sabato 30 novembre 2013

Il Papa incontra bambini malati di tumore e leucemia: sofferenze inspiegabili, ma Dio sa

Commovente incontro oggi in Vaticano, nella Sala del Concistoro, tra Papa Francesco e una trentina di bambini polacchi malati di tumori e leucemia, giunti da Breslavia. RealAudioMP3 

E' stato un incontro semplice e toccante. L’organizzatore di questa bella iniziativa, l’avvocato polacco Krzysztov Bramorski, ha presentato i bambini al Papa:

“Portiamo a lei, Santità, oggi, soprattutto le preghiere di questi bambini malati. Preghiere che recitano ogni sabato, durante la Santa Messa nella clinica, con un pensiero per il Santo Padre. A questa udienza partecipano bambini malati delle più gravi forme di tumore e di leucemia. Per questo, portiamo anche il loro dolore, la loro paura, la loro speranza di riguadagnare salute e potere avere una vita lunga e piena di gioia”.

Papa Francesco ha salutato commosso i bambini giunti da Breslavia, che da settimane si stava preparando per questo evento:

“Vi do il mio cordiale benvenuto, vi saluto. E grazie per questa visita. Grazie per questa visita e grazie per le preghiera che voi fate per la Chiesa. Voi fate tanto bene alla Chiesa con le vostre sofferenze, sofferenze inspiegabili. Ma Dio conosce le cose e anche le vostre preghiere. Grazie tante. E sarà per me un piacere salutare ognuno di voi“.

Il Papa ha quindi abbracciato uno per uno i bambini, che gli hanno regalato un quadro raffigurante San Francesco d'Assisi, composto con la tecnica del collage. L'incontro si è concluso con la benedizione del Papa. E' già la quarta volta che viene promossa questa iniziativa. I bambini di Breslavia hanno potuto incontrare già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una dottoressa, che negli scorsi anni ha accompagnato i piccoli malati, ci ha detto che questa esperienza del pellegrinaggio a Roma dal Santo Padre fa bene e che i bambini tornano in Polonia corroborati e in qualche modo "più sani".

 Sergio Centofanti
 http://it.radiovaticana.va

Il Papa agli universitari: "Non siate spettatori, ma protagonisti delle sfide contemporanee!"

“Non siate spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei, non lasciatevi rubare l’entusiasmo”. Così questo pomeriggio il Papa agli universitari degli atenei romani durante i primi vespri della prima domenica di Avvento. Dal Pontefice l’esortazione a non lasciarsi condizionare dall’opinione dominante e ad andare controcorrente rimanendo fedeli ai principi etici e religiosi cristiani. Paolo Ondarza:RealAudioMP3 

Un forte appello a “non guardare la vita dal balcone”, ma a “stare lì dove ci sono le sfide del mondo contemporaneo perché “non vive chi non risponde alle sfide” inerenti i temi della vita, dello sviluppo, della lotta per la dignità delle persone, contro la povertà e a favore dei valori cristiani. Il Papa lo rivolge ai giovani universitari chiedendo loro di andare controcorrente, oltre l’ordinario, non rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, coltivare progetti di ampio respiro, non lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme. 

Index




CELEBRAZIONE DEI VESPRI
CON LA PARTECIPAZIONE DEGLI UNIVERSITARI DEGLI ATENEI ROMANI
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
I Domenica di Avvento - Sabato, 30 novembre 2013

Si rinnova oggi il tradizionale appuntamento d’Avvento con gli studenti delle Università di questa diocesi, ai quali si uniscono i Rettori e i Professori degli Atenei romani e italiani. Saluto tutti cordialmente: il Cardinale Vicario, i Vescovi, il Sindaco, le varie Autorità accademiche e istituzionali, gli Assistenti delle Cappellanie e dei Gruppi universitari. Saluto specialmente voi, cari universitari e universitarie.
L’auspicio che san Paolo rivolge ai cristiani di Tessalonica, affinché Dio li santifichi fino alla perfezione, dimostra da una parte la sua preoccupazione per la loro santità di vita messa in pericolo, e dall’altra una grande fiducia nell’intervento del Signore. Questa preoccupazione dell’Apostolo è valida anche per noi, cristiani di oggi. La pienezza della vita cristiana che Dio compie negli uomini, infatti, è sempre insidiata dalla tentazione di cedere allo spirito mondano. Per questo Dio ci dona il suo aiuto mediante il quale possiamo perseverare e preservare i doni che lo Spirito Santo ci ha dato, la vita nuova nello Spirito che Egli ci dà. Custodendo questa “linfa” salutare della nostra vita, tutto il nostro essere, spirito, anima e corpo, si conserva irreprensibile e integerrimo. Ma perché Dio, dopo che ci ha elargito i suoi tesori spirituali, deve intervenire ancora per mantenerli integri? Questa è una domanda che dobbiamo farci. Perché noi siamo deboli, - noi tutti lo sappiamo - la nostra natura umana è fragile e i doni di Dio sono conservati in noi come in “vasi di creta” (cfr2 Cor 4,7).
L’intervento di Dio in favore della nostra perseveranza fino alla fine, fino all’incontro definitivo con Gesù, è espressione della sua fedeltà. E’ come un dialogo fra la nostra debolezza e la sua fedeltà. Lui è forte nella sua fedeltà. E Paolo dirà, in un’altra parte, che lui – lui, lo stesso Paolo - è forte nella sua debolezza. Perché? Perché è in dialogo con quella fedeltà di Dio. E questa fedeltà di Dio mai delude. Egli è fedele anzitutto a se stesso. Pertanto, l’opera che ha iniziato in ciascuno di noi, con la sua chiamata, la condurrà a compimento. Questo ci dà sicurezza e grande fiducia: una fiducia che poggia su Dio e richiede la nostra collaborazione attiva e coraggiosa, davanti alle sfide del momento presente. Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno.
Sono diverse le sfide che voi giovani universitari siete chiamati ad affrontare con fortezza interiore e audacia evangelica. Fortezza e audacia. Il contesto socio-culturale nel quale siete inseriti a volte è appesantito dalla mediocrità e dalla noia. Non bisogna rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, ma coltivare progetti di ampio respiro, andare oltre l’ordinario: non lasciatevi rubare l’entusiasmo giovanile! Sarebbe uno sbaglio anche lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme, quello che omologa, come pure da una globalizzazione intesa come omologazione. Per superare questi rischi, il modello da seguire non è la sfera. Il modello da seguire nella vera globalizzazione - che è buona – non è la sfera, in cui è livellata ogni sporgenza e scompare ogni differenza; il modello è invece il poliedro, che include una molteplicità di elementi e rispetta l’unità nella varietà. Nel difendere l’unità, difendiamo anche la diversità. Al contrario quella unità non sarebbe umana.
Il pensiero, infatti, è fecondo quando è espressione di una mente aperta, che discerne, sempre illuminata dalla verità, dal bene e dalla bellezza. Se non vi lascerete condizionare dall’opinione dominante, ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente. Nel mondo globalizzato, potrete contribuire a salvare peculiarità e caratteristiche proprie, cercando però di non abbassare il livello etico. Infatti, la pluralità di pensiero e di individualità riflette la multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità con onestà e rigore intellettuale, quando si accosta alla bontà, quando si accosta alla bellezza, così che ognuno può essere un dono a beneficio di tutti.
L’impegno di camminare nella fede e di comportarvi in maniera coerente col Vangelo vi accompagni in questo tempo di Avvento, per vivere in modo autentico la commemorazione del Natale del Signore. Vi può essere di aiuto la bella testimonianza del beato Pier Giorgio Frassati, il quale diceva – universitario come voi - diceva:  «Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27.II.1925).
Grazie, e buon cammino verso Betlemme!


