sabato 31 maggio 2014

Aforisma di sabato 31 maggio 2014

Kaliméra di Yuval Noah ( docente di storia università ebraica di Gerusalemme ): "Dio, la giustizia, la libertà, i diritti umani, la moneta, non hanno fisicità, ma ciò non toglie che quando crediamo in questi concetti   li trasformiamo in fatti reali”.
Havete!

Don Carlo
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“La Santissima Trinità ha donato all’umanità Maria, la Vergine Madre, affinché Ella, con la sua intercessione, ci guidi attraverso i tempi e ci indichi il cammino verso il compimento.”
Benedetto XVI 

venerdì 30 maggio 2014

Aforisma di venerdì 30 maggio 2014

Kaliméra da un detto americano:  "Il fatto di avere il migliore dei martelli non significa che tutti i problemi siano i chiodi”.
Havete!

Don Carlo
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“Senza ossigeno non puoi accendere fuochi.
Senza ottimismo non puoi accendere cuori.”
Antonio Gaspari

giovedì 29 maggio 2014

Aforisma di giovedì 29 maggio 2014

Kaliméra di Oscar Wilde: "Con un abito da sera e una cravatta bianca, chiunque, persino un agente di cambio, può far credere di essere una persona civile".
Havete!

Don Carlo
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“Se noi avremo il cuore di una madre o, più precisamente, se ci proporremo di avere il cuore della Madre per eccellenza: Maria, saremo sempre pronti ad amare.”
Chiara Lubich

mercoledì 28 maggio 2014

Aforisma di mercoledì 28 maggio 2014


Kaliméra di Mario Calabresi ( Non aforisma, ma "Desianza di volar senz’ali”): "Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte, quando fanno naufragio.
La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro disastrato mercato del lavoro. Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molto di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia, in Svezia. Noi siamo terra di passaggio non meta finale.
Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi. Guardi la foto  e scopri che sulla barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che ieri sera sono stati rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare Italiana che li ha salvati. Sono Siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.
L’operazione "Mare Nostrum” ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi. Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto. Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.
Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti. E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità? Mi attirerò una bella dose di  critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una Nazione che manda i militari a salvare la famiglie e non a sparargli addosso”. ( La Stampa 21 maggio 2014 )
Havete!

Don Carlo
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“Amare significa agire ed esaltarsi senza tregua.”
Émile Verhaeren

Ora ci sia un dialogo che rispetti tutte le posizioni di Luigi Negri*

Ambrogio Lorenzetti - Allegoria del Buon Governo

Chiedo ospitalità alla Nuova Bussola Quotidiana per un intervento che non è di carattere politico in senso stretto, visto che mi mancano le competenze e non è la mia funzione. Voglio invece esprimere il sentimento di un cittadino qualunque che è anche vescovo, e perciò è radicato nella vita del popolo, della gente; quella gente che è investita da una crisi finanziaria di proporzioni terribili, segnata dalla sfiducia in istituzioni che per troppo tempo hanno privilegiato interessi particolaristici. Sembra difficilmente riguadagnabile un’esperienza di vita fatta di cose grandi, dell’ideale del conoscere, dell’amare. Prevalgono una meschinità e una piaggeria che sembrano consegnare il nostro paese al pensiero unico dominante, che non si può neanche discutere.
L’esito elettorale ha significato che il popolo ha usato un grande buon senso, e non mi riferisco a un solo partito. Non so definire i termini politici di questo esito. Ha però vinto il buon senso che ha preferito dare credito a una possibilità che potrebbe rivelarsi nel tempo positiva anziché farsi travolgere da irrazionalità di urla, insulti, volontà distruttive, ignoranza macroscopica. È stato ragionevole sostenere il lavorare affinché le possibilità positive si esprimano anziché lasciarsi invadere da una reazione irragionevole e non costruttiva.
Certo, all’indomani delle elezioni il problema è proseguire un lavoro a livello sociale che consenta un confronto vivo tra le varie posizioni, perché è pur vero che nel nostro paese ci sono diverse posizioni ideali, culturali, religiose. Eppure c’è un prevalere quasi indiscusso e indiscutibile dell’ideologia libertaria e consumistica insieme, c’è l’apparire preoccupante di fenomeni di discriminazione per chi non si adegua al pensiero unico dominante.

È necessario invece che le varie posizioni culturali approfondiscano la loro identità, maturino le loro ragioni, che possono essere diverse. Gli amici cattolici che sono intervenuti nella vicenda partitica debbono considerare e debbono interloquire a tutto campo con il governo e con le istituzioni perché chi ha vinto questa battaglia, l’ha vinta per una promessa di ripresa di benessere economico; non l’ha certamente vinta per le strampalate teorie gender che pure dice di sostenere, meno che mai l’ha vinta per l’approvazione dei matrimoni omosessuali. Chi ha vinto questa battaglia politica non può illudersi che i cattolici possano essere d’accordo con lui sull’ideologia.

Qui va operata la distinzione vera tra le riforme economiche e istituzionali da una parte e le ideologie formulate dalla sinistra dall’altra. È una distinzione necessaria e su queste ideologie ci deve essere lo spazio del confronto a tutto campo; bisognerà essere disposti a un dialogo che non sacrifichi e non riduca l’identità espressa dalla nostra tradizione cattolica.
È quindi per tutti, non solo per chi ha vinto, l’inizio di un lavoro. Bando a trionfalismi o a depressioni: ben venga un ambito dove il confronto politico a tutti i livelli sia perseguito in maniera attiva per il benessere del popolo, come richiamava molto spesso don Luigi Giussani.
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

Udienza Generale «Amarezza per i cristiani divisi»

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nei giorni scorsi, come sapete, ho compiuto il pellegrinaggio in Terra Santa. È stato un grande dono per la Chiesa, e ne rendo grazie a Dio. Egli mi ha guidato in quella Terra benedetta, che ha visto la presenza storica di Gesù e dove si sono verificati eventi fondamentali per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Desidero rinnovare la mia cordiale riconoscenza a Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal, ai Vescovi dei vari Riti, ai Sacerdoti, ai Francescani della Custodia di Terra Santa. Questi Francescani sono bravi! Il loro lavoro è bellissimo, quello che loro fanno! Il mio grato pensiero va anche alle Autorità giordane, israeliane e palestinesi, che mi hanno accolto con tanta cortesia, direi anche con amicizia, come pure a tutti coloro che hanno cooperato per la realizzazione della visita.

1. Lo scopo principale di questo pellegrinaggio è stato commemorare il 50° anniversario dello storico incontro tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Fu quella la prima volta in cui un Successore di Pietro visitò la Terra Santa: Paolo VI inaugurava così, durante il Concilio Vaticano II, i viaggi extra-italiani dei Papi nell’epoca contemporanea. Quel gesto profetico del Vescovo di Roma e del Patriarca di Costantinopoli ha posto una pietra miliare nel cammino sofferto ma promettente dell’unità di tutti i cristiani, che da allora ha compiuto passi rilevanti. Perciò il mio incontro con Sua Santità Bartolomeo, amato fratello in Cristo, ha rappresentato il momento culminante della visita. Insieme abbiamo pregato presso il Sepolcro di Gesù, e con noi c’erano il Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme Theophilos III e il Patriarca Armeno Apostolico Nourhan, oltre ad Arcivescovi e Vescovi di diverse Chiese e Comunità, Autorità civili e molti fedeli. In quel luogo dove risuonò l’annuncio della Risurrezione, abbiamo avvertito tutta l’amarezza e la sofferenza delle divisioni che ancora esistono tra i discepoli di Cristo; e davvero questo fa tanto male, male al cuore. Siamo divisi ancora; in quel posto dove è risuonato proprio l’annuncio della Risurrezione, dove Gesù ci dà la vita, ancora noi siamo un po’ divisi. Ma soprattutto, in quella celebrazione carica di reciproca fraternità, di stima e di affetto, abbiamo sentito forte la voce del Buon Pastore Risorto che vuole fare di tutte le sue pecore un solo gregge; abbiamo sentito il desiderio di sanare le ferite ancora aperte e proseguire con tenacia il cammino verso la piena comunione. Una volta in più, come hanno fatto i Papi precedenti, io chiedo perdono per quello che noi abbiamo fatto per favorire questa divisione, e chiedo allo Spirito Santo che ci aiuti a risanare le ferite che noi abbiamo fatto agli altri fratelli. Tutti siamo fratelli in Cristo e col patriarca Bartolomeo siamo amici, fratelli, e abbiamo condiviso la volontà di camminare insieme, fare tutto quello che da oggi possiamo fare: pregare insieme, lavorare insieme per il gregge di Dio, cercare la pace, custodire il creato, tante cose che abbiamo in comune. E come fratelli dobbiamo andare avanti.

