- La XXXV edizione della Macerata-Loreto.
Sabato 8 giugno la trentacinquesima edizione del pellegrinaggio per i colli marchigiani. Il racconto di chi c'era. La dinamica della vita condensata in quel cammino. Fino a riconoscere nella fatica «la propria umanità bisognosa dell'umanità di Cristo»
Non c’è niente di eroico nel pellegrinaggio: è tutta la vita concentrata in una notte.Cammini nella fatica che passo dopo passo aumenta, cammini sapendo dove stai andando, cammini e preghi, canti e a ogni passo invochi e gemi. Sai dove vai e attorno un popolo, gli amici, quelli che ti stanno a fianco nella vita, nelle pieghe belle e in quelle dolorose e un fiume di altri che non conosci, che sono lì con me.
Il pellegrinaggio è la vita in una notte. Io che non mi consumo in discorsi. L’unica cosa che faccio è chiedere alle persone che incontro di venire alla Macerata-Loreto. A quelli che soffrono, a quelli con una ferita dentro così grande che quando te la dicono pare di cadere per terra e dici «ma come fai? Ma come hai fatto fino adesso?». E scopro ancora una volta che dietro ad ogni persona che incontro, anche quelle che credevo di sapere, c’è un’onda di abisso che fa tremare. A tutti dico, vieni, dai vieni! «Ma poi stiamo insieme?», sorrido e spero di sì, l’importante è che tu possa decidere di venire, poi vediamo come succede. Io ci vado con Gli amici di Zaccheo, maglietta e felpa nera con il logo. E chi sono Gli amici di Zaccheo? I miei amici, dico, vieni.
La sera prima mi scopro agitato come un ragazzino e la mattina mi sveglio all’alba e sorrido, Ti sorrido che mi hai svegliato all’alba per riempire tutto l’abisso che sono. Poi la spesa, i panini, la frutta secca, la metro, il don Carlo Casati che ricorda la sintesi della vita, del pellegrinaggio ma della vita intera, istante per istante: il cuore di Cristo mendicante del mio cuore e il mio mendicante del cuore di Cristo. Il pullman, il viaggio, i sandali coi calzini - sei un orrore a guardarti, ma così non soffri, mi ha detto Madda due anni fa e ha ragione - gli altri ridono indulgenti. Il prato, quest’anno all’esterno dello stadio, siamo arrivati con gli ultimi e dentro è tutto pieno, lo schermo, aspettiamo il Papa, ogni tanto uno sguardo a quelli che ti ha messo vicino. Mica scontato accorgersi che stavolta ti ha messo vicino qualcuno, niente di più bello che accorgersi, sorrido, gli sorrido. Sorrido a Te che mi fai accorgere delle cose, che non smetti di prendermi in questo modo così concreto, parlandomi incessantemente nelle cose che mi fai succedere. Ti sorrido e ascolto il Papa. La Messa, si parte. La calca all’inizio. I canti, i primi grani da snocciolare. La gente alle finestre delle case, la prima discesa e poi avanti. Avanti e avanti. Guardo i piedi che non smettono uno dopo l’altro di andare avanti, segui come un bambino e preghi.
Questa notte è tutta la vita. Preghi per gli amici, per tutto quel dolore che, grazie al Cielo, non sai risolvere, per tutti quelli che non sono potuti venire e che mi hanno chiesto una cosa speciale, per i miei cari, per gli esami di Giovanni, per la Ceci e per la Sim, per Alberto a Gerusalemme e per quelli che ti hanno fatto screzi, piccoli tradimenti che ti hanno graffiato, che sorpresa, non l’avevi messa in conto questa e preghi anche per loro.
Ed è come la vita, non basta la preghiera. Poi arriva la fatica, il ritmo sicuro e quasi sfrontato che avevo fino a poco fa ecco che si è infranto, la fatica, come un pensiero velenoso inizia a sgusciare, prende posto, si fa spazio. Chiedi l’ora, impallidisci, oddio quanto manca ancora? Provi a misurare, ma quanti chilometri abbiamo fatto? Quanti ancora? Ecco l’insidia velenosa. Si scorre davanti all’Altissimo. Siamo dall’altra parte della strada, cerco Francesco, «Dai andiamo a salutare Gesù», mi viene in mente il don Gnocchi - Hai lì Gesù?, gli aveva chiesto un ufficiale chiedendo di poter baciare l’ostia prima di andare all’assalto - e avanti.
