mercoledì 10 giugno 2009

L’educazione, tema del decennio. Il Comunicato finale della 59ª Assemblea generale della Cei che si è svolta a Roma dal 25 al 29 maggio 2009.


L a 59ª Assemblea generale dei vescovi italiani si è svolta nell’Aula del Sinodo in Vaticano dal 25 al 29 maggio 2009, con la partecipazione di 240 membri, 23 vescovi emeriti, 24 rappresentanti di Conferenze episcopali europee, nonché del nunzio apostolico in Italia. Tra gli invitati, docenti ed esperti sulle problematiche dell’educazione, in ragione del tema principale dei lavori: «La questione educativa: il compito urgente dell’educazione». Grande emozione ha suscitato l’incontro con il Santo Padre, che giovedì 28 maggio ha voluto essere presente in Assemblea, donando la sua preziosa e illuminata parola. La speciale ricorrenza dell’Anno Paolino è stata celebrata solennemente mediante il pellegrinaggio alla basilica di San Paolo fuori le Mura, culminata nella concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi.
L’Assemblea ha individuato nell’educazione il tema degli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio. Nel corso dei lavori è stato approvato il
Documento comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia; si è deciso di attribuire un punteggio aggiuntivo per la remunerazione dei docenti e degli officiali a tempo pieno delle Facoltà teologiche e degli Istituti superiori di scienze religiose. Come ogni anno, è stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della Conferenza episcopale italiana, sono stati approvati i criteri di ripartizione e assegnazione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2009 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero.
Distinte comunicazioni hanno avuto per oggetto l’azione di Caritas italiana nella Chiesa e nel Paese, l’impatto del passaggio alla televisione digitale terrestre sulla rete delle emittenti cattoliche, l’Unione europea e l’impegno delle Chiese, con particolare riferimento all’azione del Ccee e della Comece, la 46ª Settimana sociale dei cattolici Italiani, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010, e il 25° Congresso eucaristico nazionale, che si terrà ad Ancona dal 4 all’11 settembre 2011. Sono state date puntuali informazioni intorno alla Giornata per la carità del Papa, che si terrà il 28 giugno prossimo, e all’indizione dell’Anno Sacerdotale, che prenderà il via il 19 giugno. Infine, è stata presentata e consegnata la Lettera ai cercatori di Dio, recentemente pubblicata dalla Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
1. Diaconia della verità e della carità: stanno o cadono insieme
R ispetto alle diverse stazioni della 'via crucis' che l’uomo di oggi affronta, la Chiesa non fa selezioni.
La sua iniziativa però non ha mai come scopo una qualche egemonia, non usa l’ideale della fede in vista di un potere. Le interessa piuttosto ampliare i punti di incontro perché la razionalità sottesa al disegno divino sulla vita umana sia universalmente riconosciuta nel vissuto concreto di ogni esistenza e per una società veramente umana». In questa affermazione, contenuta nella prolusione del cardinale presidente, si sono ritrovati i vescovi italiani, chiamati in causa – nel loro discernimento pastorale – non solo da inediti problemi economici e sociali, ma anche da ricorrenti questioni bioetiche.
Non è possibile separare – come taluni invece vorrebbero – la carità dalla verità, perché si tratta di due dimensioni della medesima diaconia che la Chiesa è chiamata a esercitare. Infatti «fraintendimenti e deviazioni restano incombenti, se non si è costantemente richiamati al valore incomparabile della dignità umana, che è minacciata dalla miseria e dalla povertà almeno quanto è minacciata dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione della vita». A partire da questa convinzione, si è riconfermata una netta presa di distanza da quelle visioni che vorrebbero ridurre la Chiesa ad «agenzia umanitaria», chiamata a farsi carico delle patologie della società, ma irrilevante rispetto alla fisiologia della convivenza sociale. Nel contempo, è stato rigettato un modello di Chiesa che si limiti a ribadire una fede disincarnata, priva di connessioni antropologiche e perciò incapace di offrire il proprio apporto specifico all’edificazione della città dell’uomo. Il vero profilo di una compiuta evangelizzazione richiede di saper servire la persona nella sua integralità, ponendo attenzione sia ai bisogni materiali sia alle aspirazioni spirituali, secondo l’insuperabile intuizione di Paolo VI, per il quale il destino della Chiesa è di «portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro (…)», fino a «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» ( Evangelii nuntiandi, nn.
18-19). Tenere insieme queste due dimensioni dell’unica diaconia della Chiesa esige in concreto non separare la solidarietà dalla spiritualità e, di conseguenza, non disgiungere la ricerca della fede dalla realizzazione del bene comune.
2. Il compito urgente dell’educazione quale tema degli Orientamenti pastorali del prossimo decennio
L’ ampio spazio dedicato ai lavori di gruppo, a seguito della relazione fondamentale, ha fatto emergere un radicato consenso intorno alla scelta dell’educazione quale tema portante degli Orientamenti pastorali della Chiesa in Italia nel decennio 2010-2020. Si è condivisa la consapevolezza che l’urgenza della questione non nasce in primo luogo da una contingenza particolare, ma dalla necessità che ciascuna persona ed ogni generazione ha di esercitare la propria libertà. Infatti – come ha affermato con chiarezza il Santo Padre Benedetto XVI – «anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati, attraverso una, spesso sofferta, scelta personale». Si è dunque privilegiato un atteggiamento positivo e non allarmistico e si è precisato che questa scelta è in profonda continuità con il recente cammino della Chiesa in Italia, dal momento che comunicare il Vangelo è riproporre in modo essenziale Cristo come modello di umanità vera in un contesto culturale e sociale mutato. Su questo punto, è stata ribadita la necessità di non sottovalutare l’impatto delle trasformazioni in atto, senza peraltro limitarsi semplicemente a recensirne le cause socio­culturali, indulgendo a diagnosi sconsolate e pessimiste. Al contrario, si intende ribadire che l’educazione è una questione di esperienza: è un’arte e non un insieme di tecniche e chiama in causa il soggetto, di cui va risvegliata la libertà. È questo il punto centrale su cui far leva per riscoprire la funzione originaria della Chiesa, a cui spetta connaturalmente generare alla fede e alla vita, attraverso una relazione interpersonale che metta al centro la persona. La libertà, peraltro, prende forma soltanto a contatto con la verità del proprio essere, quando cioè è sollecitata a prendere posizione rispetto alle grandi domande della vita e, in primo luogo, rispetto alla questione di Dio. Di qui la centralità del rapporto tra libertà e verità, che non può essere eluso e che è variamente declinato, tanto nel rapporto tra libertà e autorità quanto in quello tra libertà e disciplina. Esiste poi un altro binomio che va correttamente interpretato, cioè quello tra persona e comunità, il che indica che nel processo educativo intimità e prossimità devono crescere insieme. Da queste considerazioni scaturiscono due conseguenze, largamente condivise dall’Assemblea: la prima individua nella Chiesa particolare e specificamente nella parrocchia il luogo naturale in cui avviare il processo educativo, senza peraltro sminuire il contributo originale delle aggregazioni ecclesiali; la seconda dà rilievo ai soggetti del processo educativo (sacerdoti, religiosi e religiose, laici qualificati e, naturalmente, la famiglia e la scuola), dal momento che figure di riferimento accessibili e credibili costituiscono gli interlocutori necessari di qualsiasi esperienza educativa.
In sintesi, si è convenuto sul fatto che la scelta del tema dell’educazione è necessaria, perché intercetta tutti i nodi culturali, raggiunge l’uomo in quanto tale e interagisce con la persona guardando a tutta la sua vita: vivere è educare.
3. La crisi economica e il «Prestito della speranza»
I l richiamo del cardinale presidente a non sottovalutare la crisi occupazionale in corso «come si trattasse di alleggerire la nave di futile zavorra» ( prolusione) ha avuto ampia risonanza nell’opinione pubblica. Anche nel dibattito assembleare è stato sottolineato come il termine «esubero» non tenga nel debito conto un tessuto sociale che va sfilacciandosi, a motivo delle disuguaglianze che aumentano invece di diminuire. Nessuno ignora il pesante impatto della sfavorevole congiuntura economica internazionale, di cui non si riesce a cogliere ancora esattamente la portata, né si intende minimizzare l’impegno profuso da chi detiene l’autorità. Resta però evidente che i costi del difficile momento presente ricadono in misura prevalente sulle fasce più deboli della popolazione. Di qui l’esigenza di avviare una prossimità ancora più concreta al mondo del lavoro, non limitandosi a riproporre modelli del passato, ma come «segno di un’attenzione nuova verso la profonda relazione tra la fede e la vita» ( prolusione).
Accanto a quest’indicazione di carattere pastorale, si è preso positivamente atto delle molteplici iniziative promosse nei mesi passati in tutta Italia dalle diocesi e dalle Conferenze episcopali regionali per fronteggiare le difficoltà del mondo del lavoro. In tale contesto, l’iniziativa della Conferenza episcopale italiana di costituire un fondo di garanzia per le famiglie numerose che abbiano perso l’unica fonte di reddito costituisce un ulteriore e corale seme di speranza. A nessuno sfugge che la scelta del sostegno alla famiglia è indice di una visione precisa di società, in cui tale soggetto sociale è percepito e costituisce davvero il principale fattore di integrazione e di umanizzazione. La colletta promossa a tale scopo il 31 maggio in tutte le chiese italiane ha avuto un indubbio valore pedagogico ed è stata indice di una spiccata sensibilità che non deve spegnersi.
4. L’immigrazione: ospitalità e legalità
S ulla questione dell’immigrazione, che negli ultimi tempi ha suscitato ampi dibattiti, i vescovi hanno concordato sul fatto che si tratta di un fenomeno assai complesso, che proprio per questo deve essere governato e non subìto.
È peraltro evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di ordine pubblico – che è comunque necessario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri – risulta insufficiente, se non ci si interroga sulle cause profonde di un simile fenomeno. Due azioni convergenti sembrano irrinunciabili. La prima consiste nell’impedire che i figli di Paesi poveri siano costretti ad abbandonare la loro terra, a costo di pericoli gravissimi, pur di trovare una speranza di vita. Tale problema esige di riprendere e incrementare le politiche di aiuto verso i Paesi maggiormente svantaggiati. La seconda risposta sta nel favorire l’effettiva integrazione di quanti giungono dall’estero, evitando il formarsi di gruppi chiusi e preparando ’patti di cittadinanza’ che definiscano i rapporti e trasformino questa drammatica emergenza in un’opportunità per tutti. Ciò è possibile se si tiene conto della tradizionale disponibilità degli italiani – memori del loro passato di emigranti – ad accogliere l’altro e a integrarlo nel tessuto sociale.
Suonerebbe infatti retorico l’elogio di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, se non si accompagnasse con la cura di educare a questa nuova condizione, che non è più di omogeneità e che richiede obiettivamente una maturità culturale e spirituale. In questa logica, è stato suggerito di dotarsi di un Osservatorio nazionale specializzato per monitorare ed interpretare questo fenomeno, e si è chiesto alle parrocchie, all’interno del loro precipuo compito di evangelizzazione, di diventare luogo di integrazione sociale.
5. Il terremoto in Abruzzo: una prova di solidarietà
I l tragico sisma che ha colpito vaste zone dell’Abruzzo ha suscitato una corale reazione di solidarietà che, come ha sottolineato Benedetto XVI, «è un sentimento altamente civico e cristiano e misura la maturità di una società». Grande apprezzamento è stato anche espresso per la compostezza e la fierezza con cui le popolazioni abruzzesi hanno affrontato l’immane sciagura, segno di una fede tenace e di un’identità radicata. Molto resta da fare nel delicato passaggio dalla prima fase dell’emergenza al lento ritorno alla quotidianità. Anche in questi momenti la Chiesa non vuole far venir meno la sua vicinanza non solo mettendo a frutto il generoso raccolto della colletta nazionale appositamente indetta nella domenica dopo Pasqua, ma anche favorendo iniziative di gemellaggio fra le diocesi. L’auspicio è che per il prossimo autunno tutte le famiglie abbiano una sistemazione adeguata e che le comunità possano disporre di locali decorosi per la socializzazione e l’esercizio del culto.