2. Un altro scopo di questo pellegrinaggio è stato incoraggiare in quella regione il cammino verso la pace, che è nello stesso tempo dono di Dio e impegno degli uomini. L’ho fatto in Giordania, in Palestina, in Israele. E l’ho fatto sempre come pellegrino, nel nome di Dio e dell’uomo, portando nel cuore una grande compassione per i figli di quella Terra che da troppo tempo convivono con la guerra e hanno il diritto di conoscere finalmente giorni di pace! Per questo ho esortato i fedeli cristiani a lasciarsi "ungere" con cuore aperto e docile dallo Spirito Santo, per essere sempre più capaci di gesti di umiltà, di fratellanza e di riconciliazione. Lo Spirito permette di assumere questi atteggiamenti nella vita quotidiana, con persone di diverse culture e religioni, e così di diventare "artigiani" della pace. La pace si fa artigianalmente! Non ci sono industrie di pace, no. Si fa ogni giorno, artigianalmente, e anche col cuore aperto perché venga il dono di Dio. Per questo ho esortato i fedeli cristiani a lasciarsi "ungere". In Giordania ho ringraziato le Autorità e il popolo per il loro impegno nell’accoglienza di numerosi profughi provenienti dalle zone di guerra, un impegno umanitario che merita e richiede il sostegno costante della Comunità internazionale. Sono stato colpito dalla generosità del popolo giordano nel ricevere i profughi, tanti che fuggono dalla guerra, in quella zona. Che il Signore benedica questo popolo accogliente, lo benedica tanto! E noi dobbiamo pregare perché il Signore benedica questa accoglienza e chiedere a tutte le istituzioni internazionali di aiutare questo popolo in questo lavoro di accoglienza che fa. Durante il pellegrinaggio anche in altri luoghi ho incoraggiato le Autorità interessate a proseguire gli sforzi per stemperare le tensioni nell’area medio-orientale, soprattutto nella martoriata Siria, come pure a continuare nella ricerca di un’equa soluzione al conflitto israeliano-palestinese. Per questo ho invitato il Presidente di Israele e il Presidente della Palestina, ambedue uomini di pace e artefici di pace, a venire in Vaticano a pregare insieme con me per la pace. E per favore, chiedo a voi di non lasciarci soli: voi pregate, pregate tanto perché il Signore ci dia la pace, ci dia la pace in quella Terra benedetta! Conto sulle vostre preghiere. Forte, pregate, in questo tempo, pregate tanto perché venga la pace.

3. Questo pellegrinaggio in Terra Santa è stato anche l’occasione per confermare nella fede le comunità cristiane, che soffrono tanto, ed esprimere la gratitudine di tutta la Chiesa per la presenza dei cristiani in quella zona e in tutto il Medio Oriente. Questi nostri fratelli sono coraggiosi testimoni di speranza e di carità, "sale e luce" in quella Terra. Con la loro vita di fede e di preghiera e con l’apprezzata attività educativa e assistenziale, essi operano in favore della riconciliazione e del perdono, contribuendo al bene comune della società. Con questo pellegrinaggio, che è stata una vera grazia del Signore, ho voluto portare una parola di speranza, ma l’ho anche ricevuta a mia volta! L’ho ricevuta da fratelli e sorelle che sperano «contro ogni speranza» (Rm 4,18), attraverso tante sofferenze, come quelle di chi è fuggito dal proprio Paese a motivo dei conflitti; come quelle di quanti, in diverse parti del mondo, sono discriminati e disprezzati a causa della loro fede in Cristo. Continuiamo a stare loro vicini! Preghiamo per loro e per la pace in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente. La preghiera di tutta la Chiesa sostenga anche il cammino verso la piena unità tra i cristiani, perché il mondo creda nell’amore di Dio che in Gesù Cristo è venuto ad abitare in mezzo a noi. E vi invito tutti adesso a pregare insieme, a pregare insieme la Madonna, Regina della pace, Regina dell’unità fra i cristiani, la Mamma di tutti cristiani: che lei ci dia pace, a tutto il mondo, e che lei ci accompagni in questa strada di unità.
© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana

martedì 27 maggio 2014

Aforisma di martedì 27 maggio 2014

Kaliméra di Etty Hllesum: "Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi…Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me ogni giorno?”
Havete!

Don Carlo
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Maria è stata una rosa, bianca per la sua verginità, vermiglia per la carità.”
San Bernardo di Chiaravalle 

lunedì 26 maggio 2014

Aforisma di lunedì 26 maggio 2014

Kaliméra di Victor Hugo (1849, al congresso internazionale di Pace a Parigi): "Da tempo immemorabile i popoli sono lacerati dalle discordie e dalle guerre, verrà un giorno in cui tutte le nazioni del nostro continente formeranno una fratellanza europea ed avranno una moneta unica”.
Havete!

Don Carlo
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“Il poeta, quando è rapito dall'ispirazione, intuisce Dio”.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij 

domenica 25 maggio 2014

Il Papa invita Abu Mazen e Peres in Vaticano a pregare per la pace

Betlemme, il Papa celebra Messa in piazza della Mangiatoia
BETLEMME, IL PAPA CELEBRA MESSA IN PIAZZA DELLA MANGIATOIA

Messa a Betlemme, Francesco parla dei bambini «ancora oggi sfruttati e schiavizzati», dice che tornerà per visitare Nazaret. Invita i presidenti palestinese e israeliano a Roma, offrendo la "sua casa". Peres e Olp accettano


«Troppi bambini sono sfruttati, maltrattati, schiavizzati. Troppi oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari». Francesco predica nella piazza della Mangiatoia, accanto all'antica basilica cristiana dove si conserva la memoria della nascita di Gesù. Il secondo giorno della visita papale in Terra Santa è dedicato al popolo palestinese, anzi allo «Stato di Palestina», come lo definisce Francesco. I cristiani si sono dati appuntamento qui non senza difficoltà, causa dell'esiguità dei permessi e le difficoltà di spostamento.

«Il Bambino Gesù, nato a Betlemme, è il segno dato da Dio a chi attendeva la salvezza, e rimane per sempre il segno della tenerezza di Dio e della sua presenza nel mondo» dice il Papa nell'omelia della messa, accompagnati da canti in arabo.

«Anche oggi - dice Francesco - i bambini sono un segno. Segno di speranza, segno di vita, anche segno "diagnostico" per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano».

Il Papa ricorda l'Istituto «Effetà Paolo VI» per i bimbi palestinesi sordo-muti. E aggiunge: «Il Bambino di Betlemme è fragile, come tutti i neonati. Non sa parlare, eppure è la Parola fatta carne... come ogni bambino è debole e ha bisogno di essere aiutato e protetto. Anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno».

«Purtroppo, in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate - spiega Bergoglio - ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio che si è fatto Bambino».

Francesco ha quindi rivolto una serie di domande a chi lo stava ascoltando: «Chi siamo noi davanti a Gesù Bambino? Siamo come Maria e Giuseppe, che accolgono Gesù e se ne prendono cura con amore materno e paterno? O siamo come Erode, che vuole eliminarlo?... Siamo indifferenti? Siamo forse retorici e pietisti, persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro?»

«Anche oggi - fa osservare il Papa - piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per le malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono le loro madri».

Bergoglio ha detto che «da questa diagnosi schietta e onesta», a partire dalla condizione dei bambini, «può scaturire un nuovo stile di vita, dove i rapporti non siano più di conflitto, di sopraffazione, di consumismo, ma siano rapporti di fraternità, di perdono e riconciliazione, di condivisione e di amore».

Nell'omelia, Francesco ha salutato i «fedeli provenienti da Gaza e dalla Galilea».

Nel suo saluto finale, il patriarca latino di Gerusalemme ha chiesto di pregare per «i tanti prigionieri» e ha parlato dei bambini profughi, affamati, che in questa terra non hanno spazio e vengono rifiutati, proprio come accadde a Maria e Giuseppe, per i quali qui a Betlemme non «c'era posto nell'albergo».

Al termine della messa, al momento della recita del Regina Caeli, il Papa ha detto che intende tornare in Terra Santa per visitare Nazaret: «Contemplando la sacra famiglia qui, a Betlemme, il mio pensiero va spontaneamente a Nazareth, dove spero di potermi recare, se Dio vorrà, in un'altra occasione».

E ha anche annunciato di voler ospitare in Vaticano un incontro tra Abu Mazen e Peres: «In questo Luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a Lei, Signor Presidente Mahmoud Abbas, e al Signor Presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera».

«Tutti desideriamo la pace - ha concluso Francesco - tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. E tutti – specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa Terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace».
Un invito quello ai due capi di Stato che secondo padre Federico Lombardi "non ha precedenti" e "potrebbe concretizzarsi in tempi stretti", dato che Peres sta per finire il suo mandato. Un gesto "creativo", religioso e "non politico" del Papa - ha osservato ancora il portavoce - ma che potrebbe avere conseguenze importanti. Un'iniziativa simile alla giornata di digiuno e preghiera per la Siria convocata da Francesco nel settembre 2013.

