sabato 22 giugno 2013

Fraternità di San Carlo, oggi otto nuovi sacerdoti



                  
«L’uomo buono rende buono il popolo, l’uomo felice condivide con il popolo la sua gioia». Questo proverbio cinese potrebbe essere il motto delle ordinazioni della Fraternità San Carlo Borromeo, che si svolgono oggi alle 15.30 nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
  Otto sacerdoti e un diacono saranno ordinati dal vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità. I nuovi sacerdoti sono Nicolò Ceccolini, 25 anni, di Gabicce Mare (Pesaro-Urbino), che resterà a Roma, vicerettore del Seminario; Matteo Dall’Agata, 32 anni, di Forlì, che andrà a Vienna (Austria); Francesco Ferrari, 31 anni, di Reggio Emilia, che resterà a Roma, vicerettore del Seminario; Stefano Lavelli, 35 anni, di Piacenza, che andrà a Napoli; Lorenzo Locatelli, 32 anni, romano, che andrà a Santiago del Cile; Paolo Paganini, 32 anni, milanese, che proseguirà gli studi a Roma in vista della missione in Russia; Daniele Scorrano, 34 anni, pugliese, che andrà a Reggio Emilia; e Donato Contuzzi, 33 anni, lucano, che andrà a Taipei (Taiwan). È a don Contuzzi che il proverbio (che nella lingua originale gioca con la versione cinese del suo nome, «Donato») è stato dedicato dalla comunità cattolica di Taiwan, in occasione della sua ordinazione.
  «Chi l’avrebbe mai detto di finire a Taiwan!», dice sorridendo ad “Avvenire” don Contuzzi. «Dopo l’ordinazione continuerò nello studio del cinese e nell’aiuto ai
 miei fratelli nell’attività della parrocchia di San Francesco Saverio. Da alcuni mesi, inoltre, insegno italiano all’Università cattolica Fu Jen».
  Negli anni di Seminario nasce un’amicizia profonda con don Paolo Costa (che, ironia della sorte, ora è suo compagno di casa a Taipei) e con don Paolo Sottopietra, attuale superiore generale della Fraternità. «Questi nostri giovani amici che giungono al sacerdozio – spiega don Sottopietra – sono il segno vivente che Dio continua a chiamare.
  Come ci ha detto papa Benedetto XVI durante l’ultima udienza che ci ha concesso, Dio ci affida la responsabilità di lavorare perché nessuna vocazione vada perduta, ma ogni seme giunga a
maturazione». «A vent’anni volevo essere ricco, avere una bella e numerosa famiglia e viaggiare tanto in compagnia dei miei amici», conclude don Donato, che prima di entrare in Seminario aveva avviato gli studi di Ingegneria e quelli al Conservatorio a Parma (suona il sax). Nella comunità di Cl di Parma, in quegli anni, altri amici seguono la via del sacerdozio (tra cui don Stefano Lavelli, che sarà ordinato con lui), della vita monastica o dell’impegno come laici consacrati. «Quei desideri ora sono ancora più veri. Sono ricco, ma di Cristo, sono a Taiwan e ho una grande famiglia, fatta di tante persone a cui annunciare il grande dono che ho ricevuto».

A presiedere il rito in Santa Maria Maggiore a Roma sarà il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla,  Mons. Massimo Camisasca  

