giovedì 30 aprile 2015

Dialogo tra Francesco e Comunità di vita cristiana, trascrizione integrale


Papa Francesco ha incontrato nell’Aula Paolo VI in Vaticano i membri della Comunità di vita cristiana (CVX) - Lega Missionaria Studenti d’Italia, circa 5.000 persone. Di seguito pubblichiamo le domande di alcuni partecipanti e le risposte a braccio del Santo Padre:
Paola:
Santo Padre – non è un modo di dire … Sono Paola. Presto servizio al carcere di Arghillà, Reggio Calabria. Lì incontro molta sofferenza e tutte le contraddizioni del nostro mondo. Le chiediamo una luce. Tra di noi, in questi ambienti, è facile parlare di speranza, è una parola che ci è familiare; ma come farlo con un ergastolano? Con un uomo che è definito “fine-pena-mai”? E poi volevo chiederle anche come affinare la nostra coscienza, in maniera tale che stare insieme a chi soffre non sia per noi una semplice beneficienza, ma riesca a convertire il nostro cuore, profondamente, e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto? Grazie, Santo Padre, perché fa sentire ciascuno di noi, in qualunque condizione ci troviamo, un figlio amato.
Papa Francesco:
Paola, qui ho scritte le tue due domande – sono due! – tu sai che a me piace dire – e un modo di dire, ma è la verità del Vangelo, eh? – che dobbiamo uscire e andare fino alle periferie. Anche, uscire per andare alla periferia della trascendenza divina nella preghiera, no? Ma sempre uscire. Il carcere è una delle periferie più, più brutte, [con] più dolore … Andare in carcere significa prima di tutto dire a se stesso: “Se io non sono qui, come questa, come questo, come questa, come questo, è per pura grazia di Dio”. Pura grazia di Dio. Se noi non siamo scivolati in questi sbagli, anche in questi reati o crimini, alcuni forti, è perché il Signore ci ha presi per mano. Non si può entrare in carcere con lo spirito di “ma io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore”: no, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo. Ma, nel carcere uno può dirlo con tanto coraggio, ma dobbiamo dirlo sempre: quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio. Ma questa è condizione indispensabile: noi non possiamo andare in [nelle] periferie senza questa coscienza. Paolo: Paolo aveva questa coscienza. Lui dice di se stesso che è il più grande peccatore; anche, lui dice una parola bruttissima di se stesso: “Io sono un aborto”! Ma questo è nella Bibbia, è la Parola di Dio, eh?, ispirata dallo Spirito Santo! Non è fare faccia di immaginetta come dicono che i Santi … ma i Santi si sentivano peccatori perché avevano capito questo! E la grazia del Signore ci sostiene; se tu – se io, se tu, se ognuno di voi non ha questo non potrà prendere il mandato di Gesù, la missione di Gesù: “Andate fino alla fine del mondo, a tutte le Nazioni, nelle periferie …”. E chi sono quelli che sono stati incapaci di ricevere questo? I chiusi, i dottori, quei dottori della legge, quella gente chiusa che non ha accettato Gesù, non ha accettato il suo messaggio di uscire. Sembravano giusti, sembravano gente di Chiesa, ma Gesù dice loro una parola non tanto bella, eh?: “Ipocriti”. Così li chiama Gesù. E per farci capire come sono loro, la fotografia che Gesù fa di loro è: “Ma voi siete sepolcri imbiancati!”. Quello che è chiuso, che non può ricevere, è incapace di ricevere questo coraggio dello Spirito Santo, e rimane chiuso e non può andare in periferia. Tu chiedi al Signore di rimanere aperta alla voce dello Spirito, per andare in quella periferia; poi domani, forse, ti chiederà di andare in un’altra, tu non [lo] sai … Ma sempre c’è il Signore che ci invia. E nel carcere dire sempre questo, no? Anche con tante persone che soffrono: perché questa persona soffre, e io no? Perché questa persona non conosce Dio, non ha speranza nella vita eterna, sa che tutto finisce qua e io no? Perché questa persona viene accusata nei tribunali perché è corrotta per questo e io no? Ma, per la grazia del Signore! Questa è la più bella preparazione per andare in [nelle] periferie.
Poi, tu chiedi di … dici: “Di che speranza io parlo, con questa gente in carcere?”, che tanti sono condannati a morte … Ma no, in Italia, non c’è la pena di morte, ma un ergastolano … L’ergastolo è una condanna a morte, perché si sa che di lì non si esce. E’ duro. Cosa dico a quell’uomo? Cosa dico a quella donna? Ma forse … non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. “Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo”, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore.
E poi metti il dito nella piaga, no? “Come affinare la nostra coscienza, perché stare insieme a chi soffre non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto?”. La beneficienza è uno scalino, eh? “Ma, tu hai fame? – Sì. – Ti do da mangiare, oggi”. Ma la beneficienza è il primo passo verso la promozione. E questo non è facile. Come promuovere i bambini affamati? Come promuovere … parliamo di bambini, adesso: come promuovere i bambini senza educazione? Come promuovere i bambini che non sanno ridere e che se tu li accarezzi ti danno uno schiaffo, perché a casa loro vedono che il papà dà schiaffi alla mamma? Come promuovere? Come promuovere la gente che ha perso il lavoro, come accompagnare e promuovere, no? Fare strada con loro? E che ha bisogno del lavoro perché senza il lavoro una persona si sente senza dignità? Si, sta bene: tu gli porti da mangiare. Ma la dignità è che luilei, portino da mangiare a casa: questo dà dignità. E’ la promozione: il presidente ne ha parlato (il Papa si riferisce all’indirizzo rivoltogli dal Presidente delle CVX poco prima): tante cose che voi fate … Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale – non dico la beneficienza per uscire dalle difficoltà più gravi – che fa la differenza tra la beneficienza abituale e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: “Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire”. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio …” … Quella sana inquietudine dello Spirito Santo.
E questo è quello che mi viene di dirti, no? Che questo non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore. E questa inquietudine che ti dà lo Spirito Santo per trovare strade per aiutare, promuovere i fratelli e le sorelle, questo ti unisce a Gesù Cristo: questo è penitenza, questo è croce, ma questo è gioia. Una gioia grande, grande, grande che ti dà lo Spirito quando dai quello. Non so se ti aiuta, quello che ti ho detto … Perché, quando mi fanno queste domande, il pericolo – anche il pericolo del [per il] Papa, eh? – è credere che possa rispondere a tutte le domande … E l’unico che può rispondere a tutte le domande, è il Signore. Il mio lavoro è semplicemente ascoltare e dire quello che mi viene da dentro. Ma molto insufficiente e molto poco.
Tiziana:
Santo Padre, sono Tiziana e vengo da Cagliari. Mi sento emozionata e felice: stare davanti a Lei è realizzare un sogno che ho avuto fin da bambina. Faccio parte della Comunità di vita cristiana e della Lega missionaria studenti, attraverso cui ho avuto il privilegio di vivere meravigliose esperienze di comunione e servizio. Però, oggi, parlando con il cuore in mano Le confido che la speranza a volte la perdo. A volte la mia fragilità è la stessa di tanti giovani. Aiuti me e tutti noi a capire che Dio non ci abbandona mai, che noi giovani possiamo ancora sognare in mezzo a chi vuole toglierci questo dono.
Papa Francesco:
Ma, ai giovani [mi] piace dire: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Ma la tua domanda va oltre: “Ma di che speranza mi parla, Padre?”. Alcuni possono pensare che la speranza sia avere una vita comoda, una vita tranquilla, raggiungere qualcosa … E’ una speranza controllata, una speranza che può andare bene in laboratorio, eh?, ma se tu stai nella vita e lavori nella vita, con tanti problemi, con tanto scetticismo che ti offre la vita, con tanti fallimenti, “di che speranza mi parla, Padre?”. Ma, sì, io posso dirti: “Ma, tutti andremo in Cielo …”: sì, è vero. Il Signore è buono. Ma io voglio un mondo migliore, e io sono fragile, e io non vedo come questo si possa fare, io voglio immischiarmi – per esempio – nel lavoro della politica, o della medicina … Ma, alcune volte trovo corruzione, lì, e lavori che sono per servire diventanoaffari … Io voglio immischiarmi nella Chiesa, e anche lì il diavolo semina corruzione e tante volte c’è … Io ricordo quella Via Crucis di Papa Benedetto XVI, quando ci invitava a cacciare via le sporcizie della Chiesa … Anche nella Chiesa [c’]è corruzione! Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? Oggi, all’inizio della Messa, c’era un versetto di un salmo molto bello, molto bello: “Quando Tu, Signore, camminavi in mezzo al tuo popolo, quando Tu lottavi con noi, la Terra tremava e i Cieli stillavano”. Sì. Ma non sempre si vede, questo. Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – [di] questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo. Dio mai abbandona il suo popolo. Lui è il pastore del suo popolo. Ma quando io faccio un peccato, quando io faccio uno sbaglio, quando io faccio una cosa ingiusta, quando io vedo tante cose, io domando: “Ma Signore, dove sei? Dove stai?”. Oggi, tanti innocenti che muoiono: dove stai, Signore? Ma è possibile fare qualcosa? La speranza è una delle virtù più difficili da capire, e alcuni grandi – penso che sia stato Peguy, uno di quelli che dicevano che è la più umile delle virtù, la speranza, perché è la virtù degli umili. Ma bisogna abbassarsi tanto perché il Signore ce la doni, perché il Signore ce la dia. E’ lui che ci sostiene. Ma dimmi: che speranza può avere, dal punto di vista naturale, pensiamo a un ospedale: una suora che da 40 anni è nel reparto di malattie terminali, e ogni giorno uno, l’altro, l’altro, l’altro … Ma, sì, credo in Dio, ma l’amore che dà quella donna sempre finisce, finisce, finisce … e a un certo punto quella donna può dire a Dio: “Ma questo è il mondo che Tu hai fatto? Si può sperare qualcosa da Te?”. La tentazione, quando noi siamo nelle difficoltà, quando noi vediamo le brutalità che succedono nel mondo, la speranza sembra cadere. Ma nel cuore umile rimane. E’ difficile capire questo perché la tua domanda è molto profonda, no? Come non lasciare la lotta e fare la dolce vita e così, senza speranza … è più facile … Il servizio è lavoro di umili: oggi l’abbiamo sentito nel Vangelo. Gesù è venuto per servire, non per essere servito. E la speranza è virtù degli umili. Credo che quella può essere la strada. Ma ti dico con sincerità, non mi viene di dirti un’altra cosa. Umiltà e servizio: queste due cose custodiscono la piccola speranza, la virtù più umile, ma quella che ti dà la vita. Adesso? Grazie … Non so. E’ quello che mi viene di dirti. Grazie.
Bartolo:
Carissimo Santo Padre, mi chiamo Bartolo e sono sacerdote diocesano da nove anni. Attualmente la missione affidatami è quella di formatore di seminaristi e docente presso il Seminario campano interregionale di Napoli, retto dai Padri Gesuiti; luogo in cui tante volte si danno molte cose per scontate: la formazione in genere … Da circa dieci anni collaboro con padre Massimo Nevola nell’animazione dei campi missionari, in particolare a Cuba, proposti a giovani adulti della Lega missionaria studenti. Attraverso queste esperienze ho toccato con mano le ferite del Signore nella povertà degli uomini del nostro tempo, che mi hanno messo in crisi e mi hanno spinto a cercare di più il Suo volto. E questo ha rafforzato molto la mia vocazione presbiterale, che sento sempre più come un dono per tutta l’umanità e la Chiesa. Le volevo chiedere, vista anche la presenza di tante parrocchie: che apporto specifico può offrire un movimento di ispirazione ignaziana, quale la Cvx, per la formazione cristiana di operatori pastorali, e la Lega missionaria studenti per il coinvolgimento e l’educazione alla mondialità di giovani? Grazie.
Papa Francesco:
Il presidente ha fatto memoria di un motto ignaziano, no?, “contemplativo nell’azione”, e essere contemplativo nell’azione non è camminare nella vita guardando il cielo, perché cadrai in un buco [ride], sicuro … E questo è capire cosa significa questa contemplazione, no? Tu hai detto una cosa, una parola che mi ha colpito: ho toccato con mano le ferite del Signore nelle povertà degli uomini del nostro tempo. E questa credo che sia una delle migliori medicine per una malattia che ci colpisce tanto, che è l’indifferenza. Anche lo scetticismo: credere che non si possa fare niente. Il patrono degli indifferenti e degli scettici è Tommaso: e Tommaso ha dovuto toccare le ferite. C’è un bellissimo discorso, una bellissima meditazione di San Bernardo sulle piaghe del Signore. Tu sei prete, puoi trovarla nella terza settimana di Quaresima, nelle letture, nelle seconde letture della terza settimana; non ricordo in che giorno. Entrare nelle ferite del Signore: noi serviamo un Signore piagato d’amore; le mani del nostro Dio sono mani piagate di amore. E essere capaci di entrare lì … e anche, Bernardo continua: “E sii fiducioso: entra nella ferita del suo fianco e contemplerai l’amore di quel cuore”. Le ferite dell’umanità, se tu ti avvicini lì, se tu tocchi – e questa è dottrina cattolica – tocchi il Signore ferito: questo lo troverai in Matteo 25, non sono eretico, dicendo questo, eh? Quando tu tocchi le ferite del Signore, tu capisci un po’ di più il mistero di Cristo, di Dio incarnato. Questo è proprio il messaggio di Ignazio, nella spiritualità: una spiritualità dove al centro è Gesù Cristo, non le istituzioni, non le persone, no. Gesù Cristo. Ma Cristo incarnato! E quando tu fai gli Esercizi [spirituali], ma Lui ti dice che vedendo il Signore che soffre, le ferite del Signore, ma fa forza per piangere, per sentire dolore! E la spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un “Dio-spray”, un Dio diffuso, un Dio all’aria … Ignazio, Ignazio voleva che tu incontrassi Gesù Cristo, il Signore, che ti ama e ha dato la sua vita per te, ferito per il tuo peccato, per il mio peccato, per tutti … E le ferite del Signore sono dappertutto. In questo che tu hai detto è proprio la chiave, no? Noi possiamo parlare tanto di teologia, tanto … cose buone, eh?, parlare di Dio … ma la strada è che sei capace di contemplare Gesù Cristo, leggere il Vangelo, cosa ha fatto Gesù Cristo: è Lui, il Signore! E innamorarti di Gesù Cristo e dire a Gesù Cristo che ti scelga per seguirlo, per essere come Lui. E questo si fa con la preghiera e anche toccando le ferite del Signore. Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite. Lui è stato ferito per noi. E questa è la strada, è la strada che ci offre la spiritualità ignaziana a tutti noi: il cammino … Ma anche io vado un po’ di più: tu sei formatore di futuri sacerdoti, eh? Ma per favore: … se tu vedi che un ragazzo intelligente, bravo ma che non ha questa esperienza di toccare il Signore, di abbracciare il Signore, di amare il Signore ferito, consigliagli di andarsene a prendere belle vacanze di uno, due anni … e gli farai [del] bene. “Ma, Padre, noi siamo pochi sacerdoti: ne abbiamo bisogno …”. Per favore, che l’illusione della quantità non ci inganni e ci faccia perdere di vista la qualità! Abbiamo bisogno di sacerdoti che preghino. Ma che preghino Gesù Cristo, ma che sfidino Gesù Cristo per il loro popolo, come Mosé che aveva la faccia tosta per sfidare Dio e salvare il popolo che Dio voleva distruggere, con quel coraggio davanti a Dio: anche sacerdoti che abbiano il coraggio di soffrire, di portare la solitudine e dare tanto amore. Anche per loro vale quel discorso di Bernardo sulle piaghe del Signore, eh? Capito? Grazie.
Gianni:
Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla Cvx dell’Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno – specialmente chi è più giovane tra noi – comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera. Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie.
Papa Francesco:
Credo che questa domanda che tu hai fatto la risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui: no, non l’ho visto … Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma, si sente: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici”: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma, un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. “Ma, Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto … e alla fine tu non puoi andare avanti …”: cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Eh sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per quello, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco … ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Ma, nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi. Ma pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra – alcuni: pensate a De Gasperi; pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione … Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominare più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché, nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore: ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e continui avanti!”. Ma fare, fare …
E proprio lottare per una società più giusta e solidale. Qual è la soluzione che oggi ci offre, questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l’uomo e la donna: no. Il denaro. Il dio denaro. Questo al centro. Poi, tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo, quello che non serve al dio denaro si scarta. E quello che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta. Si scartano i bambini perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere; si scartano gli anziani, perché … ma, gli anziani non servono: ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti, no? Ma servono congiunturalmente, no? Ma si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù – non voglio sbagliare, correggimi, eh? – il 40-41% è senza lavoro. Si scarta … Ma questo è il cammino della distruzione. Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, va lì, fai politica: ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Anche scarta il Creato, ché il Creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quello del Beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. Non so se ho risposto …
Io avevo scritto un discorso … [ridono] forse noioso, come tutti i discorsi, no?, ma lo consegnerò, eh?, perché ho preferito questo dialogo …
[Poi il Papa recita con tutta l’Assemblea una Preghiera alla Madonna della Strada… e infine imparte la Benedizione.] E per favore, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
Di seguito il testo del discorso del Papa preparato e dato per letto:
Cari fratelli e sorelle, saluto tutti voi, che rappresentate la Comunità di Vita Cristiana d’Italia, e gli esponenti dei vari gruppi di spiritualità ignaziana, vicini alla vostra tradizione formativa e impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Un saluto particolare agli alunni ed ex-alunni dell’Istituto “Massimo” di Roma, come pure alle rappresentanze di altre scuole dirette dai Gesuiti in Italia.
Conosco bene la vostra Associazione per esserne stato assistente nazionale in Argentina, alla fine degli anni settanta. Le vostre radici affondano nelle Congregazioni Mariane, che risalgono alla prima generazione dei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Si tratta di un lungo percorso nel quale l’Associazione si è distinta in tutto il mondo per l’intensa vita spirituale e lo zelo apostolico dei suoi membri, e anticipando, per certi versi, i dettami del Concilio Vaticano II circa il ruolo e il servizio dei fedeli laici nella Chiesa. Nel solco di questa prospettiva, avete scelto il tema del vostro Convegno, che ha come titolo “Oltre i muri”. Oggi vorrei offrirvi alcune linee per il vostro cammino spirituale e comunitario.
La prima: l’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alle gente che si identifica nella politica. Essa, come affermava il beato Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza.
Come seconda priorità apostolica vi indico la pastorale familiare, nel solco degli approfondimenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa.
La terza linea che vi suggerisco è la missionarietà. Ho appreso con piacere che avete avviato un cammino comune con la Lega Missionaria Studenti, che vi ha proiettato sulle strade del mondo, nell’incontro con i più poveri e con le comunità che più necessitano di operatori pastorali. Vi incoraggio a mantenere questa capacità di uscire e di andare verso le frontiere dell’umanità più bisognosa. Oggi avete invitato delegazioni di membri delle vostre comunità presenti nei Paesi dei vostri gemellaggi, specie in Siria e Libano: popoli martoriati da terribili guerre; ad essi rinnovo il mio affetto e la mia solidarietà. Queste popolazioni stanno sperimentando l’ora della croce, pertanto facciamo sentire loro l’amore, la vicinanza e il sostegno di tutta la Chiesa. Il vostro legame solidale con esse, confermi la vostra vocazione a tessere ovunque ponti di pace.
Il vostro stile di fraternità, che vi sta impegnando anche in progetti di accoglienza dei migranti in Sicilia, vi renda generosi nell’educazione dei giovani, sia all’interno della vostra associazione, sia nell’ambito delle scuole. Sant’Ignazio capì che per rinnovare la società bisognava partire dai giovani e stimolò l’apertura dei collegi. E in essi nacquero le prime Congregazioni Mariane. Sulla scia luminosa e feconda di questo stile apostolico, anche voi potete essere attivi nell’animazione delle varie istituzioni educative, cattoliche e statali, presenti in Italia, così come già avviene in tante parti del mondo. Alla base di questa vostra azione pastorale ci sia sempre la gioia della testimonianza evangelica, unita alla delicatezza dell’approccio e al rispetto dell’altro.
La Vergine Maria, che col suo “si” ispirò i vostri fondatori, vi conceda di rispondere senza riserve alla vocazione di essere “luce e sale” negli ambienti nei quali vivete e operate. Vi accompagni anche la mia benedizione che di cuore imparto a voi tutti e ai vostri familiari. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Papa Francesco alla Comunità di vita cristiana /2 - Speranza