Dal canto suo il presidente israeliano Shimon Peres ha accettato l'invito di papa Bergoglio per recarsi in Vaticano dove dovrebbe incontrare il presidente palestinese Abu Mazen. Lo ha detto il portavoce di Peres: «Il presidente accetta l'iniziativa del papa e ha detto di apprezzare ogni sforzo per raggiungere la pace tra Israele e i suoi vicini».  E anche l'Olp accetta l'invito di Papa Francesco per una preghiera di pace congiunta con Israele in Vaticano. Abu Mazen sarà in visita in Vaticano il prossimo 6 giugno. Lo ha riferito una fonte dell'Autorità nazionale palestinese. ANDREA TORNIELLI

Francesco prega in silenzio davanti al Muro di divisione

Il Papa prega posando la fronte sul  Muro
(©LaPresse)
(©LAPRESSE) IL PAPA PREGA POSANDO LA FRONTE SUL MURO

Significativo fuori programma: fa fermare la papamobile e sosta in silenzio davanti alla barriera di sicurezza costruita dal governo israeliano, posandovi la fronte


BETLEMME

Papa Francesco ha toccato il Muro della Divisione. In un clamoroso fuori programma del viaggio in Terra Santa, prima della Messa a Betlemme sulla piazza della Mangiatoia, il vescovo di Roma ha chiesto di essere portato in auto davanti a un punto della barriera di cemento che Israele sta costruendo dal 2002 e che corre in buona parte sui Territori Occupati palestinesi, contro tutte le regole di legalità internazionale. Lì Papa Bergoglio ha sostato per pochi minuti in totale silenzio, circondato da un gruppo di giovani palestinesi.

Un silenzio più eloquente di mille discorsi,  davanti al muro che, come ha detto il sindaco di Betlemme Vera Baboun, separa anche il luogo della nascita di Gesù dal luogo della sua Resurrezione. Con il suo gesto silenzioso, Papa Francesco pone davanti alla coscienza del mondo la muraglia fatta erigere unilateralmente dal governo israeliano come barriera di protezione contro il terrorismo, divenuta essa stessa simbolo planetario di arbitrio e sopraffazione.

Il tracciato complessivo di oltre 700 chilometri in alcuni punti passa anche 28 chilometri al di là della “linea verde” – il confine di Israele prima della guerra del 1967 - per integrare colonie israeliane. Così si rende architettonicamente irreversibile l’occupazione di ampie aree di terra palestinese. Già nel maggio 2004 la costruzione della barriera aveva prodotto lo sradicamento di più di 100mila olivi e piante d’agrumi, la demolizione di serre, impianti d’irrigazione, magazzini e la confisca di migliaia di chilometri quadrati di terra appartenenti a famiglie arabe. Oltre alle risoluzioni Onu, anche la Corte internazionale di Giustizia dell'Aia ha definito come «contrari al diritto internazionale» la costruzione del muro e gli effetti da essa prodotti sulla vita della popolazione locale.

Il muro taglia in due la vita delle comunità, chiude l’orizzonte e soffoca la libertà di movimento, ostacola l’accesso dei contadini alle loro terre, tiene separate le famiglie. A soffrirne sono anche le comunità cristiane della zona di Beit Jala, contigua a Betlemme, che da tempo hanno intrapreso una battaglia legale davanti alle Corti israeliane per impedire che il proseguimento del muro lungo il tracciato prestabilito sventri la valle di Cremisan, tra Betlemme e Gerusalemme, prezioso “polmone verde” di tutta l’area. Se il progetto verrà portato avanti, anche i quattrocento bambini che frequentano la locale scuola delle suore salesiane si troveranno a trascorrere gli anni dell'infanzia in una sorta di prigione a cielo aperto, circondata da barriere e check-point. Tempo fa, erano state diffuse false voci su un inesistente nulla osta vaticano al proseguimento dei lavori sulle terre confiscate ai contadini palestinesi e alle comunità religiose salesiane.

Dall'ottobre 2011, i sacerdoti della parrocchia latina di Beit Jala celebrano messe e recitano rosari tra gli uliveti della valle di Cremisan, pregando che lo scempio della valle sia evitato con una revisione del tracciato del Muro. Lo scorso ottobre, uno di loro ha potuto consegnare una lettera a Papa Francesco, in cui denunciava anche il «Muro di annessione» tra gli strumenti messi in campo per «annettere la nostra terra a Israele» e spiegava che oggi l’area del  Beit Jala si estende soltanto su «4 chilometri quadrati, meno di un terzo della sua dimensione originale».

Del Muro aveva parlato già Giovanni Paolo II, per ripetere che «la Terra Santa ha bisogno di ponti piuttosto che muri». Anche Papa Benedetto XVI, durante la sua visita a Betlemme, aveva dedicato parole forti al Muro «che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie». Ora il gesto di Papa Francesco, nella sua silenziosa nudità, abbraccia tutti e tutti interpella, a partire dal popolo d’Israele che – come ha ribadito il cardinale Pietro Parolin prima di partire per la Terra Santa, esprimendo lo sguardo della Santa Sede – deve poter vivere in pace e sicurezza nella terra che porta il suo nome.

Senza proclami, senza invettive, il Papa “preso” quasi alla fine del mondo si muove intorno alle ferite aperte del conflitto arabo-israeliano con inerme libertà e senza prevenzioni cautelari. Senza curarsi dei fraintendimenti alimentati dal pregiudizio. Abbraccia il senso d’impotenza dei contadini palestinesi con lo stesso sguardo libero con cui domani deporrà fiori sul Monte Herzl, che prende il nome dal fondatore del movimento sionista. Così Papa Francesco guarda alle sofferenze, alle ingiustizie e alle piaghe del mondo: con una libertà disarmata che interroga le coscienze di tutti, e non è contro nessuno. GIANNI VALENTE

Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 21 maggio 2014

Prosegue il lavoro sul testo degli Esercizi della Fraternità di CL, «Nella corsa per afferrarLo» (21 maggio 2014)




Testo di riferimento: J. Carrón, L’essenziale per vivere, in «NELLA CORSA PER AFFERRARLO»,
suppl. a Tracce-Litterae communionis, maggio 2014, pp. 15-44.

• Ojos de cielo
• Aconteceu

Gloria

Ci eravamo dati come lavoro l’inizio della prima lezione agli Esercizi della Fraternità, in cui la
questione essenziale – dal punto di vista del nocciolo della vicenda – è che cos’è l’essenziale per
vivere. Per questo, tutto quanto si dice è per aiutarci a capire che cosa è l’essenziale e come
riconoscerlo nell’esperienza, per non essere come mine vaganti, tirati di qua e di là, senza che ci sia
qualcosa di veramente cruciale nella vita. Per questo incominciamo da tale questione.

Da qualche settimana ho una domanda che non accenna ad andar via. Nel primo punto del sabato
mattina degli Esercizi, ci è stata posta la domanda: quando è stata l’ultima volta che, guardando
negli occhi le persone amate, abbiamo sperimentato quel tuffo al cuore? Quando abbiamo visto nei
loro occhi i Suoi occhi che cancellano tutto l’inferno? Io ho ben presente dei momenti, anche
recenti, in cui è successo questo: nel modo in cui mi guarda mio marito e nel modo in cui mi
trattano certi amici, uno sguardo impossibile alle loro forze, ma riverbero di quell’unico sguardo
che ha riempito la mia vita e mi ha portato fin qui oggi. Mi accorgo, però, che ciò che vedo non fa
scaturire in me una posizione nuova per affrontare le sfide del vivere. L’inferno ritorna e mi ritrovo
di nuovo smarrita di fronte alle circostanze. Da qui sorge in me un dubbio: o quel che vedo è
sentimentale oppure io sono incoerente. Eppure a me non interessa essere coerente, ma avere una
posizione originale di fronte alle cose! Nel punto due della lezione chiedi: «Davanti alle sfide che ci
troviamo ad affrontare: nella mia risposta, nel mio tentativo, che cosa è emerso, […] che cosa ho
scoperto in me come essenziale?» (p. 23). Io mi accorgo che, di fronte alle circostanze,
sostanzialmente sono spaesata, e il dire che le circostanze sono per la mia maturazione e sono
volute da Lui per un disegno buono sulla mia vita diventa quasi un contentino, una motivazione per
mettere a tacere queste domande, per non andare al fondo di esse, anziché diventare una sincera
speranza e una certezza su cui appoggiarmi. Il punto è che ultimamente questa cosa mi strugge il
cuore, quindi ti chiedo un aiuto su questo.
Cioè: che cosa è veramente l’essenziale? Perché tante volte – come dicevi – viviamo nel dubbio che
ciò che è successo sia puramente sentimentale o che noi siamo incoerenti.

