domenica 30 giugno 2013

Il Papa: Gesù ci vuole liberi, ascoltiamo la coscienza in unione con il Padre come ha fatto Benedetto XVI

Gesù ci invita ad ascoltare la nostra coscienza in piena unione con il Padre, così saremo cristiani liberi e non "telecomandati": è quanto sottolineato da Papa Francesco all’Angelus, in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha indicato Benedetto XVI come “grande esempio” in questo senso, giacché ha seguito con coraggio e discernimento la “volontà di Dio che parlava al suo cuore”. Nella Giornata della Carità del Papa, ha quindi espresso particolare gratitudine a quanti sostengono le sue iniziative caritative. :RealAudioMP3 

“Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Papa Francesco svolge la sua meditazione partendo da questo passo del Vangelo domenicale e osserva che, una volta presa la decisione, Gesù chiede ai suoi discepoli di non “imporre nulla” a quanti incontreranno nel loro cammino:

“Gesù non impone mai: Gesù è umile. Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. E l’umiltà di Gesù è così: Lui ci invita sempre, non impone”.
“Tutto questo – ha osservato – ci fa pensare”, “ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla”:

“Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, ‘telecomandato’: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui!” 

Gesù, ha proseguito, “ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà”. E per questo “la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre”.

“E Gesù era libero: in quella decisione era libero! Gesù, a noi cristiani, ci vuole liberi, come Lui. Con quella libertà che viene dal dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Non vuole, Gesù, né cristiani egoisti che seguono il proprio Io e non parlano con Dio, né cristiani deboli, cristiani che non hanno volontà, cristiani telecomandati, incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi alla volontà di un altro, e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà, dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza”. 
“Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza – è stato il suo monito - non è libero”. “Anche noi – ha avvertito - dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza”:

“Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio”.

La coscienza, ha soggiunto, “è il luogo interiore della mia relazione” con Dio, che “parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”:

“Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio, meraviglioso: il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore”. 
E “questo esempio”, ha aggiunto, “ci fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire”. La Madonna, “con grande semplicità”, ha poi rammentato, “ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù” e “seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza”. Di qui l’invocazione affinché Maria ci aiuti “a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza”, “capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione”. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Pontefice ha ricordato che in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa:

“Desidero ringraziare i Vescovi e tutte le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti!



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/30/il_papa:_ges%C3%B9_ci_vuole_liberi,_ascoltiamo_la_coscienza_in_unione_co/it1-706182
del sito Radio Vaticana 

sabato 29 giugno 2013

Testo integrale dell'Angelus di Papa Francesco, 29 giugno festa solenne dei Santi Pietro e Paolo.

Cari fratelli e sorelle! 
Oggi, 29 giugno, è la festa solenne dei Santi Pietro e Paolo. E’ in modo speciale la festa della Chiesa di Roma, fondata sul martirio di questi due Apostoli. Ma è anche una grande festa per la Chiesa universale, perché tutto il Popolo di Dio è debitore verso di loro per il dono della fede. Pietro è stato il primo a confessare che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Paolo ha diffuso questo annuncio nel mondo greco-romano. E la Provvidenza ha voluto che tutti e due giungessero qui a Roma e qui versassero il sangue per la fede. Per questo la Chiesa di Roma è diventata, subito, spontaneamente, il punto di riferimento per tutte le Chiese sparse nel mondo. Non per il potere dell’Impero, ma per la forza del martirio, della testimonianza resa a Cristo! In fondo, è sempre e soltanto l’amore di Cristo che genera la fede e che manda avanti la Chiesa. 

Pensiamo a Pietro. Quando confessò la sua fede in Gesù, non lo fece per le sue capacità umane, ma perché era stato conquistato dalla grazia che Gesù sprigionava, dall’amore che sentiva nelle sue parole e vedeva nei suoi gesti: Gesù era l’amore di Dio in persona! E lo stesso accadde a Paolo, anche se in modo diverso. Paolo da giovane era nemico dei cristiani, e quando Cristo Risorto lo chiamò sulla via di Damasco la sua vita fu trasformata: capì che Gesù non era morto, ma vivo, e amava anche lui, che era suo nemico! Ecco l’esperienza della misericordia, del perdono di Dio in Gesù Cristo: questa è la Buona Notizia, il Vangelo che Pietro e Paolo hanno sperimentato in se stessi e per il quale hanno dato la vita. Misericordia, perdono; il Signore sempre ci perdona, il Signore ha misericordia, è misericordioso, ha un cuore misericordioso e ci aspetta sempre.
Cari fratelli, che gioia credere in un Dio che è tutto amore, tutto grazia! Questa è la fede che Pietro e Paolo hanno ricevuto da Cristo e hanno trasmesso alla Chiesa. Lodiamo il Signore per questi due gloriosi testimoni, e come loro lasciamoci conquistare da Cristo. Dalla misericordia di Cristo. Ricordiamo anche che Simon Pietro aveva un fratello, Andrea, che ha condiviso con lui l’esperienza della fede in Gesù. Anzi, Andrea incontrò Gesù prima di Simone, e subito ne parlò al fratello e lo portò da Gesù. Mi piace ricordarlo anche perché oggi, secondo la bella tradizione, è presente a Roma la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che ha come Patrono proprio l’Apostolo Andrea. Tutti insieme mandiamo il nostro saluto cordiale al Patriarca Bartolomeo I e preghiamo per lui e per quella Chiesa. Anche vi invito a pregare tutti insieme un’Ave Maria per il patriarca Bartolomeo I, tutti insieme: Ave o Maria…

Preghiamo anche per gli Arcivescovi Metropoliti di diverse Chiese del mondo ai quali poco fa ho consegnato il Pallio, simbolo di comunione e di unità. Ci accompagni e ci sostenga tutti la nostra Madre amata, Maria Santissima.

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"Se la logica del potere prevale su Dio, diventiamo pietra di inciampo". Nella festa dei SS.Pietro e Paolo Papa Francesco impone il pallio a 35 nuovi metropoliti.

"Quando lasciamo prevalere la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra di inciampo". Così il Papa questa mattina celebrando nella Basilica Vaticana, in occasione della festa dei patroni della Chiesa di Roma una messa durante la quale ha imposto a 35 nuovi metropoliti, 34 presenti più uno rimasto nella sua sede, il pallio, “segno della comunione con il vescovo di Roma”. Presente la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, guidata dal Metropolita di Pergamo Ioannis. “Uniti nelle differenze”: questa la strada di Gesù”, ha detto il Santo Padre.  RealAudioMP3 

Segno di comunione con il vescovo di Roma e impegno ad essere strumenti di comunione. Il Pallio, insegna liturgica, simbolo della pecora smarrita e del Buon Pastore che da la vita per il suo ovile, come da tradizione nel 29 giugno, nella festa dei patroni della Chiesa di Roma, è stato posto quest'anno da Papa Francesco sulle spalle di 34 arcivescovi metropoliti provenienti da tutto il mondo. La loro presenza – ha notato il Santo Padre citando il Concilio Vaticano II –è segno di comunione nella Chiesa, che non significa uniformità. La varietà infatti è una grande ricchezza. 

Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia. 

“La varietà – ha proseguito Papa Francesco – nella Chiesa si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio”.

E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: questa è la strada di Gesù! …il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato.
Il vescovo di Roma – ha detto il Papa - è chiamato a confermare nell’unità nella fede, e nell’amore. Guidato dall’icona evangelica della confessione di Pietro a Gesù, possibile perché donata dall’alto: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente”, alla quale seguono le parole del Messia “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, Papa Francesco ha messo in guardia i cristiani e i ministri della Chiesa dal pericolo di pensare secondo la logica mondana: 

Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo.

Sono poi le parole di Paolo, “ho combattuto la buona battaglia” ad ispirare la riflessione del Papa che scansa subito ogni equivoco: la battaglia condotta dall’Apostolo delle genti non è quella delle armi umane che “purtroppo ancora insanguina il mondo”, ma quella del martirio.

San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere.

