giovedì 20 giugno 2013

Oasis: la "grammatica comune" di islam e cristianesimo di fronte al secolarismo




Nel mondo islamico c'è una secolarizzazione che non è frutto delle ideologie anti-religiose occidentali. In Iran la società civile, giovani e donne, preme sugli ayatollah per avere maggiori spazi e diritti. In Marocco cresce la distinzione fra Stato e religione perfino nei partiti islamisti. In Arabia saudita l'alleanza fra il wahabismo e il consumismo è il peggior nemico della società. Le conclusioni del card. Scola.

"L'Iran è il Paese islamico più secolarizzato": nonostante gli ayatollah, i chador e le prediche violenti nelle moschee, grazie alle donne e ai giovani (v. foto), l'Iran si sta trasformando dall'interno, mettendo in crisi l'immagine che l'occidente ha di esso, come di un Paese dominato dalla teocrazia islamica.
È questa una delle rivelazioni emerse al secondo giorno dell'Incontro annuale del Comitato scientifico di Oasis, la rivista fondata dal card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano. Il decimo incontro del Comitato è proprio "Sul crinale. Cristiani e musulmani tra secolarismo e ideologia".
Il 17 giugno vi è stata soprattutto  un'analisi storica e filosofica sulla fine del secolarismo in occidente, giunto ormai al capolinea. Il  giorno dopo, presso la Sala Napoleonica vicino all'Università statale, diverse personalità musulmane hanno fatto il punto sul modo in cui la secolarizzazione sta avvenendo nei loro Paesi, riservando molte sorprese.
La prima, come già accennato è quella sull'Iran dove la trasformazione della società sta avvenendo non grazie all'embargo e alle sanzioni, o a un abbassamento della pretesa del potere degli ayatollah, ma per la ricerca di diritti e dignità da parte della popolazione, in particolare giovani e donne. E fra questi, non solo ragazzi coi jeans e donne in pantaloni, ma anche giovani barbuti e donne velate. A dirlo è  Ramin Jahanbegloo,  irano-canadese, professore associato di Scienze politiche alla York University di Toronto (Canada). Sono soprattutto i giovani (il 60% della popolazione iraniana) a cercare di affermare una visione laica della società scontrandosi spesso con il controllo delle guardie della rivoluzione. Ma essi stanno risvegliando un senso dell'essere iraniani che non coincide con lo sciismo politico dei teologi khomeinisti. Con questo, essi non sono contrari alla religione (come un secolarismo d'occidente potrebbe pensare), ma salvaguardando la dimensione personale religiosa, chiedono al totalitarismo islamico di indietreggiare. Lo stesso avviene con le donne,  islamiche e laiche, che chiedono più rispetto e più spazio nella società, associandosi e dibattendo in pubblico le loro esigenze.
"Gli attori iraniani di questa società civile - spiega Jahanbegloo - non identificano più il loro ruolo nell'impegno per un forte secolarismo ideologico, ma nell'esprimere visioni critiche sugli aspetti  anti-democratici e autoritari della politica teocratica iraniana e delle tradizioni". E questo senza mettere in discussione le radici religiose.
In Iran, dunque, sta avvenendo il dialogo fra laicità e religioni che Benedetto XVI ha spesso auspicato per l'occidente, sia a Regensburg che altrove.
Anche in Marocco si nota un andare verso la secolarizzazione non costretti da pesantezze ideologiche anti-religiose, ma assumendo i diritti della persona e le tradizioni culturali locali come criterio per valutare sia un secolarismo spinto che un islamismo fondamentalista. Il prof. Hassan Rachik, dell'Università Hassan II di Casablanca ha mostrato il viraggio verso la laicità della Costituzione del Marocco - dove si distingue fra la funzione di "luogotenente dei credenti" e quella di capo dello Stato per il re; il sorgere nel 1990 del Partito di Giustizia e sviluppo che pur conservando un sottofondo integrista, rimane all'interno dell'agone politico e combatte il terrorismo islamico.
La serie di stupefacenti rivelazioni - che fan crollare gli schemi a cui gli occidentali sono abituati, coi binomi secolarismo-libertà e islam-oscurantismo - non è completa. Fra gli ospiti del raduno vi è anche Sami Angawi, architetto della regione dell'Hejaz (Arabia saudita), che lavora alla protezione del patrimonio architettonico del suo Paese. E proprio lui ha mostrato che l'alleanza fra islam wahabita e consumismo occidentale sta portando alla rovina molti siti religiosi tradizionali, tanto da fargli dire che in Arabia saudita e alla Mecca in particolare "l'equilibrio si è rotto".  Per Angawi alla Mecca il bulldozer e il consumismo "pagano (kafir)" la fanno da padrone e la Kaaba, la Pietra santa, è circondata dal "peggio del mondo pagano": negozi di Starbucks, Kentucky Fried Chicken, gli atelier di Paris Hilton. A loro volta, in nome dello sviluppo economico, i bulldozer  distruggono fontane considerate sacre, o perfino la tomba del quinto figlio di Maometto.
È toccato al card. Scola tirare qualche conclusione dell'incontro, mostrando che fra le personalità dell'Oriente e dell'Occidente sta crescendo una "grammatica comune", che sta superando gli schemi ideologici e spinge a trovare un posto alle religioni, diverso dall'emarginazione a cui il secolarismo occidentale le condanna e dalla difesa guerriera dell'islamismo.

Il fondatore di Oasis ha sottolineato che per questo è importante per ognuna delle due comunità mantenere viva l'identità (non appannandola o relativizzandola, come si propone in Europa), ricordando che fa parte dell'identità anche la dimensione ecumenica e di dialogo. Ma per evitare l'emarginazione dalla società, cristiani e musulmani sono chiamati a rispondere a partire dalla fede alle questioni che emergono nella vita: la famiglia, la mancanza di lavoro, ecc.. a cui dare risposte non solo "tecniche" (o secolari), ma efficaci e complete. In questo modo vi è speranza per la convivenza e per il mondo.
 Bernardo Cervellera

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