In me la questione dell’essenziale durante l’ultima Scuola di comunità (e anche all’inizio del lavoro
sugli Esercizi) ha destato un grosso fascino. E quindi ho vissuto i giorni che avevo davanti preso da
questo fascino. Guardando me e un po’ di amici in azione, e anche dialogando, mi sono reso conto
che la prima sfida – così ho percepito per me – della questione che hai lanciato sull’essenziale è
non ridurla. Infatti ho notato che spesso la mia posizione è stata: beh, io so cos’è l’essenziale, è
inutile che mi nasconda, l’essenziale è Gesù, quindi devo cercare di vivere la giornata rendendomi
conto di questo. Ma così, dopo un po’, ti stanchi delle cose e anche di quel fascino. Mentre quel
fascino si ridesta quando io vivo ciò che ho da vivere cercando di vedere cosa io affermo come
essenziale per me. Quindi: non uno sforzo su un’idea giusta in cui credo, ma una sorpresa di come
io mi rapporto con la realtà, leale con quel che sono, leale con quel che è la realtà. In questa
seconda posizione, rispetto alla giornata, quel fascino è come se aumentasse, perché sono io come
sono ed è la realtà com’è, non c’è bisogno di uno sforzo. E anche quando sorprendo che
l’essenziale per me è altro da quel che teoricamente io dico, questo diventa la possibilità per 2

riguardare me stesso per quel che sono e non per quel che penso. Nell’altro caso, invece, l’unico
effetto è l’affievolirsi fino allo scomparire di quel fascino iniziale, per cui poi passiamo
all’argomento successivo.
Questa è una questione di metodo cruciale: il problema è vivere, che io cominci veramente a
rispondere a ciò che ho da vivere. Ed è lì dove appare – come una sorpresa – che cos’è l’essenziale.
Altrimenti noi già abbiamo definito l’essenziale, e allora non è più un fatto che riaccade davanti ai
miei occhi, per cui a un certo punto io mi stanco di ripeterlo, non cresce lo stupore della riscoperta
continua, non riaccade la sorpresa per ciò che è veramente l’essenziale.

È proprio vero che l’essenziale io lo scopro nella vita, vivendo. Rispetto a questo mi ha molto
colpito un brano di Giussani che hai citato agli Esercizi: «Il più bel pensiero a cui mi abbandono
da tanti mesi a questa parte è l’immaginazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena
e questo tuffo al cuore non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento
di Cristo. E per Zaccheo il primo tuffo al cuore non è stato: “Do via tutti i soldi”, ma è la sorpresa
innamorata di quell’Uomo» (p. 18). Io scopro che cos’è l’essenziale perché è quel che tiene desto il
mio cuore, cioè quel che lo rende vivo dentro a tutto. Quando ho letto questa frase, quando l’ho
sentita e riletta, mi sono accorta della differenza di Cristo con tutto il resto. Perché tutto il resto mi
chiede di cambiare, e io stessa chiedo a me di cambiare; invece mi accorgo che la mia esigenza
non è un cambiamento (come don Giussani dice della Maddalena: “Vado via da tutti i miei
amanti”), ma è questo tuffo al cuore che mi rende viva. E questo per me è l’essenziale, perché
dentro ha tutto. E mi ha colpito il riferimento alla gratitudine: infatti io mi accorgo che “chiedo il
conto” alla vita, alle circostanze, alle persone, quando non vivo, quando non è presente questo
tuffo al cuore, quando non vibro. Insomma, quando il cuore non è vibrante io non sono grata. Però
l’antefatto della gratitudine, l’antefatto del cambiamento, l’antefatto di tutto è questo tuffo al cuore,
mentre invece io tante volte parto con l’idea che devo cambiare, e mi impegno tantissimo,
sprecando tutte le mie forze.
L’osservazione acutissima di don Giussani, che ci sposta radicalmente se noi la guardiamo in faccia,
è che la prima preoccupazione non è la nostra incoerenza, non sono le nostre fisime; cioè, la prima
cosa non è che io debba cambiare qualcosa. È come quando uno è innamorato, quel pensiero
ritorna, quella presenza si impone di nuovo e chiama di nuovo, e chiama, e non può togliersela di
dosso. Allora è lì che ci si rende conto che è successo qualcosa di diverso, di unico, perché tutto il
resto sono variazioni sul tema: «Che devo fare? Che devo fare?». Per questo mi sembra decisivo
che noi prendiamo questo passaggio di don Giussani (che è stato – diciamo – l’origine degli
Esercizi, il punto da cui sono partito per svolgere il percorso) come criterio di giudizio su qualsiasi
nostro tentativo di identificare l’essenziale. Perché dicendo queste cose lui ci sposta tutti. Tanto è
vero che noi siamo portati, senza rendercene conto, a ritornare alla questione se siamo in grado o
non siamo in grado di viverlo, e non allo stupore. Per questo lo rileggo: «Il più bel pensiero a cui mi
abbandono da tanti mesi a questa parte è l’immaginazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la
Maddalena […] [che] non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento di
Cristo». Si tratta di essere incollati, di essere affascinati. Perché la prima cosa che uno capisce
quando succede qualcosa di significativo, di rilevante – a differenza di qualsiasi altra cosa –, è che
questo fatto ritorna e uno non lo può abbandonare, non perché decide di non abbandonarlo, non per
uno sforzo, ma perché si impone. Per questo don Giussani si sorprende abbandonato – dice – da
tanti mesi a questo pensiero. Se uno fa il paragone tra che cosa è successo in sé da quando ha
ascoltato questo e qual è l’esperienza di don Giussani, comincerà a capire che cosa significa fare la
Scuola di comunità. Io mi sorprendo vedendo uno davanti a me che dice queste cose e faccio il
paragone con quel che viene in mente a me, con quel che faccio io, con quel che preoccupa me, con
quel che blocca o determina me. Senza abbandonarsi a questo lasciare prevalere quella Presenza,
tutto si riduce a un nostro tentativo. Ma se siamo così malmessi, come possiamo pensare di uscire
da questa situazione con il nostro tentativo? Ecco perché questo testo mi ha colpito dal primo
istante: perché dice la natura del cristianesimo più di qualsiasi altra cosa. Che poi è lo stesso 3

contenuto che abbiamo richiamato nei due canti iniziali: se lascio entrare Lui, l’inferno si cancella.
Qui don Giussani ci offre un criterio condividendo con noi un’esperienza, come suggerimento di
una strada per non lasciarci distrarre da altre preoccupazioni. E quand’anche ci lasciassimo distrarre
da altre preoccupazioni, possiamo fare memoria e ritornare e abbandonarci di nuovo, affinché a un
certo punto Lui prevalga. Questo testo ha un valore di metodo, di suggerimento di una strada che è
cruciale, come mi scrive una di voi: «La cosa che mi ha colpito di più è la questione del cammino di
Pietro. Il sabato mattina hai descritto il tuffo al cuore che avranno provato Maria Maddalena e
Zaccheo, che è identico al tuffo al cuore che ho provato io all’inizio e poi tante volte quando è
accaduto (per esempio, proprio sabato mattina sentendoti parlare). E poi all’improvviso hai
cominciato a descrivere il cammino di Pietro: bisogna fare un cammino. Mi sono sentita spostata,
perché è proprio vero che tante volte il tuffo al cuore che continuamente sento ha bisogno di essere
costantemente ridestato. Sento lo stridore tra l’esperienza del tuffo e il pormi di fronte al fatto
partendo dall’ideologia del cristianesimo», cioè dal ridurre il cristianesimo – diciamo – a discorso.
E per questo la domanda è: ma che cos’è questo cammino? Don Giussani risponde attraverso la sua
testimonianza: abbandonandosi. Da qualsiasi punto uno parta, si ritorna lì, per approfondire, per
rendersi sempre più conto, altrimenti uno non è in grado di cambiare posizione. Il cambiamento di
posizione non è l’esito di un nostro tentativo solitario, bensì del prevalere di questo abbandono.