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA COMUNITÀ DI VITA CRISTIANA (CVX) - LEGA MISSIONARIA STUDENTI D'ITALIA
Aula Paolo VI
Giovedì, 30 aprile 2015


DISCORSO PREPARATO DAL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
saluto tutti voi, che rappresentate la Comunità di Vita Cristiana d’Italia, e gli esponenti dei vari gruppi di spiritualità ignaziana, vicini alla vostra tradizione formativa e impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Un saluto particolare agli alunni ed ex-alunni dell’Istituto “Massimo” di Roma, come pure alle rappresentanze di altre scuole dirette dai Gesuiti in Italia.
Conosco bene la vostra Associazione per esserne stato assistente nazionale in Argentina, alla fine degli anni settanta. Le vostre radici affondano nelle Congregazioni Mariane, che risalgono alla prima generazione dei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Si tratta di un lungo percorso nel quale l’Associazione si è distinta in tutto il mondo per l’intensa vita spirituale e lo zelo apostolico dei suoi membri, e anticipando, per certi versi, i dettami del Concilio Vaticano II circa il ruolo e il servizio dei fedeli laici nella Chiesa. Nel solco di questa prospettiva, avete scelto il tema del vostro Convegno, che ha come titolo “Oltre i muri”.
Oggi vorrei offrirvi alcune linee per il vostro cammino spirituale e comunitario.
La prima: l’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alle gente che si identifica nella politica. Essa, come affermava il beato Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza.
Come seconda priorità apostolica vi indico la pastorale familiare, nel solco degli approfondimenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa.
La terza linea che vi suggerisco è la missionarietà. Ho appreso con piacere che avete avviato un cammino comune con la Lega Missionaria Studenti, che vi ha proiettato sulle strade del mondo, nell’incontro con i più poveri e con le comunità che più necessitano di operatori pastorali. Vi incoraggio a mantenere questa capacità di uscire e di andare verso le frontiere dell’umanità più bisognosa. Oggi avete invitato delegazioni di membri delle vostre comunità presenti nei Paesi dei vostri gemellaggi, specie in Siria e Libano: popoli martoriati da terribili guerre; ad essi rinnovo il mio affetto e la mia solidarietà. Queste popolazioni stanno sperimentando l’ora della croce, pertanto facciamo sentire loro l’amore, la vicinanza e il sostegno di tutta la Chiesa. Il vostro legame solidale con esse, confermi la vostra vocazione a tessere ovunque ponti di pace.
Il vostro stile di fraternità, che vi sta impegnando anche in progetti di accoglienza dei migranti in Sicilia, vi renda generosi nell’educazione dei giovani, sia all’interno della vostra associazione, sia nell’ambito delle scuole. Sant’Ignazio capì che per rinnovare la società bisognava partire dai giovani e stimolò l’apertura dei collegi. E in essi nacquero le prime Congregazioni Mariane. Sulla scia luminosa e feconda di questo stile apostolico, anche voi potete essere attivi nell’animazione delle varie istituzioni educative, cattoliche e statali, presenti in Italia, così come già avviene in tante parti del mondo. Alla base di questa vostra azione pastorale ci sia sempre la gioia della testimonianza evangelica, unita alla delicatezza dell’approccio e al rispetto dell’altro.
La Vergine Maria, che col suo “si” ispirò i vostri fondatori, vi conceda di rispondere senza riserve alla vocazione di essere “luce e sale” negli ambienti nei quali vivete e operate. Vi accompagni anche la mia benedizione che di cuore imparto a voi tutti e ai vostri familiari. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.


 


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lunedì 27 aprile 2015

"Una presenza nello sguardo" «Vogliamo essere mani e piedi di una Chiesa in uscita»

'Andrea, che hai? Sei diverso, che ti è successo?' ". Immaginate lui che scoppiasse in
pianto abbracciandola, e lei che, sconvolta da questo, continuasse a domandargli:
'Ma che hai? E Lui a stringere sua moglie che non si è mai sentita stretta così in vita 
sua: era un altro". Nei saloni della Fiera di Rimini domina un silenzio gonfio di
commozione. Risuona la voce roca e fascinosa di don Giussani, che in un video del
1994 racconta agli studenti universitari di Comunione e liberazione l'incontro con
Gesù sulle rive del Giordano che ha cambiato l'esistenza di uno dei primi apostoli.
E racconta di tante altre umanità cambiate dall'incontro con Gesù e, nei secoli fino
a oggi, con coloro che lo hanno seguito: è la storia della Chiesa.



In 24mila ascoltano le sue parole, altre migliaia in collegamento con 17 Paesi,
durante gli esercizi spirituali guidati da don Julián Carrón, presidente della Fraternità
di Cl, che si sono conclusi ieri.

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(Foto Masi)



Il sacerdote spagnolo ha svolto il tema - "Una presenza nello sguardo" - sottolineando
che il modo con cui Gesù guardava quelli che incontrava era carico di una presenza
affascinante e mobilitante, capace di trasformare l'esistenza. È il fascino che duemila
anni dopo continua a mobilitare chi incontra i seguaci di Gesù, e che rende
interessante il cristianesimo agli occhi degli uomini di oggi che cercano risposta alla
loro sete di felicità. "Il nostro io può essere toccato e mosso solo se Cristo viene 
percepito come un avvenimento, non un ricordo del passato ma qualcosa che sta
accadendo ora, come fu all'epoca dei primi discepoli. Fuori di questo 'ora' non c'è
niente di interessante: dovremmo scriverlo nelle nostre case", tuona Carrón. Che
ricorda l'esortazione rivolta ai ciellini da Papa Francesco durante l'udienza del 7
marzo: dopo sessant'anni il carisma di Giussani non ha perso la sua freschezza e
vitalità, ma bisogna fare i conti con la tentazione dell'autoreferenzialitá. Fedeltà al
carisma non vuol dire pietrificarlo, significa tenere vivo il fuoco e non adorare le
ceneri. "Solo così potremo rispondere all'appello del Papa che ci ha chiesto di essere
braccia, mani e piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita".


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(Foto Masi)
Giorgio Paolucci







domenica 26 aprile 2015

Riconoscere Cristo

 video visto aglli esercizi della fraternità.

Appunti dalla meditazione di monsignor Luigi Giussani a ottomila universitari riuniti a
Rimini per gli Esercizi spirituali, sabato 10 dicembre 1994
Finiva, la meditazione di questa mattina, con la frase icastica di Kafka. “Esiste un punto d'arrivo,
ma nessuna via"'. È innegabile: c’è un ignoto (i geografi antichi tracciavano quasi un'analogia di
questo ignoto con la famosa terra incognita” con cui terminava il loro grande foglio; ai margini
del foglio segnavano: “terra incognita”). Aimargini della realtà che l'occhio abbraccia, che il cuore
sente, che la mente immagina c'è un ignoto. Tutti io sentono. Tutti l'hanno sempre sentito.
In tuffi i tempi gli uomini l'hanno così sentito che l'hanno anche immaginato. In tutti i tempi gli
uomini hanno cercato, attraverso le loro elucubrazioni o le loro fantasie, di immaginare, di
fissare il volto di questo ignoto. Tacito, nel Germania, descriveva così il sentimento religioso
che qualificava gli antichi teutoni: secretum lIlud quod sola reverentia vident, hoc deum
appellant (quella cosa misteriosa che essi intuivano in timore e tremore, questo chiamavano Dio,
questo chiamano Dio). Tuffi gli
uomini di tuffi i tempi, qualunque sia l'immagine che se ne siano fatta, hoc deum appellant,
chiamano Dio questo ignoto davanti al quale passano gli sguardi, dei più indifferenti, ma di molti
appassionati. Indubbiamente, tra gli appassionati ci sono stati quei trecento, che col cardinal
Martini sono sfilati per il tragitto da San Carlo al Duomo di Milano. Trecento rappresentanti di
religioni diverse! E come si può chiamare, con denominatore comune, quello che intendevano
esprimere e onorare con la loro partecipazione alla grande iniziativa del cardinale di Milano?
Un secretum illud, qualcosa di misterioso, terra incognita, qualcosa di non conoscibile -
non conoscibile!

Mi piace ricordare adesso un paragone che si trova nel secondo volume della Scuola di comunità
(All 'origine della pretesa cristiana) - chi l'avesse già letto lo conosce. Immaginatevi il mondo
umano, la storia umana, come un’immensa pianura, e in questa immensa pianura un
immenso stuolo di ditte, di imprese edili, particolarmente allenate a far strade e ponti. Ognuna
nel suo angolo, dal suo angolo cerca di lanciare, fra il punto in cui sono, fra il momento effimero
che vivono, e il cielo trapuntato di stelle, un ponte che colleghi due termini, secondo l'immagine
di Victor Hugo nella sua bella poesia di Les contemplations intitolata "Le Pont" ("Il ponte"). Vi si
immagina, seduto sulla spiaggia di notte, una notte stellata, un individuo, un uomo che guarda,
fissa la stella più grossa, apparentemente più vicina, e pensa alle migliaia e migliaia di archi che
occorrerebbe erigere per costruire questo ponte, un ponte mai definibile, mai completamente
operabile. Immaginatevi, dunque, questa pianura immensa, tutta gremita di tentativi di gruppi
grossi e piccoli, o anche solitari, come nell'immagine di Victor Hugo, ognuno attuando il suo
disegno immaginato, fantasticato. Improvvisamente s'ode nell'immensa pianura una voce
potente, che dice: “Fermatevi Fermatevi tutti!”. E tutti gli operai, gli ingegneri, gli architetti
sospendono il lavoro e guardano dalla parte da cui è venuta la voce: è un uomo, che alzando
il braccio continua:

“Siete grandi, siete nobili nel vostro sforzo, ma questo vostro tentativo, se è grande e nobile,
rimane triste, per cui tanti vi rinunciano e non ci pensano più, e indifferenti diventano; è
grande, ma triste, perché non opera mai il termine, non riesce mai ad andare a fondo. Ne
siete incapaci perché siete impotenti a questo scopo. C'è una sproporzione non colmabile
tra voi e la stella ultima del cielo, tra voi e Dio. Non potete immaginarvi il mistero. Ora,
lasciate il vostro lavoro cosi faticoso e ingrato, venite dietro di me: io vi costruirò questo
ponte, anzi io sono questo ponte! Perché io sono la via, la verità, la vita!”.

Queste cose non si capiscono nel loro valore intellettuale rigoroso, se non ci si immedesima,
se non si cerca di immedesimarsi col cuore. Immaginatevi, dunque, voi che, sulle dune vicino
al mare, vedete un crocchio di persone del villaggio vicino che stanno a senti re uno tra di loro
che parla, che è là in mezzo al gruppo che parla; e voi passate via per andare alla spiaggia dove
siete indirizzati; passate vicino e, mentre passate e guardate curiosi, sentite l'individuo che sta
in mezzo, che dice: “Io sono la via, la verità, la vita. lo sono la via, la verità...”: la via che non
si può sapere, di cui parlava Kafka: “Io sono la via, la verità, la vita'. Immaginatevi, fate uno
sforzo di immaginazione, di fantasia: cosa fareste, cosa direste? Scettici quanto possiate esserlo,
non potete non sentire il vostro orecchio attirato da quella parte, e almeno guardate con curiosità
estrema quell'individuo che o è pazzo o e vero: tertium non datur; o è pazzo o è vero. Infatti, c'è
stato un solo uomo, uno, a dire questa frase, uno in tutta la storia del mondo - del mondo! -,tanto
è vero. Un uomo in mezzo a un gruppetto di gente, tante volte in mezzo a un gruppetto di gente,
e tante volte in mezzo anche a una grande folla.
Dunque, nella grande pianura tuffi sospendono il lavoro e stanno attenti a questa voce, e lui
continuamente ripete le stesse parole. I primi seccati della questione chi furono? Gli ingegneri,
gli architetti, i padroni delle varie imprese edili, i quali hanno detto quasi subito: “Su, su, ragazzi,
al lavoro, al lavoro. Operai, al lavoro! Quello è un fanfarone!”. Era alternativa radicale, tranchant,
al loro progetto, alla loro creatività, al loro guadagno, al loro potere, al loro nome, a sé. Era
l'alternativa a sè. Dopo gli ingegneri, gli architetti e i capi, anche gli operai, incominciando un po' a
ridere, più a stento hanno trascinato via lo sguardo da quell'individuo, parlandone per un po',
prendendolo in giro, oppure dicendo: “Chissà, chissà chi è, sarà pazzo?”. Ma alcuni, invece, no.
Alcuni hanno sentito un accento che non avevano mai sentito, e all'ingegnere, all'architetto o
al padrone dell'impresa che diceva loro: “Su, in fretta, cosa fate qui, cosa vi fermate ancora a
guardar là?”, loro non rispondevano; continuavano a guardarlo. E lui avanzava. Anzi, gli
andarono vicino. Su centoventi milioni erano dodici. Ma avvenne: questo è un fatto storico.