Presenti alla messa la delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal metropolita Ionannis. Papa Francesco ha ringraziato per questo rinnovato gesto fraterno il Patriarca ecumenico Bartolomeo I. La visita, che ieri ha visto l’udienza del Santo Padre ai partecipanti, si inserisce infatti nel tradizionale scambio di Delegazioni per le rispettive feste dei Santi Patroni, il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi apostoli Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea apostolo. Ulteriore presenza ecumenica, salutata dal Papa, il Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Bach, che ha animato la liturgia. 

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venerdì 28 giugno 2013

Il Papa: il cristiano sia paziente e irreprensibile, camminando sempre alla presenza del Signore

Il Signore ci chiede di essere pazienti e irreprensibili, camminando sempre alla sua presenza. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che il Signore sceglie sempre il suo modo per entrare nella nostra vita e questo richiede pazienza da parte nostra, perché non sempre si fa vedere da noi. Alla Messa ha preso parte, tra gli altri, un gruppo di dipendenti della Direzione di Sanità e di Igiene, accompagnati dal direttore, dott. Patrizio Polisca.  RealAudioMP3 


Il Signore entra lentamente nella vita di Abramo, ha 99 anni quando gli promette un figlio. Entra invece subito nella vita del lebbroso: Gesù ascolta la sua preghiera, lo tocca ed ecco il miracolo. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura e dal Vangelo odierno per soffermarsi su come il Signore scelga di coinvolgersi “nella nostra vita, nella vita del suo popolo”. Abramo e il lebbroso. “Quando il Signore viene – ha osservato il Papa – non sempre lo fa nella stessa maniera. Non esiste un protocollo d’azione di Dio nella nostra vita”, “non esiste”. Una volta, ha aggiunto, “lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera” ma sempre lo fa. “Sempre – ha ribadito – c’è questo incontro tra noi e il Signore”:

“Il Signore sceglie sempre il suo modo di entrare nella nostra vita. Tante volte lo fa tanto lentamente, che noi siamo nel rischio di perdere un po’ la pazienza: ‘Ma Signore, quando?’ E preghiamo, preghiamo… E non viene il suo intervento nella nostra vita. Altre volte, quando pensiamo a quello che il Signore ci ha promesso, è tanto grande che siamo un po’ increduli, un po’ scettici e come Abramo - un po’ di nascosto - sorridiamo… Dice in questa Prima Lettura che Abramo nascose la sua faccia e sorrise… Un po’ di scetticismo: ‘Ma come io, a cento anni quasi, avrò un figlio e mia moglie a 90 anni avrà un figlio?’. 

Lo stesso scetticismo, ha rammentato, lo avrà Sara, alle Querce di Mamre, quando i tre angeli diranno la stessa cosa ad Abramo. “Quante volte noi, quando il Signore non viene – è stata la sua riflessione - non fa il miracolo e non ci fa quello che noi vogliamo che Lui faccia, diventiamo o impazienti o scettici”:

“Ma non lo fa, agli scettici non può farlo. Il Signore prende il suo tempo. Ma anche Lui, in questo rapporto con noi, ha tanta pazienza. Non soltanto noi dobbiamo avere pazienza: Lui ne ha! Lui ci aspetta! E ci aspetta fino alla fine della vita! Pensiamo al buon ladrone, proprio alla fine, alla fine, ha riconosciuto Dio. Il Signore cammina con noi, ma tante volte non si fa vedere, come nel caso dei discepoli di Emmaus. Il Signore è coinvolto nella nostra vita - questo è sicuro! - ma tante volte non lo vediamo. Questo ci chiede pazienza. Ma il Signore che cammina con noi, anche Lui ha tanta pazienza con noi”.

Il Papa ha rivolto il pensiero proprio “al mistero della pazienza di Dio, che nel camminare, cammina al nostro passo”. Alcune volte nella vita, ha constatato, “le cose diventano tanto oscure, c’è tanto buio, che noi abbiamo voglia - se siamo in difficoltà - di scendere dalla Croce”. Questo, ha affermato, “è il momento preciso: la notte è più buia, quando è prossima l’aurora. E sempre quando noi scendiamo dalla Croce, lo facciamo cinque minuti prima che venga la liberazione, nel momento dell’impazienza più grande”:

“Gesù, sulla Croce, sentiva che lo sfidavano: ‘Scendi, scendi! Vieni!’. Pazienza sino alla fine, perché Lui ha pazienza con noi. Lui entra sempre, Lui è coinvolto con noi, ma lo fa a suo modo e quando Lui pensa che sia meglio. Soltanto ci dice quello che ha detto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii perfetto’, sii irreprensibile, è proprio la parola giusta. Cammina nella mia presenza e cerca di essere irreprensibile. Questo è il cammino col Signore e Lui interviene, ma dobbiamo aspettare, aspettare il momento, camminando sempre alla sua presenza e cercando di essere irreprensibili. Chiediamo questa grazia al Signore: camminare sempre nella sua presenza, cercando di essere irreprensibili’. 
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del sito Radio Vaticana 

giovedì 27 giugno 2013

Papa Francesco: No ai "cristiani senza Cristo".






Ci sono persone che “si mascherano da cristiani” e peccano o di eccessiva superficialità o di troppa rigidità, dimenticando che un vero cristiano è un uomo della gioia che poggia la fede sulla roccia di Cristo. È stato questo il pensiero di fondo di Papa Francesco alla Messa di stamattina in Casa S. Marta. Con il Pontefice ha concelebrato il cardinale arcivescovo di Aparecida, Raimundo Damasceno Assis, assieme ad altri vescovi. Alla Messa era presente personale della Direzione di Sanità e Igiene del Vaticano, accompagnato dal dott. Patrizio Polisca. RealAudioMP3 

Rigidi e tristi. O allegri ma senza avere idea della gioia cristiana. Sono due “case”, in certo modo opposte, in cui abitano due categorie di credenti e che in entrambi casi hanno un difetto grave: si fondano su un cristianesimo fatto di parole e non si basano sulla “roccia” della Parola di Cristo. Papa Francesco individua questo duplice gruppo commentando il Vangelo di Matteo del giorno, il celeberrimo brano delle case sulla sabbia e sulla roccia.

“Nella storia della Chiesa ci sono state due classi di cristiani: i cristiani di parole – quelli “Signore, Signore, Signore” – e i cristiani di azione, in verità. Sempre c’è stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo. L’unico che ci dà la libertà per dire ‘Padre’ a Dio è Cristo o la roccia. E’ l’unico che ci sostiene nei momenti difficili, no? Come dice Gesù: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma quando è la roccia è sicurezza, quando sono le parole, le parole volano, non servono. Ma è la tentazione di questi cristiani di parole, di un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo. E questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa: essere cristiani senza Cristo”.

Papa Francesco analizza più da vicino questi “cristiani di parole”, rivelando le loro specifiche caratteristiche. C’è un primo tipo – definito “gnostico – “che invece di amare la roccia, ama le parole belle” e dunque vive galleggiando sulla superficie della vita cristiana. E poi c’è l’altro, che Papa Francesco chiama “pelagiano”, il quale ha uno stile di vita serioso e inamidato. Cristiani, ironizza il Papa, che “guardano il pavimento”:

“E questa tentazione oggi c’è. Cristiani superficiali che credono, sì Dio, Cristo, ma troppo ‘diffuso’: non è Gesù Cristo quello che ti dà fondamento. Sono gli gnostici moderni. La tentazione dello gnosticismo. Un cristianesimo ‘liquido’. D’altra parte, sono quelli che credono che la vita cristiana si debba prendere tanto sul serio che finiscono per confondere solidità, fermezza, con rigidità. Sono i rigidi! Questo pensano che per essere cristiano sia necessario mettersi in lutto, sempre”. 

Il fatto, prosegue Papa Francesco, è che di questi cristiani “ce ne sono tanti”. Ma, obietta, “non sono cristiani, si mascherano da cristiani”. “Non sanno – insiste – cosa sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani. E, per dirlo un po’ semplicemente, non hanno gioia”:

“I primi hanno una certa ‘allegria’ superficiale. Gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana. Non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con Gesù. Non si sentono su Gesù, con quella fermezza che dà la presenza di Gesù. E non solo non hanno gioia: non hanno libertà. Questi sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto. E’ lo Spirito che ci dà la libertà! Il Signore oggi ci invita a costruire la nostra vita cristiana su Lui, la roccia, quello che ci dà la libertà, quello che ci invia lo Spirito, quello che ti fa andare avanti con la gioia, nel suo cammino, nelle sue proposte”.

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mercoledì 26 giugno 2013

Von Balthasar, l'uomo dell'«essenziale» di Joseph Ratzinger

26/06/2013 - In occasione dei 25 anni dalla morte del grande teologo, pubblichiamo il discorso che l'allora cardinale Joseph Ratzinger tenne alla comunità di CL in Cile, in cui ricordava il maestro e l'amico (da Litterae Communionis, ottobre 1988)

Cari amici di Comunione e Liberazione, ho pensato a quali sono gli elementi che mi piacciono nel vostro lavoro e nella vostra comunità. Ne ho trovati quattro.
Il primo. Voi siete giovani e, con la freschezza tipica di questa età, esprimete le questioni ultime, le questioni radicali, e non avete paura della pubblica opinione ma semplicemente - come un giovane sa fare - cercate la verità, cercate l’essenziale.
In secondo luogo, ho trovato in voi la grande volontà di cogliere l’essenziale.Non vi accontentate delle cose penultime e superficiali, ma cercate realmente l’acqua fresca alla fonte stessa senza mediazioni di un rubinetto qualsiasi.
Terzo. Con questa essenzialità vedo combinata d’altra parte una grande volontà di incarnare la realtà cristiana in un’autentica cultura cristiana. Proprio perché andate alla fonte, all’essenza, avete una creatività capace di esprimere nuovamente l’essenziale del cristianesimo, nella cultura cristiana di oggi.

Da ultimo, ho incontrato come determinante della vostra intenzione una grande fedeltà al magistero universale della Chiesa, al successore di san Pietro, il Papa. Questa è la sinfonia di elementi che mi piace, e che mi sembra molto importante per la Chiesa di oggi. Molti pensano che oggigiorno la fedeltà sia una cosa superata, un ostacolo per la libertà e la creatività; molti pensano inoltre che l’essenzialità sia una cosa che non vale la pena, pensano che l’essenziale non esista o non sia incontrabile da noi. Al contrario voi avete capito esattamente che il coraggio di cercare le cose ultime ed essenziali e la creatività si condizionano reciprocamente e che solo in un clima di fedeltà possono maturare le grandi cose. Questo mi sembra molto importante: constatare che solo se ritorniamo alla fonte, solo se abbiamo il coraggio di cercare la verità nel suo centro, nasce una nuova cultura cristiana.Solo nello spazio di una grande fedeltà esiste la possibilità di una maturazione, di una nuova forza della fede cristiana nel nostro mondo.
Vorrei dunque esortarvi a mantenere questo coraggio, questa freschezza, questa fedeltà in modo da apportare un contributo fondamentale alla vitalità della Chiesa di oggi.

Un secondo tema del mio saluto si riferisce alla figura del nostro amico Hans Urs Von Balthasar; ho riflettuto circa il perché voi avete scoperto questo grande teologo per molto tempo sconosciuto e poco considerato. Mi pare che esista una consonanza, un coincidenza tra le sue doti essenziali e il vostro carisma, perché anche lui era un uomo «dell’essenziale». Nonostante la sua grande cultura non era mai disperso nella molteplicità e nella curiosità di sapere molto senza avere una visione vera delle cose essenziali per la vita umana. Era sempre concentrato sull’essenziale, e nello stesso tempo molto aperto; un uomo di grandissima cultura. Da uomo attento all’essenziale, alla fonte della vita, alla verità studiò i padri della Chiesa e ce ne ha consegnato la teologia e il pensiero. Naturalmente si possono studiare i padri anche con l’occhio dello storico puro, con la curiosità del passato che rimane passato. Egli non fece così.
Era certamente un grande storico, però - come sappiamo - egli ha formulato la grande espressione «teologia in ginocchio». La sua teologia è nata dallo stare in ginocchio, dalla preghiera, dall’adorazione. In questa atmosfera mistica di preghiera, di meditazione profonda, di ascolto col cuore del Signore che parla, egli viveva una comunione profonda con i padri della Chiesa al punto che essi non erano più per lui cosa del passato; egli ha vissuto nel presente i padri. Per dirlo con altre parole ha trasportato i padri nel nostro presente e ci ha insegnato come possiamo vivere oggi in una comunione viva con i padri.
Nello stesso tempo ci ha aiutato a riscoprire la vitalità della Sacra Scrittura. Essa, come sappiamo, è stata coperta da un velo di problematiche storiche che la fanno morire e la trasformano in lettera morta. Von Balthasar, nella comunione coi padri, nella comunione viva di preghiera con la Chiesa orante, ha riscoperto la Scrittura, l’ha fatta parlare di nuovo a noi. Conoscendo bene tutti i problemi storici ha saputo, in uno spirito di visione integrale, integrare le conoscenze in una visione vitale e vivificante della Sacra Scrittura e della totalità della vita e del pensiero cristiano.

Vorrei aggiungere ancora qualcosa. Essendo uomo dell’essenziale, nel senso che ho detto, Von Balthasar era l’uomo di una cultura cristiana, di una incarnazione del cristianesimo nella cultura di oggi; era un uomo veramente creativo. Per lui questa cultura nasceva da una fedeltà profonda o, per dir meglio, essa nasceva, come tutta la sua vita, da uno spirito di grande obbedienza. La sua intenzione personale non fu di diventare sacerdote, ma di essere letterato o musicista. Ma un giorno sotto un albero nella Selva Nera, capì la sua vocazione: «Dio mi vuole sacerdote, mi vuole gesuita». In spirito di grande obbedienza cominciò questo cammino; mai il suo andare fu secondo la propria volontà, ma determinato da questo clima di obbedienza.
Possiamo imparare da lui che l’arbitrario è il contrario della libertà. Von Balthasar - uomo mai arbitrario e uomo di grande obbedienza - fu l’uomo più indipendente del nostro tempo. Tutti coloro che l’hanno conosciuto, anche per poco, sanno come egli fosse indipendente da tutte le tendenze, da tutte le scuole teologiche, da tutte le autorità puramente esteriori, da tutte le ideologie.E quest’uomo indipendente, realmente libero nel fondo, aveva trovato e trovava sempre la forza di questa libertà nell’obbedienza alla volontà di Dio. Così il nostro amico, scomparso tanto improvvisamente, rimane come una grande guida per noi e come una luce per i suoi amici di Comunione e Liberazione.
di Joseph Ratzinger

Udienza Generale. Il Papa: agli occhi di Dio siamo tutti uguali, anche io. Nessuno è inutile nella Chiesa


Nella Chiesa siamo tutti importanti, nessuno è inutile. E’ uno dei passaggi più significativi della catechesi di Papa Francesco, all’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro, gremita di fedeli. Il Papa ha ribadito che agli occhi di Dio siamo tutti uguali, anche il Papa. Quindi, ha esortato tutti a portare nella Chiesa la propria vita, il proprio cuore, tutti insieme.

Siamo tutti necessari nella Chiesa, nessuno è inutile. E’ il messaggio forte che arriva da Papa Francesco che, in una piazza San Pietro gremita di fedeli come ogni mercoledì, dialoga con il Popolo di Dio. La sua diventa una catechesi partecipata. Del resto, il tema su cui si sofferma il Pontefice è proprio la Chiesa come Tempio dello Spirito Santo. L’antico Tempio, ha detto, “era edificato dalle mani degli uomini” perché “si voleva ‘dare una casa’ a Dio”. Ma con l’Incarnazione del Figlio di Dio “è Dio stesso che “costruisce la sua casa”, “Cristo è il Tempio vivente”. E noi, ha detto ancora, “siamo le pietre vive dell’edificio di Dio, unite profondamente a Cristo”. “Noi – ha avvertito – non siamo isolati, noi siamo popolo di Dio, e questo è la Chiesa: Popolo di Dio”. La Chiesa, ha poi osservato, “non è un intreccio di cose e interessi, ma il Tempio dello Spirito Santo”, in cui “ognuno di noi, con il dono del Battesimo è pietra viva”. E questo, ha detto, “ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa”
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PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 giugno 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
oggi vorrei fare un breve cenno ad un’ulteriore immagine che ci aiuta ad illustrare il mistero della Chiesa: quella del tempio (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 6).
Che cosa ci fa pensare la parola tempio? Ci fa pensare ad un edificio, ad una costruzione. In modo particolare, la mente di molti va alla storia del Popolo di Israele narrata nell’Antico Testamento. A Gerusalemme, il grande Tempio di Salomone era il luogo dell’incontro con Dio nella preghiera; all’interno del Tempio c’era l’Arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo; e nell’Arca c’erano le Tavole della Legge, la manna e la verga di Aronne: un richiamo al fatto che Dio era stato sempre dentro la storia del suo popolo, ne aveva accompagnato il cammino, ne aveva guidato i passi. Il tempio ricorda questa storia: anche noi quando andiamo al tempio dobbiamo ricordare questa storia, ciascuno di noi la nostra storia, come Gesù mi ha incontrato, come Gesù ha camminato con me, come Gesù mi ama e mi benedice.
Ecco, ciò che era prefigurato nell’antico Tempio, è realizzato, dalla potenza dello Spirito Santo, nella Chiesa: la Chiesa è la “casa di Dio”, il luogo della sua presenza, dove possiamo trovare e incontrare il Signore; la Chiesa è il Tempio in cui abita lo Spirito Santo che la anima, la guida e la sorregge. Se ci chiediamo: dove possiamo incontrare Dio? Dove possiamo entrare in comunione con Lui attraverso Cristo? Dove possiamo trovare la luce dello Spirito Santo che illumini la nostra vita? La risposta è: nel popolo di Dio, fra noi, che siamo Chiesa. Qui incontreremo Gesù, lo Spirito Santo e il Padre.
L’antico Tempio era edificato dalle mani degli uomini: si voleva “dare una casa” a Dio, per avere un segno visibile della sua presenza in mezzo al popolo. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio, si compie la profezia di Natan al Re Davide (cfr 2 Sam 7,1-29): non è il re, non siamo noi a “dare una casa a Dio”, ma è Dio stesso che “costruisce la sua casa” per venire ad abitare in mezzo a noi, come scrive san Giovanni nel suo Vangelo (cfr 1,14). Cristo è il Tempio vivente del Padre, e Cristo stesso edifica la sua “casa spirituale”, la Chiesa, fatta non di pietre materiali, ma di “pietre viventi”, che siamo noi. L’Apostolo Paolo dice ai cristiani di Efeso: voi siete «edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,20-22). Questa è una cosa bella! Noi siamo le pietre vive dell’edificio di Dio, unite profondamente a Cristo, che è la pietra di sostegno, e anche di sostegno tra noi. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il tempio siamo noi, noi siamo la Chiesa vivente, il tempio vivente e quando siamo insieme tra di noi c’è anche lo Spirito Santo, che ci aiuta a crescere come Chiesa. Noi non siamo isolati, ma siamo popolo di Dio: questa è la Chiesa!
Ed è lo Spirito Santo, con i suoi doni, che disegna la varietà. Questo è importante: cosa fa lo Spirito Santo fra noi? Egli disegna la varietà che è la ricchezza nella Chiesa e unisce tutto e tutti, così da costituire un tempio spirituale, in cui non offriamo sacrifici materiali, ma noi stessi, la nostra vita (cfr 1Pt 2,4-5). La Chiesa non è un intreccio di cose e di interessi, ma è il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio in cui ognuno di noi con il dono del Battesimo è pietra viva. Questo ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa e se qualcuno a volte dice ad un altro: ‘Vai a casa, tu sei inutile’, questo non è vero, perché nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio! Nessuno è secondario. Nessuno è il più importante nella Chiesa, tutti siamo uguali agli occhi di Dio. Qualcuno di voi potrebbe dire: ‘Senta Signor Papa, Lei non è uguale a noi’. Sì, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali, siamo fratelli! Nessuno è anonimo: tutti formiamo e costruiamo la Chiesa. Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: ‘Io con la Chiesa non c’entro’, ma così salta il mattone di una vita in questo bel Tempio. Nessuno può andarsene, tutti dobbiamo portare alla Chiesa la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero, il nostro lavoro: tutti insieme.
Vorrei allora che ci domandassimo: come viviamo il nostro essere Chiesa? Siamo pietre vive o siamo, per così dire, pietre stanche, annoiate, indifferenti? Avete visto quanto è brutto vedere un cristiano stanco, annoiato, indifferente? Un cristiano così non va bene, il cristiano deve essere vivo, gioioso di essere cristiano; deve vivere questa bellezza di far parte del popolo di Dio che è la Chiesa. Ci apriamo noi all’azione dello Spirito Santo per essere parte attiva nelle nostre comunità, o ci chiudiamo in noi stessi, dicendo: ‘ho tante cose da fare, non è compito mio’?
Il Signore doni a tutti noi la sua grazia, la sua forza, affinché possiamo essere profondamente uniti a Cristo, che è la pietra angolare, il pilastro, la pietra di sostegno della nostra vita e di tutta la vita della Chiesa. Preghiamo perché, animati dal suo Spirito, siamo sempre pietre vive della sua Chiesa.

Saluti:
Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les jeunes venus de France, ainsi que les pèlerins venus du Congo et du Canada. Chers frères et sœurs, que le Seigneur nous donne la grâce d’être profondément unis au Christ et, par le don de nous-mêmes, de participer généreusement à la construction de l’Eglise: telle est notre mission.
I offer an affectionate greeting to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from England, Scotland, Wales, South Africa, Indonesia, Canada and the United States. May your stay in the Eternal City confirm you in love for our Lord and his Church. God bless you all!
Einen herzlichen Gruß richte ich an alle Pilger deutscher Sprache. Liebe Brüder und Schwestern! Im geistlichen Bau der Kirche wird jeder Stein gebraucht, keiner ist überflüssig. Fragen wir uns, wie wir unser Kirche-Sein leben, ob wir vielleicht brüchige Steine geworden sind. Der Heilige Geist will uns durch das Feuer der Liebe neue Festigkeit verleihen, Eifer und Begeisterung, um nach dem Vorbild Christi zu leben. Gott segne euch.
Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Argentina, Bolivia, Colombia, México y los demás países latinoamericanos. Pidamos al Señor que, animados por su Espíritu, seamos siempre piedras vivas de su Iglesia. Muchas gracias.
Queridos peregrinos de língua portuguesa, particularmente vós, brasileiros de Goiânia e Santa Maria: sede bem-vindos! Saúdo-vos como pedras vivas do edifício espiritual que é a Igreja, encorajando-vos a permanecer profundamente unidos a Cristo para que, animados pelo seu Espírito, possais contribuir na edificação de uma Igreja sempre mais bela. Abençôo-vos a vós e as vossas comunidades..
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni, confraternite, enti, scuole e gruppi vari. In particolare, saluto i fedeli delle diocesi di Sessa Aurunca e di Caltagirone, accompagnati dai rispettivi Vescovi. Un affettuoso pensiero rivolgo al Padre Abate Pietro Vittorelli ed ai fedeli dell’Abbazia territoriale di Montecassino.
Sono lieto di salutare il Cardinale Salvatore De Giorgi e quanti gli sono vicini in occasione del suo sessantesimo anniversario di Ordinazione presbiterale e quarantesimo di Ordinazione episcopale. Pensate che bel servizio alla Chiesa: sessanta anni di sacerdozio e quaranta di episcopato! È un bel servizio che lui ha fatto con cuore di padre, con bontà di padre, e con questo cuore di padre ha fatto tanto bene alla Chiesa. Questa mattina abbiamo celebrato la Messa e c'era un piccolo gruppo di preti che sono stati ordinati da lui. Era piccolo il gruppo: ce n'erano più di ottanta! Immaginatevi quanti ne ha ordinati: ringraziamolo per tutto quello che ha fatto per la Chiesa. Saluto le Figlie della Chiesa e le Suore delle Poverelle che celebrano i loro Capitoli Generali. Vorrei, inoltre, come di consueto, rivolgere il mio cordiale saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli.
A ciascuno auguro che questo incontro costituisca un incoraggiamento a diffondere con entusiasmo la novità del perenne messaggio salvifico portato da Cristo.


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Il Papa: i preti abbiano la grazia della paternità spirituale.

Dio vuole che i sacerdoti vivano con pienezza una speciale grazia di “paternità”: quella spirituale nei riguardi delle persone loro affidate. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa di questa mattina, presieduta nella cappella di Casa S. Marta. Con il Pontefice erano presenti prelati e sacerdoti che accompagnavano il cardinale arcivescovo emerito di Palermo, Salvatore De Giorgi, che oggi celebra il 60.mo anniversario di ordinazione sacerdotale, circostanza alla quale il Papa ha fatto cenno con parole di grande stima all’omelia, per poi ritornarvi più tardi all'udienza generale.
La “voglia di paternità” è iscritta nelle fibre più profonde di un uomo. E un sacerdote, ha affermato Papa Francesco, non fa eccezione, pur essendo il suo desiderio orientato e vissuto in modo particolare:

“Quando un uomo non ha questa voglia, qualcosa manca, in quest’uomo. Qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita… Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri”.
Lo spunto di riflessione è offerto a Papa Francesco dal brano della Genesi di oggi, nel quale Dio promette al vecchio Abramo la gioia di un figlio, assieme a una discendenza fitta come le stelle del cielo. Per suggellare questo patto, Abramo segue le indicazioni di Dio e allestisce un sacrificio di animali che poi difende dall’assalto di uccelli rapaci. “Mi commuove – commenta il Papa – guardare questo novantenne con il bastone in mano”, che difende il suo sacrificio. “Mi fa pensare a un padre, quando difende la famiglia, i figli”:

“Un padre che sa cosa significa difendere i figli. E questa è una grazia che noi preti dobbiamo chiedere: essere padri, essere padri. La grazia della paternità, della paternità pastorale, della paternità spirituale. Peccati ne avremo tanti, ma questo è di commune sanctorum: tutti abbiamo peccati. Ma non avere figli, non diventare padre, è come se la vita non arrivasse alla fine: si ferma a metà cammino. E perciò dobbiamo essere padri. Ma è una grazia che il Signore dà. La gente ci dice così: ‘Padre, padre, padre…’. Ci vuole così, padri, con la grazia della paternità pastorale”.
A questo punto, lo sguardo di Papa Francesco si posa con affetto sul cardinale De Giorgi, giunto al traguardo del 60.mo anniversario di sacerdozio. “Io non so cosa ha fatto il caro Salvatore”, ma “sono sicuro che è stato padre”. “E questo è un segno”, prosegue rivolto ai tanti sacerdoti che hanno accompagnato il porporato. Ora tocca a voi, è l’esortazione finale di Papa Francesco, che osserva: ogni albero “dà il frutto da sé e se lui è buono, i frutti devono essere buoni, no?”. Dunque, soggiunge con simpatia, “non fategli fare brutta figura…”:

“Ringraziamo il Signore per questa grazia della paternità nella Chiesa, che va di padre in figlio, e così… E io penso, per finire, a queste due icone e a una in più: l’icona di Abramo che chiede un figlio, l’icona di Abramo con il bastone in mano, difendendo la famiglia, e l’icona dell’anziano Simeone nel Tempio, quando riceve la vita nuova: fa una liturgia spontanea, la liturgia della gioia, a Lui. E a voi, il Signore oggi vi dia tanta gioia”.
Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 
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martedì 25 giugno 2013

Il Papa: essere cristiano non è una casualità, ma una chiamata d’amore

Essere cristiano è una chiamata d’amore, una chiamata a diventare figli di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi ribadito che la certezza del cristiano è che il Signore non ci lascia mai soli e ci chiede di andare avanti, anche in mezzo ai problemi. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Robert Sarah, dal cardinale Camillo Ruini e da mons. Ignacio Carrasco de Paula, hanno preso parte un gruppo di dipendenti del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, della Pontificia Accademia per la Vita e un gruppo di collaboratori della Specola Vaticana, accompagnati dal direttore José Gabriel Funes.  MP3 

Papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla Prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi, dove si racconta della discussione tra Abram e Lot per la divisione della terra. “Quando io leggo questo – ha detto il Papa – penso al Medio Oriente e chiedo tanto al Signore che ci dia a tutti la saggezza, questa saggezza – non litighiamo, io di qua e tu di là… - per la pace”. Abram, ha osservato il Papa, “continua a camminare”. “Lui – ha affermato – aveva lasciato la sua terra per andare, non sapeva dove, ma dove il Signore gli dirà”. Continua a camminare, dunque, perché crede nella Parola di Dio che “lo aveva invitato ad uscire dalla sua terra”. Quest’uomo, forse novantenne, ha detto ancora il Papa, guarda la terra che gli indica il Signore e crede:

Abram parte dalla sua terra con una promessa: tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abram, una persona, e di questa persona fa un popolo. Se noi andiamo al Libro della Genesi, all’inizio, alla Creazione, possiamo trovare che Dio crea le stelle, crea le piante, crea gli animali, crea le, le, le, le… Ma crea l’uomo: al singolare, uno. Sempre Dio ci parla al singolare a noi, perché ci ha creato a sua immagine e somiglianza. E Dio ci parla al singolare. Ha parlato ad Abram e gli ha dato una promessa e lo ha invitato ad uscire dalla sua terra. Noi cristiani siamo stati chiamati al singolare: nessuno di noi è cristiano per puro caso! Nessuno!”

C’è una chiamata “col nome, con una promessa”, ha ribadito il Papa: “Vai avanti, Io sono con te! Io cammino affianco a te”. E questo, ha proseguito, Gesù lo sapeva: “ anche nei momenti più difficili si rivolge al Padre”:

“Dio ci accompagna, Dio ci chiama per nome, Dio ci promette una discendenza. E questa è un po’ la sicurezza del cristiano. Non è una casualità, è una chiamata! Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata di amore, di amicizia; una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù; a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri; a diventare strumenti di questa chiamata. Ci sono tanti problemi, tanti problemi; ci sono momenti difficili: Gesù ne ha passati tanti! Ma sempre con quella sicurezza: ‘Il Signore mi ha chiamato. Il Signore è come me. Il Signore mi ha promesso’”.

Il Signore, ha ribadito, “è fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso: Lui è la fedeltà”. E pensando a questo brano dove Abram “è unto padre, per la prima volta, padre dei popoli, pensiamo anche a noi che siamo stati unti nel Battesimo e pensiamo alla nostra vita cristiana”:

“… qualcuno dirà ‘Padre, io sono peccatore’… Ma tutti lo siamo. Quello si sa. Il problema è: peccatori, andare avanti col Signore, andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità e dire agli altri, raccontare agli altri che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelto e che Lui non ci lascia soli, mai! Quella certezza del cristiano ci farà bene. Che il Signore ci dia, a tutti noi, questa voglia di andare avanti, che ha avuto Abram, in mezzo ai problemi; ma andare avanti, con quella sicurezza che Lui che mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle è con me!”.

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domenica 23 giugno 2013

«Io sono Tu che mi fai». Così, con i miei disturbi e le mie paranoie mentali

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Ciao padre Aldo, ti avevo scritto due o tre anni fa raccontandoti la mia storia nella speranza di ricevere da te un consiglio o una sola parola di conforto per portare la mia croce ogni giorno. Sono ammalato di bipolarismo e disturbo compulsivo ossessivo. Quando da piccolo questa cosa si è manifestata, i miei genitori, un po’ per ignoranza e un po’ per vergogna, non l’hanno mai affrontata. I farmaci ho iniziato a prenderli quando avevo appena 18 anni, adesso ne ho 45. La mia vita è stata sempre piena di problemi relazionali e di profonda sofferenza psichica. Per anni ho vissuto una esasperata tensione verso il mio respiro che volevo assolutamente controllare in ogni attimo della giornata, era una profonda sofferenza perché mi rendevo conto di stare male ma allo stesso tempo non sapevo che cosa dovevo fare. Non so come, ma sono riuscito a sopportare il tutto e mi sono persino laureato in ingegneria elettronica mettendoci però qualcosa come 12 anni. Poi, sempre roso dalle fobie, ho avuto una relazione istintiva con una donna, poi divenuta mia moglie, dalla quale ho avuto tre figlie. Lei è rimasta incinta prima che io finissi l’università. I suoi genitori da subito hanno spinto perché ci sposassimo. Siamo andati a vivere nella casa dei miei suoceri che mi hanno sempre continuamente umiliato. Sono poi nate le altre due figlie e dopo 15 anni di matrimonio mia moglie mi ha letteralmente cacciato di casa con il consenso dei suoi genitori e del nostro parroco che mi ha definito «goffo» e «poco sveglio». 
Prima di questo evento i miei genitori sono morti; mia madre si è suicidata 4 anni dopo la perdita di mio padre, avvenuta per cancro. La morte di mia mamma mi ha lasciato tanta sofferenza e a volte qualche brutto pensiero di volerla imitare. La mia ex moglie ha ottenuto l’annullamento del matrimonio e ora abito presso la foresteria delle suore benedettine del mio paese. L’unica amicizia che mi è rimasta è quella con la zia materna della mia ex moglie che, sin dall’inizio della mia brutta vicenda matrimoniale, mi ha sempre difeso e compreso. Ora ringraziando Dio ho un lavoro stabile, ma dentro me provo dolore e rabbia. Il mio cuore desidera solo amare e essere amato per quello che sono e non per quanto io possa essere efficiente nella società. 
Mario
Caro padre Aldo, leggo la tua rubrica su Tempi e mi si riempiono gli occhi di lacrime. Come mi succede ormai ogni giorno quando qualche cosa mi riporta al cuore il ricordo di Giuseppe. Pur senza idealizzare un rapporto che era difficile, il cuore è dilaniato e azzannato da sensi di colpa (che so essere inutili, ma che ci sono) e dalla mancanza della sua presenza. Perché a Giuseppe non è stata data la possibilità di rinascere? Perché si è lasciato determinare da questa malattia quando tanti riescono a far fiorire opere pur nel dolore e nella fatica? Continuo giorno dopo giorno a chiedere di essere certa che Giuseppe sia nelle braccia del Padre e che tutto questo dolore sia per un bene. Eppure il dolore è incontrastabile e soverchia tutto.
Marta
Ancora una volta voglio approfittare di questo spazio prezioso, per dar voce a quanti ogni giorno condividono con me le loro sofferenze, cercando parole di incoraggiamento agli infiniti “perché” che suscita l’esperienza del dolore. Molti di questi amici sono stanchi di soffrire e di vivere. È doloroso vedere come vogliono, anzi esigono una risposta, desiderando conoscere se esista davvero un’autentica risposta alla loro stanchezza esistenziale. Sono di fatto poche, tra le e-mail ricevute, quelle che testimoniano una speranza e questa cosa mi ferisce profondamente perché viene a galla quella terribile malattia che è la perdita del senso e del gusto della vita. Svegliarmi alla mattina e trovandomi tra le mani delle e-mail con dentro il grido di aiuto di persone che neanche conosco, come Marta e Mario, mi obbliga subito a riconoscere che quel grido coincide con il mio.
Un grido che fa parte della struttura dell’essere umano, mendicante dell’Infinito. Inginocchiandomi davanti al crocifisso appeso sulla parete della mia stanza, inizio la giornata gridando con questi amici: «Nelle Tue mani consegno la nostra vita, il nostro dolore. Vieni Signore Gesù, fai in fretta a soccorrerci». Alcuni minuti dopo ripeto le stesse parole nella clinica davanti al Santissimo Sacramento, presenza viva, fisica di Gesù, riconoscendo la verità profonda del mio essere e dei miei amici: «Io sono Tu che mi fai», Tu che mi fai così come sono, con le mie paranoie, coi miei disturbi compulsivi ossessivi, col mio bipolarismo, con tutto il malessere che mi accompagna in tutte le 24 ore del giorno. Il Mistero mi fa in ogni momento dentro le condizioni che mi chiama a vivere. Per le ideologie dominanti, secondo il parere di molti esperti della mente, l’essere umano è ridotto a una mera definizione, descritto da alcune categorie. Questa è la grande bugia del potere che riducendo l’io a definizione, dimentica la sua relazione col Mistero e il fatto che egli stesso è un Mistero. Pensiamo alle pretese razionalistiche che hanno definito l’uomo come una “passione inutile”, un essere per la morte, un “tubo digerente” o alla teoria che ognuno è frutto della casualità. Ma le circostanze sono date. Che speranza avrei, avremmo, se la nostra certezza (più splendente del sole anche quando la mente è ottenebrata dai fantasmi), non fosse questa: che ognuno di noi è un «Io sono Tu che mi fai»? Questa certezza sempre mi accompagna guardando e baciando ogni paziente e, ormai al crepuscolo della mia esistenza, quando visito i ricoveri per anziani trovandomi di fronte a persone che hanno vissuto la loro esistenza per la strada perdendo “il ben dell’intelletto” colpiti dall’Alzheimer o da altre malattie psichiche. Provo una tenerezza grande per ognuno, perché anche se hanno perso la coscienza di se stessi, sono in questo momento frutto dell’azione creativa di Dio. In ognuno è presente la vibrazione dell’Essere. Esistono! E questo è il grande mistero dell’essere nati e del respirare in ogni momento fino a quando Dio dirà «basta».
Siamo membra del corpo di Cristo
Cari amici Marta e Mario e quanti soffrite nell’anima e nel corpo, non abbiate paura perché, come ci ricordava san Paolo nella III domenica del Tempo Ordinario, siete membra del corpo di Cristo, e ogni membro ha la sua funzione. Nessun membro è più fortunato dell’altro perché il corpo senza un dito non sarebbe un corpo completo. La grazia che dobbiamo chiedere al Signore, tramite la Madonna è quella di immergersi in Gesù, di immedesimarci nella sua passione, morte e resurrezione. Egli ci ha scelti non solo come compagni di cammino ma anche per essere sole e luce del mondo. Il dolore – in particolare quello psichico e morale – senza Cristo è un inferno. Ma quando contemplo Gesù nel Getsemani o sulla croce, la prospettiva cambia e la vita diventa feconda. Le opere che la Provvidenza ha fatto in questo perimetro di terra lontana sono l’evidenza di questa verità. Qui ogni giorno viviamo i Misteri dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Cristo. Quello che tu, Marta, vivi dopo il suicidio del tuo caro amico, consegnalo a Gesù. Consegna a Lui i tuoi “perché” nella certezza che la misericordia di Dio non è disposta a perdere un suo figlio che nella sua vita ha conosciuto la disperazione. Il peggior peccato che si può fare è quello di non fidarsi della Misericordia Divina.
Mario, che importa se il tuo parroco ti ha definito “goffo” e “poco sveglio”, per Dio sei un’altra cosa, sei unico e irripetibile. Come vorrei che lentamente la tua mente si fissasse su questo e non su quello che hanno detto di te. La prova della tenerezza di Dio verso di te è evidente nell’amicizia e nell’ospitalità delle suore benedettine. Dio ti ama e ti amerà sempre, malgrado ti definiscano malato di bipolarismo. Ricorda: «Io sono Tu che mi fai».
paldo.trento@gmail.com

E se la vacanza fosse il tempo della rivoluzione? DALLA CRISI LA SFIDA PER UN SALTO DI QUALITÀ