6. Decisioni e adempimenti di carattere giuridico-amministrativo
I vescovi, con due distinte delibere, hanno approvato l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo per la remunerazione dei docenti e degli officiali a tempo pieno delle Facoltà teologiche e degli Istituti superiori di scienze religiose e hanno stabilito il criterio per determinare la quota della remunerazione che deve essere assicurata dalla parrocchie personali ai parroci e ai vicari parrocchiali che vi prestano servizio. Dette delibere saranno pubblicate una volta ottenuta la prescritta autorizzazione da parte della Santa Sede.
È stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della Conferenza episcopale Italiana per l’anno 2008, sono stati approvati i criteri di ripartizione e assegnazione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2009 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2008.
7. Comunicazioni e informazioni
N el corso dell’Assemblea è stato approvato il Documento comune per un
Colletta nazionale e gemellaggio tra le diocesi per favorire la ripresa della terra d’Abruzzo colpita dal sisma. Comunicazioni sociali: «Con l’avvento del digitale terrestre, l’emittente cattolica Sat2000 – che muterà il nome in TV 2000 – entrerà nelle case di tutti gli italiani»
indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e battisti in Italia, punto di arrivo di un cammino condiviso con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia per favorire la preparazione e la vita nel matrimonio delle coppie miste, in una prospettiva ecumenica che valorizza la fede nell’unico Signore.
Come sempre, l’Assemblea ha posto attenzione all’approfondimento di alcuni ambiti particolari dell’agire ecclesiale.
È stato dato spazio in primo luogo all’attività di Caritas italiana nella Chiesa e nel Paese, evidenziando, fra le prospettive di lavoro, la cura del rapporto fra carità e cultura, l’attenzione a una pastorale integrata, la formazione alla spiritualità della carità, l’accompagnamento delle Caritas diocesane meno attrezzate, la presenza nel contesto europeo.
Per quanto riguarda l’ambito delle comunicazioni sociali, è stato focalizzato il passaggio alla televisione digitale terrestre, processo già avviato in alcune regioni e destinato a completarsi entro il 2012. Si tratta di un’innovazione tecnologica che comporta significative ricadute anche sul piano della fruizione dello strumento, offrendo allo spettatore una più ampia gamma di scelta fra i canali e la possibilità di interagire con il mezzo televisivo. Con l’avvento del digitale terrestre, l’emittente cattolica Sat2000 – che muterà il nome in TV 2000 – entrerà nelle case di tutti gli italiani.
Ciò comporterà pure una rivisitazione del suo rapporto con le emittenti locali che ne ritrasmettevano il segnale e con le quali si intende mantenere e rinnovare il rapporto di reciproca collaborazione.
Circa l’impegno delle Chiese in rapporto all’Unione europea, con particolare riguardo all’azione degli organismi internazionali a ciò deputati, è stata ribadita l’importanza di un’attenzione costante e attiva a sostegno della costruzione della «casa degli europei», senza peraltro mortificare indebitamente le diverse identità nazionali.
Sono state fornite dettagliate informazioni intorno a due eventi ecclesiali futuri di grande importanza: la Settimana sociale del cattolici italiani, che si terrà a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010, e il Congresso eucaristico nazionale, che si celebrerà ad Ancona dal 4 all’11 settembre 2011.
È stato offerto un primo ragguaglio sull’Anno Sacerdotale indetto dal Papa a partire dal 19 giugno.
Sul tema, i vescovi torneranno nel dettaglio nell’Assemblea straordinaria, che si terrà ad Assisi dal 9 al 12 novembre 2009.
Infine, è stata presentata e consegnata la Lettera ai cercatori di Dio,
recentemente pubblicata a cura della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Essa si propone come un sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale e come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana nella Chiesa.
Roma, 9 giugno 2009

