giovedì 8 maggio 2014

Lafforgue: «La verità è che senza Cristo siamo perduti»

Laurent Lafforgue siede in un piccolo ufficio del Dipartimento di Matematica dell’Università di Milano. Non ha ancora 48 anni, ma ha la faccia e il fisico da ragazzino. Si tratta di una delle menti più acute d’Europa e del mondo. Insignito nel 2002 della Fields Medal, il Premio Nobel per la matematica, Lafforgue non è un intellettuale tutto aule e formule matematiche. Negli ultimi anni è stato protagonista del dibattito sulla scuola pubblica nel suo Paese. E oggi guarda con grande perplessità quel che accade in Europa e nelle sedi dell’Unione Europea. Con lui abbiamo parlato del volantino di Cl. 
http://it.clonline.org/volantini/default.asp?id=438&id_n=20737

Che effetto le ha fatto leggere questo documento?Mi fa pensare che, in generale, non esistano istituzioni che vanno in una buona direzione in maniera automatica. Anche se, alla loro origine, sono state create con buone intenzioni. Non c’è modo di creare istituzioni che si possano sostituire alla libertà umana per andare nella direzione del bene. Nel caso lo pensassimo, finiremmo per creare macchine perverse. Lo vediamo nel progetto europeo, che sta realizzando delle aberrazioni sempre più grandi, contrarie allo spirito dei padri fondatori.

Si sente europeo? E in che senso?Sì, in molti sensi. Innanzi tutto sono cristiano, anche se in sé il cristianesimo non è una religione europea. Sono europeo per la cultura. Sono uno scienziato, nel senso che partecipo a una scienza che è stata elaborata per la prima volta in Europa anche se oggi è praticata in tutto il mondo. Sono europeo anche per la cultura letteraria; anche se sono un matematico, sono sempre stato molto interessato alla letteratura e alla filosofia. Ho passato molto più tempo a leggere che a fare della matematica. Ho letto i grandi autori francesi e la grande letteratura nazionale degli altri Paesi europei.

Il volantino riprende l’espressione di Jürgen Habermas rilanciata da Benedetto XVI riguardo la necessità di una forma ragionevole per risolvere i contrasti politici che deve essere un «processo di argomentazione sensibile alla verità». Cosa significa per lei?Oggi nell’ambito giuridico, ad esempio, si concepisce il diritto come una costruzione formale e arbitraria. In questo modo si abbandona deliberatamente la questione della verità. Se si fa questo è perché si è perso “il senso della verità”. Nel mondo moderno l’abbiamo in gran parte perduto, perché cerchiamo la verità con il criterio dell’oggettività perfetta. Vorremmo una macchina che trovi la verità in modo automatico al nostro posto. Siccome non siamo più sensibili alla verità, sentiamo il bisogno di qualcuno che lo sia per noi. Ma non esiste un meccanismo che lo sia: le istituzioni, un regime politico, una costituzione... Oggi vediamo le conseguenze della perdita della sensibilità alla verità e allo stesso tempo non abbiamo ricette per ritrovare questa sensibilità. Noi, in quanto cristiani, cerchiamo di essere umili su questo tema.

In che senso?Il cristianesimo dice che di fronte alla verità siamo molto fragili. Non solamente il nostro senso morale è ferito, siamo peccatori. Ma anche la nostra intelligenza è ferita. E quindi siamo esposti all’errore in ogni momento. E per guardarci dall’errore, per sperare di camminare sul cammino della verità, noi non abbiamo migliore risorsa che la preghiera. Rivolgerci a Dio e pregare umilmente di illuminarci, perché facciamo l’esperienza, a volte individuale, a volte collettiva, di errori monumentali. Oggi assistiamo a cose aberranti, ma se guardiamo la storia vediamo che molte cose, che ora consideriamo orribili, nel momento in cui sono state compiute non erano percepite come tali. La nostra intelligenza è debole tanto quanto la nostra volontà. Abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio e di pregarlo di illuminarci. E questo non ci dispensa da usare il rigore della ragione, non ci dispensa dall’essere intelligenti.

Qual è l’apporto che il cristianesimo può dare all’Europa?Non parlerei del contributo del cristianesimo, ma di quello di Cristo. In fondo a noi cristiani non interessa ”il cristianesimo”. Ci sono persone che se ne interessano, magari persone che non sono cristiane, e che vogliono vedere gli effetti della fede cristiana nella storia. Quello che i cristiani hanno fatto di bene e di male. I frutti della Chiesa. Ma per noi essere cristiani non è fare qualche cosadel cristianesimo, ma è rivolgersi a Cristo. Il che non significa che ci disinteressiamo della storia, perché noi, in parte, Cristo l’abbiamo conosciuto attraverso la tradizione. Siamo legati al Cristo storico attraverso una catena storica. Oggi il sentimento che domina in me è che senza Cristo siamo perduti. Ha presente quel passaggio del Vangelo in cui Gesù vede la folla e si commuove, perché erano «pecore senza pastore»?

Essere cristiani di fronte al mondo è dire questo? Che Cristo è la risposta al bisogno dell’uomo?Io sono sconvolto da una frase di san Pietro: «Signore non comprendiamo tutto quello che dici, ma dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Mi sorprende, cerco di farla mia e vedo che non sono solo a sentire così. Ma so anche che non è la direzione generale della società. Vedo che la maggior parte della gente è disperata e conduce un’esistenza frenetica tentando in tutti i modi di dimenticarlo. La gente sa di essere persa, e la maggior parte pensa che questo sia irrimediabile.

Lei ha partecipato al dibattito sulla scuola in Francia. Che cosa l’ha spinto a farlo e in questo quanto ha contato il suo essere cristiano?La fede cristiana rende attenti alle persone e dà le ragioni per trasmettere la vita. Che significa mettere al mondo dei figli, certo, ma anche trasmettere la vita intellettuale. Oggi il fondo del problema della scuola è che non sappiamo più bene perché si debba trasmettere il sapere. Si ha un dubbio profondo su tutto ciò che siamo in grado di trasmettere. Anche l’ambiente intellettuale e universitario dubita del valore di quel che fa. E poi c’è il dubbio sul valore stesso della vita. Oggi tutte le società europee hanno pochi figli, e hanno pochi figli perché dubitano che la vita abbia davvero un valore. Per noi cristiani è Cristo a farcelo vedere. È il legame con Lui che rende ragione del valore della vita. Non a livello intellettuale, non è una teoria che giustifica la vita. Se siamo rivolti verso Cristo, il valore della vita è un’evidenza sensibile, visibile. È il valore della vita in tutta la sua pienezza. D’altra parte, per insegnare alle persone, non basta avere coscienza che la vita ha un valore, occorre avere anche un’idea di che cosa sia l’uomo. Chi sono i ragazzi a cui dobbiamo insegnare? Se non sappiamo chi sono, se pensiamo che siano materiale manipolabile in modo arbitrario, non c’è bisogno di insegnare questo o quello. Tutto è opinione. Se siamo rivolti a Cristo, vediamo l’uomo attraverso di Lui. Cristo è il modello di uomo ed è anche il modello di maestro.

Per lei vedere l’altro come un bene è una necessità? Può essere un fatto di costruzione? Nell’ambiente scientifico l’altro può essere qualcuno che mi insegna qualche cosa, ma può anche essere un concorrente. L’attitudine generale tra gli scienziati è ambivalente. C’è, però, un altro nodo nell’ambito scientifico, che è presente in tutta la società europea: il ruolo dei giovani. Consideriamo queste persone nuove come un bene? Secondo me, no. Lo vedo nel mio ambiente, in Italia poi la situazione è drammatica. Le società contemporanee non sanno cosa farsene con i bambini e i bambini diventati giovani. Accade anche per i vecchi, che alla fine della vita non sono più considerati come un bene. A questo si arriva perché abbiamo perso il senso della persona come bene. Oggi pensiamo che la persona sia un bene solo se è efficace. Se è in grado di svolgere dei compiti. Ma non è un bene in se stessa.

È un problema molto europeo. Non solo. In Cina la persona è considerata un bene in sé? Direi di no. Le persone per giustificare la propria esistenza devono combattere gli uni contro gli altri. Se non hai successo, se non accumuli denaro... Ognuno deve motivare il proprio valore. Non si è un valore in se stessi.

Se dovesse dire sinteticamente se è possibile un nuovo inizio, cosa direbbe?Solo lo Spirito Santo può generare un nuovo inizio. Con le sole forze umane è impossibile. In Francia l’anno scorso abbiamo visto il Governo proporre una legge per snaturare il matrimonio. Ma nella sorpresa generale, si è prodotta un’opposizione molto forte. Milioni di persone sono scese in strada per manifestare contro quella legge. Ma da quelle manifestazioni è nato il movimento dei veilleurs. È qualcosa di imprevisto e nessuno sa che frutti porterà. Allo stesso tempo penso che questo movimento sia una conseguenza dell’insegnamento di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi.

Che cosa la colpisce di questi veilleurs?Sono andato alle veglie diverse volte e li ho visti e ascoltati. Sono giovani che si siedono per terra in silenzio e che ascoltano letture di testi letterari o filosofi. Il loro scopo è di ritrovare i fondamenti filosofici della società. Secondo me è qualcosa di straordinario. Qualcosa che i partiti politici non sono in grado di fare. Sono persone non violente, anzi, estremamente pacifiche. Fa impressione. Sono una vera sorpresa.

Sono una speranza per l’Europa?Per rinnovare l’Europa bisogna iniziare così. Non è immaginabile che i politici si convertano tutto d’un tratto. Non sono neppure le istituzioni che li convertiranno. È al livello delle persone che può accadere qualcosa. Tutto è nato in maniera molto discreta: i grandi movimenti storici nascono da cose molto piccole. 
Luca Fiore

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