venerdì 2 maggio 2014

Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 30 aprile 2014

Giussani, ''All'origine della pretesa cristiana''

Testo di riferimento: J. Carrón, Introduzione, in «NELLA CORSA PER AFFERRARLO», suppl. a 
Tracce-Litterae communionis, maggio 2014, pp. 4-13. 
· Abramo 
· Il giovane ricco 
Gloria 
Buona Pasqua a tutti! Cominciamo il lavoro di 
sorprendere che cosa è successo, che cosa sta 
succedendo nella nostra vita dopo gli Esercizi 
della Fraternità. Nell’Introduzione ci siamo posti 
davanti a una questione: che cos’è l’essenziale? 
Qui non interessa tanto sapere se ho azzeccato la 
definizione esatta o no, se ho fatto giusto oppure 
ho sbagliato; ma se mi sono reso conto, quando 
mi sono reso conto, di cos’è l’essenziale. 
Che uragano, che tempesta hai destato nel mio cuore! Sono
arrivata a Rimini con l’attesa e la preghiera che Lui potesse
tornare ad abbracciarmi. Sognavo di poter essere lì con lo
stesso cuore stracciato e palpitante di cinque anni fa,
quando vi ho incontrato e sono rinata. Succede questo:
il camminoche tu mi stai facendo fare è così radicale,
così forte econsistente che inizialmente, di fronte alla
tua insistentedomanda: «Chi è Cristo?», mi sono sentita
quasi infastidita,importunata nella mia assodata, ieratica
certezza che io Lo conoscevo molto bene, mi ero
imbattuta in Lui più e più volte, mi aveva ripescato dal
lago della mia vita disordinata e arrogante, fino al punto
da farmi decidere di cambiarla totalmente. Bene o male
ero certa di avere ceduto al Suo incredibile fascino.
Insomma, spesso e volentieri mi sono sentita anche brava.
Che inghippo, però! Questa tua domanda riaffiorava
sempre, facendomi sentire insicura e arrabbiata.
Provavo un incredibile fastidio, poi una grande
inquietudine, e infine lo sconforto. Avvertivo una
discrepanza intollerabile tra ciò che mi sembrava
di percepire e la mia vita. Nel quotidiano
mi ero fatta “spezzare le gambe”. Ma come?
Che cosa mi ero persa? E così, con questo
provvidenziale dolore colmo di  grazia e di tenerezza,
sono arrivata a Rimini e tu mi hai accolta
con quella domanda: «A chi di noi non piacerebbe
essere qui questa sera con la stessa faccia tutta
spalancata, tutta tesa, tutta desiderosa, piena di
stupore, di Pietro e Giovanni in cammino
verso il sepolcro la mattina di Pasqua?» (p. 4).
Mi sonoscoperta drammaticamente – sottolineo
drammaticamente – ai bordi di una incredibile
profondità e verità del mio io e del mio umano.
Ho provato una grande vertigine, come se per la
prima volta avvertissi tutto lo spessore e la
grandezza di una sfida che era rivolta a me.
Ho ripensato a tutte le volte che a Scuola di
comunità arrivavo pronta a intervenire se si fosse 
offerta l’occasione: una gran serie di fatti importanti,
decisivi, ne avrei potuti raccontare molti, in tutti
era evidente – e avrei potuto giurarlo – Gesù
all’opera, ma non basta. Ho provato dolore,
mi sono sentita addosso tutto il peso del mio io
“politico”, delle mie risposte parziali, della mia 
isteria. Grazie, perché questa sfida a questa
radicalità chiede a me di andare fino in fondo,
e desidero solo dilasciarmi vincere. Cristo non
è un mio pensiero o una mia immaginazione,
ma è, è! Non devo fare la fatica di pensarLo,
ma semplicemente accorgermi che Lui c’è.
La straordinaria tenerezza che avverto è la
Sua iniziativa con me: salta ogni mia debolezza,
ogni mia miseria; e, ciò che è più stupefacente,
usa della mia umanità non come ostacolo, ma
come risorsa. Tutto così diventa cammino, e
la mia vita impossibile diventa possibilissima;
di più: amabilissima.Grazie Julián, ti voglio un
gran bene perché mi porti dal mio Bene.
Con immensa gratitudine. 

