martedì 4 giugno 2013

LA DOMENICA, COSTANTINO E NOI .QUESTIONE DI COMUNITÀ


Nel 321 Costantino introduce la festività della domenica, come giorno che so­spende le attività di lavoro, e avvia una nuova scansione del tempo che proseguirà in Occi­dente con altre ricorrenze religiose, e civili. La domenica resta sino ai giorni nostri la festa per eccellenza, che accompagna la vita indi­viduale, familiare e comunitaria, segna lo spa­zio dedicato allo spirito, al riposo e alla pre­ghiera, al dialogo in famiglia, ad attività che u­manizzano l’uomo, lo rendono capace di de­dicarsi al lavoro. Altre festività assumeranno nel tempo significati specifici. Per celebrazio­ni religiose essenziali, la memoria dei defun­ti, la ricorrenza di grandi eventi, nazionali, lo­cali, ma sempre con un significato derivato dalla domenica: dare rilievo a ciò che riempie e completa la vita personale e collettiva, col­tivare reminiscenze e valori che chiedono u­na pausa, una riflessione, una sosta interiore. Attorno alla domenica si costruì persino la co­siddetta 'tregua di Dio' che sospendeva osti­lità, azioni armate, per favorire iniziative di pace, ridurre le tragedie della guerra. Con la domenica nasce e si consolida un evento co­munitario, perché mai limitato a una persona o a gruppi ristretti, ma che chiede e suscita in­contri, partecipazione, attorno a eventi e sen­timenti collettivi. Chiunque di noi sa che se u­na festa riguarda poche persone, o piccoli ter­ritori, perde il suo significato. Potremmo fe­steggiare, ma se restiamo soli e gli altri lavo­rano, la festa si perde, evapora, prevale il lavoro degli estranei.
  Nella domenica sta il punto di congiunzione tra il riconoscimento di uno spazio spirituale e l’umanizzazione del tempo. Lo spirito chie­de spazio, ma dona spazio al riposo, alla per­sona, al silenzio delle sue riflessioni, alla gioia dei bambini e dei giovani. La festa illumina u­na identità che sappiamo di avere, ma che dobbiamo riscoprire e ravvivare, e d’altronde sappiamo bene che se tutte le giornate fosse­ro eguali, con poche feste personali o di grup­po, vivremmo come in un incubo, perché ru­beremmo il tempo alla famiglia, agli amici, al­lo sport, all’arte, alla convivialità più vera, al­la gratuità della vita. E tutti sanno che la do­menica non è di ostacolo alle attività produt­tive; al contrario, ci rende più capaci di ap­prezzare il significato del lavoro, perché lavo­ro e riposo dello spirito si illuminano a vicen­da. Infatti, una delle prime conquiste agli al­bori della società industriale è stata quella del riconoscimento del riposo festivo, per evitare lo sfruttamento delle persone, l’umiliazione della loro dignità.
  Delle ragioni della festa ciascuno di noi fa e­sperienza quotidiana. E per queste ragioni si deve reagire con forza ai tentativi di introdur­re meccanismi che limitano, mortificano, lo spazio della domenica, perché sono dotati di un brutto automatismo, pronti a dilatarsi, a insidiare il valore della gratuità e a far cresce­re quello della utilità economica immediata (e, magari, solo presunta). In Europa alcuni gruppi formularono tempo addietro la pro­posta di abolire del tutto la domenica, ridu­cendola a festa mobile locale, in modo da au­mentare dovunque la produttività. Una pro­posta frutto di mentalità anti-umanistica, ve­nata nel profondo di anti-religiosità, miope anche dal punto economico perché ripropor­rebbe su scala continentale un po’ di quello sfruttamento umano di cui ci siamo liberati a fatica, e segnerebbe un formidabile regresso storico.
  Oggi, anche proposte più limitate, che cerca­no di svuotare la domenica di significato con l’apertura degli esercizi commerciali, il prose­guimento indiscriminato di attività di lavoro, hanno il vizio di intaccare un bene prezioso che è di tutti, non può essere spezzettato, par­cellizzato, ridotto a segmenti territoriali o pro­duttivi. La domenica ha senso vero se ne fruia­mo tutti insieme (con eccezioni, sempre esi­stite, della necessità), se è evento comunitario, se possiamo viverla con pienezza di serenità e di gioia, senza dover cercare nella nostra città, nel nostro paese, un angolino dove è fe­sta mentre tutto attorno la festa non esiste.
  Riflettiamo sul valore strategico della dome­nica nel corso di questo anno costantiniano che celebra l’epoca in cui il mondo antico si aprì alla rivoluzione cristiana. Un passo in­dietro su questo punto vorrebbe dire cancel­lare un momento importante della nostra i­dentità, privarci di un bene che è patrimonio
 spirituale comune
 CARLO CARDIA  - Avvenire

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