domenica 7 giugno 2009

Angelus di Sua Santità Benedetto XVI del 7 giugno 20009



Cari fratelli e sorelle!
Dopo il tempo pasquale, culminato nella festa di Pentecoste, la liturgia prevede queste tre solennità del Signore: oggi, la Santissima Trinità; giovedì prossimo, quella del Corpus Domini, che, in molti Paesi tra cui l'Italia, verrà celebrata domenica prossima; e infine, il venerdì successivo, la festa del Sacro Cuore di Gesù. Ciascuna di queste ricorrenze liturgiche evidenzia una prospettiva dalla quale si abbraccia l'intero mistero della fede cristiana: e cioè rispettivamente la realtà di Dio Uno e Trino, il Sacramento dell'Eucaristia e il centro divino-umano della Persona di Cristo. Sono in verità aspetti dell'unico mistero della salvezza, che in un certo senso riassumono tutto l'itinerario della rivelazione di Gesù, dall'incarnazione alla morte e risurrezione fino all'ascensione e al dono dello Spirito Santo. Quest'oggi contempliamo la Santissima Trinità così come ce l'ha fatta conoscere Gesù. Egli ci ha rivelato che Dio è amore "non nell'unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza" (Prefazio): è Creatore e Padre misericordioso; è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi; è finalmente Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno. Non vive in una splendida solitudine, ma è piuttosto fonte inesauribile di vita che incessantemente si dona e si comunica. Lo possiamo in qualche misura intuire osservando sia il macro-universo: la nostra terra, i pianeti, le stelle, le galassie; sia il micro-universo: le cellule, gli atomi, le particelle elementari. In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il "nome" della Santissima Trinità, perché tutto l'essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l'Amore creatore. Tutto proviene dall'amore, tende all'amore, e si muove spinto dall'amore, naturalmente con gradi diversi di consapevolezza e di libertà. "O Signore, Signore nostro, / quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!" (Sal 8,2) - esclama il salmista. Parlando del "nome" la Bibbia indica Dio stesso, la sua identità più vera; identità che risplende su tutto il creato, dove ogni essere, per il fatto stesso di esserci e per il "tessuto" di cui è fatto, fa riferimento ad un Principio trascendente, alla Vita eterna ed infinita che si dona, in una parola: all'Amore. "In lui - disse san Paolo nell'Areòpago di Atene - viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17,28). La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l'amore ci rende felici, perché viviamo in relazione, e viviamo per amare e per essere amati. Usando un'analogia suggerita dalla biologia, diremmo che l'essere umano porta nel proprio "genoma" la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore. La Vergine Maria, nella sua docile umiltà, si è fatta ancella dell'Amore divino: ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. In Lei l'Onnipotente si è costruito un tempio degno di Lui, e ne ha fatto il modello e l'immagine della Chiesa, mistero e casa di comunione per tutti gli uomini. Ci aiuti Maria, specchio della Trinità Santissima, a crescere nella fede nel mistero trinitario.

venerdì 5 giugno 2009

Arriva il bisbiglio della vita L’eco della parola responsabilità

B isogna notare i particolari, per capire le epoche. E più che le trombe occorre spesso ascoltare i bisbigli. A Venezia in questi giorni va in scena l’arte contemporanea. La Biennale apre i battenti e con il consueto corredo di trovate, di gusto per il paradosso e di polemiche sui giornali si discute dell’evento. Il quale, grandioso ed esteso com’è, è difficile da raccontare e da sintetizzare. Buona parte degli osservatori nostrani si sono dati da fare per criticare preventivamente il padiglione Italia, riportato dopo decenni alla sua posizione (l’Italia non aveva un suo spazio come tutti i Paesi) e affidato alla cura di due critici Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, 'colpevoli' di non aver seguito i dettami imperanti nel cosiddetto 'mondo dell’arte'. Un mondo, appunto, che appartandosi sempre di più nelle sue perplesse e ironiche trovate, appare alla maggior parte delle persone come una specie di ben remunerata zona giochi per adolescenti viziati, un mondo pronto a dissacrare tutto ciò che è comodo e chic dissacrare.
La colpa dei due curatori è stato di mostrare che non esiste 'un mondo' dell’arte, chiuso e autoreferenziale nei suoi riti, ma che ci sono anche artisti in Italia che sentono una responsabilità nel rappresentare la realtà e la vita. Artisti bravi, e di nome. Indiscutibili. E alcuni giovani.
Ecco, forse è la parola responsabilità dell’arte che fa paura. Che mette a disagio. Nel testo del catalogo della mostra firmato da Beatrice Buscaroli, la parola responsabilità appare citata da due fonti che potrebbero sembrar lontane: Damien Hirst, uno dei più importanti artisti odierni. E Giovanni Paolo II, dalla sua 'Lettera agli artisti' che compie 10 anni. L’arte è responsabile dell’«umano» diceva il Papa in quella lettera. Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere per tutti cosa sia tale «umano» che l’arte è responsabile di rappresentare, onorare e provocare. Ma di certo un mondo dell’arte che, per non mettersi mai in discussione, celebrasse la propria irresponsabilità e non accettasse di confrontarsi con tale parola, sarebbe un mondo di morti.
Un artista vero si interroga sempre su qual è l’appello a cui sta rispondendo. E se tale appello è quello del mercato o del successo o della vanità allora genera arte morta. Pur se infiocchettata e circondata dal
glamour.
In questa nostra epoca dura e meravigliosa, l’umano che in ciascuno si agita e soffre lancia il proprio appello agli artisti: non sia vanagloria, ma onore e sguardo profondo, riverente alla vita degli uomini. Sì riverente alla vita, alla sua dura e però luminosa realtà, e al mistero che la abita. Onorare la vita non significa coprirsi gli occhi o evitare di rappresentarne le contraddizioni e i possibili precipizi di non-senso. Ma onorare l’esistenza è di certo evitare di ridurne la rappresentazione a un rimasuglio di detriti e di ironia acida. Lo insegnano tutti i grandi antichi e i recenti, da Giotto a Michelangelo da Martini a Burri a Bacon. La parola che il Papa ha lanciato come un appello o meglio come una estrema supplica agli artisti ora, per quanto coperta da strèpiti o occultata, anima in profondo lo spazio italiano e il dibattito della grande mostra.
Possono far finta di ignorare la supplica, la parola pronunciata all’unisono dal Papa e da chi la vita dell’arte la conosce davvero. Non una parola di parte, ma di tutta l’arte più grande. Così a Venezia, laddove spesso la ricerca di un insolito qualunque diviene ferrea e buffissima norma, e proprio nel padiglione del Paese cristiano che fu maestro nei secoli, sta succedendo qualcosa di nuovo e insolito davvero.
Avvenire di DAVIDE RONDONI

mercoledì 3 giugno 2009

«La differenza che si fa dono» Al Festival biblico, Scola su uomo e donna nelle Scritture