Quello che Kafka dice (nessuna via”) non è vero storicamente. E vero, paradossalmente, si
potrebbe dire, teoricamente, non è vero storicamente. lì mistero non si può conoscere! Questo è
vero teoricamente. Ma se il mistero bussa alla tua porta Chi mi apre io entrerò e verrò a cena con
lui” i, sono parole che si leggono nella Bibbia, parole di Dio nella Bibbia. Ma è un fatto accaduto.

E il capitolo primo di san Giovanni, che è la prima pagina letteraria che ne parli, oltre all'annuncio
generale: “Il Verbo si è fatto carne” - ciò di cui tuffa la realtà è fatta si è fatto uomo - contiene la
memoria di coloro che l'hanno seguito subito, che hanno resistito alla urgenza che era loro fatta
da parte degli ingegneri, degli architetti. Su un foglio, qualcheduno di loro ha annotato le prime
impressioni e i tratti del primo momento in cui il fatto accadde, Il primo capitolo di san Giovanni,
infatti, ha un seguito di appunti che sono proprio appunti di memoria. Uno dei due, diventato
vecchio, legge nella sua memoria gli appunti rimasti, ché la memoria ha una sua legge.
La memoria non ha come legge una continuità senza spazi, come è per esempio in una creazione
fantastica, di fantasia; la memoria letteralmente "prende appunti", come facciamo noi ora: una
nota, una riga, un punto, e questo punto copre tante cose, cosi che la seconda frase parte dopo
le tante cose supposte dal primo punto. Le cose sono più supposte che dette, alcune soltanto sono
dette come punti di riferimento. Per cui, io dai miei settant'anni di età lo rileggo per la millesima
volta, e senza alcun sintomo di stanchezza. Vi sfido a immaginarvi una cosa in sé più grave, più
pesante, nel senso di pondus, più grande, più carica di sfida per l'esistenza dell'uomo nella sua
fragilità apparente, più gravida di conseguenze nella storia, di questa, di questo fatto.

https://www.youtube.com/watch?v=obSrowDpBCo

“Quel giorno Giovanni stava ancora là con due discepoli. Fissando lo sguardo su Gesù che passava
disse,..”. Immaginatevi la scena, dunque. Dopo 150 anni che lo aspettavano, finalmente il popolo
ebraico che sempre, per tutta la sua storia, per due millenni, aveva avuto qualche profeta,
qualcheduno riconosciuto profeta da tutti, dopo 150 anni, finalmente il popolo ebraico ebbe di
nuovo il profeta: si chiamava Giovanni Battista. Ne parlano anche altri scritti dell'antichità, è
documentato storicamente, quindi. Tutta la gente - ricchi e poveri, pubblicani e farisei, amici e
contrari - andava a sentirlo e a vedere il modo con cui viveva, al di là del Giordano, in terra
deserta, di locuste e di erbe selvatiche. Aveva sempre un crocchio di persone attorno. Tra queste
persone quel giorno c'erano anche due che andavano per la prima volta e venivano, diciamo, dalla
campagna - ma loro venivano dal lago, che era abbastanza lontano ed era fuori del giro delle città
evolute. Erano là come due paesani che per la prima volta vengano in città, spaesati, che
guardavano con gli occhi sbarrati tutto quel che stava attorno e soprattutto lui. Erano là con la
bocca aperta e gli occhi spalancati a guardare lui, a sentire lui, attentissimi. Improvvisamente
uno del gruppo, un giovane uomo, se ne parte, prende il sentiero lungo il fiume per andare verso
il nord.
E Giovanni Battista improvvisamente, fissandolo, grida: “Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie
il peccato dal mondo!”. Ma la gente non si mosse, erano abituati a sentire il profeta ogni tanto
esprimersi in frasi strane, incomprensibili, senza nesso, senza contesto; perciò, la maggior parte
dei presenti non ci fece caso. I due che venivano per la prima volta, che erano là che pendevano
dalle sue labbra, che guardavano gli occhi suoi, seguivano i suoi occhi dovunque girasse lo sguardo,
hanno visto che fissava quell'individuo che se ne andava, e si sono messi alle calcagna di questo
individuo. Lo seguirono stando a distanza, per timore, per vergogna, ma stranamente,
profondamente, oscuramente e suggestivamente incuriositi. “Quei due discepoli sentendolo parlar
così seguirono Gesù. Gesù si voltò e vedendo che lo seguivano disse. "Che cosa cercate?" -
Gli risposero: "Rabbi, dove abiti?". Disse loro: "Venite a vedere"”. È questa la formula, la formula
cristiana. lì metodo cristiano è questo: “Venite a vedere”. “E andarono, e videro dove abitava, e si
fermarono presso di lui tutto quel giorno. Erano circa le 4 del pomeriggio”. Non specifica quando
partirono, quando gli andarono dietro; tutto il brano, anche il seguente, è fatto di appunti, come
dicevo prima: le frasi finiscono in un punto che dà per scontato che si sappiano già tante cose.
Per esempio: “Erano circa le 4 del pomeriggio”; ma quando andarono via, quando andarono là,
chi lo sa? Comunque sia, erano le 4 del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di
Giovanni Battista e lo avevano seguito si chiamava Andrea, era il fratello di Simon Pietro. Egli
incontrò per primo suo fratello Simone... Sono andati via da Gesù, e il primo che Andrea incontra
è il fratello Simone, che tornava dalla spiaggia, tornava o dalla pescagione o dal rassettare le reti
necessarie al pescatore, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia”. Non narra nulla, non cita nulla,
non documenta nulla, è risaputo, è chiaro, sono appunti di cose che tutti sanno! Poche pagine si
possono leggere così realisticamente veritiere, così semplicemente veritiere, dove non una parola
è aggiunta al puro ricordo.

Come ha fallo a dire: “Abbiamo trovato il Messia”? Gesù parlando loro avrà detto questa parola
che era nel loro vocabolario; perché dire che quello fosse il Messia, "in quattro e quattro Otto"
così asseverato, sarebbe stato impossibile. Ma si vede che, stando là ore ad ascoltare quell'uomo,
vedendolo, guardandolo parlare - chi è che parlava così? Chi aveva mai parlato così? Chi aveva
detto quelle cose? Mai sentite! Mai visto uno così! - lentamente dentro il loro animo si faceva
strada l'espressione: “Se non credo a quest'uomo non credo più a nessuno, neanche ai miei
occhi”. Non che l'abbiano detto, non che l'abbiano pensato, l'hanno sentito, non pensato.
Avrà dunque detto, quell'uomo, tra l'altro, che era lui colui che doveva venire, il Messia che
doveva venire. Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell'annuncio (dell'affermazione, che
loro l'hanno portato via con sé come se fosse una cosa semplice - era una cosa semplice! -, come
se fosse una cosa facile da capire.

“E Andrea lo condusse da Gesù. Gesù fissando lo sguardo su di lui disse: "Tu sei Simone, il figlio
di Giovanni. Ti chiamerai Cefa, che vuol dire pietra"”. Gli ebrei usavano cambiare il nome o per
indicare il carattere di uno, oppure per qualche fatto che accadeva. Dunque, immaginate Simone
che va col fratello, pieno di curiosità e un po' di timore, e che guarda fisso l'uomo da cui il fratello
lo conduce, Quell'uomo lo sta fissando da lontano. Pensate il modo con cui lo fissava, che ha capito
il suo carattere fin nel midollo delle ossa: “Ti chiamerai pietra”. Pensate a uno che si sente
guardare così da uno nuovo, assolutamente estraneo che si sente colto così nel profondo di sé.
“lì giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea...”.

E mezza pagina fatta così, di questi brevi accenni e di questi punti in cui tutto quello che è
successo era dato per scontato che lo sapessero tutti, che fosse evidente a tutti.

“Esiste un punto di arrivo, ma nessuna via”, No! Un uomo che ha detto: “Io sono la via” è un
fatto storico accaduto, la cui prima descrizione è dentro questa mezza pagina che ho iniziato a
leggere. E ognuno di noi sa che è accaduto. Nulla è accaduto al mondo di così impensato ed
eccezionale come quell'uomo di cui stiamo parlando: Gesù di Nazareth.

Ma quei due, i primi due, Giovanni e Andrea - Andrea era sposato con figli, molto probabilmente

come hanno fatto a essere così conquisi subito e a riconoscerlo (non c'è un'altra parola da dire
diversa da riconoscerlo)? Dirò che, se questo fatto è accaduto, riconoscere quell'uomo, chi era
quell'uomo, non chi era fino in fondo e dettagliatamente, ma riconoscere che quell'uomo era
qualcosa di eccezionale, di non comune - era assolutamente non comune - irriducibile ad ogni
analisi, riconoscere questo doveva essere facile. Se Dio diventasse uomo, venisse tra di noi, se
venisse ora, se si fosse intrufolato nella nostra folla, fosse qui tra noi, riconoscerlo, a priori dico,
dovrebbe essere facile: facile riconoscerlo nel suo valore divino. Perché è facile riconoscerlo? Per
una eccezionalità, per una eccezionalità senza paragone. Io ho davanti una eccezionalità, un
uomo eccezionale, senza paragone. Cosa vuoi dire eccezionale? Cosa vorrà dire? Perché ti fa
colpo l'eccezionale? Perché la senti "eccezionale" una cosa eccezionale? Perché corrisponde alle
attese del cuore tuo, per quanto confuse e nebulose possano essere. Corrisponde d'improvviso
– d’improvviso! -, corrisponde alle esigenze del tuo animo, del tuo cuore, alle esigenze irresistibili,
innegabili del tuo cuore come mai avresti potuto immaginare, prevedere, perché non c'è nessuno
come quell'uomo. L'eccezionale, cioè, è, paradossalmente, l'apparire di ciò che è più naturale per
noi. Che cos'è naturale per me? Che quello che desidero avvenga. Più naturale di questo! Che
quello che più desidero più avvenga: questo è naturale. Scontrarsi con qualcosa di assolutamente
e profondamente naturale, perché corrispondente alle esigenze del cuore che la natura ci ha dato,
è una cosa assolutamente eccezionale. E come una strana contraddizione: ciò che accade non è
mai eccezionale, veramente eccezionale, perché non riesce a rispondere adeguatamente al le
esigenze del cuore. 5 accenna alla eccezionalità quando qualcosa fa battere il cuore per una
corrispondenza che si crede di un certo valore e che il giorno dopo sconfesserà, che l'anno dopo
annullerà.
È l'eccezionalità con cui appare la figura di Cristo che rende facile il riconoscerlo. Bisogna
immaginarsi, l'ho detto, occorre immedesimarsi in questi avvenimenti. Se si pretende di giudicarli,
se si vuole giudicarli, non dico capirli, ma giudicarli sostanzialmente, se veri o falsi, è la sincerità
della tua immedesimazione che rende vero il vero e non falso, e non dubitoso il tuo cuore del vero.
E facile riconoscerlo come presenza divina perché è eccezionale: corrisponde al cuore, e uno ci sta
e non andrebbe mai via, che è il segno della corrispondenza col cuore. Non andrebbe mai via, e lo
seguirebbe tutta la vita - e infatti lo seguirono gli altri tre anni che lui visse.

