sabato 16 novembre 2013

Perché da soli, se si può condividere? Omelia di don Carlo Venturin 1^ di Avvento 17/11/2013

1^ di Avvento – 17/11/2013

Isaia 51, 4-8        La mia giustizia e la mia salvezza sono imminenti
Salmo 50             “Viene il nostro Dio, viene e si manifesta
2Ts 2, 1-14          La venuta del Signore e la venuta dell’empio, l’avversario
Mt 24, 1-31         Al monte degli ulivi annuncia le “ultime cose”, a partire dalla cronaca


Perché da soli, se si può condividere?
( Vita avvalorata, piena, viva)


A inizio anno, in questo caso liturgico, si pongono degli interrogativi, nella speranza di cambiamento, se non reale, almeno immaginato e beneaugurante. Ci può essere anche un po’ di rassegnazione: non ci sarà alcun cambiamento, se non in peggio.

Leggendo il messaggio biblico, si rischia la depressione: è una descrizione da fine del mondo: terremoti, pestilenze, guerre, persecuzioni, devastazioni, iniquità, tradimenti. E’ la cronaca narrata da giornali e TG: incertezza sul domani, paura per l’economia, per le fragilità anche all’interno delle famiglie “Guai alle donne incinte e a quelle che allattano”; “è il dilagare dell’iniquità”.
Gli Apostoli interrogano il Maestro su quello che accade, sulle bellezze antiche e se veramente la storia sarà rigata da fiumi di violenze e sangue. Le risposte sono impressionanti per il realismo e la crudeltà delle immagini (“Vietate ai minori”, si direbbe oggi ). La Chiesa non si crogiola nelle sicurezze, vive in queste temperie, come il Fondatore sta subendo ormai il discredito, prevede gli eventi.

Il tempo, che sta davanti a noi, ha queste coordinate, occorre interpretarlo con le visioni di Gesù: è l’AVVENTO, l’attesa di “ciò che è già avvenuto”, che accadrà nel Natale e si avvererà, dopo le innumerevoli devastazioni, alla fine del tempo. Per vivere il tempo, che ci è donato, e non lasciarsi coinvolgere nel disfattismo disumano, il cammino è tracciato. Dio Padre invia il Figlio in questa umanità travagliata, umiliata, senza speranza. E’ cosciente dell’impossibilità umana di risollevarsi, da sola non trova la via d’uscita; con la presenza solidale divina, la salvezza è a portata di mano: da soli no, condividendo sì.
Le visioni di Isaia rinvigoriscono la speranza se si è attenti e ascoltanti “Ascoltatemi attenti”: seguendo la via della mia giustizia, otterrete salvezza e giustizia “di generazione in generazione”. Per rendere sicura la previsione, il Salmo ribadisce e precisa: “viene il nostro Dio”. Il verbo venire è continuamente richiamato anche da Paolo: “Riguardo alla venuta del Signore…”, “la venuta dell’empio sarà annientata”; la salvezza dalle devastazioni sarà certa, si starà per sempre “nella gloria”, come descritto dal GIUDIZIO finale.

Certamente il linguaggio terrificante, che Gesù usa, sconvolge non tanto i suoi ascoltatori, che conoscevano il genere apocalittico, ma noi. Quasi sicuramente Matteo ha descritto tutto, avendo presente la distruzione del tempio e di Gerusalemme, nel 70 d.C., le deportazioni, la scomparsa di Israele, la diaspora, durata più di un millennio. Noi oggi conosciamo la FANTASCIENZA nel cinema, nei romanzi, nei cartoni animati e tante volte i fatti fantasiosi si rivelano veri in seguito.
Matteo usa la fantascienza e tramanda domande e risposte dei discepoli e del Maestro, che ha vissuto quanto si sta raccontando: di proposito è sceso “dall’Alto” per essere compagno di viaggio dell’umanità di ogni epoca.

Lungo le tappe dell’anno liturgico la presenza del Figlio di Dio verrà dipanata davanti a noi: il suo messaggio, i suoi gesti, il coinvolgimento nella vita civile e religiosa del suo popolo, le miserie dei poveri e degli emarginati, i giochi di potere anche tra i suoi, l’infamia del processo-farsa e la morte lacerante in croce: è stato solidale e coerente, con i suoi e con tutti.

Oggi indica, suggerisce, propone quale convivenza è necessaria, ci proietta nel futuro; usa una parola tanto in voga nel nostro tempo: VIGILARE. Oggi si parla molto di sorveglianza: le porte di casa, di aziende, di banche usano sistemi sofisticati di sorveglianza: sirene, videocamere, organi di vigilanza per le strade, davanti ai supermercati, poi l’antitrust, la commissione di vigilanza della RAI, la Corte dei Conti… Così anche la mamma e il papà vigilano il bambino al parco giochi, sulla sua salute, sull’andamento scolastico. E’ una vigilanza-paura.

Con queste premesse la vigilanza biblica può essere percepita, ma come speranza. Il vigilante evangelico non consente atteggiamenti passivi, pessimistici, rinunciatari. Vive nel mondo, mettendosi in gioco. Il suo motto potrebbe essere quello di Don Lorenzo Milani         “I CARE” nella sua scuola: mi interessa, mi prendo cura di ciò che ho attorno e che incide non solo in me, ma coinvolge tutto. E’ lo stesso atteggiamento di Dio, che vuole la vita per tutti. Gesù ha mostrato non solo di essere attento (VIGILE) per evitare i pericoli, ma per mettere in moto tutto quello che è interesse per tutti.

Vigilare significa saper cogliere il senso delle cose e del tempo, significa non addormentarsi nel torpore dell’immediato, spinge a dilatare le nostre capacità nel capire fatti, eventi, storia. Vigilare significa tenersi pronti a cogliere le necessità di chi abbiamo accanto e la loro sofferenza; significa vedere le possibilità di bene e non smettere di lottare per il Regno di Dio e della Sua giustizia. Essere vigilanti è il contrario della vita svalutata e rassegnata, del puro vegetare e sopravvivere. Significa invece vita attiva e operosa, VITA AVVALORATA, cioè fondata e orientata, più piena e più viva.

Don Carlo


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