Un attimo fa hai detto: «L’essenziale si impone». E questo è proprio quel che mi capita e mi è
ricapitato leggendo questi primi due paragrafi della lezione del sabato mattina, perché quando si
parla del tuffo al cuore e del cammino di Pietro non ho dubbi sull’identificare che cosa ha
provocato un tuffo al cuore, l’unicità di questa esperienza che mi colpisce perché è un’unicità che
non viene offuscata dal tempo che passa, non viene confusa dalle tante cose che capitano nella vita,
dai tanti problemi, dalle tante sfide, dalla girandola di situazioni, di persone, di soddisfazioni o di
difficoltà. E mi colpiva, in particolare, perché davvero è una cosa che si impone da sé. C’è una tua
frase che dice bene che cosa ci succede quando questo tuffo al cuore è reale, dice: «Una presenza
che non solo non estingua la nostalgia, ma che la infiammi, che ravvivi il desiderio di stare con
essa […] [non basta uno sguardo qualsiasi] non basta quello del marito o della moglie, e neanche
quello degli amici. Occorre quello di una presenza capace di stare davanti a tutte le sfide […]. C’è
bisogno di un rapporto che non estingua il fuoco della nostalgia, ma lo accenda» (p. 17). Credo
che questa sia proprio l’esperienza e il metodo che tu indichi, cioè che siamo in mezzo alle cose, ci
distraiamo anche tanto, anche al luna-park (tanto per tornare all’esempio che facevi), ma c’è una
nostalgia che riemerge e con cui l’essenziale si reimpone.
La nostalgia è il primo segno che ci è capitato qualcosa di essenziale. Perché? Perché non posso
vivere senza, perché ritorno ad esso, non perché io sia più bravo, non perché io riesca a fare tutto
bene, non perché all’improvviso tutto funzioni secondo i miei desideri, ma perché niente di tutto
questo riesce a spostarmi da ciò che prevale. E questo si vede nella nostalgia, che non si cancella,
ma si infiamma. Ogni urto del reale, ogni situazione, ogni solitudine, ogni disgrazia, ogni cosa, è
come benzina sul fuoco, accende la nostalgia. Non è che tutte le difficoltà la facciano spegnere, al
contrario le difficoltà sono occasioni per riconoscere la verità e la portata di quel che è successo.
Qualsiasi cosa accende, infiamma di più la nostalgia di quella Presenza. Per cui non serve opporre
tutte le difficoltà del vivere come segno e ragione per non fare prevalere quella presenza. Infatti,
quando succede un incontro così, qualsiasi urto, qualsiasi difficoltà, belli o brutti che siano, l’unico
effetto che hanno è accendere, è infiammare la nostalgia. È veramente un’altra cosa, il cristianesimo
è un’altra cosa! E noi incominciamo a vedere che quella Presenza è assolutamente unica, ha un
tratto inconfondibile che non riesce a estinguere la nostalgia, ma la infiamma costantemente,
qualsiasi cosa succeda. Per questo uno si attacca sempre di più. Non è che le difficoltà del vivere la
spengano, ma ogni cosa la accende, la accende di più. Scrive una persona: «Tu dici di guardare
dove è l’essenziale nell’esperienza. Questo è quel che succede a me: è già il secondo anno che vivo
all’estero, la maggior parte del mio tempo la passo tra persone a cui non solo non interessa chi è
Cristo [potrebbe essere un motivo per lasciar perdere, addirittura avendo una giustificazione: “Sono 4

da sola, chi me lo ricorda?”]. Passo le mie giornate con loro e mi accorgo che molte volte tra noi
non c’è differenza [non è che questo la faccia illudere, tante volte tra loro non c’è differenza]:
facciamo le stesse cose, ci preoccupiamo delle stesse cose. E in questo vortice, di Gesù quasi mi
dimentico [quasi: tutto sta in questo “quasi”]. Gesù non è l’essenziale, ma viene dopo, dopo
l’università, dopo la cena, dopo tutte le cose che ho da fare; e poi alla fine della giornata dico le
preghiere. Però anche così Lui rimane sempre. Anche se tante volte sono distratta o pavida di
parlare di Lui davanti a tutti, io [io!] ho la percezione di essere fisicamente l’unica persona che sa
chi è Gesù in mezzo a un mondo che non Lo conosce. E questo non mi fa stare tranquilla [che
questo sia reale si documenta nel fatto che questo non la fa stare mai tranquilla]. Questa è la
percezione più essenziale che io ho nelle mie giornate, anche nei momenti più grandi di distrazione
questo è ciò che prevale: che la mia vita non può essere strappata da Gesù». Scrive un’altra amica:
«Volevo solo raccontarti come per me sia importante in questo momento scoprire sempre di più
evidente nella mia vita la fedeltà di Dio [che è un’altra modalità di dire qual è la caratteristica di
questo evento unico]. Io capisco che Lui mi ha presa dal Battesimo e portata fin qui tramite la storia
del movimento, cioè è innegabile che abbia fatto crescere quel seme di grazia che è la fede, ma è
come se adesso ci fosse stata una battuta di arresto, come se tutto fosse più difficile, oscuro, meno
immediato, così da richiedere tutta la mia energia per essere riscoperto. Io in fondo pensavo come
sant’Agostino che, una volta avuto l’imprinting della fede, fosse tutto facile. Invece dico: grazie a
Dio non è così [grazie a Dio non è così: perché se tutto fosse facile, l’urto del reale e le sfide con cui
la vita mi provoca non contribuirebbero a rendermi conto di qual è la differenza]. Dopo un primo
momento di assoluto smarrimento, mi rendo conto che ciò che mi fa camminare è innanzitutto la
Sua fedeltà instancabile [la Sua, non la nostra: è Lui che ha la pretesa di essere fedele, Lui!], che per
me è un giudizio che non posso strapparmi più di dosso. Faccio un esempio banale, ma per me è
impressionante. Lavoro in sala operatoria e hanno operato un mio parente di un intervento
importante. La mia prima mossa è stata quella di sistemare tutto al meglio perché fosse nelle mani
migliori possibili, ma più facevo tutto questo, più mi rendevo conto che non bastava, che il mio
animo non si acquietava, anzi, l’ansia cresceva. Allora ho pensato cosa potesse mancare a tutto
questo e mi sono resa conto di sentire una nostalgia pazzesca dello sguardo pieno di pace che ho
sempre visto nei miei amici più cari. E allora ho chiesto a loro di dire una preghiera innanzitutto per
me, perché in quella circostanza non fossi da sola, cioè che potessi fare esperienza della compagnia
di Cristo che è l’unica che dona pace [uno può essere preso da tante ansie, ma non si può togliere di
dosso quella nostalgia di cui ha avuto esperienza, che l’ha plasmato]. Non è per un cameratismo che
li ho chiamati, ma per un giudizio inestirpabile, per una nostalgia [ciò che sembra la cosa più
fragile, meno concreta, è in realtà la cosa più concreta, più determinante del vivere], la stessa che ho
provato davanti al Papa a Roma, che mi ha fatto capire come a quarant’anni fosse impressionante in
me il desiderio di imparare, forse più che a diciotto. Io ero lì perché nessuno più di me ha bisogno di
imparare a capire la realtà, e lo strumento è appunto una scuola, la Scuola di comunità. Mi sono
scoperta grata come da tanto tempo non ero più. Questi sono momenti di luce di cui si parla a
proposito della conversione, che non ti tolgono la fatica, che è ancora tanta, ma rendono
affascinante il cammino, certa che tutto è pieno della Sua fedeltà. Davvero posso dire: cosa sarebbe
la mia vita se non potessi più ascoltare ogni volta le Sue parole?». Per questo quando noi ci
troviamo davanti alle sfide, è lì dove dobbiamo tornare, come mi scrive un’altra persona: «Alla
scorsa Scuola di comunità le prime persone che sono intervenute hanno testimoniato che gli
Esercizi sono stati per loro un avvenimento. Per me non è stato così. Ciò che mi sono portata a casa
è che uno può riconoscere Cristo come risposta al suo bisogno solo se va fino in fondo al suo
bisogno. E la prima reazione che ho davanti a questo è di fatica, perché capisco che devo fare un
lavoro su di me, un lavoro che neanche so bene in cosa consista. Scusa la mia testa dura! Lo so che
non ci stai dicendo altro da anni, ma io ancora non capisco. Tu, commentando i primi interventi, hai
detto: “Cristo si rende potentemente presente, non come un pensiero […], ma per l’avvenimento che
Lui è […]. Cristo è qualcosa che accade […]. Non c’è altro metodo. È il riaccadere di
quell’avvenimento […] che dobbiamo domandare; e dobbiamo costantemente riprenderne 5

consapevolezza nella memoria” [e quindi non è anzitutto una fatica, al contrario di quel che dice!].
Per questo ti chiedo di aiutarmi a capire che cos’è la consapevolezza della memoria. Vorrei che tu
mi aiutassi a capire meglio questo punto, perché a me non è che questo non sia accaduto, quindi
credo che se capissi meglio cosa vuol dire riprendere consapevolezza della memoria, non sarei ogni
volta daccapo». E che cosa vuol dire riprendere consapevolezza della memoria? Che cosa fa don
Giussani? Dove ritorna costantemente? «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi… ».
La memoria è questo, tornare a qualcosa che si è introdotto nella propria vita, alla Presenza che mai
estingue la nostalgia. Per questo non è uno sforzo; è soltanto questo che non estingue la nostalgia,
che non estingue il desiderio; non è con il nostro tentativo che cresce in noi la consapevolezza del
bisogno, è Lui che ci rende consapevoli del bisogno costantemente, che desta in noi la nostalgia. La
differenza è proprio questa (come diceva un intervento di prima): che desta il mio cuore. E se io ho
capito questo, non ho altro da fare che vivere la memoria, ma dire “memoria” è un’altro modo per
dire che prevale la nostalgia. Che prevalga la memoria della Presenza non consiste nel ricordarmi
delle cose del passato; è accettare, riconoscere, lasciarsi trascinare ogni volta da quella nostalgia che
non solo non viene meno a causa di tutte le cose del vivere, ma che ogni cosa del vivere infiamma.
Invece di arrabbiarci con le cose perché non ci bastano, abbiamo la possibilità di tornare una volta
dopo l’altra a quella nostalgia.