l’omelia di mons. Camisasca


Carissimi fratelli e amici,
questa celebrazione riveste un significato particolare per me e per i giovani che ora riceveranno l’ordine del presbiterato e del diaconato.
Per me si tratta del singolare privilegio che mi è concesso da Cristo di poter ordinare dei fratelli che ho accolto e accompagnato nella Fraternità san Carlo; per loro si tratta di un avvenimento che cambia interamente l’esistenza, in continuità e fioritura del loro battesimo, ma con una richiesta di donazione da parte di Cristo che supera ogni umana progettazione e previsione.
Le letture di questa santa Liturgia, che abbiamo appena ascoltato, sono il portale che ci introduce, con la profondità inesauribile della Parola di Dio, alla comprensione commossa di quanto sta accadendo. Devo limitarmi a riprendere con voi la pagina del Vangelo di Luca. Mentre gli altri Vangeli sinottici collocano il dialogo di Gesù con i discepoli, che abbiamo ascoltato, lungo la strada verso Cesarea di Filippo o arrivati in quel luogo, Luca ci mostra Gesù in preghiera. I discepoli stanno a distanza. Lui si avvicina a loro e pone una domanda. È una domanda che nasce dalla profondità del dialogo col Padre, non dalla vanità che può invece originarla sulle nostre labbra: “Cosa pensano gli altri, la gente, di me?”. Per Gesù si tratta di un itinerario chiaro: dalle opinioni della gente vuol arrivare a suscitare e verificare la fede personale dei discepoli. Dalle loro risposte comprendiamo che la gente che seguiva Gesù non aveva idee strane o fantasiose o irriverenti su di Lui. Sono evidentemente persone che conoscono la Scrittura e hanno seguito le vicende del Battista. Le loro risposte, che ora non possiamo analizzare, sono illuminate e per nulla banali. Ci fanno capire come la gente guardasse a Gesù. E ci riempiono della stessa ammirazione e attesa di quella moltitudine. Eppure tutto ciò non basta. Gesù prosegue: “Ma voi, avete saputo vedere meglio? Avete fatto tesoro delle mie parole e delle mie azioni? Avete penetrato il mistero della mia persona?”.
Luca e gli altri Vangeli non riportano le risposte degli apostoli e dei discepoli. Emerge soltanto la voce di Pietro che sovrasta le altre e le cancella dalla memoria: “Tu sei l’Unto di Dio”.
Fermiamoci un momento. Questa sera il dialogo avviene con voi. È a voi che Gesù chiede, a ciascuno di voi: “E tu, chi dici che io sia?”.
Questa domanda ci interpella nel profondo, ma si rivolge ora soprattutto a voi, cari fratelli che state per essere ordinati. Si può dire con assoluta verità e pertinenza che la vita del sacerdote  si spiega e si regge soltanto come strada di una progressiva conoscenza di Cristo. Conoscenza intellettuale, certo, da alimentare con lo studio e la meditazione, ma anche e soprattutto conoscenza affettiva che avviene nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti, nell’accompagnamento e nella guida delle persone che ci sono affidate da Cristo.
La conoscenza di Cristo è la realtà più avvincente del sacerdozio: una conoscenza personale, inesauribile. Ogni volta che una persona vi accosterà aprendo il suo cuore; ogni volta che direte: io ti assolvo, questo è il mio corpo; ogni volta che spiegherete e leggerete la Scrittura; ogni volta che aiuterete un uomo o una donna a leggere la sua vita, le sue gioie e i suoi dolori; … ogni volta sarà una nuova conoscenza di Cristo, un nuovo passo verso la realtà della sua Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione, della sua Presenza tra noi.
Amore di Dio e degli uomini, conoscenza di Dio e degli uomini di fondono nel nostro itinerario sacerdotale, nel nostro cammino verso Cristo.
Ma la domanda di Gesù rivela non solo il nostro cammino verso di Lui, in Lui, come direbbe san Paolo. Essa ci apre innanzitutto al cammino di Gesù verso di noi, verso ciascuno di noi. Il sacramento che ora riceverete, prima ancora di affidarvi delle responsabilità, è un atto di misericordia verso di voi. Miserando atque eligendo, dice il motto di Papa Francesco tratto da Beda, il Venerabile. Ti ha scelto perché ha avuto misericordia di te. Ripensiamo così alla domanda di Cristo: chi dite che io sia? Gesù sa bene chi Lui è. La sua domanda non nasce da curiosità, vanagloria, dubbio, incertezza. Nasce dalla carità. Desidera essere amato dai suoi, perché sa che in questo amore è la loro salvezza. Ed essi, dodici di essi, in questo passaggio che accoglie la carità di Cristo, da discepoli diventano apostoli.
Ha sete di te l’anima mia (Sal 62,2). Questa è la preghiera di ognuno di noi a Cristo. Ma “ho sete” è anche parola di Cristo a noi, parola di Cristo rivolta a ciascuno di noi. Soltanto rispondendo alla sua sete scopriamo la nostra identità. Cari fratelli desidero dunque lasciarvi questo pensiero: in Cristo noi conosciamo noi stessi.
“Chi dici che io sia?” è la domanda che ciascuno di noi dice all’amico per ricevere la rivelazione del suo io. Secretum meum mihi (Is 24,16)
Ognuno di noi cerca nell’altro la risoluzione del proprio segreto. “Io, che sono?” diceva Leopardi. La domanda dell’uomo a se stesso trova questa sera una risposta nel dialogo tra Cristo e i suoi: Io sono colui che Cristo ha amato e ama. Per questo ha accettato di “soffrire molto, essere rifiutato… , venire ucciso” ed è risorto il terzo giorno. Perché mi ama.
Cari fratelli, come Pietro ha ricevuto il dono di entrare nel dialogo tra il Padre e Gesù, così ora lo concede anche a voi. Il Padre vi rivela chi sia Gesù e quale sia la sua missione, quel mistero che a Pietro ripugna e vorrebbe in ogni modo allontanare. Eppure non c’è conoscenza di Gesù se non stando dietro a Lui. “Stammi dietro”, dice il Maestro a Pietro.
Questa è la consegna che questa sera vi affido: state dietro a Gesù. Chi perde, cioè dona la sua vita per Lui senza mai misurare, costui la salverà. Amen.

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