Non si esorcizza la fatica, come quella di tutti i giorni ti salta addosso, prende forma nei pensieri e vuole fare posto, vuole il buio. In una notte come nella vita di tutti i giorni.
Ma di cosa ho bisogno adesso? Ora mentre mi sembrava di fare la cosa giusta, di pregare e domandare?
«Quando vi sentirete stanchi e vi verrà la tentazione di andare per conto vostro, pensate a questo: ripetete il vostro sì, pregate perché ciascuno di voi possa riconoscere nella sua carne piagata nel corpo e nello spirito la propria umanità bisognosa dell’umanità di Cristo, l’unica che può saziare davvero il desiderio dell’uomo». Ecco le parole del Papa, non parole, ma carne. A me le parole non bastano se non riesco ad affrontare la fatica di adesso.
Sì, sì, sì. Te lo ripeto nel lungo tratto al buio, nel tratto in cui c’è silenzio. Mi fido di Te, mi fido di come mi stai succedendo adesso. Non scappo, mi stai prendendo così, da solo non ce la faccio. Ho bisogno di Te. Che tutto sia strada a Te.
Ai bordi della strada qualcuno non ce la fa più e quelli delle ambulanze se ne prendono cura, poi ti volti e tutti quelli che eravamo, tutti gli amici schierati con maglietta, e quest’anno pure i palloncini, che quando li cerchi ti rispondevano schietti con un sorriso, ora non ci sono più, siamo rimasti in quattro, va bene così. Hai voluto così. Le prime luci, manca molto? Sorrido, sai che manca molto, ma ancora una volta hai scoperto quello che già sai e che non basta saperlo per non doverlo riscoprire, occorre ripassarci ogni volta, viene da dire ogni secondo: Lui mi aspetta ogni istante, mendica il mio sì, aspetta che gli ridica, ancora e ancora, prendi tutto.
Adesso alla Messa, la mattina, chiedo solo due cose, di essere leale col mio bisogno e poi di poterti dire di sì. E allora dico sì ad ogni passo, alle ultime preghiere, ai canti che solo un paio d’anni fa mi sarei vergognato come un cane a ripetere, e adesso, invece, ripeto gioioso e alzo le braccia, ripeto la gestualità, perché anche questo è dirti sì, e mentre canto, la voce mi si spezza per l’emozione, per come mi succedi ora e gli occhi bruciano due lacrime che non riesci a spazzare, che vengono, come vieni in ogni istante, eccoTi.
La sera prima mi scopro agitato come un ragazzino e la mattina mi sveglio all’alba e sorrido, Ti sorrido che mi hai svegliato all’alba per riempire tutto l’abisso che sono. Poi la spesa, i panini, la frutta secca, la metro, il don Carlo Casati che ricorda la sintesi della vita, del pellegrinaggio ma della vita intera, istante per istante: il cuore di Cristo mendicante del mio cuore e il mio mendicante del cuore di Cristo. Il pullman, il viaggio, i sandali coi calzini - sei un orrore a guardarti, ma così non soffri, mi ha detto Madda due anni fa e ha ragione - gli altri ridono indulgenti. Il prato, quest’anno all’esterno dello stadio, siamo arrivati con gli ultimi e dentro è tutto pieno, lo schermo, aspettiamo il Papa, ogni tanto uno sguardo a quelli che ti ha messo vicino. Mica scontato accorgersi che stavolta ti ha messo vicino qualcuno, niente di più bello che accorgersi, sorrido, gli sorrido. Sorrido a Te che mi fai accorgere delle cose, che non smetti di prendermi in questo modo così concreto, parlandomi incessantemente nelle cose che mi fai succedere. Ti sorrido e ascolto il Papa. La Messa, si parte. La calca all’inizio. I canti, i primi grani da snocciolare. La gente alle finestre delle case, la prima discesa e poi avanti. Avanti e avanti. Guardo i piedi che non smettono uno dopo l’altro di andare avanti, segui come un bambino e preghi.
Questa notte è tutta la vita. Preghi per gli amici, per tutto quel dolore che, grazie al Cielo, non sai risolvere, per tutti quelli che non sono potuti venire e che mi hanno chiesto una cosa speciale, per i miei cari, per gli esami di Giovanni, per la Ceci e per la Sim, per Alberto a Gerusalemme e per quelli che ti hanno fatto screzi, piccoli tradimenti che ti hanno graffiato, che sorpresa, non l’avevi messa in conto questa e preghi anche per loro.
Ed è come la vita, non basta la preghiera. Poi arriva la fatica, il ritmo sicuro e quasi sfrontato che avevo fino a poco fa ecco che si è infranto, la fatica, come un pensiero velenoso inizia a sgusciare, prende posto, si fa spazio. Chiedi l’ora, impallidisci, oddio quanto manca ancora? Provi a misurare, ma quanti chilometri abbiamo fatto? Quanti ancora? Ecco l’insidia velenosa. Si scorre davanti all’Altissimo. Siamo dall’altra parte della strada, cerco Francesco, «Dai andiamo a salutare Gesù», mi viene in mente il don Gnocchi - Hai lì Gesù?, gli aveva chiesto un ufficiale chiedendo di poter baciare l’ostia prima di andare all’assalto - e avanti.
Non si esorcizza la fatica, come quella di tutti i giorni ti salta addosso, prende forma nei pensieri e vuole fare posto, vuole il buio. In una notte come nella vita di tutti i giorni.
Ma di cosa ho bisogno adesso? Ora mentre mi sembrava di fare la cosa giusta, di pregare e domandare?
«Quando vi sentirete stanchi e vi verrà la tentazione di andare per conto vostro, pensate a questo: ripetete il vostro sì, pregate perché ciascuno di voi possa riconoscere nella sua carne piagata nel corpo e nello spirito la propria umanità bisognosa dell’umanità di Cristo, l’unica che può saziare davvero il desiderio dell’uomo». Ecco le parole del Papa, non parole, ma carne. A me le parole non bastano se non riesco ad affrontare la fatica di adesso.
Sì, sì, sì. Te lo ripeto nel lungo tratto al buio, nel tratto in cui c’è silenzio. Mi fido di Te, mi fido di come mi stai succedendo adesso. Non scappo, mi stai prendendo così, da solo non ce la faccio. Ho bisogno di Te. Che tutto sia strada a Te.
Ai bordi della strada qualcuno non ce la fa più e quelli delle ambulanze se ne prendono cura, poi ti volti e tutti quelli che eravamo, tutti gli amici schierati con maglietta, e quest’anno pure i palloncini, che quando li cerchi ti rispondevano schietti con un sorriso, ora non ci sono più, siamo rimasti in quattro, va bene così. Hai voluto così. Le prime luci, manca molto? Sorrido, sai che manca molto, ma ancora una volta hai scoperto quello che già sai e che non basta saperlo per non doverlo riscoprire, occorre ripassarci ogni volta, viene da dire ogni secondo: Lui mi aspetta ogni istante, mendica il mio sì, aspetta che gli ridica, ancora e ancora, prendi tutto.
Adesso alla Messa, la mattina, chiedo solo due cose, di essere leale col mio bisogno e poi di poterti dire di sì. E allora dico sì ad ogni passo, alle ultime preghiere, ai canti che solo un paio d’anni fa mi sarei vergognato come un cane a ripetere, e adesso, invece, ripeto gioioso e alzo le braccia, ripeto la gestualità, perché anche questo è dirti sì, e mentre canto, la voce mi si spezza per l’emozione, per come mi succedi ora e gli occhi bruciano due lacrime che non riesci a spazzare, che vengono, come vieni in ogni istante, eccoTi.
Marco Andreolli
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