Uno può arrivare a Rimini come lei ci ha appena 
raccontato; così come uno può essere qui questa 
sera in qualsiasi condizione. Che cosa documenta 
cos’è l’essenziale? Che anche se una arriva e si 
scopre infastidita per una domanda che le è stata 
posta, insicura e arrabbiata, con questo incredibile 
fastidio, con questo provvidenziale dolore, Cristo 
si rende potentemente presente, non come un 
pensiero – perché un pensiero non riesce a destare 
l’io così –, ma per l’avvenimento che Lui è e che 
semplicemente le facilita l’accorgersi della Sua 
presenza. Allora, in che cosa ha scoperto che cos’è 
l’essenziale? Perché la rende più potentemente se 
stessa. Che cosa ci siamo detti leggendo il 
capitolo ottavo della Scuola di comunità? Che solo 
il divino salva tutti i fattori dell’umano, li fa 
emergere alla coscienza di ciascuno. Quando ci 
infastidiamo per questo, vuol dire che non è 
accaduto, perché quando accade Lui non ci 
infastidisce, al contrario ci fa fare un’esperienza 
di uno spessore e di una grandezza, di una
profondità e verità del mio io, come lei ha 
descritto. Questo è Cristo: non una spiegazione, 
non un elenco di frasi, bensì questo accorgersi, 
questo ridestare il proprio io, questo diventare 
se stessi. Come scrive un’altra amica: «Che 
grande avvenimento mi è accaduto in questi 
giorni! Sono tornata a casa dagli Esercizi con 
una grande commozione e con il cuore pieno 
di gioia di averLo incontrato di nuovo, perché 
la Sua presenza mi si manifestava attraverso 
la persona che ha testimoniato il carisma di 
don Giussani e la bellezza di una vita 
desiderosa della Sua presenza. Per quel 
che ho sperimentato in quei giorni è stato 
possibile per me abbracciarLo di nuovo e 
tornare a casa cambiata e piena di letizia 
[sappiamo che c’è perché opera: “È, se opera”; 
non è qualcosa che io imparo e poi applico; no: 
Cristo è qualcosa che accade]. Sono io, ma non 
sono più io. Tutti se ne sono accorti: da mio 
marito (che, vedendomi e sentendomi 
raccontare, ha deciso di andare agli Esercizi 
dei lavoratori), ai miei colleghi di scuola, 
ai miei amici (alcuni dei quali mi hanno proprio 
detto: “Ma cosa ti è successo, perché sei così 
radiosa?”). Sono lieta, con una grande pace nel cuore. Non è un fare le cose, ma un amore, un’affezione, un essere 
amati che cambia la vita. E così è stato. Ritornare a casa dopo tre giorni mai è stato semplice, ho 
sempre trovato nervosismo e tensione; ma questa volta ero talmente grata di ciò che mi era accaduto 
che tutto è stato diverso [noi facciamo la verifica che quello di cui stiamo parlando è ciò che è 
successo ad Andrea, che quella sera è tornato a casa – secondo quel che ci ha sempre raccontato don 
Giussani –, e si vedeva che cosa gli era successo per come ha abbracciato la moglie, non perché ha 
cercato di applicare quel che aveva visto, ma perché ha percepito un cambiamento di sé che si 
documentava in un modo tutto diverso di abbracciare la moglie]. Non avevo più la preoccupazione 
di fare o cambiare le cose [non è questa la questione], ma con il cuore pieno della Sua presenza ho 
potuto affrontare ogni cosa in modo totalmente nuovo [non è che non dobbiamo affrontare le cose, è 
che affrontando le cose, quelle solite, ci scopriamo a farlo in un modo nuovo]: fare da mangiare, 
andare a scuola, stare con i miei figli, con i miei alunni. Tutte cose uguali a prima, ma adesso il 
cuore è pieno di pace e di amore». È questo che intendiamo dire quando affermiamo che il 
cristianesimo è un avvenimento. Non è una categoria insieme ad altre o una spiegazione; è qualcosa 
che accade e che vedo nel modo diverso, nuovo, con cui tratto le cose, dall’abbracciare la moglie 
(come Andrea) al dare da mangiare ai bambini. 
Da qui sorge una domanda: come permane, come accade che il cuore continui a essere teso e 
aperto? Perché anche a me è accaduto che agli Esercizi ho proprio capito… 
Perché ti viene, adesso, questo desiderio di essere tesa e aperta? 
Perché agli Esercizi la prima sera tu ci hai invitato ad avere lo stesso cuore di Giovanni e Pietro 
che correvano al sepolcro. Io l’ho sentito rivolto a me questo invito, perché era proprio il mio 
desiderio. E con questo cuore teso, il giorno dopo, nel modo in cui ci guardavi e ci parlavi, ho 
percepito l’eccezionalità di Cristo e quindi ho capito anche nell’esperienza il capitolo ottavo. 
All’improvviso mi sono trovata lieta come non ero più da tanti mesi. E adesso io voglio continuare 
a essere lieta. 
«All’improvviso», capite? All’improvviso si è trovata lieta. Questo è il cristianesimo: un 
avvenimento che accade. Come in ogni avvenimento, “all’improvviso” uno si ritrova diverso e da lì sorge il desiderio. 
Io voglio continuare a essere lieta e… 
E come nella tua esperienza ciò che hai vissuto a Rimini sta rispondendo alla tua domanda? Come 
riaccade? Perché nell’accadere c’è già il metodo secondo il quale può riaccadere. 3 
Io mi accorgo che ciò che è accaduto rimane nella memoria, e quindi guardo le cose più certa, con 
una certezza in più di Lui presente. 
Cioè: tu arrivi agli Esercizi in un certo modo, e ti succede qualche cosa che ti cambia e ti rende 
lieta. Non c’è altro metodo. Allora, come riaccade? Con lo stesso metodo. Infatti, che cosa ha fatto 
don Giussani (come vedremo riprendendo le lezioni degli Esercizi)? Ci ha fatto sempre 
immedesimare nell’esperienza di Giovanni e Andrea; ha cominciato annunciandoci, mettendo 
davanti ai nostri occhi, perché potesse riaccadere (come dicevi prima), l’episodio di Giovanni e 
Andrea. Poi ci siamo spostati al “da fare”, al pensare che avevamo altro da fare, più interessante di 
questo. E per correggere questo nostro spostamento che cosa ha fatto? Lo abbiamo detto nelle 
lezioni: ci ha riproposto Giovanni e Andrea, quel giorno al fiume Giordano con Giovanni battista. 