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Messaggio del Papa a Bartolomeo I: cristiani d'Oriente e Occidente uniti per promuovere pace e libertà

Un appello per la pace in Medio Oriente e per la tutela della libertà religiosa nel mondo: è questo il cuore del messaggio che Papa Francesco ha inviato al Patriarca ecumenico Bartolomeo I, in occasione della festa di Sant’Andrea. Il messaggio è stato letto dal card. Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani e capo di una delegazione della Santa Sede recatasi ad Istanbul, in Turchia. Per l’occasione, è stata celebrata una Divina Liturgia nella Chiesa patriarcale del Fanar. Stamattina, intanto, durante la Messa a Santa Marta, il Papa ha pregato secondo le intenzioni di Bartolomeo I. RealAudioMP3 

Indice
 



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
DI SUA SANTITÀ Bartolomeo I,
PATRIARCA ECUMENICO, PER LA FESTA DI SANT'ANDREA

A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico
"Pace ai fratelli, e carità e fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo."  ( Ef  6:23)
Dopo aver accolto con gioia la delegazione che Vostra Santità ha inviato a Roma per la festa dei santi Pietro e Paolo, è con la stessa gioia che io trasmetto, attraverso questo messaggio affidato al Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, la mia vicinanza spirituale in occasione della festa di Sant'Andrea, fratello di Pietro e il santo patrono del Patriarcato ecumenico. Con il sincero affetto riservato ai amati fratelli, porgo i miei migliori auguri oranti a Vostra Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero, ai monaci ea tutti i fedeli, e - insieme con i miei fratelli e sorelle cattolici - entrare nella tua own preghiera in questa occasione di festa.
Santità, caro fratello in Cristo, questa è la prima volta che mi rivolgo a voi in occasione della festa dell'apostolo Andrea, il primo chiamato. Colgo l'occasione per assicurarvi della mia intenzione di proseguire i rapporti fraterni tra la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico. E 'per me fonte di grande rassicurazione per riflettere sulla profondità e l'autenticità dei nostri legami esistenti, frutto di un cammino di grazia lungo la quale il Signore ha guidato le nostre Chiese dato storico incontro a Gerusalemme tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, il cinquantesimo anniversario di cui si celebrerà a breve. Dio, fonte di ogni pace e di amore, ci ha insegnato in questi anni a considerare l'un l'altro come membri della stessa famiglia. Per anzi abbiamo un solo Signore e unico Salvatore. Noi apparteniamo a lui attraverso il dono della buona notizia della salvezza trasmessa dagli apostoli, attraverso il solo battesimo nel nome della Santissima Trinità, e attraverso il santo ministero. Uniti in Cristo, dunque, siamo già sperimentare la gioia di autentici fratelli in Cristo, mentre ancora pienamente consapevoli di non aver raggiunto l'obiettivo della piena comunione. In attesa del giorno in cui potremo finalmente prendere parte insieme al banchetto eucaristico, i cristiani sono il dovere di prepararsi a ricevere questo dono di Dio attraverso la preghiera, la conversione interiore, rinnovamento della vita e dialogo fraterno.
La nostra gioia nel celebrare la festa dell'apostolo Andrea non deve farci volgere lo sguardo dalla situazione drammatica delle tante persone che soffrono a causa della violenza e della guerra, la fame, la povertà e gravi disastri naturali. Mi rendo conto che si è profondamente preoccupato per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto a rimanere nella loro patria. Il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono l'unico mezzo possibile per ottenere la risoluzione del conflitto. Cerchiamo di essere incessante nella nostra preghiera al Dio onnipotente e misericordioso per la pace in questa regione, e continuiamo a lavorare per la riconciliazione e il giusto riconoscimento dei diritti dei popoli.
Sua Santità, il ricordo del martirio dell'apostolo sant'Andrea fa anche pensare a molti cristiani di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali che, in molte parti del discriminazione esperienza del mondo e, a volte paga con il proprio sangue il prezzo della loro professione della fede. Attualmente stiamo segnando il 1700 ° anniversario dell'Editto di Costantino, che pose fine alla persecuzione religiosa nell'impero romano in Oriente e in Occidente, e ha aperto nuovi canali per la diffusione del Vangelo. Oggi, come allora, i cristiani d'Oriente e d'Occidente deve dare testimonianza comune, in modo che, rafforzata dallo Spirito di Cristo risorto, essi possono diffondere il messaggio della salvezza al mondo intero. Vi è anche l'urgente necessità di una cooperazione efficace e impegnata tra i cristiani, al fine di salvaguardare ovunque il diritto di esprimere pubblicamente la propria fede e di essere trattati equamente nel promuovere il contributo che il cristianesimo continua ad offrire alla società e alla cultura contemporanea.
E 'con sentimenti di profonda stima e amicizia caldo in Cristo che invoco abbondanti benedizioni su di Vostra Santità e tutti i fedeli del Patriarcato Ecumenico, chiedendo l'intercessione della Vergine Madre di Dio e dei santi apostoli e martiri Pietro e Andrea. Con gli stessi sentimenti, rinnovo i miei migliori auguri e lo scambio con un fraterno abbraccio di pace.
Dal Vaticano, 25 Novembre 2013
FRANCIS

Aforisma del sabato

"Le donne mi hanno sempre sorpresa: sono forti, hanno la speranza nel cuore e nell'avvenire."
Monica Vitti

Aforisma del venerdì

“La fede, l'amore e la speranza camminano nella notte: esse credono l'incredibile, amano ciò che si sottrae e li abbandona, sperano contro ogni speranza.”
Hans Urs Von Balthasar

Omelia di don Carlo Venturin 3^ di Avvento – 1/12/2013:


Isaia 35, 1-10      visione di futuro, perché tutto si ravviva, il nuovo è alle porte, fiorisce il deserto
Salmo 85             “Mostraci, Signore, la tua misericordia e dona la tua salvezza
Rm 11, 25-36      nessuno verrà abbandonato a se stesso, anche Israele sperimenterà il nuovo
Mt 11, 2-15         i dubbi di Giovanni derivanti dal carcere e le risposte chiarificatrici

Perché da soli se si può condividere

( La Domenica del “CHI SEI TU” )


La terza tappa di avvicinamento al Natale di Gesù si incentra sulla figura di Giovanni Battista, con i suoi dubbi, le sue paure, le sue domande, la sua identità descritta da Gesù. Al centro ci sono le risposte con i fatti.
Al Battista, rattristato e confuso, non paiono vere le profezie di Isaia; le sue mani “sono fiacche”, le “sue ginocchia vacillanti”, il suo “cuore smarrito”, la “vendetta” non giunge, il Messia presentato come “l’Agnello di Dio” è mansueto, non brucia gli eretici, non condanna, ma usa misericordia.
Eppure conosceva le profezie di Isaia, il quale scorge un mondo nuovo; sta sorgendo una realtà meravigliosa e inattesa: fiorisce il deserto, la pianura è fertile, gli alberi sono frondosi, sembra una perenne primavera; da tutto ciò la gioia, l’esultanza, le grida di giubilo. Il profeta unito a Dio guarda oltre la realtà dolorosa e assurda, incoraggia a non rassegnarsi di fronte all’apparente trionfo del male. Dio opera la trasformazione delle quattro infermità: ciechi, sordi, muti, zoppi. Chi vede solo la realtà, non ha visioni oltre il proprio naso, solo la cronaca è al centro. Gli orecchi sono tesi solo alle chiacchiere insensate, giudizi dissennati, non aperti alla Parola di Dio; la paralisi blocca ogni movimento, impedisce di camminare verso la terra promessa; il mutismo rende impossibile l’annuncio delle gesta di Dio. Il profeta indirizza il nuovo pellegrinaggio, il nuovo esodo; la via santa è percorribile, al bando la tristezza e il pianto. La meditazione del Salmo è sulla stessa lunghezza d’onda: misericordia, salvezza, pace, amore, verità, giustizia. Paolo rammenta anche che lo stesso popolo di Israele si incamminerà nel nuovo esodo annunciato da Gesù: “essi sono amati a causa dei Padri”, “da lui, per mezzo di lui e per lui” tutto si avvererà.

Il Battista era consapevole di tutto il messaggio profetico. Fin che tutto “filava liscio”, non aveva dubbi di sorta. Ora si trova in carcere, anche se ha una certa possibilità di comunicare con l’esterno: “per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli”. Oltre a ciò era temuto da Erode, perché il popolo lo teneva in forte considerazione, ma anche perché non si stancava di rimproverargli le sue malefatte.
Nonostante questo, il Battista ha dei dubbi che indeboliscono la sua fiducia. Il Messia da lui annunciato non trovava riscontro in Gesù: troppo mite, stava con i peccatori, non minacciava vendetta, era amico degli ultimi. Agli inviati Gesù si presenta come Messia, l’Atteso, invita il Battista a prendere atto di nuove realtà: le quattro di Isaia più “i morti risuscitano, i lebbrosi sono mondati, ai poveri è annunciata la buona notizia”, non vi è alcun cenno di condanna: i sordi ascoltano la Parola di Dio, gli storpi seguono la via maestra, la lebbra, che significa isolamento, ora è risanata (peccato perdonato), i vivi, che erano “zombi ambulanti”, esistenze fallite, ora sono pieni di vitalità, infine i poveri, che non contano nulla nella società, sono al centro dell’attenzione e della premura di Dio, contano più di tutti gli altri, fu anche l’annuncio a Betlemme per i pastori, i reietti della nazione.

Si potrebbe affermare con una immagine ardita che Gesù-Messia ricrea in sei giorni l’umanità. Il Battista è richiamato a contemplare il nuovo, Gesù conclude la sua risposta in modo sferzante: “beato chi non si scandalizza di me”; egli è aggrappato alle proprie convinzioni religiose, ormai sedimentate, abitudinarie, tradizionali. Così si potrebbe parafrasare: “beato chi accoglie il Messia così com’è, non come si vorrebbe che fosse”. Non degrada Giovanni, anzi ne tesse l’elogio.
Non è un opportunista (“una canna palustre”); è un uomo dalla vita austera, è il più grande di tutti i profeti, è un Angelo, che prepara la via, è il messaggero del nuovo che avanza, Gesù. Egli ha svolto bene la sua missione, indica a tutti il “che cosa fare” (domenica scorsa). E’ la figura che segna il crinale fra due epoche storiche. Il Battista ha condiviso con le folle il messaggio divino, non è rimasto da solo e inoperoso. Gesù non è rimasto appartato, si è coinvolto, “abitò in mezzo all’umanità sfiduciata, acciaccata, inerte”. Le sei categorie riferite a Giovanni, indicano il “che fare” dei credenti.

Il “CHI SEI TU” deve essere l’interrogativo pressante nell’oggi, dentro le realtà in cui si è chiamati a vivere; oltre all’interrogativo ci vuole la risposta personale e comunitaria: vivere e infondere speranza, compiere gesti che Gesù ha presentato come veri, concreti, senza paure e rassegnazioni.

La conclusione:
annunciare la bella notizia del Dio con noi
insegnare i comportamenti coerenti con la fede
esortare a seguire la strada intrapresa, essere pazienti, nonostante le oscurità
accogliere il Dio che sorprende, perché non obbedisce alle nostre logiche
essere messaggeri della misericordia che Cristo ha richiamato nelle sei categorie
                                                    E’ LA NUOVA CREAZIONE



Don Carlo

giovedì 28 novembre 2013

Un Festival per dire che «la vita non è sola»

Nel week-end a Bologna la prima edizione dell’happening voluto dalla associazione nazionale e progettato dal poeta e scrittore Davide Rondoni Che spiega la nuova avventura ispirata alla «cultura del dialogo»

«La vita non è sola» è il titolo del primo Festival di Scienza & Vita che ho 'inventato' e proposto agli amici che con me fan parte del direttivo dell’Associazione presieduta da Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, I consiglieri hanno aderito e collaborato all’idea consapevoli che su certe delicate questioni, sul senso di certe parole fondamentali dell’esistenza (nascere, figli, salute, morire, dignità) è in corso uno scontro e una confusione che riguarda tutti. Si tratta di questioni troppe volte salite dalla vita reale e concreta della gente fino alla ribalta delle polemiche mediatiche e politiche. E quindi spesso caricate di altra confusione. Insomma, si tratta di questioni che vanno direttamente a toccare il cuore, la passione, la fatica e la gioia di tante persone e che nella nostra epoca sono oggetto di riflessione ma troppo spesso occasione di scontro e di divisione.
  Mentre la passione che mi muove, come poeta e come uomo di cultura, è che intorno alle parole fondamentali del vivere ci si ritrovi, ognuno con storie e percorsi differenti, ma disposti a trovarne un senso sempre maggiore e più ricco e vero.
 
