sabato 23 novembre 2013

Omelia di Don Carlo Venturin 2^ di Avvento – 24/11/2013


Perché da soli, se si può condividere
(“Che cosa dobbiamo fare”)


Bar 4,36-5,9        Il ritorno degli esiliati, Dio li riconduce
Salmo 100           “Popoli tutti, acclamate al Signore
Rom 15, 1-13     Avere gli stessi sentimenti sull’esempio di Gesù
Lc 3, 1-18             la parola di Dio viene come il vaglio, pala per pulire il grano buono dalla zizzania


All’inizio dell’Avvento, a fosche tinte, si intravvedeva il travaglio del mondo, in tutti i suoi componenti, ma anche la presenza-arrivo del Figlio di Dio. La società è sempre in attesa di qualcosa di nuovo, che trasformi l’atonia, la noia quotidiana, le varie crisi a tutti i livelli; quasi la rassegnazione sembra il timbro-marchio, che attanaglia l’umanità; si attende uno scossone, che scacci il torpore dei sensi, che innesti nuova linfa nell’organismo umano e cosmico, lacerato nelle Filippine, in America, in Sardegna, quasi a ogni angolo del pianeta: la realtà  “da fine del mondo” è sempre dietro l’angolo.

La seconda tappa dell’Avvento si svolge in un piccolo angolo della terra, che è metafora però del mondo nella sua totalità. Il profeta Baruc riporta l’euforia del cambiamento, del ritorno a casa dei deportati, le nuove prospettive: via il lutto, splendore, manto della giustizia, il diadema di gloria, Dio spiana la strada, basta trabocchetti, titubanze, scuse, si ricomincia, la natura partecipa alla rifioritura: “Le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele”; conseguenze concrete: gioia, gloria di Dio, misericordia, giustizia. E’ la nuova umanità che esce dal letargo. Il Salmo commenta e partecipa: canto, esultanza, inni di grazie, lodi, certezza della fedeltà di Dio. Paolo restringe lo sguardo ai sui lettori presenti e futuri: portare le infermità dei deboli, la solidarietà corale e l’accoglienza sull’esempio di Gesù; conclude come il Salmo, perché viene “il rampollo di Iesse”: gioia, misericordia, giustizia, gloria di Dio.

Luca si inserisce nella concretezza della storia, con le contraddizioni del potere locale e internazionale, con l’accenno a figure losche, che saranno protagoniste in negativo, nella vita del “rampollo di Iesse”. Dentro la storia, nell’epoca precisata e non indistinta “Venne la Parola di Dio su Giovanni”, nel deserto: un luogo, un nome. Una folla lo segue, perché “è senza pastore”; ha seguito vari falsi profeti, urlatori, razza di vipere, promotori di promesse non mantenute, falsi cristi, che si manifestano in vari luoghi, apparizioni fasulle (domenica scorsa ). E’ ora una folla disincantata, alla ricerca di autenticità e di risposte propositive. Il Battista parla di cambiamento-conversione: “Con molte altre esortazioni evangelizzava il popolo”, più precisamente: “Consolando evangelizzava”. Per Luca il servizio di Giovanni rivela il significato del suo nome: “Dio fa grazia”.

La lieta notizia si incentra su due motivi essenziali: non è vero che ormai non c’è più niente da fare, la persona, pur in difficoltà e in crisi, può sempre agire per un cambiamento a portata di mano; annuncia un dono dall’alto: la grazia di Dio potrà operare su un popolo ben disposto. La folla eterogenea percepisce il nuovo e Giovanni precisa che non è lui, ma “il più forte di me” vi darà forza, capacità di agire  e cambiare. Da queste predisposizioni deriva la domanda delle tre categorie presentate da Luca: “Che cosa dobbiamo fare”; non dicono colpe altrui, siamo in pochi, non ce la possiamo fare; aspettano la risposta autorevole, precisa e concreta, rivolta a varie categorie.

La prima è indistinta: la FOLLA. Il profeta traccia il percorso che prevede la pari dignità di ogni persona (attraverso il dono della veste) e la condivisione (attraverso il cibo di fraternità); la folla così sarà POPOLO, avrà il volto dell’accoglienza e la legge di solidarietà. Donare il proprio vestito significa riconoscersi nell’altro e diventare compagni di strada: è come donare un proprio organo, la propria pelle , la trasfusione del proprio sangue.

La seconda  categoria è formata da “corrotti”; un gruppo di pubblicani-esattori delle tasse per conto del potere straniero. Luca ritrae i protagonisti di un mondo corrotto, pieno di estorsioni e di tangenti: il ruolo di responsabilità che occupano diventa concussione, ruberie a man bassa, sopraffazioni e violenze sui più deboli: i lavoratori dipendenti e i pensionati. Il gruppo dei corrotti ebbe la forza di presentarsi, senza essere stati prima denunciati o smascherati dalla giustizia; si sentono toccati nel profondo dal Vangelo.

La terza categoria: i soldati, forse erano le guardie  del corpo degli esattori per la riscossione delle imposte. Luca ritrae un mondo di corruzione ed estorsione, che ne approfitta del ruolo, sorgente di guadagni illeciti. Anche a loro Giovanni indica il cosa fare: “Accontentatevi della paga, non maltrattate e non estorcete niente a nessuno”. Oggi si potrebbe suggerire: non fate la guerra, ma difendete il suolo, i fiumi, i boschi, correte nei luoghi alluvionati e terremotati, portate le cucine da campo, le vettovaglie, le urgenze sanitarie.Maltempo/ Geologi: da 2009 ogni anno un evento grave come Sardegna

La risposta del Battista mette in luce due dinamismi:
- Uno dal basso: non è vero che non si può far niente (non c’è più niente de fare), le persone, pur in condizioni precarie, possono sempre agire nell’ambito del loro ruolo e delle loro capacità.
- Uno dall’alto: è il dono dello Spirito dal Messia.
Il messaggio è eloquente: seguire la via della giustizia e della legalità, della solidarietà, della non violenza (soldati), rinunciando ad approfittare del proprio sapere, del proprio ruolo, della propria ricchezza, per usare tutto per il bene di tutti: non da soli, ma condividendo.



Don Carlo

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