Ma immaginate quei due che lo stanno a sentire alcune ore e poi dopo devono andare a casa.
Lui li congeda e se ne tornano zitti, zitti perché invasi dall'impressione avuta del mistero sentito,
presentito, sentito, e poi si dividono. Ognuno dei due va a casa sua. Non si salutano, non perché
non si salutino, ma si salutano in un altro modo, si salutano senza salutarsi perché sono pieni della
stessa cosa, sono una cosa sola loro due, tanto sono pieni della stessa cosa E Andrea entra in casa
sua e mette giù il mantello, e la moglie gli dice: “Ma, Andrea, che hai? Sei diverso, che ti è
successo?” Immaginate lui che scoppiasse in pianto abbracciandola, e lei che, sconvolta da questo,
continuasse a domandargli: “Ma che hai?”. E lui a stringere sua moglie, che non si è mai sentita
stretta così invita sua: era un altro. Era un altro! Era lui, ma era un altro. Se gli avessero
domandato: “Chi sei?”, avrebbe detto: “Capisco che son diventato un altro... dopo aver sentito
quell'individuo, quell'uomo, io sono diventato un altro”. Ragazzi, questo, senza troppe sottigliezze,
è accaduto.
Non solo è facile riconoscerlo, fu facile riconoscerlo nella sua eccezionalità - perché “se non credo
a quest'uomo non credo più neanche ai miei occhi” - ma fu facile anche comprendere che tipo di
moralità, cioè che tipo di rapporto da lui nascesse; perché la moralità è il rapporto con la realtà in
quanto creata dal mistero, è il rapporto giusto, ordinato con la realtà. Fu facile, fu a loro facile
comprendere quanto fosse facile il rapporto con lui, il seguirlo, l'esser coerenti con lui, l'esser
coerenti alla sua presenza - coerenti alla sua presenza.

C'è un'altra pagina di san Giovanni che dice queste cose in un modo spettacoloso: è nell'ultimo
capitolo di san Giovanni, il ventunesimo. Quella mattina la barca stava arrivando alla riva e non
avevano preso pesci. A qualche centinaio di metri dalla sponda si sono accorti di un uomo che era
li, diritto - aveva preparato un fuocherello, lo si vedeva da cento metri - e che interloquì con loro in
un certo modo che adesso non dettaglio. Giovanni disse per primo: “Ma è il Signore!”; e san Pietro
di botto si getta nel lago e in quattro bracciate arriva alla sponda: ed è il Signore. Intanto arrivano
gli altri e nessuno parla. Si mettono tutti in circolo, nessuno parla, tutti zitti, perché tuffi sapevano
che era il Signore risorto: era già morto, e si era già fatto vedere loro dopo che era risorto. Aveva
preparato del pesce arrosto per loro. Tutti si siedono, mangiano. Nel quasi totale silenzio che
gravava sulla spiaggia, Gesù, sdraiato, guardò al suo vicino, che era Simon Pietro: lo fissò, e
Pietro si senti, immaginiamoci come lo sentì, il peso di quello sguardo, perché si ricordava del
tradimento di poche settimane prima, e di tutto quel che aveva fatto - si era fatto chiamare
perfino Satana da Cristo; “Va' lontano da me Satana, scandalo per me, per il destino della mia
vita”. Si ricordava di tutti i suoi difetti, perché quando si sbaglia gravemente una volta viene in
mente anche tutto il resto, anche quello che è meno grave. Pietro si sentì come schiacciato sotto
il peso della sua incapacità, della sua incapacità ad essere uomo. E quell'uomo lì vicino apre la
bocca e gli dice: “Simone (immaginatevi come Simone dovesse tremare), mi ami tu?”. Ma, se voi
cercate di immedesimarvi in questa situazione, tremate adesso pensandoci, soltanto pensandoci,
pensando a questa scena così drammatica; drammatica, cioè così descrittiva dell'umano,
espositiva dell'umano, esaltatrice dell'umano, perché il dramma è ciò che esalta i fattori
dell'umano, è solo la tragedia che li annichila. Il nichilismo porta alla tragedia, questo incontro
porta nella vita il dramma, perché il dramma è il rapporto vissuto tra un io e un tu. Allora, come
un respiro, come un respiro rispose: la sua risposta fu appena accennata come un respiro. Non
osava, ma...: “Non so come, si, Signore, io ti amo; nonio so come, ma è così” (come disse il video
che alcuni di noi hanno visto poche settimane fa). “Sì, Signore. Non so come, non posso dirti
come, ma...”. Insomma, era facilissimo il trattenere, il vivere il rapporto con quell'uomo, bastava
aderire alla simpatia che faceva nascere, una simpatia profonda, simile a quella vertiginosa e
carnale del bambino con sua madre, che è simpatia nel senso intenso del termine. Bastava aderire
alla simpatia che taceva nascere Perché, dopo tutto quello che gli aveva fatto e il tradimento, si è
sentito dire: “Simone, mi ami tu?”. Per tre volte. E lui dubitò la terza volta, forse, che vi fosse un
dubbio nella domanda, e rispose più ampiamente: “Signore, Tu sai tutto, Tu lo sai che ti amo. La
mia simpatia umana è per te; la mia simpatia umana è per te, Gesù di Nazareth”.

Imparare da una eccezionalità è dentro una simpatia: questo è la logica della conoscenza e la
logica della moralità che la convivenza con quell'individuo rendeva necessarie, solo questo.
Imparare è una simpatia ultima. Come per il bambino con sua madre, che può sbagliare mille
volte al giorno, centomila volte al giorno, ma se Io portate via da sua madre, guai! Se potesse
capire le domande: “Ami questa donna?”, e rispondere, pensate che “sì” urlerebbe. Quanto più
ha sbagliato tanto più urlerebbe “sì”, per affermarlo. Sto parlando da uomo a uomini, che,
essendo giovani, hanno meno preconcetti; so no zeppi di preconcetti, infatti, ma dei grandi.
Qual è in fondo, allora, ciò che la moralità della simpatia verso di lui esige che tu operi, che tu
realizzi? Osservarlo, o quell'osservarlo attivo che si chiama seguire. Seguirlo. E infatti ritornarono
con lui il giorno dopo, lui ritornò con loro il terzo giorno, perché abitava in un paese vicino.
Incominciò ad andare a pesca con loro, e il pomeriggio andava a trovarli sulla spiaggia quando
rassettavano le reti. E quando lui ogni tanto incominciava ad andare nei paesi dell'interno,
passava da loro e diceva: “Venite con me?”, qualcheduno andava qualcheduno non andava,
poi finivano per andare tutti. Finivano per andare alcune ore, poi più ore, poi la giornata intera,
poi lui iniziava a stare fuori anche la notte, e lo seguivano, dimenticavano la loro casa...
Non dimenticavano la loro casa! C'era qualcosa di più grande che la loro casa, c era qualcosa da
cui la loro casa nasceva, dà cui il loro amore alla donna nasceva, che poteva salvare l'amore con
cui guardavano i figli e li vedevano con preoccupazione diventar grandi, c'era qualcosa che salvava
tuffo questo più che le loro poverissime forze e la loro piccolissima immaginazione. Cosa potevano
fare loro? Di fronte alle annate brutte di carestia, o di fronte ai pericoli cui i figli andavano
incontro? Gli andarono dietro! Tutti i giorni sentivano quel che diceva, tutta la gente era lì con la
bocca aperta, e loro con la bocca più aperta ancora. Non ci si stancava di sentirlo.

Poi era buono. “Prese un bambino, se lo strinse al grembo e disse: "Guai a colui che torce un
capello al più piccolo di questi bambini non parlava del non far del male fisico al bambino, che fino
a un certo punto si ha un po' più di ritegno a fare - adesso no, e non è l'ultimo segno triste dei
tempi -, ma parlava dello scandalo al bambino che, nessuno ci pensa, è fargli del male. Era buono.
Quando vide quel funerale si informò subito:
“Chi è?”. “E un adolescente, a cui è morto il padre poco tempo fa”. E sua madre stava gridando e
gridando e gridando dietro al feretro, non come si usava allora, ma come usa nella natura del
cuore di una sulla natura che la natura era come problema di Cristo. Questa domanda, che
liberamente si esprime. Fece un passo verso di lei e le disse: “Donna, non piangere!”.