In questo ultimo periodo quel che mi trovavo addosso era una domanda di significato immensa, ed
era presente in me in modo così drammatico da lasciarmi senza fiato; infatti capivo bene ciò che
dice Leopardi nelle sue poesie: che quando uno fa i conti con la propria esperienza umana trova in
sé una distanza tra ciò che desidera e la realtà che non gli basta. Io avevo tutti gli strumenti per
tornare a scoprire cosa ha preso la mia vita, che sono la Scuola di comunità, i rapporti cari,
eccetera. Però tutto mi sembrava come una magra consolazione, e così per la prima volta, forse, ho
lasciato perdere e mi sono crogiolata nel mio limite, nella mia dimenticanza. Facendo così, ogni
sera era sempre peggio, ero sempre più triste. Poi è accaduto che una sera ho visto il mio moroso e
lui, vedendomi così triste da un po’ di tempo, mi ha detto: «Cosa ti succede? Perché non sei più tu?
Da dove riparti?». Io ho risposto in maniera provocatoria, non gli ho detto quel che mi stava
succedendo, e da lui mi aspettavo il solito discorso con le cose giuste. Invece è accaduto che lui mi
ha guardato e mi ha detto: «Ma perché non ti lasci voler bene?».
«Perché non ti lasci voler bene?».
Sono rimasta spiazzata, perché lui ha detto solo così e io ho detto: «E ti fermi? Non vuoi sapere
cosa mi succede?».
«Non mi bastoni un po’?».
Esatto.
«Non mi fai la predica?».
Ero scandalizzata, poi mi ha stupito perché invece lui mi ha detto: «Sì, perché è molto più vero
amarti come Gesù amava Pietro dopo che L’aveva tradito». Ecco, quel momento lì per me è stato
come il tuffo al cuore della Maddalena, perché ho subito pensato a Pietro quando Gesù gli dice:
«Pietro, Mi ami tu?», e lui, pieno di limiti, come me, ha detto: «Sì, io Ti amo». In quel momento ho
riscoperto che ciò che vince è l’amore di un altro che brucia le tappe e che ribalta la mia misura. Il
giorno dopo ho letto la prima lezione che non avevo ancora letto, ed è stato incredibile perché
diceva meglio di me quel che mi era successo, quando citi il canto e dici: «“Se io mi dimenticassi di
ciò che è vero”, […] di che cosa avrei bisogno? Che i tuoi occhi me lo ricordino» (p. 16). Per me è
successo così, che io sono tornata da Cristo come Pietro, perché davanti a me c’era uno che mi
testimoniava cosa riempie la vita di significato: Cristo presente. Io capisco bene che, come dicevi
tu, occorre un attimo di lealtà per fare entrare di nuovo quello sguardo che io ho già visto e
scoperto nella mia vita. Infatti quando poi si dice che non basta lo sguardo del marito o della
moglie o quello degli amici, ma «c’è bisogno di un rapporto che non estingua il fuoco della
nostalgia, ma lo accenda» (p. 17), io questo lo capisco bene perché il mio desiderio, la mia 6

domanda non si è estinta ma, anzi, è ancora più forte. In me poi prevale anche la gratitudine: «La
gratuità più stupefacente è che Dio sia diventato mio compagno di cammino» (p. 18).
Come Dio è diventato un compagno nel cammino? «Ti scrivo dopo aver appena letto l’inizio della
prima lezione degli Esercizi. È commovente trovare descritta un’esperienza che tocca così
profondamente ciò che sento decisivo per me, soprattutto da qualche tempo a questa parte. Sono
uno studente universitario e da qualche mese sono all’estero per svolgere la tesi magistrale. Sono
partito seguendo la passione per ciò che studio e l’incontro con alcune persone come segni di una
strada per me. Dopo un po’ di tempo mi sono scontrato con il fatto che tutta la passione con cui
sono partito non bastava a sostenere la vita qui. Ogni mattina mi svegliavo con un grande desiderio
di scoprire qualcosa di grande per me, di lavorare bene, di poter godere appieno del tempo e degli
incontri, ma dopo ore di lavoro, spesso aride, mi trovavo puntualmente affaticato e triste [il senso
religioso non basta: “Capisco il vostro tentativo, nobile ma triste”]. E mi sembrava che durante
l’intera giornata tra le tante cose non fosse successa quella decisiva, che il tempo scorresse via
senza lasciare traccia se non la stanchezza. Perfino quando in laboratorio accadeva di scoprire
qualcosa, dopo lo stupore iniziale dominava il dubbio: ma in fondo che senso ha fare tutto questo?
Ne vale la pena [uno arriva alle domande radicali, anche essendo partito con tutta la sua passione]?
Non sarà che questo mio interesse [quel che sembrava la cosa più concreta] è un vicolo cieco?
Capivo che il problema non risiedeva nelle circostanze, ma nell’impossibilità di guardare le cose
con verità [il significato delle cose non è un’aggiunta, come il cappello che occorre porre sopra le
cose perché diventino adeguate, no, è che senza significato io non guardo le cose; quando diciamo
che “l’educazione è l’introduzione alla realtà totale”, è perché senza arrivare fin lì, la realtà non ha
interesse]. Tutto ciò che capitava costituiva una successione di eventi, ma nessun mio sforzo o
proposito riusciva a trovare in essi qualcosa che mi desse pace. Parlando al telefono, un’amica mi
ha sfidato dicendomi: “Tu devi scoprire lì di cosa hai veramente bisogno, è qualcosa oltre a quel che
sai già, devi andare fino in fondo”. La mia situazione non è cambiata all’improvviso, ma ho
cominciato a entrare nella giornata con la domanda di poter cogliere se e dove sarebbe successo
qualcosa che mi fosse di aiuto. Pian piano un punto ha iniziato a rivelarsi sempre più interessante.
Ogni settimana il mercoledì sera andavo all’assemblea di Scuola di comunità con gli universitari,
che fino a quel momento aveva suscitato in me molte obiezioni [quando uno non è consapevole del
vero bisogno, tutto è obiezione]. Arrivavo quasi sempre con la stanchezza pesante, ma ogni volta
succedeva l’imprevisto: una persona che raccontava la sua esperienza, una domanda posta, una
sottolineatura sul testo, c’era sempre qualcosa che toccava un mio interesse profondo. Un fatto è
stato particolarmente chiarificatore: una sera, alla tradizionale cena insieme, una ragazza mi ha
chiesto: “Come stai?”. Io ho deciso di non mentirle, e ho detto che da una settimana mi sembrava di
essere completamente piatto, di non avere alcun segno in me del bisogno e della domanda di cui da
sempre parla Giussani, lavoravo meccanicamente, a pranzo con i colleghi ero muto, in
appartamento indifferente. Lei mi ha risposto in tutta tranquillità: “Non è vero che sei piatto, al
massimo sei stanco, altrimenti perché diresti questo? Non ti accorgi che stai già domandando?”. Ho
dovuto riconoscere che lo sguardo che lei aveva su di me era più vero, più completo del mio,
coglieva ciò che profondamente sono. Non ho provato un’euforia sentimentale particolare, ma ciò
che mi ha colpito è che poco dopo, tornando in metropolitana, osservando una persona appoggiata
al finestrino, tra le tante che tutti i giorni si incrociano, mi sono sorpreso a pensare: come sarebbe
bello se anche questa sconosciuta potesse scoprire il valore che ha, se potesse accorgersi che è una
creatura voluta adesso così, perfino con quegli occhiali e quel naso; tutto il suo esserci grida Uno
che fa lei e che fa me ora. Ero in pace di fronte all’evidenza di una Presenza più grande di tutto il
mio vuoto [posso guardare il fondo dei tuoi occhi chiari e sparisce tutto l’inferno, se io lì scopro
l’essere; posso guardare una persona mai vista prima, e di fronte all’evidenza della Sua presenza
che la sta facendo adesso sparisce il mio vuoto]. Ma se per settimane nessuno sforzo mi aveva
permesso di guardare la realtà con un briciolo di questa verità, cosa lo rendeva possibile in quel
momento? Non potevo non riandare alla cena con quell’amica e a quello sguardo così
corrispondente a ciò che sono. C’è un punto nella realtà dove io ritorno a essere me stesso, un punto 7

che non è riducibile alla capacità mia o di certe persone, ma che accade, è inconfondibile: è Lui che
accade. Ti ringrazio per il percorso che stiamo facendo. Rispondere alla domanda: «Chi è Gesù?»,
sta significando a ogni passo rintracciare nella realtà quel punto che è essenziale per vivere con tutto
il bisogno che ho, con il quale è possibile tornare a guardarmi e a guardare le cose come piene di
significato, come luogo del mio rapporto con il Mistero. Pian piano lo scandalo per la mia
incapacità sta lasciando spazio alla gratitudine per una Presenza reale a cui posso tornare per essere
nuovamente afferrato e educato. È sorprendente per me veder crescere il desiderio di condividere
questa vita con tutti, a cominciare dai miei colleghi. Sempre di più mi trovo a vivere insieme a loro,
a condividere le stesse urgenze, le stesse domande e anche lo stesso buio di certi momenti, e sempre
di più nel rapporto con loro mi accorgo della novità dello sguardo di Cristo [si esalta la differenza
dello sguardo di Cristo], che non riduce alcun aspetto del nostro umano. E mi accorgo che ciò che
ho tra le mani non è una bandiera da sventolare di fronte agli altri come su un piedistallo, bensì è la
possibilità di mendicare, dentro le sfide che la realtà pone, dentro la confusione in cui a volte sono,
quello sguardo inconfondibile che abbraccia tutto ciò che sono e che svela la positività delle
circostanze. Questo, anche attraverso piccoli segni, è sorgente di novità. Più che il diventare perfetto
la mia urgenza è di poter vivere con quell’inquietudine che sto imparando, che è la grande risorsa
per cercare il Suo sguardo». Uno che vede ridestarsi l’inquietudine, che vede ridestarsi il desiderio,
scopre che la grande risorsa per cercare il Suo volto è la nostalgia che non gli lascia tregua. Per
questo, quanto più viviamo così tanto più tutto diventa veramente compagnia, perfino le elezioni.

