è quello della missione, che è qualcosa di più e ben diverso dal semplice dialogo. Una missione che non abbia, ovviamente, alcuno spirito di conquista (vedi a tal proposito il passaggio su questo tema, che ha suscitato perplessità, dell’intervista di Papa Francesco concessa a La Croix).
E’ chiaro che le “radici cristiane” non sono qualcosa da esigere o imporre agli altri, ma, al contrario, sono la “caratteristica”, sono quell’habitus della nostra coscienza, quel tesoro che noi dobbiamo recuperare, e che ci permette di metterci in rapporto con l’altro in maniera adeguata, in un vero dialogo. Le “radici cristiane” non sono assolutamente un richiamo nostalgico, ma innanzitutto una presa di coscienza da parte nostra della vera posizione umana di fronte alla realtà, che ci permette di affrontare l’attuale cultura razionalistica e radicalmente anti-umana, che porta in sé i germi della distruzione della società, come possiamo ben vedere dagli esiti inumani che questa cultura genera, come la legalizzazione dell’aborto, la pratica dell’utero in affitto, la tecno-scienza manipolatrice della vita, la distruzione del concetto antropologico di famiglia. Quando viene spezzato il legame tra fede e ragione, l’unico esito è il totalitarismo. Dobbiamo riaffermare e testimoniare il dialogo fruttuoso tra fede e ragione, come è ben sintetizzato dall’apostolo Pietro quando ci dice: «Siate pronti in ogni momento a dare ragione della speranza che è in voi», o dall’allora card. Ratzinger quando, nel 2005, terminò la conferenza a Subiaco con queste parole: “Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri, ed il loro cuore possa aprire il cuore degli altri”.

Non possiamo dunque essere noi cristiani i primi, per esigenze “tecniche” legate al dialogo, a spossessarci di tutto quanto è derivato da una sincera fede in Gesù Cristo. Se noi cristiani siamo i primi a censurarci, a spogliarci di quei valori che ci costituiscono, o a nasconderli per paura che essi costituiscano un impedimento al dialogo; se noi cristiani siamo i primi a rifiutare di “andare in piazza” (Family Day) per difendere democraticamente valori umani fondamentali, a tutela dei più deboli, dicendo di quell’immenso raduno, come ha scritto un sacerdote, che “in quella piazza abbiamo perso tutti”... viene da chiedersi: ma, allora, di quale amore, necessario per incontrare l’altro, parliamo? È forse un amore disincarnato? Un amore etereo, visto che opportunisticamente non dovrà essere “declinato” per evitare di minare i “ponti” che si vogliono costruire? E’ bene chiarire che lo “sguardo di misericordia” non riduce la realtà, non riduce il peccato, abbraccia sì la mia umanità ferita, ma in tutta la sua verità. Altrimenti si corre il rischio che questo “sguardo di misericordia” sia ridotto ad una nostra astrazione, ad un afflato sentimentale. Non possiamo ripetere, proprio noi cristiani, forse anche senza volerlo, l’errore già avvenuto nei secoli scorsi di scindere il legame tra fede-ragione-realtà, che è, per altro, proprio quello che oggi vuole il potere quando impone, ad esempio, l’ideologia del gender.

Si dirà, come ha fatto anche Renato Farina in un suo articolo per Il Giornale dell’anno scorso, che i tempi sono cambiati, che bisogna guardare la realtà con “acuto realismo”, che i tempi di una vigorosa presenza nell’arena pubblica sono finiti, che noi cristiani siamo oramai una minoranza, che i tempi di una Chiesa, o un movimento, impegnati, con la testa all’indietro, verso epiche battaglie in piazza, pronti a denunciare relativismo culturale e laicismo, appartengono, oramai, ai tempi che furono. Ma questo, mi si consenta, è opinabile. Comprendo che l’Italia, l’Europa, sono scristianizzate, persino a-cristiane, e che bisogna ricominciare come fossimo ai tempi dei romani. Riconosco pure che se il fatto cristiano non riaccade oggi “i valori cristiani perdono il loro smalto, la loro attrattiva”, come scrive Costantino Esposito. Certo è così, concordo. Quello che però non capisco, quello che nella mia testa rimane come un “buco nero” concettuale è questa necessità di usare la logica dell’“aut-aut”, cioè quella logica che ci fa dire che bisogna smetterla di mettere l’accento sulla difesa dei valori, poiché oggi le evidenze sono crollate, e che, invece, bisogna usare uno sguardo misericordioso, e nient’altro. Nient’altro! Mi sembra che si faccia una ingiustizia. Primo, perché non mi sono, non ci siamo immolati sull’altare dei “valori”, ma abbiamo inteso dare testimonianza alla Verità, pur nei limiti della nostra povera carne. Una testimonianza che si è giocata e si gioca con tutta la realtà, nella totalità dei suoi fattori (compresa la dimensione giuridica). Secondo, perché ho, abbiamo sempre creduto che rompere il prezioso e delicato legame tra fede e ragione, privilegiando ora l’una, ora l’altra, sia rischioso e foriero di tenebrose conseguenze. La giusta logica, allora, è quella dell’“et-et”, quella che coniuga, contemporaneamente, lo sguardo misericordioso ed accogliente dell’altro, frutto della vita cambiata da una Presenza che accade, con il giudizio che nasce dalla ragione illuminata dalla fede, cioè dalla stessa Presenza.

Di questi tempi, proprio di questi tempi, mi è di conforto il mea culpa che il 9 maggio scorso, un principe della Chiesa, il card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, ha fatto davanti all’assise dei vescovi italiani: “Quanto silenzio oggi nel mondo, silenzio di noi cristiani, silenzio non di amore, come a volte deve accadere, ma di timidezza, di poco coraggio, silenzio di omertà culturale ed etica” (…) “Quanto silenzio colpevole, quanta omertà culturale, quanta prostrazione al pensiero unico, alla paura di essere derisi e giudicati fuori tempo” (…) “Non possiamo tacere per amore a Gesù e all’umanità, allo smarrimento diffuso, alla confusione di valori e princìpi sull’uomo, sulla vita e sulla morte, sull’anima immortale, sulla famiglia, sulla libertà vera”.

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