Ma c'è qualcosa di più ingiusto che dire a una donna cui il figlio è morto, sola: “Donna, non
piangere”? Ed era invece il segno di una compassione, di un'affezione, di una partecipazione al
dolore sterminata. Disse al figlio: “Alzati!”. E le restituì il figlio. Ma non poteva restituirle il figlio
senza dir niente: sarebbe rimasto nella sua gravità di profeta e taumaturgo, di uomo dei miracoli.
“Donna, non piangere, disse. E le restituì il figlio. Ma disse prima: “Donna, non piangere”.
Immaginatevi per un anno, due, sentirlo tutti i giorni così, sentirlo
al suo servizio. E quella sera andò in barca con loro, e fecero notte. A un certo punto s'alza un
vento impetuoso, una tempesta terribile si scatena improvvisamente sul lago di Genezaret, e
stavano per colare a picco. La barca era piena d'acqua, lui dormiva, era talmente stanco che
non sentiva neanche la tempesta e dormiva a poppa. Uno di loro dice: “Maestro, svegliati,
svegliati, andiamo a picco!>'. E lui alzò il capo, stese la mano e “comandò al vento e al
mare e si fece d'improvviso una gran bonaccia”. Quegli uomini - finisce il Vangelo -quegli
uomini, impauriti, dicevano tra loro: “Chi è mai costui?”. Questa domanda inizia nella storia del
mondo, fino alla fine del mondo, il problema di Cristo. Questa domanda -–precisa - all'ottavo
capitolo del Vangelo di san Luca. Era gente che lo conosceva benissimo, che conosceva la famiglia,
lo conoscevano come le loro tasche, gli andavano dietro, avevano abbandonato casa loro! Ma era
così sproporzionato il modo d'agire di quell'uomo, così inconcepibile, cosi sovrano, che venne
spontaneo ai suoi amici dire: “Chi è costui?”. Cosa c'è dietro? Non c'è niente che l'uomo desideri
più di questa "incomprensibilità". Non c'è niente che l'uomo desideri più ardentemente, sia pur
timorosamente, senza accorgersi, di questa presenza inspiegabile. Perché è questo, Dio.
Questo è il segno e il raccordo col mistero. Infatti, è la stessa domanda che gli fecero i suoi
nemici alla fine, prima di ammazzarlo. Poche settimane prima di ammazzarlo, discutendo con lui,
gli dissero: Avevano l'anagrafe1 era uno che avevano segnato all'anagrafe, trentatré anni prima.
Di nessun uomo al mondo noi possiamo dire: “Chi è mai costui che fa così?”, costretti dallo
stupore e dalla sproporzione tra l'immaginazione del possibile e il reale che uno ha davanti.
Si capisce allora come quella volta che lui sfamò più di cinquemila uomini, senza contare le
donne e i bambini - li sfamò misteriosamente - poi scomparve, perché loro volevano farlo re.
Hanno detto, toccati nell'economia: “Questo è veramente il Messia che deve venire!”',
ritornando d'improvviso alla mentalità comune che avevano sempre vissuto, che avevano tuffi -
com'era insegnato dai loro capi, il Messia sarebbe dovuto essere un potente uomo che avrebbe
dovuto dare a Israele, al loro popolo, la supremazia sul mondo. Sfuggi a loro, e molti di loro
intuirono che fosse andato a Cafarnao. Allora fecero il periplo del lago per andare a riprenderlo,
sul far della sera del sabato. Andarono alla sinagoga, perché il posto dove potevano trovarlo era
la sinagoga: lui, infatti, per parlare prendeva sempre lo spunto dal brano biblico che era proposto
al popolo in quel giorno, dal rotolo che l'inserviente sceglieva. E infatti era là nella sinagoga che
parlava, e stava dicendo che i loro padri avevano mangiato la manna, ma lui dava da mangiare
qualcosa di molto più grande, la sua parola: la sua parola è verità. La verità dava loro da
mangiare, la verità dava loro da bere, il vero sulla vita e sul mondo. S'apre la porta in fondo,
entra dentro questo gruppo che lo cercava, che lo aveva inseguito, diciamo. Lo cercavano.
Lo cercavano per un motivo sbagliato, perché lo volevano fare re, non perché erano colpiti dal
segno che lui era, dal mistero della sua persona, che la potenza dei suoi gesti assicurava, ma
perché avevano un interesse, cercavano in lui un interesse materiale. Il motivo era sbagliato,
però lo cercavano. Lo cercavano. Era nato perché tutto il mondo lo cercasse. Si commosse e
d'improvviso a lui - che, uomo come noi, come a noi le idee venivano dalle circostanze - venne
in mente un'idea fantastica. Cambiò senso a quel che diceva ed esclamò: “Non la mia parola vi
darò, ma il mio corpo vi darò da mangiare, il mio sangue da bere!”. Lo spunto, finalmente i
politici e i giornalisti e i "televisivi" di allora, ebbero lo spunto: “E pazzo, chi può dar da
mangiare la sua carne?”. Quando diceva una cosa che a lui premeva, ma la gente non capiva
e si scandalizzava per quello che diceva, lui non spiega-va, ma ripeteva, ripeteva: “Vi dico, in
verità, chi non mangia la mia carne non può entrare a capire la realtà, non può entrare nel
regno dell’essere a capire la realtà, non può entrare nelle viscere delta realtà, perché il vero è
questo”. Se ne andarono tutti: “E pazzo, è pazzo, dicevano”, durus est hic sermo, “ha un modo
di parlare strambo”. Finché nella penombra della sera rimase lui coi soliti dodici. Anche loro in
silenzio con la testa bassa. Immaginatevi la scena nella non grande sinagoga di Cafarnao, è
come un'aula scolastica nostra di 30-40 posti. “Anche voi volete andarvene? Non ritiro quel che
ho detto: anche voi volete andarvene?”. E Simon Pietro, testardo, Pietro: “Maestro, anche noi
non comprendiamo quel che dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu hai parole che
danno senso al vive re”9. (Kafka: “Esiste un punto d'arrivo, ma nessuna via”). Quell'uomo era
la via. “Se andiamo via da te, dove andiamo? Quale sarà la strada, quale può essere la strada?
La strada sei Tu!”.

Quei due, Giovanni e Andrea e quei dodici, Simone e gli altri, lo dissero alle loro mogli e alcune
di quelle mogli andarono con loro; a un certo punto molte andarono con loro e lo seguirono:
abbandonavano le loro case e andavano con loro. Ma lo dissero anche ad altri amici, i quali non
abbandonavano necessariamente anche loro le case, però partecipavano alla loro simpatia,
partecipavano alla loro posizione positiva di stupore e di fede in quell'uomo. E gli amici lo dissero
ad altri amici, e poi ad altri amici, poi ad altri amici ancora. Così passò il primo secolo, e questi
amici invasero con la loro fede il secondo secolo e intanto invadevano anche il mondo geografico.
Giunsero fino in Spagna alla fine del primo secolo e fino all'india nel secondo secolo. E poi questi
del secondo secolo lo dissero ad altri che vissero dopo di loro, e questi ad altri dopo di loro, come
un gran flusso che si ingrossava, come un gran fiume che si ingrossava, e giunsero a dirlo a mia
madre - a mia mamma. E mia mamma lo disse a me che ero piccolo, e io dico: “Maestro, anch'io
non capisco quel che dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu solo hai parole che
corrispondono al cuore”. Che è la legge della ragione: la legge della ragione è il paragone col cuore.
I criteri della ragione sono le esigenze della mia natura, del cuore. Mi hanno detto di una nostra
amica che leggendo un nostro testo, lei non è cattolica, ha osservato: 
Andate a leggere su Tracce una terza testimonianza. Sei nostri amici sono nella grande Siberia a
Novosibirsk. Da tre anni sono là e hanno un certo gruppo di amici che si sono fatti battezzare..
Uno di loro ha raccontato cosa è avvenuto nella sua vita. E un ragazzetto di 17 anni.
 “Ho incontrato il Movimento subito dopo il mio incontro con la Chiesa cattolica. Allora non
conoscevo praticamente nulla della vita cristiana e capivo anche meno. Ho incontrato una
compagnia di gente abbastanza giovane, dove c'erano soprattutto studenti e alcuni italiani che
parlavano poco o niente il russo. Li sentivo parlare della vita, del lavoro; parlavano della loro
esperienza cristiana, del loro primo incontro con Cristo; cantavano anche e si divertivano.
Poi si andava insieme a Messa, a volte alla recita del Vespero. Ebbi l'impressione di buoni amici,
ma, veramente, c'era qualcosa di strano per me: perché questi stranieri erano venuti così da
lontano, ma perché? Venuti fin qui dove è così freddo e la vita non è così confortevole come
da loro? E poi gente così giovane, diversi l'uno dall'altro, eppure cosi amici, e poi perché
insieme? Probabilmente proprio in questo, e anche in questo, consiste la grazia del primo incontro,
quando tu intuitivamente, sentì proprio ciò di cui hai bisogno nella vita, senti qualcosa di
corrispondente, di buono che risveglia in te curiosità e desiderio, così che ogni volta rivivi il primo
 incontro senza riconoscere fino in fondo perché. E in effetti solo dopo ho cominciato a intuire e a
capire che in questa compagnia è presente Qualcuno, di fronte a cui tutti si inchinano e che mette
insieme gente che a prima vista non potrebbe mai stare insieme. lo penso che per me questo è
stato una sorta di momento straordinario", quando ho riconosciuto la presenza di Cristo, l'ho
scoperto in quella compagnia. Ho riconosciuto che sono amato [come Andrea], molto amato da
Gesù, proprio attraverso questa gente che Lui stesso mi ha posto a fianco e che mi accompagna.
 E già tre anni che sono nel movimento di CI e questo mi aiuta. Posso dire che adesso provo il
gusto della vita e questo mi sembra proprio molto importante [il contrario di quanto domina oggi:
la perdita del gusto della vita come sintomo del macabro della cultura presente]. Infatti1 gli aspetti
della vita sono diversi: lavoro, riposo, studio, vacanze, e vedere il senso in tutti gli aspetti della vita,
riconoscere che Dio è diventato avvenimento nella nostra vita: questo è proprio il cristianesimo.
Nulla accade a caso, nulla accade semplicemente così e ogni momento della storia può
testimoniare la presenza di Cristo qui ed ora. Ho molti amici, incontro tanta gente e provo
sempre un grande dispiacere per il fatto che ancora non hanno provato la grazia del primo
incontro che permette di cogliere la Sua presenza e costringe a seguirla. Vorrei comunicare a
tutti quelli che incontro il desiderio di provare il gusto di questa vita [gusto: gusto è un termine
così naturale, così carnale e così divino, è la felicità eterna, il gusto eterno, è lo scopo del vivere].
Certo, la mia esperienza è ancora piccola, ma domando che in tutti gli aspetti della vita io possa
testimoniare Cristo, presente qui ed ora. Josif”.

E infatti, come per Josif, la più grande sorpresa per me cristiano è sperimentare ora, è trovare la
corrispondenza col cuore che Egli è, ora. Perché quando il giornalista accostò la suora di Madre
Teresa di Calcutta in India e le fece qualche domanda, tra l'altro lei disse - una suora giovanissima,
non ancora ventenne: “Ricordo di aver raccolto un uomo dalla strada e di averlo portato nella
nostra casa”. “E cosa disse quell'uomo?”. “Non biascicò, non bestemmiò, disse soltanto: “Ho
vissuto sulla strada come un animale e sto per morire come un angelo, amato e curato. Sorella,
sto per tornare alla casa di Dio" e mori. Non ho mai visto un sorriso come quello sulla faccia di
quest'uomo”. Il giornalista replicò: “Perché anche nei più grandi sacrifici sembra che non ci sia
sforzo in voi, che non ci sia fatica?”. Allora intervenne Madre Teresa: “E Gesù quello a cui
facciamo tutto. Noi amiamo e riconosciamo Gesù, Oggi”4. Oggi: ieri non c'è più. Quel che c'era
ieri o è oggi o non c'è più.

Mi spiace non poterla leggere tutta, perché è troppo lunga, ma su Tracce troverete anche questa
lettera di Gloria, la nostra amica, giovane insegnante, che è andata con Rose in Africa, a Kampala,
e che scrive: “Niente qui mi è immediato [niente mi è confacente, niente mi è facile]. E in certi
momenti ho provato come una impossibilità a star di fronte alla gente ammalata, sporca, senza
il minimo di condizioni igienico sanitarie. [Ma chi le fa fare così? lì ricordo di duemila anni fa?
Qualcosa ora. Una presenza che è ora]. Una mattina mentre salutavo Rose lei mi ha detto:
 'Prega la Madonna perché oggi non ti abbia a spaventare a vedere come Cristo ti si presenterà".

Con queste parole nel cuore sono andata con Claudia al carcere minorile. Tutto mi faceva
ribrezzo: l'odore, la sporcizia, la scabbia, i pidocchi. E in quel momento capivo che la mia
domanda coincideva con la posizione della mia persona”15. Lei, curva sull'ammalato, o sul
bambino prigioniero, lei cosi curva, in quella posizione: la sua domanda,,< la domanda di essere,
che è la domanda del cuore dell'uomo - perché anche se uno non ci pensa grida questo, la
domanda di essere, la domanda di essere felice, la domanda del vero, la domanda del bene,
del buono, del giusto, del bello -' questa domanda era la sua posizione, la domanda coincideva
con la posizione stessa che assumeva.