Non c’è altro metodo. È il riaccadere di quell’avvenimento, carissima, che dobbiamo domandare; e 
dobbiamo costantemente riprenderne consapevolezza nella memoria. Come mi diceva questa 
mattina uno studente a lezione in Università Cattolica: non puoi toglierti di dosso quell’evento lì, 
perché continua a tornare e a tornare e a tornare, come succede a uno che va a una festa e si 
innamora e il giorno dopo si sveglia con in mente quella faccia. 
Però mi accorgo che, tornata alla vita consueta (e con tutta la fatica della vita), l’evidenza e la 
chiarezza che avevo lì non sono più così forti, e tante volte la distrazione e la fatica prendono il 
sopravvento. 
Allora è proprio lì dove sei che tu devi lasciarti sfidare una volta dopo l’altra, affinché diventi 
sempre più tuo questo sguardo. Occorre rendersi conto che questo è il cammino da fare: 
«Aspettatevi un cammino, non un miracolo» (L. Giussani, “Raduno nazionale maturati”, Rimini, 
28-30 settembre 1982, Archivio Cl). È la frase che sempre mi viene in mente da quando l’ho sentita 
la prima volta. A te, in base a quel che racconti, il miracolo è accaduto; ma, come vedi, il miracolo 
non basta, perché ritornando al tran tran dopo un po’ si affievolisce tutto di nuovo. Come accadde a 
quello studente della Cattolica che venne alla cattedra nella pausa successiva alla spiegazione del 
capitolo decimo de Il senso religioso: «A me è capitato proprio questo stupore di fronte alla realtà, 
perché ho avuto un incidente con la moto e sono stato in coma, e poi quando mi sono svegliato tutto 
era nuovo, tutto diventava stupefacente, niente era scontato. Svegliarsi era come dire: sono ancora 
qui; tutto chiamava la mia attenzione». «Vedi? A te è capitato il miracolo». Ma lui era pieno di 
dolore perché quella mattina si era già dimenticato di questo stupore, non ne faceva più esperienza. 
Gli ho detto: «Vedi? Non basta il miracolo. Che questo diventi tuo è un cammino». La conversione 
è un cammino, come ci siamo detti. 
Io ho provato a rispondere alla domanda sull’essenziale. Dopo un anno circa di ricerca ho 
cominciato a lavorare da cinque mesi, e questa è una bella sfida, difficile, impegnativa, e mi 
costringe a mettermi in gioco tutti i giorni, a prendere delle decisioni e ad acquisire delle 
conoscenze precise per non lavorare in maniera casuale e sommaria; e mi costringe a guardare in 
faccia tante persone diverse da me, con cui spesso non vorrei avere a che fare. Io ho ancora tanto 
da imparare e spesso faccio degli sbagli pratici, nei rapporti con i miei colleghi e con le persone; 
però ogni giorno ricomincio chiedendo di lavorare bene, di lavorare al meglio, di non sbagliare 
troppo e di essere la più brava possibile. Nel lavoro questo è stato per me l’essenziale. 
Cioè per te l’essenziale era il risultato sul lavoro. 
Sì. Non fare errori. 
E quindi? 
Però mi sono accorta che questa è la mentalità di tutti, la mentalità del successo. 
Uno, sorprendendosi in azione, si rende conto che l’essenziale per lui è il successo lavorativo. 
Poco tempo fa mi è successo di commettere due errori gravi e simili a breve distanza l’uno 
dall’altro, ed è cambiato qualcosa. Perché dopo uno sbaglio ci si può rialzare, tutti ti dicono che 
sbagliare è umano e può succedere; però io non mi aspettavo di avere un’altra distrazione simile. E 
così mi sono trovata costretta a richiedermi cos’è per me l’essenziale nella vita, qual è il mio vero 
bisogno, perché se l’essenziale è il successo, allora davanti all’errore sono finita; e se mi guardo 4 
così adesso, sono davvero schiacciata dalla mia impotenza e cado nell’angoscia e nella paura per 
l’errore che ho fatto e per i tanti che farò ancora, e resto intrappolata e paralizzata perché il mio 
essenziale è crollato. 
Vedete? Uno scopre, anche sbagliando, che ha posto l’essenziale in qualcosa che si è rivelato 
insufficiente. Allora qui, non mi interessa porre l’attenzione innanzitutto sullo sbaglio, mi interessa 
il cammino! Solo perché hai fatto questo errore, si è svelato davanti ai tuoi occhi che cosa era per te 
l’essenziale del vivere. Adesso ne sei più consapevole. Questo è più decisivo che non fare degli 
errori. Noi siamo troppo preoccupati degli sbagli, invece che di imparare. E allora di che cosa hai 
bisogno, dicevi? 
Mi sono chiesta che cosa mi permette di guardarmi in un altro modo, perché devo rispondere a 
questa domanda per potermi alzare domani mattina e tornare a lavorare. E ciò che ho scoperto è 
che ho bisogno di riscoprire sempre che il mio valore non è misurato dal successo; io ho bisogno di 
sperimentare concretamente, sempre, uno sguardo che abbraccia me e i miei errori. Ho scoperto 
che è questo il vero essenziale, altrimenti cado davanti al primo ostacolo, come mi è successo nel 
lavoro. 
Vedete che l’essenziale non è un fare ma un amore? Così nella vita si svela davanti ai nostri occhi 
che cos’è l’essenziale. 