 
D
i qui l’idea di un festival che facesse incontrare scienziati, artisti, politici, filosofi intorno a tali questioni. Ma un festival, non un convegno, ovvero una occasione di condivisione di cultura, di incontro e di scoperta. Com’è noto, da tempo i festival sono – in ogni campo, dalla letteratura alla scienza – uno degli strumenti di condivisione culturale che cerca di rispondere a una domanda di senso e di orientamento che le istituzioni tradizionali (dalla scuola ai musei) faticano ad affrontare per motivi che qui sarebbe lungo esaminare, che vanno dalla struttura Stato-centrica di tali istituzioni a un deficit metodologico. Anche nel 'mondo cattolico' c’è una difficoltà ad affrontare temi e cose che stanno a cuore (dal racconto del Vangelo all’approfondimento di questioni che riguardano l’aspetto antropologico) in modi che non siano accademici o retorici. Ci sono segnali diversi e belli, dal grande
 Meeting di Rimini ai festival sul teatro o sulla Bibbia, fino al piccolo ma significativo «Festival dell’essenziale» nato lo scorso ottobre a Roma.
 
 
D
el resto, i festival di cui sopra e altri, così come il nuovo Festival di Scienza & Vita, si propongono di essere non l’espressione di un 'mondo' che ha certe idee e visioni ma un momento per mettere a fuoco insieme questioni importanti per tutti. Di qui l’apertura culturale, la voglia di incontrare persone e
 idee diverse che anche a Bologna – non a caso scelta in quanto sede della più antica università del mondo, che dà il patrocinio all’iniziativa – si incontreranno. È un segnale che arriva da parte della cultura cristiana. Perché, come ricordava Giovanni Paolo II, se la fede non diventa cultura, cioè giudizio critico sulle cose, resta come puro sentimentalismo e muore. Ma anche perché alla fine di un’epoca in cui tante ipotesi di lettura complessiva e ideologica della realtà (dal materialismo allo scientismo, dalprogressivismo al razionalismo) hanno mostrato limiti e impotenze, quando non violenze e censure, la vitalità della cultura cristiana può dare un contributo a tutti coloro che cercano un modo vero e profondo di guardare all’esistenza.
 
 
P
er fare un festival occorrono due cose: un problema interessante, e il desiderio di incontrare. Poi vengono i problemi organizzativi.
  Ma in questo momento, proprio per l’epoca di cambiamento che stiamo vivendo, per i segni che i tempi ci offrono (tra i primi, questo Papa) e per l’urgenza che nei cuori è viva di avere occasioni di confronto libero e serio, proporre un festival di questo genere rientra non solo tra i compiti di un’associazione che ha lo scopo di far incontrare la Scienza e la Vita con le sue domande e problemi, ma di tutti coloro che amano il gusto di cercare il vero.
  È un esperimento, un piccolo gesto un po’ folle e avventuriero, ma che indica un metodo: non avere paura.
  Il programma porterà al festival esperti e gente normale, artisti e politici di primo piano. La scommessa, pur nei limiti di una prima edizione sperimentale, è alta.
  Quando si fanno queste cose non si mette a rischio soltanto il nome o la faccia. Ma, per quel che mi riguarda, l’anima. Altrimenti non sono interessanti.
   Davide Rondoni

Wuerl: «Con chiarezza e semplicità il Papa ci insegna a vivere il Vangelo»


Il cardinale arcivescovo di Washington è stato relatore generale al Sinodo sulla nuova evangelizzazione: fonte di nutrimento per le sfide che la Chiesa affronta ogni giorno «Francesco ci dice: non aver paura e porta l’amore di Cristo in ogni aspetto della vita 'Va’', ci dice perché la gente aspetta di essere invitata nel Regno È ansiosa di qualcosa di grande e tu stai per dirgli che Dio l’ama. Si può immaginare qualcosa di più bello che sentirlo e saperlo per sempre?»

 Il Vangelo 'al lavoro', la fede 'in azione'.
  L’Esortazione apostolica
 Evangelii gaudium vista dagli Stati Uniti è una risposta alle richieste arrivate ai vescovi durante l’Anno della fede: di uno strumento di evangelizzazione chiaro, semplice e gioioso per proseguire un lavoro missionario che sta già dando frutti. Per questo il cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington e relatore generale al Sinodo sulla nuova evangelizzazione dello scorso ottobre, ha subito iniziato a diffonderla nella sua arcidiocesi, nel suo blog, come «fonte di nutrimento per tutti noi mentre riflettiamo sulle sfide che la Chiesa affronta ogni giorno e sui compiti che tutti noi siamo chiamati a ricoprire nel condividere il messaggio del Vangelo». 
 Cardinale Wuerl, l’Esortazione apostolica sollecita i cattolici ad essere missionari, un tema che lei ha affrontato lo scorso anno durante il Sinodo dei vescovi. Che cosa crede che in questo documento che possa aiutare maggiormente i vescovi a concretizzare la chiamata missionaria della Chiesa?

 Quello che vediamo nell’Esortazione non è un programma politico o un’agenda ideologica, ma fede in azione, Vangelo al lavoro. Papa Francesco ci sta insegnando non solo cosa dice il Vangelo, ma come viverlo: mettendo la persona davanti a tutto. E ci mostra come farlo non con preoccupazioni astratte per l’umanità, ma con esempi reali e intensamente umani.
  Non parla solo di povertà, ma dei bambini usati per l’accattonaggio, dei padri che lavorano nelle fabbriche clandestine, della gente che vive nell’ombra. Non parla semplicemente della pace come ideale, ma chiama i leader mondiali a scegliere il dialogo e invita tutti ad agire nel segno della pace. Il Papa vede la difesa della vita umana, della famiglia e della libertà religiosa non come compiti distinti, ma come parti della più ampia visione della fede in Gesù Cristo, della speranza in un mondo migliore e dell’amore per i deboli e i vulnerabili. Questi non sono stendardi da sventolare, o slogan da essere scanditi, ma una parte integrale della fede che si propone a tutti, a cominciare da chi vive ai margini della società e agli estremi della vita.
  Nell’Esortazione leggiamo che la proposta del Vangelo deve essere semplice, profonda e gioiosa. È da questa affermazione che discendono tutte le conseguenze morali.
 
 Al termine dell’Anno della fede, che progressi vede nel lavoro di evangelizzazione negli Stati Uniti?

 Posso parlare dal punto di vista dell’arcidiocesi
 di Washington, dove gli sforzi per l’evangelizzazione sono cominciati anni fa. Nel settembre 2010, ho pubblicato una lettera pastorale sulla nuova evangelizzazione che lanciava una serie di iniziative. L’idea era di aiutare i fedeli a capire di che cosa li stavamo invitando ad essere parte. Da allora abbiamo fatto molta strada. Ora l’apprezzamento della nuova evangelizzazione è molto forte e reale.
  Quando ho l’opportunità di visitare le parrocchie, sento sempre molte storie di iniziative di successo che hanno esteso il raggio
 di azione della Chiesa. Di recente l’arcidiocesi ha deciso di valutare con questionari quanto siamo efficaci nelle aree del culto, dei servizi educativi, della comunità e della gestione dei beni comuni, come un modo di misurare il rinnovamento della Chiesa. E sono emersi enormi progressi, in particolare un aumento nel numero dei giovani coinvolti nella vita della Chiesa e del tempo e delle risorse che mettono a disposizione. È un esempio di quello che intende il Papa quando dice che coinvolgere maggiormente i laici nella vita della Chiesa porta frutti. 
 Sono emersi risultati misurabili?

  Tre settimane fa ho organizzato all’ultimo momento una messa per giovani professionisti di Washington e sono venuti in 500. La scorsa Pasqua abbiamo accolto 1.200 nuovi cattolici nella nostra arcidiocesi e due anni fa ho aperto un nuovo Seminario a livello universitario. Vedo questi come segni che
 il lavoro della nuova evangelizzazione sta avendo un impatto. E penso che vedremo ancora maggiori risultati nei mesi a venire, come risposta all’informalità, al calore e ai modi diretti del Papa nel mostrare il messaggio di Gesù. 
 Quali sfide prevede nel continuare il lavoro di evangelizzazione?

 Gli ostacoli sono presenti da tempo. Quando papa Benedetto XVI è venuto negli Stati Uniti cinque anni fa, ha descritto i principali ostacoli che vedeva nella nostra società: il secolarismo, il materialismo e l’individualismo. Sono tutte cause del dilagante relativismo. Durante il Sinodo, tutti i vescovi del mondo hanno ammesso, in misura maggiore o minore, di avere questi stessi problemi. Le difficoltà dunque restano e le conosciamo. Ma stiamo imparando che non à solo la Chiesa a percepirle come impedimenti alla piena realizzazione umana.
  Molta gente, giovani soprattutto, ha fame di qualcosa di più profondo e più autentico, di una vita spesa al servizio di obiettivi più alti.
  Quest’ultimo anno ci ha ricordato che c’è fame di una proposta forte nella nostra società.
 
 Che cosa 'funziona' di più per avvicinare i giovani al Vangelo?

 A catturare i giovani è la sincerità e l’immediatezza del Vangelo. Papa Francesco lo sa bene. Quello che ci sta mostrando non è infatti un nuovo messaggio, ma un nuovo modo offrirlo, semplicemente mescolandoci alla gente, essendo insieme alla gente.
  Personalmente lo trovo molto incoraggiante.
  Dobbiamo mantenere la concentrazione sul messaggio del Vangelo, e il Papa ci ha ricordato che non è troppo complesso. Non dobbiamo farci distrarre da questioni laterali. Quando la gente ascolta il messaggio d’amore di Dio, non ha bisogno di molto di più.
 
 Lo considera un richiamo per i sacerdoti?

 È molto importante per noi sacerdoti non confondere il messaggio, complicarlo tanto che poi nessuno capisce più quello che stiamo dicendo. Francesco ce lo ho ricordato.
  Dobbiamo partire dicendo che Dio ama ciascuno di noi e che dobbiamo abbracciarci l’un l’altro in quell’amore. In questo non ci sono confini, non ci sono limiti. Francesco ci dice: non aver paura e porta l’amore di Cristo in ogni aspetto della vita. «Va», ci dice il Papa. «Va» perché la gente sta aspettando di essere invitata nel Regno. Sono ansiosi di sentire qualcosa di grande, e tu stai per dirgli che Dio li ama. Puoi immaginare qualcosa di più bello che sentirlo e crederci e saperlo per sempre?
 ELENA MOLINARI

Quei «controambienti» senza egemonia .I MONDI VITALI DELLA NOSTRA SOCIETÀ NON RIESCONO A ESSERE RAPPRESENTATI


È questo un periodo in cui prevalgono, nel clima sociale come nelle analisi e nei commenti, le visioni pessimistiche e la sottolineatura degli aspetti di involuzione rispetto a quelli di evoluzione, e delle dinamiche di impedimento di uno sviluppo progressivo, rispetto a quelle di propulsione. A differenza di un passato, anche recente, nel quale eravamo abituati a leggere nella realtà italiana molteplici e solidi tratti di un processo di avanzamento e di miglioramento continui, ed era ben presente la sensazione che lo sviluppo fosse animato da forze davvero vitali.
  Il cambiamento di tonalità emotiva, iniziato a partire dagli anni 90 e consolidatosi dopo il passaggio di
 secolo e di millennio, ha sicuramente molto a che fare con le trasformazioni sociali, antropologiche e geofisiche del pianeta, dell’Europa e dell’Italia. Ma sarebbe un errore sottovalutarne i risvolti socio-politici, ad esempio quello dato dalla crescente difficoltà a capire quali siano i mondi vitali di oggi, le leve dello sviluppo su cui puntare. Tanto che, anche laddove alcuni sforzi nel senso della ripresa di impeto e sviluppo vengono intrapresi, si rimane generalmente delusi per la loro inconcludenza, e per la loro mancata corrispondenza con le realtà più vitali e le loro esigenze.
  Eppure, quelli che vengono chiamati da alcuni dei sostenitori di una necessaria rigenerazione sociale attraverso il coinvolgimento dei soggetti vitali, i
 controambienti 

  (rispetto all’ambiente dominante nei discorsi e negli atti della politica e dei mass-media), esistono.
 
 Esistono luoghi di socializzazione e di espressione animati da spirito di rigenerazione, innovazione e solidarietà, nelle nuove forme di convivialità, in quelle di educazione non tradizionale, nelle parrocchie e nelle associazioni ambientalistiche, artistiche e sportive, nella cooperazione e nel volontariato, nel mondo delle cure, nella cultura più genuina e nella musica. Studi sulle correlazioni tra condizioni di vita e benessere sociale indicano i seguenti ambiti come particolarmente importanti per la ricostruzione di un tessuto sociale positivo: la formazione, le relazioni interpersonali, l’associazionismo e il volontariato, la fiducia nel prossimo e nel proprio territorio, la sensibilità ecologica, il 'lavoro scelto' e l’impegno lavorativo, il benessere psicologico e mentale, la famiglia e le reti di convivenza. Lavorare nel senso della costruzione di una rigenerazione delle dinamiche del Paese dovrebbe significare, quindi, rafforzare i soggetti ed i fattori che danno vita a questi 
 controambienti:

  costruire comunità dialoganti volte a condividere, a vivere la solidarietà, a sviluppare il mutuo­aiuto; promuovere la giustizia sociale, l’equità di tutti di fronte ai processi sociali; promuovere la continuità formativa ed assistenziale, l’integrazione tra diversi ambiti
 istituzionali; promuovere una cultura della sobrietà e del vero benessere; sviluppare la cultura non nozionistica.

