venerdì 5 giugno 2009

Arriva il bisbiglio della vita L’eco della parola responsabilità

B isogna notare i particolari, per capire le epoche. E più che le trombe occorre spesso ascoltare i bisbigli. A Venezia in questi giorni va in scena l’arte contemporanea. La Biennale apre i battenti e con il consueto corredo di trovate, di gusto per il paradosso e di polemiche sui giornali si discute dell’evento. Il quale, grandioso ed esteso com’è, è difficile da raccontare e da sintetizzare. Buona parte degli osservatori nostrani si sono dati da fare per criticare preventivamente il padiglione Italia, riportato dopo decenni alla sua posizione (l’Italia non aveva un suo spazio come tutti i Paesi) e affidato alla cura di due critici Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, 'colpevoli' di non aver seguito i dettami imperanti nel cosiddetto 'mondo dell’arte'. Un mondo, appunto, che appartandosi sempre di più nelle sue perplesse e ironiche trovate, appare alla maggior parte delle persone come una specie di ben remunerata zona giochi per adolescenti viziati, un mondo pronto a dissacrare tutto ciò che è comodo e chic dissacrare.
La colpa dei due curatori è stato di mostrare che non esiste 'un mondo' dell’arte, chiuso e autoreferenziale nei suoi riti, ma che ci sono anche artisti in Italia che sentono una responsabilità nel rappresentare la realtà e la vita. Artisti bravi, e di nome. Indiscutibili. E alcuni giovani.
Ecco, forse è la parola responsabilità dell’arte che fa paura. Che mette a disagio. Nel testo del catalogo della mostra firmato da Beatrice Buscaroli, la parola responsabilità appare citata da due fonti che potrebbero sembrar lontane: Damien Hirst, uno dei più importanti artisti odierni. E Giovanni Paolo II, dalla sua 'Lettera agli artisti' che compie 10 anni. L’arte è responsabile dell’«umano» diceva il Papa in quella lettera. Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere per tutti cosa sia tale «umano» che l’arte è responsabile di rappresentare, onorare e provocare. Ma di certo un mondo dell’arte che, per non mettersi mai in discussione, celebrasse la propria irresponsabilità e non accettasse di confrontarsi con tale parola, sarebbe un mondo di morti.
Un artista vero si interroga sempre su qual è l’appello a cui sta rispondendo. E se tale appello è quello del mercato o del successo o della vanità allora genera arte morta. Pur se infiocchettata e circondata dal
glamour.
In questa nostra epoca dura e meravigliosa, l’umano che in ciascuno si agita e soffre lancia il proprio appello agli artisti: non sia vanagloria, ma onore e sguardo profondo, riverente alla vita degli uomini. Sì riverente alla vita, alla sua dura e però luminosa realtà, e al mistero che la abita. Onorare la vita non significa coprirsi gli occhi o evitare di rappresentarne le contraddizioni e i possibili precipizi di non-senso. Ma onorare l’esistenza è di certo evitare di ridurne la rappresentazione a un rimasuglio di detriti e di ironia acida. Lo insegnano tutti i grandi antichi e i recenti, da Giotto a Michelangelo da Martini a Burri a Bacon. La parola che il Papa ha lanciato come un appello o meglio come una estrema supplica agli artisti ora, per quanto coperta da strèpiti o occultata, anima in profondo lo spazio italiano e il dibattito della grande mostra.
Possono far finta di ignorare la supplica, la parola pronunciata all’unisono dal Papa e da chi la vita dell’arte la conosce davvero. Non una parola di parte, ma di tutta l’arte più grande. Così a Venezia, laddove spesso la ricerca di un insolito qualunque diviene ferrea e buffissima norma, e proprio nel padiglione del Paese cristiano che fu maestro nei secoli, sta succedendo qualcosa di nuovo e insolito davvero.
Avvenire di DAVIDE RONDONI

Nessun commento: