giovedì 20 giugno 2013

Il «vocabolario» di Papa Francesco



Frasi semplici perché tutti possano capire. Ma scelte con cura e ripetute più volte così da farle interiorizzare Nelle parole usate dal Papa c’è la sintesi del suo avvio di pontificato. Come l’invito a camminare, custodire e confessare o il richiamo alla misericordia. Fino alla riscoperta dei concetti di magnanimità. E tenerezza

 Francesco e le sue parole. Semplici, perché anche un bimbo le possa capire. Ma scel­te, lo si capisce immediatamente, una per una; provenienti da una riflessione, e una teo­logia, profonda, e capaci per questo, ogni vol­ta che le si rilegge o le si riascolta, di dire e si­gnificare qualcosa di più.
  Non cerca l’inedito, il Papa, cerca il senso, e di fare in modo che questo senso arrivi diret­to.
 
 Camminare, edificare, confessare, le tre pa­role chiave usate, nell’omelia della 'Missa pro Ecclesia'celebrata nella Sistina all’indomani della sua elezione per i «fratelli» cardinali, non delineano così solamente il suo programma, ma lo inseriscono direttamente nel cuore di quella che è la missione comune di tutti i cre­denti. Chiedendo a ciascuno il «coraggio, proprio il coraggio, di camminare in pre­senza del Signore, con la Croce del Signo­re; di edificare la Chiesa sul sangue del Si­gnore, che è versato sulla Croce; e di con­fessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti».
  Parole-bandiera, che non vogliono essere slo­gan di facile effetto, ma non vogliono allo stesso modo a essere facili da ricordare. Co­me quella parola,
 povertà, che in questi cen­to giorni Francesco ha declinato in mille mo­di diversi, a partire da quella frase pronunciata nella sua prima udienza, riservata ai giorna­listi di tutto il mondo – «Oh, come sogno u­na Chiesa povera e per i poveri!» – che non è l’invocazione all’utopia pauperista che qual­cuno, o molti, hanno voluto leggervi, ma il richiamo a quello stile evangelico indispen­sabile per coniugare e rendere credibili, nei fatti, altre parole –solidarietà, vicinanza, sem­plicità, umiltà, servizio – del suo straordinario vocabolario.
 
 Proprio a questo proposito, è impossibile non ripensare, per esempio, al discorso che Bene­detto XVI, il 25 settembre del 2010, tenne du­rante l’incontro con i cattolici impegnati nel­la Chiesa e nella società a Freiburg im Brei­sgau. E così ci si rende conto di come, nella scelta assolutamente non casuale delle sue pa­role, Francesco continuamente rimandi al ma­gistero dei suoi immediati predecessori, a sot­tolineare la continuità naturale, e rigorosa, con Wojtyla e Ratzinger. Quante volte, per e­sempio, abbiamo sentito la parola misericor­dia uscire dalla bocca di Giovanni Paolo II? E quante volte papa Ratzinger ci ha ricordato, anche nelle sue encicliche, che essere cristia­ni vuol dire essere pieni di gioia ? E quante volte, l’uno e l’altro, ci hanno parlato del­l’importanza del custodire ,il creato, tutto il creato, a cominciare dall’uomo, come oggi Francesco continua a fare con il suoinsistente senso di urgenza?
  Ce ne sarebbero molte altre, di queste paro­le. Ma una ancora non può non essere ricor­data. Ed è la parola
 tenerezza , di cui, ha det­to Francesco nella messa d’inizio pontificato, «non dobbiamo avere timore». Difficile pen­sare, nel modo di oggi, arrabbiato fino alla cru­deltà, a una parola più efficace per descrivere dove sta la vera forza del cristiano. SALVATORE MAZZA

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