Il volantino sulle elezioni europee ha tirato fuori un atteggiamento che io ho, ha smascherato un
atteggiamento che io sempre ho. In particolare, quando tu ci ricordi che «È, se opera», la mia
grande obiezione è che se il cambiamento che io vedo in me, che è reale, non produce nella realtà
un ulteriore cambiamento, di fatto non è successo, altrimenti si vedrebbe. Quando Cristo accade si
vede. E per questo io sono in perenne lotta; però nel frattempo mi accorgo che le sfide che la realtà
ci propone, sia quelle personali che quelle sociali e politiche, non aspettano che io sia pronta.
Quindi mi trovo a cercare di creare un equilibrio tra l’attivismo e l’ascetismo. L’attivismo, perché
di fronte a certe situazioni, davanti al porsi violento di una certa mentalità, mi verrebbe da andare
in piazza per dire a tutti che stanno sbagliando, fare baccano per non sottostare a certe ingiustizie,
mi verrebbe da fare incontri, creare gruppi per diffondere quella che invece è la verità, quello che
dice la Chiesa. Mentre, da un lato, mi getterei anima e corpo nell’impegno sociale, allo stesso
tempo mi dico che la mia speranza non può essere riposta nella rivoluzione, nell’impegno politico o
nelle campagne culturali. Quindi tiro il freno a mano, mi impegno ma non troppo, per non cadere
nel rischio dell’attivismo, e intanto mi protendo verso ciò che dovrebbe essere per me la salvezza,
non quindi il fare, ma cercare di vivere la mia vita, vivere il cristianesimo io per prima perché – mi
ripeto spesso, però senza crederci – questo incide nella storia più che le grandi battaglie, e uso
questo come un alibi per non impegnarmi davvero. E mi sembra proprio di cercare un equilibrio
tra le due dimensioni per essere felice e per essere più fedele possibile al movimento. Però non
sono affatto libera, e anzi sono proprio incastrata, mentre vorrei vivere tenendo conto di tutti i
fattori senza escludere nulla di me e del mondo.
Qualcuno ha fatto esperienza di qualcosa che lo ha disincastrato?

Io sono residente al sud, quindi per votare devo andarci apposta con un lungo viaggio. Per questo
motivo, visto che è complicato da un punto di vista logistico per alcune situazioni che sto vivendo,
avevo accantonato il problema e deciso di non andare a votare. Poi è girato un avviso nel Gruppo
adulto in cui è stata data come indicazione di dare precedenza alla partecipazione al voto rispetto
ad altri incontri o impegni. E io, che avevo deciso di non andare a votare (non per impegni, ma per
altri problemi), mi sono sentita rimessa in discussione. E allora ho ripreso in mano il volantino. E
ancora una volta non avevo colto il nesso fino al voto; non che non fossi persuasa del volantino,
anzi, l’avevo un po’ ribaltato: è talmente persuasivo che la battaglia è sui fondamenti che io posso
giocarmi questa cosa comunque, anche se non vado a votare. Ma avevo ancora un’ultima riserva, e 8

quindi sono andata a rileggere tutto l’intervento che hai fatto il 9 aprile a Milano. E lì mi ha
sorpreso che, in tutti i passaggi dettagliati che fai, tu alla fine arrivi fino al gesto del voto. E così
sono riuscita a fare il nesso che non riuscivo a fare. Sono riuscita a fare questo nesso, perché sono
rimasta stupita, come davanti a un’assoluta novità, di una cosa che ho sentito tante volte e cioè che
il desiderio ultimo dell’uomo esce dalla sua riduzione e si ridesta in un incontro, tanto che poi mi
sono andata a rileggere il pezzo del Gius de L’io rinasce in un incontro. Mi ha stupito perché di
getto, quando l’ho letto, non ho pensato alle elezioni, ma ho pensato ad alcune cose che sto
vivendo, per cui questo angolo, questo punto di vista, mi ha messo di schianto di fronte ad alcuni
rapporti dove io, per determinate dinamiche che si stanno giocando, sono tutta spostata sulle
conseguenze e non sui fondamenti. E invece mi è sembrato assolutamente consono e vero ripartire
dai fondamenti, e capisco che questo non è automatico, ma che comunque è la strada più vera
perché è quella che rispetta di più la natura mia, cioè ripartire dal fondamento ultimo. E quindi io
posso scommettere un criterio così fino al voto per l’Europa, come tu dici: «Difendere questo
spazio di libertà per ciascuno e per tutti, è la ragione definitiva per andare a votare alle prossime
elezioni», perché questa battaglia sui fondamenti si gioca nel campo di una relazione, di un
rapporto.
Come riconoscono gli attori più autorevoli del dibattito europeo, quel che è in gioco in queste
elezioni è così cruciale che la prima questione è votare. La distanza che tanti di noi sentono – noi,
malgrado tutto quel che viviamo – e che sentono tanti nostri concittadini, noi possiamo contribuire a
superarla andando a votare, proprio perché la questione dei fondamenti è così cruciale. Altrimenti
noi non avremo l’energia e le ragioni per muoverci e, quindi, cercheremo un equilibrio – come
diceva il penultimo intervento – tra l’attivismo e l’ascetismo, usandolo per non impegnarci fino in
fondo. Si tratta di capire che la vera discussione è sui fondamenti, allora la cosa diventerà sempre
più concreta fino a muoverci nell’intimo per andare a votare e per continuare questo dialogo nella
società su quel che ci siamo detti, che ci siamo dati come strumenti in questi tempi: il volantino
sull’Europa e il testo della Pagina Uno di Tracce di maggio. Attraverso questi gesti ancora una volta
il Mistero non ci lascia decadere, perché tante volte, quando ascoltiamo gli avvisi, pensiamo che
siano come i compiti che ci diamo come organizzazione ciellina. Niente di più sbagliato, perché non
basta questo, come vedete. Gli avvisi che proponiamo sono gesti, gesti attraverso cui, buttandoci nel
reale, noi siamo generati. Perché soltanto se uno prende in considerazione un avviso, può verificare
che esso è assolutamente pertinente, concreto; l’invito a questi gesti è la modalità con cui il Mistero
non ci lascia affondare nel nulla e nell’indifferenza totale in cui spesso vediamo che tanti cadono.
Per questo non è prima di tutto per darci una mano nell’organizzazione, sarebbe una riduzione
assoluta dei gesti che ci proponiamo negli avvisi. Tutti i gesti che proponiamo hanno uno scopo
diverso, uno solo: la possibilità di essere generati, perché ci sfidano a pensare. È una compagnia che
ci diamo per essere generati, perché è impossibile che uno, se legge il volantino – come abbiamo
detto – sull’Europa o la Pagina Uno, non ritrovi qualcosa che lo genera, è impossibile! Nel fare
insieme certi gesti – se poi uno ti sfida, chiedendoti le ragioni che tu devi dare – vieni generato, e
quindi diventi te stesso. Se noi non ci rendiamo conto del legame che c’è tra gli avvisi e l’essere
generati, come modalità della permanenza di Cristo, della fedeltà di Cristo alla nostra vita che ci
rigenera, che si impone costantemente, che non ci lascia tregua, noi non cogliamo il valore dei gesti.
Perché questi gesti sono la modalità con cui riconosciamo ogni volta la pietà verso il nostro niente
di Colui che ci genera e che ci dice: «Guarda, se non vuoi finire nel nulla ti offro questo, ti invito a
questo». Oggi saranno le elezioni, domani sarà il Meeting, dopodomani sarà la Colletta alimentare o
le Vacanze. Se uno ignora tutto questo, come potrà vedere una carne che lo genera? Saremmo noi a
doverci generare con il nostro tentativo, con tutto il nostro sforzo, con la nostra energia. E noi
sappiamo già che esito ha questo.

Il primo avviso riguarda la Scuola di comunità, proprio per non decadere, per introdurci, come
abbiamo fatto oggi, a questo sguardo sulle cose, sul reale, a partire da quell’evento, da
quell’essenziale che si impone e che ti fa guardare tutto diversamente. Per questo il convivere con 9

essa, come diceva don Giussani: «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi…», è ciò che
ci genera; la Scuola di comunità è una convivenza, non un leggere e basta, è una convivenza a cui
uno si abbandona, in cui uno si immerge. Per questo riprenderemo la prima lezione, perché stiamo
ancora incominciando il lavoro e continuiamo a lavorare su questa lezione.
La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 18 giugno alle ore 21,30.

Elezioni europee. Approfittiamo di questi pochi giorni prima delle elezioni del 25 maggio per
incontrare le persone e per far conoscere loro il giudizio che abbiamo espresso, proprio per non
perdere questa possibilità di essere generati, come dicevamo prima.

Colletta straordinaria del Banco Alimentare. Il Banco Alimentare, insieme ad altre associazioni,
organizza per sabato 14 giugno una Colletta alimentare straordinaria per far fronte a un’emergenza
particolare di povertà. Qual è la ragione di questa Colletta straordinaria? Perché abbiamo aderito a
questo appello? Essendosi creato un buco di alcuni mesi nella distribuzione degli aiuti forniti dalle
istituzioni pubbliche, da qui a ottobre per i più poveri si prospetta una vera e propria situazione di
carestia. Il Papa ne aveva parlato pubblicamente, richiamando un impegno straordinario per l’aiuto
ai poveri e a chi soffre la fame, e non era un invito generico, perché si riferiva proprio alla
situazione descritta. Facciamo nostro questo richiamo, perché ci sembra doveroso coinvolgerci
consapevoli dell’urgenza della situazione. Perciò vi invito ad aderire alla Colletta straordinaria per
la stessa ragione educativa, con lo stesso impegno e passione con cui viviamo quella che
solitamente si svolge a fine novembre. Probabilmente la Colletta verrà fatta in meno supermercati
perché la cosa è stata organizzata un po’ in fretta, ma c’è sicuramente bisogno della disponibilità di
tutti, per cui vi invito a prendere contatto con urgenza gli amici del Banco Alimentare. Per
informazioni e maggiori dettagli potete contattare Federico Bassi: bassi@bancoalimentare.it.

Processione del Corpus Domini. La partecipazione di tutti noi a questo gesto semplice, è il modo
con cui mostriamo la nostra appartenenza all’unica Chiesa. È un gesto semplice − l’Eucarestia
esposta in pubblico, davanti a tutti −, vissuto ciascuno nella propria diocesi con il Vescovo in testa,
che ha un grande valore educativo. È una proposta che ci aiuta ad avere una maggiore
consapevolezza della nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa intera.

Vacanze comunitarie. Per quanto riguarda le vacanze comunitarie, prima di tutto non diamole per
scontate, come se fossero un rito che si ripete ogni anno. Il peggio che possa capitare tra di noi è che
si insinui questo formalismo, per cui diamo per scontato tutto. Ricordiamoci sempre che ogni cosa
che passa attraverso la libertà è sempre un nuovo inizio! Chi ha lavorato sul tema delle elezioni
potrà capire perché il voto non è affatto scontato. Per questo, sfidarci su una circostanza come le
elezioni, sfidarci sulle ragioni dell’Europa, è una educazione a non dare per scontate le Vacanze.
Non diamole per scontate, perché sparirebbero dalla nostra coscienza. Allora domandiamoci perché
facciamo la Vacanza, se lo chiedano anche coloro che hanno difficoltà, obiezioni, problemi
economici; perché? Che cosa vogliamo comunicare? Che cosa vogliamo vivere insieme? Perché
riteniamo questo momento decisivo? La questione è se noi approfittiamo di questo gesto per
comunicare qualcosa della bellezza e letizia che viviamo e se ci aiutiamo anche noi a viverla. A un
amico nuovo che viene con noi che cosa ci piacerebbe fargli vedere? Che cosa desidereremmo che
lui trovasse e di che cosa vorremmo potesse fare esperienza? Allora le gite, un momento di
testimonianza, la presentazione di un libro, un dialogo su qualcosa che interessa, la Messa, le Lodi,
l’Angelus diventano un’occasione in cui uno può vedere la Vacanza come paradigma del vivere.

Veni Sancte Spiritus

Il Papa alle autorità palestinesi: le spade si trasformino in aratri


E’ giunto il momento per tutti “di avere il coraggio della pace”. E’ uno dei passaggi forti del discorso di Francesco nell’incontro con le autorità palestinesi, al Palazzo presidenziale di Betlemme. Il Papa ha sottolineato che bisogna porre fine alla situazione inaccettabile che vive il Medio Oriente e ha incoraggiato israeliani e palestinesi a intraprendere “l’esodo verso la pace”. Dal canto suo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha ringraziato il Pontefice per il suo impegno in favore della pace e dei diritti del suo popolo.
“Che le spade si trasformino in aratri e questa Terra possa tornare a fiorire nella prosperità e nella concordia”. Papa Francesco allarga l’orizzonte a un futuro che non è utopia, ma è possibile se gli uomini avranno il coraggio della pace. Coraggio è proprio la parola chiave del discorso del Papa alle autorità palestinesi. Il Medio Oriente, ha constatato con amarezza, vive da decenni “le drammatiche conseguenze” di un conflitto che ha “prodotto tante ferite”. Piaghe enumerate dal Papa: incomprensione, insicurezza, diritti negati, isolamento, divisioni. Una situazione insostenibile:
“Nel manifestare la mia vicinanza a quanti soffrono maggiormente le conseguenze di tale conflitto, vorrei dire dal profondo del mio cuore che è ora di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti”.
Si raddoppino dunque gli “sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile”, ha soggiunto, “basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza”:
“È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”.

Abbraccio di Francesco e Bartolomeo al Santo Sepolcro


L’intensa giornata del Papa a Gerusalemme è culminata con la celebrazione ecumenica al Santo Sepolcro, preceduta da un incontro privato con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, nella delegazione apostolica. Nel 50.mo anniversario dello storico abbraccio tra Paolo VI ed il Patriarca Atenagora, per la prima volta nella storia della cristianità tutte le Chiese di Terra Santa hanno celebrato insieme: cattolici, greco-ortodossi, armeni, siriaci, copti, abissini ed altre confessioni cristiane. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Facciamo appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l’urgenza dell’ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l’unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell’umanità intera e delle generazioni future”. Cosi Francesco e Bartolomeo I nella Dichiarazione comune, firmata a sugellare il loro incontro privato “pienamente consapevoli di non avere raggiunto l’obiettivo della piena comunione”, ribadendo l’impegno “a camminare insieme verso l’unità” dei cristiani, ricercando pure “un autentico dialogo con l’Ebraismo, l’Islam e le altre tradizioni religiose”.
Francesco e Bartolomeo si sono impegnati a collaborare a “servizio all’umanità, specie in “difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e la santità della famiglia basata sul matrimonio”, per promuovere la “pace” e il “bene comune” e rispondere “alle miserie che continuano ad affliggere il mondo”. Riconoscendo che “devono essere costantemente affrontati la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni”. “È nostro dovere - si legge nel testo - sforzarci di costruire insieme una società giusta ed umana, nella quale nessuno si senta escluso o emarginato”.
Quindi l’emozione di ritrovarsi insieme nel Santo Sepolcro, accolti dai tre Superiori delle comunità Greco-Ortodossa, Francescana ed Armena, che presiedono la Basilica. “E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera”, ha detto Francesco:
“Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte”.
Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua:
“Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vita eterna. Le sue piaghe aperte sono il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia”.
"Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza":
“Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi 'i miei fratelli'”.
“Certo, non possiamo negare – ha ammesso Francesco - le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù” e “questo sacro luogo – ha aggiunto ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma”, ma le divergenze "non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino”:
“Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi”.
Poi l’auspicio rinnovato di trovare “una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti”.
Infine, il pensiero di Francesco è andato all’intera regione del Medio, “cosi spesso segnata da violenze e conflitti” e a tutti gli uomini e donne del Pianeta colpiti da guerre, povertà, fame, e ai cristiani perseguitati.
“Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non gli domandano se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani! Il sangue cristiano è lo stesso!”.
Le parole del Papa in sintonia con quelle del Patriarca Bartolomeo:
“Questa tomba - ha detto Bartolomeo I - irradia messaggi di coraggio, speranza e vita”. Il sepolcro vuoto indica la sconfitta sulla morte e sul male, non si abbia dunque paura della morte e del male, consapevoli che la storia non può essere programmata. “Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea – ha sottolineato Bartolomeo - di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione”. Infine ci invita a respingere il timore forse più diffuso nella nostra era moderna, la paura dell’altro, del diverso, di chi ha un’altra fede. Bartolomeo ha quindi ricordato come l’incontro tra Paolo VI ed Atenagora, scacciando il timore che aveva tenuto divise per un millennio le due Chiese, “ha mutato la paura nell’amore. Questa è l’unica via affinché “tutti siano una cosa sola”.