Quel che mi ha liberata è che nella storia è successo ciò di cui ho bisogno, cioè che Cristo è morto 
e risorto per salvare me, i miei peccati e i miei errori. E io ho la possibilità di riscoprire questo 
nella compagnia della mia famiglia, dei miei amici e di alcune mie colleghe; ed è una cosa, questa, 
che io ho visto con una chiarezza che ho avuto poche volte. Lo dico perché l’ho visto, non perché 
sia la risposta giusta. La mia impotenza mi costringe a guardare il fatto che sono fallibile, e questo 
mi spaventa tantissimo perché la mia capacità di errore è enorme, però è anche il modo attraverso 
cui capisco che la mia felicità non può dipendere dalla mia perfezione, ma che invece io sono 
legata a un Altro, che mi ha voluta così, con le mie imperfezioni, e che me le dona come strumento 
per crescere. Mi rimane il dolore del mio errore e della mia distrazione perché vorrei non 
sbagliare, però per me adesso l’alternativa sta fra l’angoscia che mi paralizza e l’affidarmi con la 
preghiera e con la compagnia dei miei amici per capire meglio chi sono io e per potermi godere la 
vita. E questo è un cammino che io ho iniziato, però continuamente me ne dimentico, ricado nella 
paura. 
Non importa. Il problema è un cammino che ci ridà sempre di più la chiarezza, come dici, «una 
chiarezza che ho avuto poche volte» del cammino da fare. Grazie. 
Queste ultime due settimane sono state per me molto provocatorie, nel senso che tutto nelle mie 
giornate faceva sì che la mia esperienza girasse intorno a quella domanda a cui ci state 
richiamando tu e papa Francesco: cosa è l’essenziale? Cosa è essenziale per la mia persona e la 
mia vita? Ecco, io ho partecipato al Triduo pasquale degli universitari, e il Venerdì Santo è stato 
detto: «Per rispondere a questa domanda è necessario che noi ci facciamo lavare i piedi da 
Cristo». Molte volte capita che mi tiri indietro da questa possibilità che Cristo sia per me 
l’essenziale. Domenica, sentendo l’omelia di papa Francesco che proclamava santi Giovanni XXIII 
e Giovanni Paolo II, mi sono sentita richiamata a questo. I santi non hanno avuto scandalo delle 
piaghe di Cristo, anzi, le hanno amate perché attraverso quelle piaghe noi siamo stati salvati. Si 
sono lasciati lavare i piedi da Cristo, hanno riconosciuto l’essenziale, hanno reso visibile a noi 
l’essenziale. Mediante quelle piaghe hanno compiuto la verifica della fede, cioè l’essenziale. E 
questo è solo il culmine di due settimane in cui tutto diceva a me di quell’essenziale: a Pasqua, 
giorno in cui la mia famiglia ha festeggiato solo con la santa messa, non avendo tempo di 
preparare il sempre meraviglioso pranzo con i parenti; il lunedì dopo il matrimonio di mia cugina; 
il martedì seguente, vedendo la prestigiosissima Cappella degli Scrovegni; e i giorni successivi 
ancora nel rapporto con mia sorella. E la giornata di domenica ha accresciuto la mia domanda, il 
mio grido: ma come è possibile? Se volessi riprendere una frase dell’Introduzione: come è possibile 5 
«essere incoerenti ed essere centratissimi sull’essenziale»? Vorrei mi spiegassi meglio questa 
affermazione perché non mi dà pace. 
Chi vuole rispondere a questa questione? 
A me è successo questo. Sono venuto agli Esercizi con una grande attesa, erano mesi che aspettavo 
questo momento. Ma poi ci sono stato in modo parziale: le lezioni le ho seguite con attenzione, ma 
nel resto del tempo non ci sono stato: in albergo, nel tempo libero, in tutti gli altri momenti che 
fanno parte degli Esercizi (e tu ce l’avevi anche ricordato e sottolineato!). Così la domenica, 
mentre tornavo a casa con grandissimo dolore, mi sono ritrovato a piangere con un’amica per aver 
buttato via quel momento, perché Lui mi mancava tremendamente, perché quel che più desidero è 
che Cristo invada tutta la mia vita. Ho avuto due giorni di grande dolore per l’occasione sprecata. 
Poi, provocando gli amici su questo, domandando, ho scoperto che quel dolore non era pari a 
niente, che già quel dolore è un punto di partenza. Tu dicevi nell’Introduzione: «Quando si 
sottolinea la distanza tra intenzione ed esperienza, a tema non è prima di tutto la coerenza, quante 
volte sbagliamo, ma che cosa ci definisce anche quando sbagliamo; cioè a tema è il contenuto 
dell’autocoscienza, quale sia il reale punto di consistenza, che cosa effettivamente perseguiamo e 
amiamo nell’azione, che cos’è per noi l’essenziale. Si può, infatti, essere incoerenti ed essere 
centratissimi sull’essenziale» (p. 8). Così mi sono accorto che Cristo è essenziale per me, e non per 
una mia scelta o capacità, non perché lo dico, ma perché è uscito dalla carne. Io non posso fare a 
meno della Sua presenza e tutte le volte che non Lo riconosco la vita viene giù e io non reggo. Mi 
sono ritrovato a mia insaputa a rivivere la stessa esperienza di Pietro davanti al Signore che gli 
chiede: «Mi ami tu?». Lo scoprirmi ancora così bisognoso per non essermi giocato completamente 
con i miei amici è stato il passaggio necessario per accorgermi che, indipendentemente da me, da 
ciò che decido e che faccio, Lui comunque è l’essenziale; è Lui che dimostra di essere essenziale, 
non lo decido io. E questo emerge proprio dal di dentro della vita. Mi è ritornato in mente un pezzo 
di Giussani di Vite Straordinarie (18 febbraio 2007), in cui parla del “sì” di Pietro: «Quando ha 
detto: “Signore, tu sai tutto. Nonostante tutte queste apparenze, nonostante tutte le apparenze, 
nonostante tutte le apparenze di me a me stesso, tu sai che ti voglio bene”. Ti voglio, perché “ti 
voglio bene” vuol dire “ti voglio”; “ti voglio bene” vuol dire “ti voglio”, e “ti voglio” vuol dire “ti 
affermo”: “Ti affermo, riconosco quel che sei, riconosco quel che sei per me e per tutto”. 
Insomma, è questo lo sconvolgimento del moralismo e della giustizia fatta con le nostre mani, ché 
quello lì era un povero peccatore come me e come te, era un povero peccatore che aveva appena 
tradito, tra l’altro, in modo indecente, come a memoria nostra forse così spudoratamente non c’è 
mai stato; era pieno di errore, eppure gli voleva bene». 
Questo è quel che noi facciamo fatica a mettere in rapporto: era pieno di errore, eppure gli voleva 
bene; pieno di incoerenze e allo stesso tempo centratissimo sull’essenziale. Perché? Perché è Lui 
che dimostra di essere l’essenziale – dicevi –. In che cosa si vede che Cristo è l’essenziale? Nel 
fatto che tutto il mio errore non impedisce a Cristo di ridestare tutta la mia affezione e di diventare 
per me l’essenziale. Come dice don Giussani in quella frase stupenda, spiegando il “sì” di Pietro: 
«Non so come, […] Signore. La mia simpatia umana è per te; la mia simpatia umana è per te Gesù 
di Nazareth» (Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, Bur, Milano 1995, p. 50). E lo diceva uno che 
L’aveva appena tradito. Uno può sbagliare ed essere centratissimo sull’essenziale. Perché? Perché 
quel filo di tenerezza si aggrava sempre di più, si ingrandisce sempre di più, si lega sempre di più, 
come vedete con i vostri figli; non è che smettono di sbagliare, tante volte, ma vedete come cresce il 
filo che li lega a voi. Nessun altro esempio spiega più semplicemente come le due cose non siano in 
contraddizione. E proprio perché cresce questa affezione, perché cresce questo filo di tenerezza, 
Cristo dimostra di essere essenziale, come voi dimostrate di essere essenziali per i vostri figli, non 
perché all’improvviso tutto è a posto, ma perché anche nello sbaglio cresce sempre di più 
quell’affezione che ci fa capire che cos’è l’essenziale, chi è l’essenziale. 
 6 
Racconto un fatto che mi è successo la scorsa settimana in Senato accademico. Per dire ciò devo 
descrivere un evento accaduto la mattina stessa. Con alcuni della mia facoltà abbiamo deciso di 
volantinare in università l’invito al gesto pasquale che si sarebbe svolto Giovedì e Venerdì Santo. 
Incontro subito un ragazzo che mi dice di essere il più ateo degli atei. Racconta di essere stato 
sempre cristiano e di avere sempre concepito la fede come il rapporto con Dio, ma nonostante ciò è 
rimasto sempre deluso da preti e persone incontrate, tanto da essersi fermato a questo giudizio 
negativo. Questo suo riconoscimento è talmente forte da avere la volontà di “sbattezzarsi”. Dopo 
aver detto ciò, mi ha chiesto cosa fosse per me la fede. Davanti alla radicalità della questione io 
non potevo rispondergli con frasi o discorsi, o raccontando fatti belli ma secondari, non potevo 
ridurre la questione, e quindi sono stata costretta a dirgli di come credere in Gesù cambiasse la 
mia vita, raccontandogli come davanti alle cose di tutti i giorni io vedessi uno sguardo cambiato, 
nel rapporto con la mia famiglia o il mio fidanzato o i miei amici, e vedendo in questo cambiamento 
l’azione di Gesù. Mentre parlavo, questo ragazzo ha smesso di guardare il telefonino, ha staccato 
tutte le chiamate che riceveva, e ha addirittura lasciato la sua ragazza da sola al bar per parlare 
con me. Il pomeriggio sono andata in Senato e l’incontro appena descritto, per come si era andati 
direttamente al punto della fede, mi ha resa tranquilla, lieta. Io in Senato sono l’unica della mia 
lista e non sono amica di alcun professore; per questo ogni volta arrivo lì agitata per non sapere su 
chi contare, e piena di ansia poiché mi sembra di non potercela fare da sola e di non poter 
incidere. Per questo, insomma, quella letizia quel giorno era inspiegabile. In più quella seduta 
sarebbe stata la più turbolenta, dal momento che avremmo votato sul numero chiuso in un 
dipartimento, e in rettorato c’erano tanti studenti con megafoni e striscioni per protestare. 
Nuovamente, quindi, ho riconosciuto come inspiegabile la mia tranquillità davanti a ciò. Questa 
letizia mi ha reso subito più intelligente nel muovermi, dal momento che, essendo lì senza sapere 
già che cosa votare per ideologia, mi sono messa a leggere i verbali e a chiedere di più a chi 
parlava, per capire. Dopo un po’ mi si avvicina un professore con cui mai avevo parlato, e mi dice: 
«Tu sei diversa. Si vede che qui dentro sei l’unica tra gli studenti che usa la ragione, perché non sei 
qui per difendere principi ideologici, ma sei qui per costruire, e questo ti rende più libera e sincera 
nel votare. Ti dico ciò perché ho notato questa cosa da sei mesi». Quel giorno la seduta è stata 
sospesa e siamo tornati di nuovo il giorno dopo per votare. In questa seconda seduta la situazione è 
diventata più accesa, gli studenti hanno cominciato a protestare di più e a interrompere anche la 
votazione, chiedendo addirittura il voto nominale per farlo vedere in streaming, suscitando rabbia 
e urla dei professori. In questo clima di tensione il rettore si è allontanato durante la votazione; gli 
altri studenti mi si sono avvicinati dicendo di fare la vera studentessa e votare come loro. Quella 
seduta aveva tirato fuori il peggio di tutti, tanto che non riuscivo a schierarmi con nessuno. Sempre 
quel professore del giorno prima mi si avvicina dicendomi: «Ecco che rivedo la tua diversità: 
mentre tutti sono arrabbiati e ideologici, tu sei triste perché è chiaro che non sei qui per litigare, 
ma per altro». È pazzesco che questa tristezza assumesse subito un altro significato! Il giorno dopo 
questo professore mi scrive una mail invitandomi a continuare a vivere il Senato così, come un 
luogo per costruire prima di tutto me come persona, come donna, e solo ciò avrebbe poi permesso 
di costruire nel mondo fuori dal Senato. Mi ha detto che mi parlava come un padre alle sue figlie, 
invitandomi a mantenere un contatto con lui per ogni questione. Da questa straordinaria vicenda 
mi sono resa conto di alcune cose: innanzitutto, avere riconosciuto quella mattina con quel ragazzo 
cosa fosse per me l’essenziale, cosa fosse per me il rapporto con Gesù, non era una cosa che mi ero 
imposta dalla mattina; riconoscere l’essenziale per la propria vita non è una cosa giusta da fare, 
ma una cosa che succede nell’impatto con la realtà, nell’incontro con chi non sa cosa sia la fede e 
te lo domanda. E fare ciò non è qualcosa di spiritualistico o di intimistico, è un riconoscimento che 
ci conviene, perché è concreto e ci cambia concretamente, come ho spiegato, mi ha reso più 
intelligente nel votare. In secondo luogo, mi sono resa conto che ciò succede per una disponibilità 
mia nel dire: “Gesù, prendi tutto, prendi pure il Senato, prendimi pure in Senato”. E ciò accade 
per una serietà nel lavoro di Scuola di comunità che ci stai facendo fare da mesi. Da ciò capisco 
che il primo strumento per stare nel mondo e in Senato è proprio la Scuola di comunità fatta con 7 
questa serietà che, tra l’altro, poi ci fa muovere anche nelle cose tecniche. Infine sto riconoscendo 
quanto mi hanno detto appena sono stata eletta: che un io cambiato cambia i luoghi. E questa cosa 
si vede. 
Cosa è per te l’essenziale l’hai scoperto non facendo riflessioni in astratto, ma nell’impatto con la 
realtà. Perché hai sorpreso quella diversità nel modo di stare nel Senato accademico, nel modo di 
stare davanti al ragazzo che vorrebbe “sbattezzarsi” (tanto che dimentica il telefonino e la morosa 
per stare lì con te, per la curiosità di quel che vede). È così che l’essenziale per vivere si svela 
davanti ai nostri occhi. È per l’uso della ragione, per la libertà, per la tranquillità con cui stiamo nel 
mondo; di tutto questo gli altri si accorgono. Altro che sacrestie! E questo chiede a noi di lasciarci 
prendere talmente, nel reale, dall’essenziale, che il solo fatto di esserci lo testimonia. Altro che 
intimistico! È proprio lì dove risplende – nel reale, in mezzo alla mischia – chi è Cristo e che novità 
riesce a introdurre nella vita. Allora la questione è se questo diventa – come dice lei: facendo il 
cammino della Scuola di comunità – sempre più nostro. Quando succederà di scoprirmi così nel 
reale sarà una sorpresa, come è stato per lei, l’ultima arrivata in Senato accademico, sorprendersi 
nel momento delle polemiche e del voto. La sua libertà mi ricorda quella raccontata dagli Atti degli 
Apostoli – l’avete sentita recentemente, se siete stati a messa –. Pietro e Giovanni sono portati al 
sinedrio (come lei al Senato accademico); immaginate due popolani ignoranti che sono davanti agli 
scribi, ai farisei, ai sommi sacerdoti, e quelli si stupiscono (come il professore): «Ma questi sono 
diversi!». Perché si stupivano? Perché, pur non avendo istruzione (i due erano analfabeti, perché 
solo gli scribi e i farisei potevano studiare), parlavano davanti a tutti con una libertà inspiegabile. 