Ma la notizia più grande di questi tempi, forse la più grande di tutta la nostra storia, è quella che
è accaduta a Brasilia. Vi prego di andare a leggere su Tracce la storia dell' uccisione di Edimar.
Ragazzetto tra i più delinquenti di Brasilia, più volte assassino, perché la sua banda è una banda
di assassini. Nella sua classe all'inizio dell'anno va una insegnante dei Memores Domini, libanese,
attualmente in Brasile. Parla il nostro linguaggio. E sconvolto Edimàr, vuole avere anche lui gli
occhi pieni di azzurro come i suoi e non scuri, scuri, neri, sporchi, come li ha lui. Si ripromette di
cambiare. Il capo della banda capisce che c'è qualche cosa che non va, subito lo mette alla prova,
gli intima di andare ad ammazzare una persona. Edimar dice: “lo non ammazzo più nessuno”.
 E lui: “Io ammazzo te, allora>': lo ammazzò. E il secondo martire della nostra storia.

Ma qual è la formula sintetica di tutta la figura di Cristo per se stessa, come uomo, registrato
all'amministrazione di Betlemme, e presente ora a sollecitare e a esigere la vita e il cuore di
ognuno di noi perché attraverso noi il mondo intero lo riconosca, perché sia più felice il mondo,
perché tutta la gente del mondo sia più felice, sappia il perché", possa morire come Andrea?
La formula sintetica che descrive tutta la dinamica di Gesù è che è stato “mandato” dal Padre.
Perché Gesù, essendo Dio, Verbo di Dio, l'espressione di Dio, perciò l'origine del mondo, è
diventato uomo? Perché è entrato nelle viscere di una ragazza di 15 anni, e stato generato
dentro queste viscere, è nato bambino, è diventato giovane, adolescente, uomo, uomo
trentenne, parlava come l'abbiamo sentito parlare, colpisce Andrea, colpisce i nostri amici di
Villa Turro (i malati di Aids di cui nostri amici si prendono cura, colpisce Edimàr? Perché è
diventato uomo e agisce nella storia così, diventa presente nella storia in questo modo?
Per eseguire il disegno di un Altro. Lui usa, Lui stesso usa l'estrema parola per indicare l'origine
di tutto e da cui quindi la vita nasce: il Padre, La vita sua si definisce come chiamata dal Padre
a svolgere una missione: la vita è vocazione.

Questa è la definizione cristiana di vita: la vita è vocazione. E vocazione è compiere una missione,
svolgere un compito, che Dio determina per ognuno attraverso le circostanze banali, quotidiane,
di istante in istante, che Egli permette noi abbiamo ad attraversare. Per questo Cristo è l'ideale
della nostra vita, in quanto essa è tentativo di risposta, desiderio di rispondere alla chiamata di
Dio; vocazione, chiamata di Dio, disegno che il Mistero ha su di me, perché io in questo istante,
se son sincero, pensoso, capisco: non c e niente di così evidente, neanche tu che sei a due metri
da me, niente è così evidente come il fatto che in questo istante non mi faccio da me, non mi do
i capelli, non mi do gli occhi, non mi do il naso, non mi do i denti, non mi do il cuore, non mi do
l'anima, non mi do i pensieri, non mi do i sentimenti, tutto mi è dato: perché compia il Suo
disegno, un disegno che non è il mio, attraverso tutte le cose, attraverso lo scrivere, attraverso
il parlare, attraverso l'Angelus, come diceva Andrea, attraverso tuffo, tutto. “Sia che mangiate
sia che beviate”, dice san Paolo, facendo il paragone più banale che si possa pensare; “sia che
vegliate sia che dormiate”; “sia che viviate sia che moriate” - dirà ancora in altri passi - tutto è
gloria di Cristo, cioè disegno di Dio. Cristo è l'ideale della vita. Colui che Giovanni e Andrea
sentivano era l'ideale della vita. Per questo il loro cuore sussultò, per questo andarono a casa
in silenzio, per questo quella sera Andrea strinse sua moglie come non l'aveva mai stretta,
senza saper dire nulla.

Avevano incontrato l'ideale della vita. Non potevano esprimersi subito così, poveretti.
L'hanno detto pochi anni dopo. Da allora sono andati in tutto il mondo a dirlo: Cristo è l'ideale
della vita.

Cosa vuol dire che Cristo è l'ideale della vita? E l'ideale per il modo con cui trattiamo tutta la
natura; è l'ideale per il modo con cui viviamo l'affetto, con cui perciò concepiamo, guardiamo,
sentiamo, trattiamo, viviamo il rapporto con la donna e con l'uomo, con i genitori e con i figli;
è l'ideale con cui noi ci rivolgiamo agli altri e viviamo i rapporti con gli altri, cioè con la società,
come insieme e compagnia di uomini. Qual è la caratteristica che questo ideale infonde nei modi
che abbiamo di trattarci gli unì gli altri, di trattare tutto, dalla natura - intendo indicare con
questa parola tutto ciò che c'è, perché posso trattar male, ingiustamente, questo microfono,
come ho fatto prima senza accorgermi -, fino al padre e alla madre? La caratteristica è in due
parole che hanno la stessa radice, ma sono l'una il principio e l'altra la fine della traiettoria
dell'azione: la prima si chiama gratitudine. Perché? Per quel che ho detto prima, che niente
c'è di più evidente in questo momento, per me e per te, che non ti fai da te, che tutto ti è
dato, c'è un Altro in te che è più te dite stesso, tu sorgi da una sorgente che non sei tu: questa
sorgente è il mistero dell'essere. Cosi, analogamente, capisci che tutte le cose sono fatte da un
Altro. Tu, come uomo, sei la coscienza della natura: l'io è il livello in cui la natura prende
coscienza di se stessa. Come io prendo coscienza che non mi faccio da me, cosi tutta la natura
 non si fa da sé, è data: dato, dono. Perciò, grato: la gratitudine come fondamenta di ogni
azione, di ogni atteggiamento, come premessa. Che cosa insinua in tutte le azioni questa
gratitudine? Insinua un aspetto, una sfumatura, un'aura di gratuità; gratuità pura, quella
di cui parlava. come tante volte abbiamo ricordato, Ada Negri in una sua impareggiabile
 poesia, che esprime questo in un modo che io non so dire meglio: “Ami, e non pensi essere
amata: ad ogni I fiore che sboccia o frutto che rosseggia I o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore”. Ami, ti piace il fiore non perché lo annusi, ma perché c'è,
guardi il frutto che rosseggia non perché lo addenti ma perché c'è. Guardi al bambino non
perché è tuo, ma perché c’è.

Questa è purità assoluta. Per favore, fate uno sforzo per immedesimarvi con questa assolutezza
di purità. Una sfumatura di questa purità, di questa gratuità entra dentro di noi anche senza che
noi ce ne accorgiamo, quasi naturalmente entra dentro ogni nostra azione. Ché se qualsiasi mio
atteggiamento verso dite non ha dentro questa gratuità, una sfumatura di questa gratuità, è
brutto, è un rapporto caduto, caduco e caduto, è un rapporto all'inizio del suo crollo, del suo
disfarsi. È solo questa purità di gratuità che non disfa più, che non fa disfar più niente, che
mantiene tutte le cose che erano del passato, nate nel passato, le mantiene nel presente; così
che il soggetto mio nel presente si arricchisce di tuffo ciò che ha fatto ieri e l'altro ieri, e nulla
è inutile, come diceva Andrea due giorni prima di morire.

Per questo l'esito del seguire Gesù come ideale della vita, della vita come vocazione, l'esito -
come il Vangelo dice - è il centuplo: le cose diventano più potenti, diventa più potente il mio
rapporto con te, è come se fossimo nati insieme, non ti conoscevo, fino a pochi anni fa non ti
conoscevo, e non ho nessun tipo di interesse, nel senso di controvalore, di tornaconto,
nessuno, non è per un tornaconto che siamo insieme; e con te mi trovo benissimo,
nonostante quello che pensi, ma non lo faccio per questo l'amico tuo. Per cui è una ricchezza
più potente in tutti i rapporti, nel modo di guardare il fiore, nel modo di guardare le stelle, nel
modo di guardare le piante, le foglie, nel modo di sopportare me stesso, che impudentemente
pretendo da voi che stiate qui ancora cinque minuti, in tutti i modi, nel modo in cui penso alle
mie colpe di ieri, dell'altro ieri: “Signore perdonami, perdona a me, peccatore”, ma dire così
non mi delude, non mi deprime, mi rende più vero, se non dicessi cosi sarei meno vero, perché
lo sono, peccatore.

Da questa ricchezza deriva una capacità di fecondità che nessuno ha; di fecondità, cioè di
comunicazione della propria natura, della propria ricchezza, della propria intelligenza, della
propria volontà, del proprio cuore, del proprio tempo, della propria vita. E dire: “Ci lascerei la
pelle per ognuno di voi”; ognuno di noi per ognuno degli altri lo direbbe, lo dice. Se non lo dice
è perché non ci ha mai pensato, se non ci ha mai pensato è perché non ha mai pensato
accorgendosi della presenza di Cristo. Se parte da questo, lo dice: “Darei anche la, pelle” -
Gesù aiutami però, eh! -. E una fecondità nel lavoro, una passione per il lavoro che non è per
tornaconti o per gusti o per particolari incidenze sull'esito della mia presenza nella società; è
amore al lavoro come perfezione di azione, comunque riesca. E una fecondità che è amore a
dare quel che sono, a darti me stesso, vale a dire a dare se stessi ai figli. Amore a tutto ciò che
entra ed entrerà in rapporto con i figli, amore agli altri che sono figli, anche loro sono figli, a
tutti gli uomini: al popolo. Una fecondità sul lavoro, una fecondità di fronte ai figli, una fecondità
nella vita del popolo. Insomma, l'ideale della vita diventa il bene degli altri, il bene per gli altri:
il bene per gli altri, il bene vostro, il bene mio. Questo è lo scopo per cui Dio ha fatto il mondo:
il bene di tutto, il bene. lì contrario del libro di Bobbio, un libro sul male, serio e commovente,
credo commovente da alcune pagine, però il disegno di un padre è il bene del figlio. L'ideale
della vita diventa il bene. Ora vi prego distare attenti a questi ultimi cinque minuti, perché
quello che sto per dire è la cosa più acuta dì tutto quello che abbiamo detto oggi, è la
conseguenza più acuta del tema di oggi. C'è una forma di vocazione che decide per una
strada inopinata e inopinabile, impensata e impensabile nella mente di chiunque, e che si
chiama, scusate se lo dico subito, verginità. E una forma di vocazione che trapassa, come la
luce trapassa il vetro (la parola "trapassa" è un po' insostituibile), è una forma di vocazione
che trapassa le urgenze più naturali, così come si presentano all'esperienza di tutti. Quelli che
fanno questa strada hanno le urgenze naturali che hanno tuffi: questa forma di vocazione
trapassa le urgenze più naturali così come si presentano all'esperienza realizzandole
paradossalmente secondo un potenziamento nuovo.