  Ed è quello che in particolare i soggetti evolutivi - cittadini del futuro - , se osservati ed ascoltati, chiedono. I giovani sembrano cercare infatti una educazione centrata sul dialogo, una proficua contaminazione tra le generazioni e un contesto educativo meno angusto rispetto alle tradizionali agenzie di socializzazione e istruzione.
  Vorrebbero che nella scuola fossero posti al centro dello scambio i problemi veri della vita, più che le nozioni, le competenze più che i dati conoscitivi.
  La autorevolezza di molti educatori di basa proprio sulla attenzione alla pregnanza e veridicità dei contenuti, sulla intensità del dialogo, sulla forza dell’impulso comunicativo. E per raggiungere simili obiettivi molti luoghi educativi hanno avviato un percorso di assunzione di responsabilità collettiva fortemente condiviso.
  Ma se i
 controambienti e i mondi vitali esistono, benché nascosti, nella scuola e non solo nella scuola, ciò che è manchevole sono i canali di rappresentanza, rappresentazione e sviluppo di queste realtà. È la mancanza di egemonia culturale, attuale e potenziale, di questi controambienti e mondi vitali che sconcerta e preoccupa.   CARLA COLLICELLI 

Il Papa: nel dialogo interreligioso non serve “fraternità finta”, ognuno porti sua identità

Il futuro dell’umanità “sta nella convivenza rispettosa delle diversità”. E’ uno dei passaggi chiave del discorso che Papa Francesco ha rivolto stamani ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il Papa ha sottolineato che “non è possibile pensare ad una fratellanza da laboratorio”. Quindi, ha ribadito con forza che va tutelata la libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Jean-Louis Tauran. RealAudioMP3



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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI  PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO
CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
Sala Clementina
Giovedì, 28 novembre 2013

Signori Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,
prima di tutto mi scuso per il ritardo. Le udienza sono state in ritardo. Vi ringrazio per la pazienza. Sono lieto di incontrarvi nel contesto della vostra Sessione Plenaria: porgo a ciascuno il più cordiale benvenuto e ringrazio il Cardinale Jean-Louis Tauran per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro.
La Chiesa cattolica è consapevole del valore che riveste la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. Ne comprendiamo sempre più l’importanza, sia perché il mondo è, in qualche modo, diventato “più piccolo”, sia perché il fenomeno delle migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradizione, cultura, e religione diversa. Questa realtà interpella la nostra coscienza di cristiani, è una sfida per la comprensione della fede e per la vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti.
Risulta dunque di particolare attualità il tema scelto per il vostro raduno: “Membri di differenti tradizioni religiose nella società”. Come ho affermato nell’Esortazione Evangelii gaudium, «un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore deve caratterizzare il dialogo con i credenti delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e le difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da ambo le parti» (n. 250). In effetti, non mancano nel mondo contesti in cui la convivenza è difficile: spesso motivi politici o economici si sovrappongono alle differenze culturali e religiose, facendo leva anche su incomprensioni e sbagli del passato: tutto ciò rischia di generare diffidenza e paura. C’è una sola strada per vincere questa paura, ed è quella del dialogo, dell’incontro segnato da amicizia e rispetto. Quando si va per questa strada è una strada umana.
Dialogare non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana. Al contrario, «la vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa» (ibid., 251) e per questo aperta a comprendere le ragioni dell’altro, capace di relazioni umane rispettose, convinta che l’incontro con chi è diverso da noi può essere occasione di crescita nella fratellanza, di arricchimento e di testimonianza. È per questo motivo che dialogo interreligioso ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente. Non imponiamo nulla, non usiamo nessuna strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che siamo. In effetti, un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta. Come discepoli di Gesù dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo, senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni.
Il dialogo costruttivo tra le persone di diverse tradizioni religiose serve anche a superare un’altra paura, che riscontriamo purtroppo in aumento nelle società più fortemente secolarizzate: la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in quanto tale. La religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione (cfr Benedetto XVIDiscorso al Corpo Diplomatico, 10 gennaio 2011). È diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro, privo di riferimenti alla trascendenza. Ma anche qui: come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere? Non è possibile pensare a una fratellanza “da laboratorio”. Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale. Abbiamo visto a lungo la storia, la tragedia dei pensieri unici. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni. Su questo il Magistero della Chiesa si è espresso negli ultimi decenni con grande impegno. Siamo convinti che per questa via passa l’edificazione della pace del mondo.
Ringrazio il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per il prezioso servizio che svolge, e invoco su ciascuno di voi l’abbondanza della benedizione del Signore. Grazie


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AVVENTO. COSA DOBBIAMO FARE ?Il pensiero di Don Renato






“Dio ha scelto di farsi attendere tutto il tempo di un Avvento. Io non amo attendere. Non amo attendere nelle file. Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno. Non amo attendere prima di giudicare. Non amo attendere il momento opportuno. Non amo attendere un giorno ancora. Non amo attendere, perché non ho tempo”  (J. Debruynne).
D’altronde la pubblicità fa di tutto  per evitarmi l’attesa e per questo mi offre incentivi di ogni tipo
Invece Dio ha scelto di farsi attendere.
Il Signore ci conosce bene e ha fatto dell’attesa lo spazio della conversione. Non è soltanto la pazienza di Dio, ma è la sua opera di educazione verso di me, per  purificare le infinite attese e gli infiniti desideri che non portano a niente, e far crescere invece il desiderio di lui.
L’attesa di Dio desta l’attenzione, e solo  l’attenzione è capace di amare.
“Cosa dobbiamo fare?”. Lo chiediamo anche noi a Giovanni Battista, ed egli ci risponde di raddrizzare i sentieri di Dio, di abbassare i monti del nostro orgoglio e della presunzione, che ci impediscono di vederlo; di riempire i burroni dei nostri vuoti interiori, della noia, delle cose senza senso, delle stupidità che tolgono il sapore della vita e quindi tolgono il gusto di Dio. 
Io attendo il Signore perché è il Signore per primo che mi attende, con pazienza, finché mi deciderò a desiderare di incontrarlo negli uomini e nelle donne che mi ha messo accanto.


Don Renato


Attendere è pregare


Dio,
tu hai scelto di farti attendere
tutto il tempo di un Avvento.
Io non amo attendere.
Non amo attendere nelle file.
Non amo attendere il mio turno.
Non amo attendere il treno.
Non amo attendere prima di giudicare.
Non amo attendere il momento opportuno.
Non amo attendere un giorno ancora.
Non amo attendere perché non ho tempo
e non vivo che nell'istante.
D'altronde tu lo sai bene,
tutto è fatto per evitarmi l'attesa:
gli abbonamenti ai mezzi di trasporto
e i self-service,
le vendite a credito
e i distributori automatici,
le foto a sviluppo istantaneo,
i telex e i terminali dei computer,
la televisione e i radiogiornali...
Non ho bisogno di attendere le notizie:
sono loro a precedermi.
Ma tu Dio
tu hai scelto di farti attendere
il tempo di tutto un Avvento.
Perché tu hai fatto dell'attesa
lo spazio della conversione,
il faccia a faccia con ciò che è nascosto,
l'usura che non si usura.
L'attesa, soltanto l'attesa,
l'attesa dell'attesa,
l'intimità con l'attesa che è in noi
perché solo l'attesa
desta l'attenzione
e solo l'attenzione
è capace di amare.
Tu sei già dato nell'attesa,
e per te, Dio,
attendere,
si coniuga come pregare.
(Jean Debruynne)

Aforisma del Giovedì

Kaliméra di Ermanno Olmi: "I linguaggi hanno sempre connotato i contenuti di un'epoca, così anche le trasgressioni e i comportamenti. Quasi che l'apparire 'sbracati' sia una connotazione di disinvoltura di cui vantarsi, mentre non è altro che imbecillità che ci qualifica come ci meritiamo...Lo stile non è un orpello, ma il fondamento di ogni società civile. Lo stile è anche un atto politico per mettere in pratica una vera democrazia"...perciò?

Valete!
Don Carlo

Il Papa: la fede non è un fatto privato, adorare Dio fino alla fine, nonostante apostasia e persecuzioni

Ci sono “poteri mondani” che vorrebbero che la religione fosse “una cosa privata”. Ma Dio, che ha vinto il mondo, si adora fino alla fine “con fiducia e fedeltà”. È il pensiero che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa S. Marta. I cristiani che oggi sono perseguitati – ha detto – sono il segno della prova che prelude alla vittoria finale di Gesù.RealAudioMP3 

Nella lotta finale tra Dio e il Male, che la liturgia di fine anno propone in questi giorni, c’è una grande insidia, che Papa Francesco chiama “la tentazione universale”. La tentazione di cedere alle lusinghe di chi vorrebbe averla vinta su Dio, avendo la meglio su chi crede in Lui. Ma proprio chi crede ha un riferimento limpido cui guardare. È la storia di Gesù, con le prove patite nel deserto e poi le “tante” sopportate nella sua vita pubblica, condite da “insulti” e “calunnie”, fino all’affronto estremo, la Croce, dove però il principe del mondo perde la sua battaglia davanti alla Risurrezione del Principe della pace. Papa Francesco indica questi passaggi della vita di Cristo perché – sostiene – nello sconvolgimento finale del mondo, descritto nel Vangelo, la posta in gioco è più alta del dramma rappresentato dalle calamità naturali:

“Quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la abominazione, sarà la desolazione della abominazione. Cosa significa quello? Sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio. Lui sembra che in quel momento finale di calamità, sembra che si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”. 
Ecco il cuore della “prova finale”: la profanazione della fede. Che tra l’altro è ben evidente – osserva Papa Francesco – da ciò che patisce il profeta Daniele, nel racconto della prima lettura: gettato nella fossa dei leoni per aver adorato Dio invece che il re. Dunque, “la desolazione della abominazione” – ribadisce il Papa – ha un nome preciso, “il divieto di adorazione”:

“Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio. Divieto di adorazione. Questo è il centro di questa fine. E quando arrivi alla pienezza – al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano, quando si compie questo tempo – allora sì, verrà Lui: ‘E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria’. I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti”.
Eppure, conclude Papa Francesco, nel momento in cui i “tempi dei pagani sono stati compiuti” è quello il momento di alzare il capo, perché è “vicina” la “vittoria di Gesù Cristo”:

“Non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno. Così ha promesso il Signore. Questa settimana ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: ‘Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?’. Adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà: questa è la grazia che dobbiamo chiedere questa settimana”.

Alessandro De Carolis
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mercoledì 27 novembre 2013

Udienza generale. Il Papa: chi apre la porta al povero avrà il cielo aperto alla fine della vita

“Chi pratica la misericordia non teme la morte”. Questa affermazione è risuonata più volte questa mattina in Piazza San Pietro. Papa Francesco l’ha fatta ripetere alle circa 50 mila persone che hanno partecipato all’udienza generale, dopo aver spiegato, a partire dalla preghiera del Credo, la differenza dell’approccio cristiano all’ultimo momento della vita, rispetto alla visione atea, che non credendo in un orizzonte più ampio, nega la morte perché ne ha paura. RealAudioMP3 

“Lo diciamo insieme per non dimenticarlo: chi pratica la misericordia non teme la morte. Un’altra volta: chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo”.

Nel gelo di una Piazza piombata in un precoce inverno, la verità cristiana senza eguali, riaffermata da Papa Francesco e ripetuta in coro dalla folla, ha il potere di scaldare i cuori prima ancora che le membra intirizzite. Chi apre la porta ai fratelli che hanno bisogno vedrà a sua volta aperta la porta del cielo alla fine della vita: il Papa suggella con questo pensiero una catechesi che con chiarezza esplora il tabù per eccellenza. “Fra noi, comunemente c’è un modo sbagliato di guardare alla morte”, osserva, affrontando subito, con delicatezza, un punto che rende la morte “scandalosa”.


VIDEO http://www.youtube.com/watch?v=Ru21Vu-_TPw#t=68


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PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 27 novembre 2013

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno e complimenti perché siete coraggiosi con questo freddo in piazza. Tanti complimenti.
Desidero portare a termine le catechesi sul “Credo”, svolte durante l’Anno della Fede, che si è concluso domenica scorsa. In questa catechesi e nella prossima vorrei considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo aspetto, «morire in Cristo».
1. Fra noi comunemente c’è un modo sbagliato di guardare la morte. La morte ci riguarda tutti, e ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino, o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta “scandalosa”. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura.
2. Ma a questa falsa soluzione si ribella il “cuore” dell’uomo, il desiderio  che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno. E allora qual è il senso cristiano della morte? Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte.
Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo. La risurrezione di Gesù non dà soltanto la certezza della vita oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore.
3. In questo orizzonte si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con il Padre celeste.  E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo. La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo.
Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con  i santi. 

Saluti:
Je vous salue cordialement, chers amis francophones, en particulier les pèlerins de la cathédrale Notre-Dame, de Paris, accompagnés par l’Évêque-auxiliaire, Mgr de Moulins-Beaufort. À tous je souhaite de progresser dans la découverte de l’amour du Père miséricordieux qui nous attend pour partager sa vie et en témoigner parmi nos frères et sœurs.
[Saluto cordialmente i cari amici di lingua francese, in particolare i pellegrini della Cattedrale Notre-Dame di Parigi, accompagnati dal Vescovo ausiliare, Mons. de Moulins-Beaufort. A tutti auguro di progredire nella scoperta dell’amore del Padre misericordioso che ci attende per condividere la sua vita e testimoniarla tra i nostri fratelli e sorelle.]  
I greet all the English-speaking pilgrims present at today’s Audience, including those from England, the Philippines and the United States.  Upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace! 
[Saluto tutti i pellegrini di lingua inglese presenti a questa Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Filippine e Stati Uniti.  Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore!]   
Ein herzliches Willkommen richte ich an die Pilger deutscher Sprache. Der auferstandene Christus kommt zu allen Zeiten, um seine Brüder und Schwestern zu begleiten, besonders die Armen und die Bedürftigen. Wir wollen Zeugen des neuen Leben in ihm sein. Von Herzen erbitte ich Gottes Segen und Gnade für ich euch und eure Lieben.
[Rivolgo un benvenuto caloroso ai pellegrini di lingua tedesca. Cristo risorto viene in ogni tempo ad accompagnare i suoi fratelli, in particolare i poveri e i bisognosi. Noi vogliamo essere i suoi testimoni della nuova vita in Lui. Per voi e per i vostri cari imploro la benedizione e la grazia del Signore.]
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, México, Guatemala, Argentina y los demás países latinoamericanos. No olviden que la solidaridad fraterna en el dolor y en la esperanza es premisa y condición para entrar en el Reino de los cielos. Muchas gracias.
Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, presentes nesta Audiência, especialmente aos grupos vindos do Brasil. Queridos amigos, buscai ser sempre solidários com aqueles que sofrem, na certeza de que compartilhar a dor e infundir esperança é premissa e condição para receber em herança o Reino dos Céus preparado para nós. Que Deus vos abençoe!
[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese presenti a quest’Udienza, in particolare ai gruppi qui giunti dal Brasile. Cari amici, cercate sempre di essere solidali con quelli che soffrono, nella certezza che condividere il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità il Regno dei Cieli preparato per noi. Dio vi benedica!]
أتوجَّه ُ بتحيةٍ حارةٍ إلى الحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربية، لا سيما أولئك القادمينَ منمصر. لنجهد أنفسنا لنعيشَ متّحدينَ بيسوعَ، مُخلِصينَ لهُ، حتّى نتمكّنَ من مواجهةِ لحظةَ الموتِ برجاءٍ وسكينة! ليباركَكُم الربُ جميعاً!
[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall’Egitto. Sforziamoci di vivere uniti a Gesù, fedeli a Lui, per essere capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte! Il Signore vi benedica!]
Pozdrawiam przybyłych na audiencję Polaków. Rozważając w dzisiejszej katechezie tajemnicę umierania w Chrystusie pamiętajmy, że śmierć stanie się dla nas bramą, która wprowadzi nas do nieba, do błogosławionej ojczyzny, ku której zmierzamy, pragnąc zamieszkać na zawsze z naszym Ojcem, z Jezusem, z Maryją i świętymi, jeżeli w życiu otworzymy serca dla naszych braci najmniejszych, jeśli wyjdziemy naprzeciw potrzebujących z otwartymi dłońmi. Z serca wam błogosławię. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.
[Saluto i polacchi venuti a quest’udienza. Meditando nell’odierna catechesi il mistero della morte in Cristo, teniamo presente che essa diventerà per noi la porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, con Gesù, con Maria e i santi, se nel corso della vita abbiamo avuto il cuore aperto ai nostri fratelli più piccoli e con le mani aperte abbiamo cercato di venire incontro ai bisognosi. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo.]
Вітаю українських паломників під проводом Верховного Архиєпископа Блаженнішого Святослава Шевчука, єпископів та вірних Української Греко-Католицької Церкви, які прибули до гробів святих Апостолів з нагоди завершення Року віри та п’ятдесятої річниці перенесення тіла святого Йосафата до Ватиканської базиліки. Приклад цього святого, який віддав своє життя за Господа Ісуса та за єдність Церкви, є для всіх заохоченням щодня трудитися в справі єдності між братами. Нехай Господь Бог благословить вас усіх через заступництво Пречистої Діви Марії та святого Йосафата!
[Saluto i pellegrini ucraini, guidati dall’Arcivescovo maggiore Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, i Vescovi con i fedeli della Chiesa greco-cattolica, venuti alle tombe degli Apostoli per la conclusione dell’Anno della Fede e per il cinquantesimo anniversario della traslazione del corpo di san Giosafat nella Basilica Vaticana. L’esempio di questo Santo, che ha donato la propria vita per il Signore Gesù e per l’unità della Chiesa, è per tutti un invito a impegnarsi ogni giorno per la comunione tra i fratelli. Attraverso l’intercessione della Vergine Maria e di san Giosafat, il Signore vi benedica tutti!]
* * *
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Ravenna-Cervia, di Trieste e di Concordia-Pordenone accompagnati dai rispettivi Vescovi, come pure i direttori dei Settimanali Cattolici Italiani, qui venuti a conclusione dell’Anno della fede. Saluto le bambine affette da Sindrome di Rett; gli Apostoli della divina misericordia, con il Vescovo di Palestrina, Mons. Sigalini; i consiglieri spirituali dell’Equipe Notre Dame; la Confraternita dei Santi Cosma e Damiano di Roma; i membri del Dipartimento di Chirurgia e Medicina dell’Università Bicocca di Milano e gli studenti di diverse Scuole aderenti all’iniziativa della Fondazione “Sorella Natura”. Saluto inoltre le parrocchie, i militari e i Gruppi presenti, in particolare l’Associazione Città del SS.mo Crocifisso di Gravina in Puglia e la Delegazione dei Sindaci delle “Città di San Giacomo della Marca”. A tutti auguro che quest’incontro susciti il desiderio di una rinnovata adesione a Cristo e al suo Vangelo.
Infine il mio pensiero affettuoso va ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domenica prossima inizieremo il tempo liturgico dell’Avvento. Cari giovani, preparate i vostri cuori ad accogliere Gesù Salvatore; cari ammalati, offrite la vostra sofferenza affinché tutti riconoscano nel Natale l’incontro del Cristo con la fragile natura umana; e voi cari sposi novelli, vivete il vostro matrimonio come il riflesso dell’amore di Dio nella vostra storia personale.


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