Nell’incontro tra l’uomo e la donna accade un rico­minciamento e qualcosa di nuovo» afferma il patriarca di Venezia, chia­mato a Vicenza dal vescovo Cesare Nosiglia per riflettere su « Il volto dell’uomo/donna» (cosa, appunto, ci potrebbe essere di più attuale?). « Il nuovo è possibile perché l’incontro amoroso pone inevitabilmente all’uomo la domanda ontologica sulla propria origine. Potremmo dirla così: chi sono io che incontrando te incon­tro me stesso? Questa novità av­viene perché la donna dice l’alterità ultimamente da me inafferrabile, quell’alterità che mi 'sposta' (dif­ferenza) in continuazione, impe­dendomi di rima­nere rinchiuso in me stesso. Così la donna, ponendosi, mi impone, attra­verso il suo volto a­mante, di ricomin­ciare Nella sorpresa da­vanti al volto della donna, miste­riosa eppure familiare alterità, è do­nato all’uomo il proprio volto, cioè la propria irriducibile identità. Ov­vero, « il volto biblico dell’uo­mo/ donna dice ad un tempo iden­tità e alterità». La relazione passa per l’identità e l’alterità. Altre strade non ci sono. Tanto meno scorciatoie. Neppure politiche, se si vuole. Ma il patriar­ca non si accontenta dell’enuncia­to. Vuole scavare. Vuole arrivare al­la radice. Ecco allora la sottolinea­tura: «La differenza sessuale svela che l’alterità è una dimensione in­terna alla persona stessa, che ne se­gna la strutturale insufficienza, a­prendola in tal modo al ' fuori di sé'. E così l’altro è per me tanto i­naccessibile – mi resta sempre al­tro – quanto necessario » . Il rap­porto uomo/ donna rappresenta, pertanto, uno dei luoghi originari in cui ognuno di noi fa l’esperienza della propria dipendenza e della conseguente capacità di relazione. Il patriarca ricorre alla Mulieris di­gnitatem
– la lettera apostolica di Giovanni Paolo II sulla «dignità e vocazione della donna» – e spiega che «il disegno originario di Dio nel crearci sempre e solo come maschi o come femmine vuol educarci a capire il peso dell’io e il peso del­l’altro ». Cosicché «la differenza ses­suale si rivela come una grande scuola». Si tratta, insomma, di im­parare l’io attraverso l’altro e l’al­tro attraverso l’io. È una lectio ma­gistralis
Il patriarca, concludendo, mette in guardia «dalla più grande tentazio­ne che minaccia l’uomo: quella del­l’idolatria » . « Ogni uomo e ogni donna – ammonisce Scola – non si arrestino al volto dell’amato/a, ma in esso rendano gloria a Colui che gli ha donato un/a compagno/a di cammino. Siamo tutti ben consa­pevoli di cosa succede quando nel­l’esperienza dell’amore si confon­de l’altro con Dio. Quando cioè ci si aspetta – addirittura si pretende – dall’altro tutto, cioè il compi­mento della propria vita. Delusio­ne e scetticismo fino alla violenza prendono il posto prima occupato dallo stupore e dalla gratitudine».
Il cardinale: il disegno originario di Dio, nel crearci maschi e femmine, ci educa a saperci fare carico di noi stessi e dell’altro.
Avvenire 03/06/09

lunedì 1 giugno 2009

Benedetto XVI «Lo spirito Santo vince la paura» Omelia di Pentecoste (31 maggio 2009)




Cari fratelli e sorelle!

Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, viviamo nella fede il mistero che si compie sull’altare, partecipiamo cioè al supremo atto di amore che Cristo ha realizzato con la sua morte e risurrezione. L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, "forme" specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia. Tra tutte le solennità, la Pentecoste si distingue per importanza, perché in essa si attua quello che Gesù stesso aveva annunciato essere lo scopo di tutta la sua missione sulla terra. Mentre infatti saliva a Gerusalemme, aveva dichiarato ai discepoli: "Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!" (Lc 12,49). Queste parole trovano la loro più evidente realizzazione cinquanta giorni dopo la risurrezione, nella Pentecoste, antica festa ebraica che nella Chiesa è diventata la festa per eccellenza dello Spirito Santo: "Apparvero loro lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito Santo" (At 2,3-4). Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del "dono di Dio" ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce.

Dio vuole continuare a donare questo "fuoco" ad ogni generazione umana, e naturalmente è libero di farlo come e quando vuole. Egli è spirito, e lo spirito "soffia dove vuole" (cfr Gv 3,8). C’è però una "via normale" che Dio stesso ha scelto per "gettare il fuoco sulla terra": questa via è Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto. A sua volta, Gesù Cristo ha costituito la Chiesa quale suo Corpo mistico, perché ne prolunghi la missione nella storia. "Ricevete lo Spirito Santo" – disse il Signore agli Apostoli la sera della risurrezione, accompagnando quelle parole con un gesto espressivo: "soffiò" su di loro (cfr Gv 20,22). Manifestò così che trasmetteva ad essi il suo Spirito, lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, cari fratelli e sorelle, nell’odierna solennità la Scrittura ci dice ancora una volta come dev’essere la comunità, come dobbiamo essere noi per ricevere il dono dello Spirito Santo. Nel racconto, che descrive l’evento di Pentecoste, l’Autore sacro ricorda che i discepoli "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo". Questo "luogo" è il Cenacolo, la "stanza al piano superiore" dove Gesù aveva fatto con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto; quella stanza che era diventata per così dire la "sede" della Chiesa nascente (cfr At 1,13). Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: "Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera" (At 1,14). Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera.