In loro, con questa vita, con questa forma di vocazione, il lavoro diventa obbedienza.
Perché ognuno va al lavoro per tanti motivi, in cui c'è anche quella sfumatura che si chiama
gratuità: ma qui il lavoro diventa tutto gratuità, tende a diventare totalmente gratuità.
Perché vai nel tuo studio di avvocato, perché vai nella tua classe di insegnante? lì 27 del mese,
 o la carriera, o il fatto che bisogna pur lavorare, realmente, nel tempo che passa, vengono
meno, sussiste soltanto la volontà del bene per gli altri: che si attui la volontà di Dio. Cioè il
lavoro diventa obbedienza. Cos'è l'obbedienza? L'obbedienza è fare una azione per affermare
un Altro. Cos'è l'azione? L'azione è il fenomeno per cui l'io si afferma, afferma se stesso,
realizza se stesso. Per realizzare me stesso, l'azione che faccio non la faccio per me stesso, ma
per un Altro: questa è l'obbedienza. La legge dell'azione è un Altro, è affermare un Altro, è
amore al Verbo, è amore a Cristo. lì lavoro è amore a Cristo.

Se il lavoro diventa obbedienza, l'amore alla donna o all'uomo si esalta. Un uomo che si esalti
nel senso fisico del termine è un uomo che si erge in tutta la dirittura, in tutta l'altezza della sua
persona. L'amore alla donna si esalta come segno della perfezione, dell'attrattiva per cui l'uomo
è fatto. E quello che intuì Leopardi. Vi fu un punto della sua vita, da cui poi decadde, in cui intuì
che la faccia della donna era un segno: aveva amato tante donne, ma in quel momento intuì che
non era quella faccia o quell'altra, ma un'altra faccia, con la "F" maiuscola, era una donna con
la "D" maiuscola, a cui fece quell' inno bellissimo, che cercava. L'amore alla donna si esalta
come segno di perfezione e di attrattiva del bello, del buono, del vero e del giusto, che è Cristo,
perché la perfezione, la sorgente dell'attrattiva, la sorgente del bello, del bene, del vero e del
giusto è il Verbo di Dio. Quello che traluce, come diceva Leopardi nell'inno Alla sua donna, in
un panorama della natura, o nella bellezza di un sogno, o nella bellezza di un viso, è il divino
che sta a sorgente di ogni cosa: nel volto dell'altro - dell'altro per eccellenza per l'uomo che è
la donna, e viceversa - traluce; traluce in modo ineffabile, che non si riesce a dire. Chi è
riuscito meglio a dirlo, secondo me, è stato Leopardi, che non l'ha detto, ma era lì li per dirlo.
Scusate, perché non vi sembrino astratte queste cose, vi leggo una lettera che alla propria
fidanzata ha mandato il suo ex-fidanzato. Erano stati insieme per tre anni. Dopo tre anni lei
intuì che la sua vocazione era quella alla verginità e gli disse che avrebbe frequentato un
periodo di verifica. L'ex-moroso le scrive cosi: “Carissima, voglio imprigionare solo poche
parole, poiché tutto è già racchiuso nei nostri cuori per sempre Memores Domini, che mi
hai cioè voluto più bene cosi che l'avermi sposato. Ti ringrazio di questa tua attesa e prego
la Madonna perché ci siano sempre attorno a te volti di speranza come hai adesso, per
proteggerti e amarti in ogni tuo passo. Ti ho regalato un'icona di Cristo, segno della Sua
incarnazione è un concetto che l'ortodossia ha ben chiaro] affinché ti conforti sempre la Sua
presenza e perché ti ricordi di pregare per me, per il compito ora affidatomi di amare Elisabetta,
per i miei familiari e i nostri amici, ma soprattutto affinché non abbandoni quell'abbraccio di Spirito
Santo che è il Movimento e la sua misteriosa sentinella.

Lui ha capito. Avete capito che ha capito? Il lavoro diventa obbedienza, l'amore alla donna
diventa segno supremo di perfezione dell'attrattiva che essa esercita su di noi, della felicità
che ci aspetta; e il popolo, invece che soggetto di una storia umana piena di litigi e di lotte,
diventa la storia di gente, di un flusso, di un fiume di coscienze che lentamente si illuminano
cedendo almeno nella morte alla gloria di Cristo.

Si chiama carità, questi cambiamenti si chiamano carità. Il lavoro che diventa obbedienza si
chiama carità. L'amore alla donna che diventa segno della perfezione finale, della bellezza finale,
si chiama carità. E il popolo che diventa storia di Cristo, regno di Cristo, gloria di Cristo, è carità.
Perché la carità è guardare la presenza, ogni presenza, colti nell'animo dalla passione per Cristo,
dalla tenerezza per Cristo. Ci sono una letizia e una gioia che sono possibili solo a queste
condizioni. Letizia e gioia sono due parole da strappare dal vocabolario umano altrimenti, perché
non esiste possibilità di letizia e di gioia, altrimenti: esiste la contentezza, la soddisfazione, tutto
quello che volete, ma la letizia non esiste, perché la letizia esige la gratuità assoluta che è
possibile solo con la presenza del divino, con l'anticipo della felicità, e la gioia ne è l'esplosione
momentanea, quando Dio vuole, per sorreggere il cuore di una persona odi un popolo in
momenti educativamente significativi.

Però, scusate, che il lavoro diventi obbedienza, che l'amore alla donna diventi segno, come ha
intuito Leopardi, che il popolo non sia un groviglio di facce, ma il regno di Cristo che avanza,
questa carità è la legge di tutti, non dei vergini. E la legge di tutti, si, è la legge di tutti.
La verginità è la forma visibile di vita che richiama a tutti lo stesso ideale di tutti, per tutti,
che è Cristo, ciò per cui solo vale la pena vivere e morire, lavorare, amare la donna, educare
i figli, reggere e aiutare un popolo. E per tutti, ma alcuni sono chiamati al sacrificio della
verginità proprio perché siano, tra tutti, presenti a richiamare questo ideale che è per tutti.
Avreste dovuto studiare nel terzo volume (Il tomo della Scuola di Comunità, se ci siete arrivati,
il concetto di miracolo. lì miracolo è un avvenimento - come si definisce lì - che inesorabilmente
rimanda a Dio, un fenomeno che per forza ti fa pensare a Dio. Il miracolo dei miracoli, più che
tutti i miracoli di Lourdes, più che tutti i miracoli di qualsiasi santuario del mondo, il miracolo
dei miracoli, vale a dire il fenomeno che inesorabilmente ti obbliga a pensare a Gesù, è una
bella ragazza di vent'anni che abbraccia la verginità.

La Chiesa è il luogo di questa strada e di tutti gli influssi operativi, fecondi, fiorenti, sulla gente
che cammina insieme, nella compagnia che Dio crea, in cui tutte le strade sono insieme.
La Chiesa è il luogo in cui tutta questa gente s'arricchisce, si dona e si arricchisce del dono altrui.
 La Chiesa è proprio un luogo commovente di umanità, è il luogo della umanità, dove l'umanità
cresce, si incrementa, espungendo continuamente ciò che di spurio vi entra, perché siamo
uomini; ma essa è umana, perciò gli uomini sono umani quando espungono lo spurio e
amano il puro. E una cosa veramente commovente la Chiesa.

La lotta col nichilismo, contro il nichilismo, è questa commozione vissuta.


 Agli Esercizi della Fraternotà di CL del 24,25 e 26 aprile  ci è stata fatta una enorme sorpresa: 
la lezione, con video, di Giussani, agli Esercizi del 1994. 

Vi facciamo partecipi della nostra gioia trascrivendo la testimonianza di Andrea che Giussani ha letto:
<
sentita parlare. Anzi, a dire il vero posso dire che la conosco in quanto, se ho capito qualcosa del 
Senso Religioso1 e di quello che mi dice Ziba, la conosco per fede e, aggiungo io, ora grazie alla fede. 
Le scrivo solamente per dirle grazie; grazie del fatto di avere dato un senso a questa mia arida vita. 
Sono un compagno delle superiori di Ziba con il quale ho sempre tenuto un rapporto di amicizia in
 quanto, pur non condividendo la sua posizione, mi ha sempre colpito la sua umanità e la sua 
disponibilità disinteressata. Di questa travagliata vita penso di essere arrivato al capolinea portato dal 
quel treno che si chiama Aids e che non lascia tregua a nessuno. Adesso dire questa cosa non mi fa 
più paura. Ziba mi diceva sempre che l’importante nella vita è avere un interesse vero e seguirlo. 
Questo interesse io l’ho inseguito tante volte, ma non era mai quello vero.Ora quello vero l’ho visto, 
lo vedo, l’ho incontrato e incomincio a conoscerlo e a chiamarlo per nome: si chiama Cristo. Non so 
neanche cosa vuol dire e come posso dire queste cose, ma quando vedo il volto del mio amico o leggo 
Il senso religioso che mi sta accompagnando e penso a lei o alle cose che di lei mi racconta Ziba, tutto 
mi sembra più chiaro, tutto, anche il mio male e il mio dolore.
La mia vita ornai appiattita e resa sterile, resa come una pietra liscia dove tutto scorre via come l’acqua, 
ha un sussulto di senso e significato che spazza via i pensieri cattivi e i dolori, anzi li abbraccia e rende 
veri rendendo il mio corpo – larvoso e putrido – segno della Sua presenza. Grazie don Giussani, grazie 
poiché mi ha comunicato questa fede o, come lei lo chiama, questo avvenimento.
Adesso mi sento in pace, libero e in pace.
Quando Ziba recitava l’Angelus davanti a me che gli bestemmiavo in faccia, lo odiavo e gli dicevo 

che era un codardo, perché l’unica cosa che sapeva fare era dire quelle stupide preghiere davanti a me. 
Ora, quando balbettando tento di dirlo con lui, capisco che il codardo ero io, perché non vedevo neppure a 
un palmo dal naso la verità che mi stava di fronte.
Grazie don Giussani, è l’unica cosa che un uomo come me può dirle.
Grazie, perché nelle lacrime posso dire che morire così ora ha un senso, non perché sia più bello –

 ho una grande paura di morire -, ma perché ora so che c’è qualcuno che mi vuole bene e anch’io 
forse mi posso salvare e posso anch’io pregare affinché i compagni di letto incontrino e vedano come 
io ho visto e incontrato. Così mi sento utile, pensi, solamente usando la voce mi sento utile; con l’unica 
cosa che ancora riesco ad usare bene io posso essere utile; io che ho buttato via la vita posso fare 
del bene solamente dicendo l’Angelus. 
È impressionante, ma anche se fosse un’illusione questa cosa è troppo umana e 
ragionevole, come lei dice nel Senso religioso, per non essere vera.
Ziba mi ha attaccato sul letto la frase di san Tommaso: «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che 

principalmente la sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione». Penso che la mia più 
grande soddisfazione sia quella di averla conosciuta scrivendole questa lettera, ma la più grande 
ancora è quella che nella misericordia di Dio, se Lui vorrà, la conoscerò là dove tutto sarà nuovo, 
buono e vero. Nuovo, buono e vero come l’amicizia che lei ha portato nella vita di molte persone e 
della quale posso dire: «Anch’io c’ero», anch’io in questa zozza vita ho visto e partecipato di questo 
avvenimento nuovo, buono e vero.
Preghi per me; io continuerò a sentirmi utile per il tempo che mi rimane pregando per lei e il movimento.
La abbraccio.>>
Andrea, Milano
(Andrea è morto due giorni dopo aver scritto questa lettera)