Chissà, forse, proprio dalle vacanze potrebbe venire la riscossa. Una specie di rivoluzione silenziosa e poco apparente ma decisiva. Si dice: vacanze più povere. Lo scrivono i giornali: metà degli italiani a casa. Insomma, nel Paese dove le ferie sono un rito la guerra sociofinanziaria che va sotto il nome di 'crisi' ha fatto già una vittima: la vacanza come momento in cui togliersi qualche sfizio, in cui regalare alla propria famiglia o a se stessi uno svago in più. Pur se siamo nell’epoca dei viaggi low cost,pare che non siano abbastanza low per il low budget , il poco risparmio di cui moltissimi possono aver disponibilità, dopo mesi di magri incassi, o di indebitamento. E dunque, secondo le stime, i commenti, le statistiche, ci si avvierebbe a un’estate più mesta in quanto più povera e meno splendida. Ma davvero non può che essere così? Non si potrebbe mostrare – ciascuno per sé e tutti insieme, pur senza riunirsi o dividersi in uno o più partiti – che no, non è detto che l’allegria, la bellezza, la dolcezza delle vacanze dipenda da quanto puoi spendere, dalle stelle dell’albergo o della pensione, dei giorni passati via dalla propria città o luogo solito? Sarebbe una specie di rivoluzione, una dimostrazione di forza da gettare in volto a coloro che pensano che un uomo sia contento nella misura in cui ha soldi in tasca. Sappiamo anche noi che c’è qualcosa di vero nel simpatico proverbio messo in bocca a Totò: «I soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria». Senza perdere dunque l’ironia e il realismo necessario, sappiamo però – come dimostrano gli interventi di molti studiosi e analisti nelle ultime settimane – che questo passaggio epocale non riguarda solo l’organizzazione del mercato finanziario e i suoi riflessi sulla politica, bensì una questione antropologica più vasta e profonda. Lo abbiamo sempre detto e letto su queste colonne che 'crisi' è l’altro nome di una 'guerra' sociale ed economica che sottende questioni enormi che riguardano i mutamenti dell’anima dell’uomo contemporaneo. Ora – e verrebbe da dire: finalmente – in molti toccano la faccia meno evidente del cambio d’epoca e provano a indovinarne i tratti profondi. E dunque chissà che le vacanze, queste 'povere' vacanze in cui ci vorrebbero con le orecchie un po’ basse, non diventino il luogo segreto di una riscossa. Di un rialzamento dei cuori. Di un reilluminarsi dello sguardo. Giorni in cui la ricchezza vera si scopre nel viso dell’altro, più che nel menù dell’hotel, o nel panorama inquieto negli occhi dei propri figli con cui passare un po’ di tempo più che in scorci di mare che in certi periodi si pagano un po’ cari. Qualche giorno fa, in un luogo non proprio esaltante (i corridoi di un ambulatorio), ho sentito una signora non giovanissima dire a una conoscente che le faceva i complimenti per la cura e il portamento: «Beh, non è mica detto che se siamo più poveri ci dobbiamo ridurre più brutti».
  Ecco, c’è una dinamite rivoluzionaria in quella frase. Una potenzialità che si può mettere a frutto nei giorni delle vacanze dove si ha un po’ di tempo per la bellezza delle relazioni solite (e insolite) e dove si ha un respiro più largo per vedere cosa stiamo davvero costruendo nella vita. Non è detto che un periodo più modesto nella capacità di spesa sia un periodo più brutto. Ci vogliono convincere di questo proprio coloro che hanno dominato un mondo regolato dai soldi, e che di certo non è diventato in loro potere più bello e più lieto. La rivoluzione semplice delle vacanze, del tempo libero, può far vedere che il tempo può essere liberato da certi modi di valutare la vita, quelli sì veramente poveri e meschini.
 Allons enfant non facciamoci misurare dalla magrezza dei borsellini.
 
 Una nuova patria più umana si può. 
 DAVIDE RONDONI 

Angelus. Il Papa: rifiutate i valori avariati, andate controcorrente e dite sì a Cristo con coraggio



Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:
PRIMA DELL’ANGELUS
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel Vangelo di questa domenica risuona una delle parole più incisive di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24).
Qui c’è una sintesi del messaggio di Cristo, ed è espressa con un paradosso molto efficace, che ci fa conoscere il suo modo di parlare, quasi ci fa sentire la sua voce…
Ma che cosa significa "perdere la vita per causa di Gesù"? Questo può avvenire in due modi: esplicitamente confessando la fede o implicitamente difendendo la verità. I martiri sono l’esempio massimo del perdere la vita per Cristo. In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti, - più che nei primi secoli - tanti martiri, che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch’esso è un "perdere la vita" per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!
E poi ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che "perdono la propria vita" per la verità. E Cristo ha detto "io sono la verità", quindi chi serve la verità serve Cristo.
Una di queste persone, che ha dato la vita per la verità, è Giovanni il Battista: proprio domani, 24 giugno, è la sua festa grande, la solennità della sua nascita. Giovanni è stato scelto da Dio per preparare la via davanti a Gesù, e lo ha indicato al popolo d’Israele come il Messia, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Giovanni ha consacrato tutto se stesso a Dio e al suo inviato, Gesù. Ma, alla fine, cosa è successo? E’ morto per la causa della verità, quando ha denunciato l’adulterio del re Erode e di Erodiade. Quante persone pagano a caro prezzo l’impegno per la verità! Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!
Cari amici, accogliamo con gioia questa parola di Gesù. E’ una regola di vita proposta a tutti. E san Giovanni Battista ci aiuti a metterla in pratica.
Su questa via ci precede, come sempre, la nostra Madre, Maria Santissima: lei ha perduto la sua vita per Gesù, fino alla Croce, e l’ha ricevuta in pienezza, con tutta la luce e la bellezza della Risurrezione. Ci aiuti Maria a fare sempre più nostra la logica del Vangelo.

DOPO L’ANGELUS

Ricordatevi bene: Non abbiate paura di andare controcorrente! Siate coraggiosi! E così, come noi non vogliamo mangiare un pasto andato a male, non portiamo con noi questi valori che sono avariati e che rovinano la vita, e tolgono la speranza. Avanti!
Vi saluto con affetto: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le scuole. Saluto gli alunni del Liceo diocesano di Vipàva in Slovenia; la comunità polacca di Ascoli Piceno; l’UNITALSI di Ischia di Castro; i ragazzi dell’Oratorio di Urgnano - vedo qui la loro bandiera, Bravi, siete bravi voi! -, i fedeli di Pordenone; le Suore e gli operatori dell’Ospedale "Miulli" di Acquaviva delle Fonti; un gruppo di delegati sindacali dal Veneto.
Auguro a tutti una buona domenica!

Pregate per me e buon pranzo!

sabato 22 giugno 2013

Fraternità di San Carlo, oggi otto nuovi sacerdoti



                  
«L’uomo buono rende buono il popolo, l’uomo felice condivide con il popolo la sua gioia». Questo proverbio cinese potrebbe essere il motto delle ordinazioni della Fraternità San Carlo Borromeo, che si svolgono oggi alle 15.30 nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
  Otto sacerdoti e un diacono saranno ordinati dal vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità. I nuovi sacerdoti sono Nicolò Ceccolini, 25 anni, di Gabicce Mare (Pesaro-Urbino), che resterà a Roma, vicerettore del Seminario; Matteo Dall’Agata, 32 anni, di Forlì, che andrà a Vienna (Austria); Francesco Ferrari, 31 anni, di Reggio Emilia, che resterà a Roma, vicerettore del Seminario; Stefano Lavelli, 35 anni, di Piacenza, che andrà a Napoli; Lorenzo Locatelli, 32 anni, romano, che andrà a Santiago del Cile; Paolo Paganini, 32 anni, milanese, che proseguirà gli studi a Roma in vista della missione in Russia; Daniele Scorrano, 34 anni, pugliese, che andrà a Reggio Emilia; e Donato Contuzzi, 33 anni, lucano, che andrà a Taipei (Taiwan). È a don Contuzzi che il proverbio (che nella lingua originale gioca con la versione cinese del suo nome, «Donato») è stato dedicato dalla comunità cattolica di Taiwan, in occasione della sua ordinazione.
  «Chi l’avrebbe mai detto di finire a Taiwan!», dice sorridendo ad “Avvenire” don Contuzzi. «Dopo l’ordinazione continuerò nello studio del cinese e nell’aiuto ai
 miei fratelli nell’attività della parrocchia di San Francesco Saverio. Da alcuni mesi, inoltre, insegno italiano all’Università cattolica Fu Jen».
  Negli anni di Seminario nasce un’amicizia profonda con don Paolo Costa (che, ironia della sorte, ora è suo compagno di casa a Taipei) e con don Paolo Sottopietra, attuale superiore generale della Fraternità. «Questi nostri giovani amici che giungono al sacerdozio – spiega don Sottopietra – sono il segno vivente che Dio continua a chiamare.
  Come ci ha detto papa Benedetto XVI durante l’ultima udienza che ci ha concesso, Dio ci affida la responsabilità di lavorare perché nessuna vocazione vada perduta, ma ogni seme giunga a
maturazione». «A vent’anni volevo essere ricco, avere una bella e numerosa famiglia e viaggiare tanto in compagnia dei miei amici», conclude don Donato, che prima di entrare in Seminario aveva avviato gli studi di Ingegneria e quelli al Conservatorio a Parma (suona il sax). Nella comunità di Cl di Parma, in quegli anni, altri amici seguono la via del sacerdozio (tra cui don Stefano Lavelli, che sarà ordinato con lui), della vita monastica o dell’impegno come laici consacrati. «Quei desideri ora sono ancora più veri. Sono ricco, ma di Cristo, sono a Taiwan e ho una grande famiglia, fatta di tante persone a cui annunciare il grande dono che ho ricevuto».

A presiedere il rito in Santa Maria Maggiore a Roma sarà il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla,  Mons. Massimo Camisasca  

l’omelia di mons. Camisasca


Carissimi fratelli e amici,
questa celebrazione riveste un significato particolare per me e per i giovani che ora riceveranno l’ordine del presbiterato e del diaconato.
Per me si tratta del singolare privilegio che mi è concesso da Cristo di poter ordinare dei fratelli che ho accolto e accompagnato nella Fraternità san Carlo; per loro si tratta di un avvenimento che cambia interamente l’esistenza, in continuità e fioritura del loro battesimo, ma con una richiesta di donazione da parte di Cristo che supera ogni umana progettazione e previsione.
Le letture di questa santa Liturgia, che abbiamo appena ascoltato, sono il portale che ci introduce, con la profondità inesauribile della Parola di Dio, alla comprensione commossa di quanto sta accadendo. Devo limitarmi a riprendere con voi la pagina del Vangelo di Luca. Mentre gli altri Vangeli sinottici collocano il dialogo di Gesù con i discepoli, che abbiamo ascoltato, lungo la strada verso Cesarea di Filippo o arrivati in quel luogo, Luca ci mostra Gesù in preghiera. I discepoli stanno a distanza. Lui si avvicina a loro e pone una domanda. È una domanda che nasce dalla profondità del dialogo col Padre, non dalla vanità che può invece originarla sulle nostre labbra: “Cosa pensano gli altri, la gente, di me?”. Per Gesù si tratta di un itinerario chiaro: dalle opinioni della gente vuol arrivare a suscitare e verificare la fede personale dei discepoli. Dalle loro risposte comprendiamo che la gente che seguiva Gesù non aveva idee strane o fantasiose o irriverenti su di Lui. Sono evidentemente persone che conoscono la Scrittura e hanno seguito le vicende del Battista. Le loro risposte, che ora non possiamo analizzare, sono illuminate e per nulla banali. Ci fanno capire come la gente guardasse a Gesù. E ci riempiono della stessa ammirazione e attesa di quella moltitudine. Eppure tutto ciò non basta. Gesù prosegue: “Ma voi, avete saputo vedere meglio? Avete fatto tesoro delle mie parole e delle mie azioni? Avete penetrato il mistero della mia persona?”.
Luca e gli altri Vangeli non riportano le risposte degli apostoli e dei discepoli. Emerge soltanto la voce di Pietro che sovrasta le altre e le cancella dalla memoria: “Tu sei l’Unto di Dio”.
Fermiamoci un momento. Questa sera il dialogo avviene con voi. È a voi che Gesù chiede, a ciascuno di voi: “E tu, chi dici che io sia?”.
Questa domanda ci interpella nel profondo, ma si rivolge ora soprattutto a voi, cari fratelli che state per essere ordinati. Si può dire con assoluta verità e pertinenza che la vita del sacerdote  si spiega e si regge soltanto come strada di una progressiva conoscenza di Cristo. Conoscenza intellettuale, certo, da alimentare con lo studio e la meditazione, ma anche e soprattutto conoscenza affettiva che avviene nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti, nell’accompagnamento e nella guida delle persone che ci sono affidate da Cristo.
La conoscenza di Cristo è la realtà più avvincente del sacerdozio: una conoscenza personale, inesauribile. Ogni volta che una persona vi accosterà aprendo il suo cuore; ogni volta che direte: io ti assolvo, questo è il mio corpo; ogni volta che spiegherete e leggerete la Scrittura; ogni volta che aiuterete un uomo o una donna a leggere la sua vita, le sue gioie e i suoi dolori; … ogni volta sarà una nuova conoscenza di Cristo, un nuovo passo verso la realtà della sua Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione, della sua Presenza tra noi.
Amore di Dio e degli uomini, conoscenza di Dio e degli uomini di fondono nel nostro itinerario sacerdotale, nel nostro cammino verso Cristo.
Ma la domanda di Gesù rivela non solo il nostro cammino verso di Lui, in Lui, come direbbe san Paolo. Essa ci apre innanzitutto al cammino di Gesù verso di noi, verso ciascuno di noi. Il sacramento che ora riceverete, prima ancora di affidarvi delle responsabilità, è un atto di misericordia verso di voi. Miserando atque eligendo, dice il motto di Papa Francesco tratto da Beda, il Venerabile. Ti ha scelto perché ha avuto misericordia di te. Ripensiamo così alla domanda di Cristo: chi dite che io sia? Gesù sa bene chi Lui è. La sua domanda non nasce da curiosità, vanagloria, dubbio, incertezza. Nasce dalla carità. Desidera essere amato dai suoi, perché sa che in questo amore è la loro salvezza. Ed essi, dodici di essi, in questo passaggio che accoglie la carità di Cristo, da discepoli diventano apostoli.
Ha sete di te l’anima mia (Sal 62,2). Questa è la preghiera di ognuno di noi a Cristo. Ma “ho sete” è anche parola di Cristo a noi, parola di Cristo rivolta a ciascuno di noi. Soltanto rispondendo alla sua sete scopriamo la nostra identità. Cari fratelli desidero dunque lasciarvi questo pensiero: in Cristo noi conosciamo noi stessi.
“Chi dici che io sia?” è la domanda che ciascuno di noi dice all’amico per ricevere la rivelazione del suo io. Secretum meum mihi (Is 24,16)
Ognuno di noi cerca nell’altro la risoluzione del proprio segreto. “Io, che sono?” diceva Leopardi. La domanda dell’uomo a se stesso trova questa sera una risposta nel dialogo tra Cristo e i suoi: Io sono colui che Cristo ha amato e ama. Per questo ha accettato di “soffrire molto, essere rifiutato… , venire ucciso” ed è risorto il terzo giorno. Perché mi ama.
Cari fratelli, come Pietro ha ricevuto il dono di entrare nel dialogo tra il Padre e Gesù, così ora lo concede anche a voi. Il Padre vi rivela chi sia Gesù e quale sia la sua missione, quel mistero che a Pietro ripugna e vorrebbe in ogni modo allontanare. Eppure non c’è conoscenza di Gesù se non stando dietro a Lui. “Stammi dietro”, dice il Maestro a Pietro.
Questa è la consegna che questa sera vi affido: state dietro a Gesù. Chi perde, cioè dona la sua vita per Lui senza mai misurare, costui la salverà. Amen.