Questo, cari fratelli e sorelle, vale anche per la Chiesa di oggi, vale per noi, che siamo qui riuniti. Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola. Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno "affannata" per le attività e più dedita alla preghiera. Ce lo insegna la Madre della Chiesa, Maria Santissima, Sposa dello Spirito Santo. Quest’anno la Pentecoste ricorre proprio nell’ultimo giorno di maggio, in cui si celebra solitamente la festa della Visitazione. Anche quella fu una sorta di piccola "pentecoste", che fece sgorgare la gioia e la lode dai cuori di Elisabetta e di Maria, una sterile e l’altra vergine, divenute entrambe madri per straordinario intervento divino (cfr Lc 1,41-45). La musica e il canto, che accompagnano questa nostra liturgia, ci aiutano anch’essi ad essere concordi nella preghiera, e per questo esprimo viva riconoscenza al Coro del Duomo e alla Kammerorchester di Colonia. Per questa liturgia, nel bicentenario della morte di Joseph Haydn, è stata infatti scelta molto opportunamente la sua Harmoniemesse, l’ultima delle "Messe" composte dal grande musicista, una sublime sinfonia per la gloria di Dio. A voi tutti convenuti per questa circostanza rivolgo il mio più cordiale saluto.

Per indicare lo Spirito Santo, nel racconto della Pentecoste gli Atti degli Apostoli utilizzano due grandi immagini: l’immagine della tempesta e quella del fuoco. Chiaramente san Luca ha in mente la teofania del Sinai, raccontata nei libri dell’Esodo (19,16-19) e del Deuteronomio (4,10-12.36). Nel mondo antico la tempesta era vista come segno della potenza divina, al cui cospetto l’uomo si sentiva soggiogato e atterrito. Ma vorrei sottolineare anche un altro aspetto: la tempesta è descritta come "vento impetuoso", e questo fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere su di esso. Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale. Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria – e per questo l’impegno ecologico rappresenta oggi una priorità –, altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo spirito. Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, l’aria salubre dello spirito che è l’amore!

L’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli è il fuoco. Accennavo all’inizio al confronto tra Gesù e la figura mitologica di Prometeo, che richiama un aspetto caratteristico dell’uomo moderno. Impossessatosi delle energie del cosmo – il "fuoco" – l’essere umano sembra oggi affermare se stesso come dio e voler trasformare il mondo escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo. L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre. Nelle mani di un uomo così, il "fuoco" e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia. A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite.

Si potrebbero in verità trovare molti esempi, meno gravi eppure altrettanto sintomatici, nella realtà di ogni giorno. La Sacra Scrittura ci rivela che l’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello "spirito di Dio che aleggiava sulle acque" (Gn 1,2) all’inizio della creazione. E Gesù Cristo ha "portato sulla terra" non la forza vitale, che già vi abitava, ma lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che "rinnova la faccia della terra" purificandola dal male e liberandola dal dominio della morte (cfr Sal 103/104,29-30). Questo "fuoco" puro, essenziale e personale, il fuoco dell’amore, è disceso sugli Apostoli, riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo, per fare della Chiesa il prolungamento dell’opera rinnovatrice di Cristo.

Infine, un ultimo pensiero si ricava ancora dal racconto degli Atti degli Apostoli: lo Spirito Santo vince la paura. Sappiamo come i discepoli si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte. Dopo la risurrezione di Gesù questa loro paura non scomparve all’improvviso. Ma ecco che a Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto. Non avevano alcun timore, perché si sentivano nelle mani del più forte. Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini. Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: "Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!".