Fin quando i sommi sacerdoti si rendono conto che Pietro e Giovanni erano stati amici di Gesù, 
compagni di Gesù. Nella convivenza con Gesù erano stati generati a un’esperienza del vivere che 
stupiva! Scribi e farisei, in quel frangente, non si stupivano di Gesù in carne e ossa, ma di due 
pescatori. Questo documenta quale novità introduce nella vita la loro convivenza con Gesù; 
sbagliando, dimenticandosi, litigando su chi era il primo, ma mai andando da un’altra parte, per 
testimoniare che cosa è l’essenziale per vivere, per vivere da uomini in mezzo al reale. Il Papa ci 
richiama a questo come condizione della testimonianza. Allora non è che parlare dell’essenziale 
voglia dire eliminare tutto il resto, come dicono alcuni: «Si parla dell’essenziale e intanto non 
facciamo niente!». No! L’essenziale è necessario per vivere tutto il resto diversamente! Non è che 
lei abbia pensato all’essenziale in un momento di raccoglimento: lei ha scoperto l’essenziale nella 
mischia del Senato accademico! Allora, parlare dell’essenziale non è lasciare fuori niente, ma 
significa percepirlo lì dove si gioca costantemente la vita di tutti: gli studenti, i professori, i bidelli, 
gli amministrativi, tutti. E proprio lì emerge una figura diversa che testimonia un’altra cosa. Se il 
Papa ci richiama a questo, come ce lo siamo richiamati agli Esercizi, è proprio per questo, prima di 
tutto per noi, perché a chi non piacerebbe essere nel reale così libero, così in grado di affrontare le 
circostanze con questa novità? Lo può fare lei che è ancora un’universitaria! È a portata di mano di 
tutti. Non è un problema di genialità particolare, è un problema, come per Pietro e Giovanni, di 
partecipare a un luogo dove siamo generati così. 
A me ha sorpreso agli Esercizi la semplicità del criterio evangelico che ci è stato suggerito per 
capire dov’è l’essenziale: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Questa è la 
cosa che mi è rimasta più in mente in questo periodo, perché mi sono ritrovato a scoprire che nella 
giornata faccio tante cose, anche buone, prendo delle decisioni giuste, faccio delle scelte dove ci 
metto tutto me stesso, e capisco che in questo “tutto” c’è il mio cuore, e il mio tesoro coincide con 
queste cose. Accorgendomi di questo, per me è stata evidente la distanza, che sottolineavi, tra 
l’essenziale e ciò su cui poggia il mio cuore. A me ha fatto respirare, perché se no rischiamo di 
ridurre tutto a un problema di capacità o di coerenza. Hai detto, a un certo punto, che dobbiamo 
capire qual è il contenuto della nostra autocoscienza. Allora a me è venuta una domanda: ma se il 
contenuto della nostra autocoscienza, della mia autocoscienza, è così debole per cui il mio tesoro è 
sempre altrove, da dove si riparte per colmare questa distanza tra l’intenzione che Cristo sia 
l’essenziale e il fatto che, vivendo, uno si accorge che l’essenziale è altrove? 8 
Da dove si riparte? Prova a fare un tentativo di risposta. Da dove si riparte? Perché tutti abbiamo già 
nell’esperienza tutti gli ingredienti per rispondere a questa domanda. 
Io sono partito da una cosa: che non ho potuto fare a meno di ritornare a quel che a me è successo 
e che ha cambiato la vita. 
Perfetto. Da dove si riparte? Si riparte da lì, da lì! Perché? Perché in quel momento questa distanza 
si è colmata; in quel momento non c’era distanza tra intenzione ed esperienza. Nell’incontro, in quel 
momento lì, questa distanza è stata saldata. A un certo momento, tu sei stato preso da quel che ti è 
capitato. Questo è l’evento cristiano. Il cristianesimo come avvenimento è questo, che Lui salda la 
distanza. Allora la questione è se noi ritorniamo costantemente lì, all’inizio, perché il metodo è 
proprio quello: è sempre una grazia, è sempre imbattersi in qualcosa di diverso da noi, è sempre 
accogliere qualcosa che ci è capitato, ed è sempre ritornare alla memoria dell’incontro fatto. Come 
ci diceva Benedetto XVI: «Noi siamo memores Domini perché Lui è Memor nostri», io posso far 
memoria di Lui perché Lui fa memoria di me (cfr. Benedetto XVI, Messaggio in occasione delle 
Esequie della Memores Domini Manuela Camagni, della Famiglia Pontificia, 29 novembre 2010). 
È sempre Lui che riparte, che riapre la partita; e io posso tornare in continuazione, come Giovanni e 
Andrea ritornano il giorno dopo a trovarLo, perché si riparte sempre da lì. E questo, nel tempo, fa 
crescere l’autocoscienza, questo legame che dicevamo, questo filo di tenerezza, questa simpatia 
umana che si incrementa sempre di più. Crea quella unità del vivere che poi uno si sorprende di 
avere addosso mentre è nella mischia: nel Senato accademico o davanti alle sfide del vivere. Per 
questo la nostra preoccupazione deve essere ritornare lì, ripartire costantemente da Lui, perché è 
solo da questo evento della Sua presenza che riparte tutto. Non è un moralismo. Non è che una cosa 
sia l’inizio e un’altra cosa la continuazione: è sempre lo stesso, l’inizio e la continuazione. Per 
questo, se noi abbiamo la semplicità di ritornare, di riandare di nuovo, di riprendere in mano quel 
che ci è capitato, di fare memoria – che non è un ricordo, ma il riconoscimento della Presenza che si 
è introdotta per sempre nella vita –, allora questa autocoscienza cresce e noi rimaniamo stupiti da 
quel che Lui testimonia davanti ai nostri occhi. 
La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 21 maggio alle ore 21,30. Cominciamo a 
lavorare sulla prima lezione degli Esercizi della Fraternità. 
Elezioni europee. In vista delle elezioni europee del 25 maggio vi invito a prendere seriamente in 
considerazione la diffusione del volantino sull’Europa, soprattutto perché nel contesto di 
confusione, di disinformazione e di qualunquismo in cui ci troviamo non si può dare per scontato 
che la gente vada a votare. Il terzo punto del testo dice bene cosa vuol dire che l’io è la grande 
risorsa per la rinascita dell’Europa. Per questo voglio leggere una lettera di una persona che mi ha 
scritto cosa ha significato per lui riprendere in mano questo volantino. «Qualche sera fa nel mio 
gruppo di Scuola di comunità è stato messo a tema il volantino sulle elezioni. C’erano appena stati 
gli Esercizi, avevo letto i capitoli ottavo e nono, ma il volantino, dopo una lettura superficiale 
appena uscito, me l’ero proprio dimenticato; anche se mi era sembrato proprio bello, cosa mi era 
rimasto? Nulla, puro sentimento. Alcuni amici, invece, erano prodighi di giudizi interessanti, ma io 
neanche me li sognavo. Ho provato un senso di scoramento, di frustrazione. Come era stato 
possibile che avessi dimenticato una parte così importante della realtà, una realtà che mi viene 
incontro? Non che non fossi stato in qualche modo presente nella mia giornata cercando di fare 
esperienza alla luce della Scuola di comunità su alcune cose che mi erano capitate, ma su questo 
volantino il buio, così come gli altri amici non hanno avuto nulla da dire, ma questo non era motivo 
di consolazione. Alla fine mi ha colpito l’intervento di un’amica che, con molta dignità, riconosceva 
di essersi dimenticata pure lei del volantino, ma ringraziava per l’opportunità di un richiamo che 
aveva colto quella sera di fronte alle tante testimonianze. Io neanche di questo ero stato capace. 
Tornato a casa, la prima cosa che ho fatto è stata quella di stamparne due copie, una per me e una da 
affiggere nel luogo dove lavoro. Ma non ero sereno perché, se mi dicevo di come altre volte io 
comunque potevo portare con me il desiderio di esserci anch’io e che potevo sbagliare mille volte, 9 
quella sera di fronte alla domanda: “Ma mi ami tu?”, la mia risposta è: “Certo che ti amo”, ma il 
rischio era che fossero solo parole. La mattina dopo, prima di andare al lavoro, come tutte le mattine 
facendo la Scuola di comunità, la prima cosa che metto a tema è proprio il volantino, ma non 
sapevo bene da cosa incominciare perché diventasse mio. Subito un soprassalto mi prende dal 
titolo: È possibile un nuovo inizio? Parla proprio a me: io desidero un nuovo inizio per me. Ho 
incominciato allora a leggerlo non come se parlasse solo dell’Europa, dei popoli, dell’economia, 
come mi era sembrato in un primo momento, ma proprio di me, della mia persona, che il contributo 
dell’esperienza di cui si parlava fosse proprio per me. Tutto ha preso un significato più concreto, a 
tema c’era il mio io. E guardando me ho anche capito meglio cosa stava succedendo in questa 
nostra Europa e che cosa è in gioco nelle elezioni. Il mio io, tramite il carisma che ho incontrato, ha 
l’occasione per recuperare un atteggiamento positivo e ha l’opportunità di un cambiamento. Io ho 
un valore come persona, come dice all’inizio, e il capitolo ottavo mi spinge a guardare me come 
Gesù mi guarda e riacquisto una dignità impensabile. Se io guardo gli altri come Gesù li guarda, 
devo guardare anche me allo stesso modo, non è mica scontato, è un valore che si esprime anche nel 
lavoro, come tratto la materia, è un valore che riguarda come uso il tempo per crescere, libero 
perché dipendo da altro. Tutto questo concorre alla unità della mia persona – punto uno del 
volantino sul valore dell’Europa unita –, ma per una vita giocata nella ricerca della verità, come 
dice Havel, utile a me e per cercare un bene comune. E che dire della crisi, delle mie crisi per cui 
ogni tanto mi perdo, e del fatto che per grazia, perché Dio salva l’uomo attraverso l’umano tramite 
il carisma che ho incontrato, e quindi tramite la Chiesa, il Gius, te e gli amici che ho, mi redime 
perché l’uomo non potrà mai essere redento semplicemente dalle strutture esterne. È su questa 
gratitudine che voglio concludere, perché a me è successo quell’inizio desiderato, ho ripreso la 
coscienza della responsabilità che ho di fronte ai miei fratelli uomini e che il Signore ha bisogno di 
me, riguarda la mia origine, il mio destino, la realtà tutta, anche la mia, segno di un Altro. Sono 
parole che non sento più in giro. Sta anche a me riprenderle perché un nuovo inizio è possibile, non 
solo per me. La conseguenza è il desiderio di poter condividere con gli altri il contenuto del 
volantino e di concorrere a diffonderlo per un bene, quindi come strumento di carità e di missione». 
Mi sembra una bellissima testimonianza di come uno strumento che ci diamo può essere non 
soltanto qualcosa da fare, ma qualcosa per noi nel farlo. Per questo, non perdere questa occasione di 
fare un’esperienza, come documenta questa persona, è una proposta per tutti. 
Roma, 10 maggio. Ricordo l’importanza dell’incontro di papa Francesco con il mondo della scuola, 
che si terrà sabato 10 maggio nel pomeriggio in piazza san Pietro a Roma. L’incontro è promosso 
dalla CEI con il titolo: «La Chiesa per la scuola. A Roma con Papa Francesco». 
L’educazione è sempre stata la nostra prima preoccupazione e se c’è qualcuno che sente questa 
urgenza dell’educazione, nella scuola, come fattore fondamentale siamo proprio noi. Per questo è 
un invito con cui ciascuno di noi deve fare i conti. 
Veni Sancte Spiritus 

Nessun commento: