Presiedendo in Duomo la Celebrazione eucaristica, il cardinale Scola ha detto: «rendiamo testimonianza dell’essere tutti parte di un’unica grande famiglia umana»
Giustizia, uguaglianza, equità, solidarietà a tutti i livelli sono compiutamente possibili per il tenero, personale abbraccio di Dio Padre che rende tutta l’umanità una grande famiglia, dove ognuno ha pari dignità. È la V domenica dell’Avvento ambrosiano dedicato al Precursore, Giovanni Battista, e al dovere che ne viene, oggi, della testimonianza per i cristiani.
Prosegue la riflessione del cardinale Scola in Duomo nelle Celebrazioni eucaristiche domenicali: la Cattedrale si affolla fin da diverso tempo prima dell’inizio della Messa, si ascoltano, come elevazioni musicali di preparazione, le splendide composizioni sacre di Buxtehude e di Bach eseguite al monumentale organo dal maestro Emanuele Carlo Vianelli; sono chiamati ad animare la liturgia, il Rinnovamento nello Spirito, il Cammino Neocatecumenale e la Legio Mariae, concelebrano i loro assistenti ecclesiastici, i canonici del Capitolo Metropolitano e alcuni sacerdoti di comunità del territorio presenti, come Varano Borghi.
E proprio dal cammino finora vissuto che ci separa dall’ormai prossimo Natale, prende il via la riflessione dell’Arcivescovo, che, da subito, indica il senso della parola “salvezza”. «In tutte le religioni e nel cuore di ogni uomo significa il durare per sempre e che il nostro enigma sia sciolto», spiega, aggiungendo: «La Chiesa dopo aver parlato della “venuta del Signore”, dopo averci mostrato che siamo “figli del Regno” – di questa condizione caratterizzata da rapporti stabili, limpidi, puri, senza invidia, come sarà in paradiso – dando ragione della speranza che è in noi con “Le profezie adempiute” – perché Gesù è venuto a compiere le profezie dell’Antico Testamento –, dopo aver definito nel sì immacolato di Maria la strada dell’autentica attesa del Messia», chiede oggi di «aprire le porte del cuore e dire il nostro sì, il più e cordiale possibile, perché nessuno è tanto peccatore da non poter invocare la misericordia salvifica del Signore che viene».
Un attesa fiduciosa che, nella liturgia di questa V Domenica ambrosiana, si fa voce di un uomo e compito affidato a colui che viene detto, appunto, il “precursore”, Giovanni il Battista, la cui figura – nostra ancora il Cardinale – ha tanto da dire anche all’uomo contemporaneo: «Essere mandati avanti a preparare la via del Signore che è la via della mia, della tua, della nostra salvezza è un modo per dire che siamo testimoni, parola-chiave del cristianesimo». Da qui un primo compito, «fare un lavoro comune nelle nostre parrocchie e comunità pastorali, il luogo stabile dell’annuncio di Cristo, per capire in profondità cosa significhi l’essere testimoni così come lo fu il Battista, con tre caratteristiche precise .
«Sapere che è il Padre che manda, essere consapevoli che si è sempre in funzione di un Altro e, in terzo luogo, essere “secondo”, rispetto a Gesù».
Tutto ciò può essere tradotto per noi nella logica dell’essere in relazione, scandisce l’Arcivescovo. «Domandiamoci se pensiamo e, soprattutto, viviamo come “mandati”. Agiamo nel quotidiano, attraverso tutti i fattori della vita, a gloria dell’umanità di Cristo, che ha dato la vita per noi, o tendiamo a dare gloria a noi stessi? Il nostro quotidiano è in permanente rapporto con Gesù e sappiamo farci da parte perché Lui sia in primo piano?». E qui l’Arcivescovo suggerisce quello che definisce un test per verificare quale sia il modo proprio dei cristiani di stare nel mondo: «Scegliere tra fra l’appartenere solo a noi stessi, con la malattia mortale del narcisismo che è un carattere dominante dell’individualismo odierno, o l’appartenere a Cristo, espressione della persona che vuole sempre essere in-relazione».
In questa alternativa non si gioca solo l’essere cristiani, ma anche cittadini. Su questo Scola è chiaro: «Non si può contribuire alla vita buona, all’amicizia civica, in una parola alla giustizia e alla pace se non si sceglie per la seconda posizione». E ciò vale anche per chi non crede «e che, tuttavia, può affidarsi, in retta coscienza, all’abbraccio della verità la quale , in modo ragionevole, si offre a tutti come significato e direzione per il cammino dell’esistenza».
E se, comunque, il testimone per eccellenza non è Giovanni, ma Gesù stesso, che «rivela il volto del Padre e lo rende amabile ai nostri occhi», ancora una volta si rende evidente la bellezza di “essere membra di Cristo”, grazie al Battesimo. «La bellezza della relazione a Cristo, quella per cui anche stasera ci siamo mossi per convenire nel nostro Duomo o siamo all’ascolto da luoghi distanti, ci apre a rapporti armonici con gli altri e con Dio. Dalla nostra appartenenza a Lui, deriva, così, il miracolo dell’unità tra i cristiani, che va oltre ogni conflitto e che fonda la speranza per gli uomini, tutti parte della grande famiglia umana». Come scriveva Paolo “non c’è più discriminazione tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi, tra maschio e femmina”, in un “uno” che, ancora una volta, possiamo tradurre nel Terzo millennio con parole comprensibili a ognuno e che il Cardinale usa. «È esaltata la pari dignità di ogni persona. Non c’è bisogno di dimostrare quanto questo criterio sia prezioso per la vita in società, soprattutto in un momento di travaglio come quello che stiamo attraversando il nostro: giustizia, uguaglianza, equità, solidarietà a tutti i livelli sono compiutamente possibili per il tenero, personale abbraccio di Dio Padre».
Come a dire: «Non è un’ utopia, edificare pace a livello personale, comunitario, sociale e geopolitica».
Poi, in conclusione della Celebrazione, l’accensione, presso l’altare laterale di San Giovanni Bono, di una preziosa vetrata del Secolo XIV rappresentante la Natività. «che può diventare occasione di venerazione lungo la Novena, A noi, suoi figli in attesa del Gesù nasce Bambino povero e umile, il compito dei vivere con serietà e fedeltà la preghiera del mattino e della sera, la preparazione alla Confessione, la condivisione di coloro che sono nel bisogno, l’ospitalità». Segni del nostro cuore spalancato.
Video:
http://www.youtube.com/watch?v=LYcvuTNlYHU&feature=youtu.be
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V domenica d’Avvento
Il Precursore
Vieni, Signore, a salvarci
Mi 5,1; Ml 3,1-5a.6-7b; Sal 145 (146); Gal 3,23-28;
Gv 1,6-8.15-18
Duomo di Milano, 15 dicembre
2013
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola,
Arcivescovo di Milano
«Vieni, Signore,
a salvarci» (Salmo responsoriale). Attraverso il cammino dell’Avvento, la
Chiesa conferma la verità del desiderio
di durare per sempre – questo, per finire, è il significato della parola
salvezza – che ogni uomo ha nel cuore. Dopo averci parlato de La venuta del Signore (I), mostrato che siamo I figli del Regno (II), dando ragione
della speranza che è in noi (Le profezie
adempiute, III), ci ha indicato nel sì
immacolato di Maria la strada dell’autentica attesa del Messia (Solennità
dell’Immacolata Concezione).
1. Preparate la via al Signore
Oggi, questa attesa di salvezza, si fa voce di un uomo:
«Ecco la voce di colui che grida:
Preparate la via del Signore» (Canto
al Vangelo). Si fa compito affidato da Dio ad un uomo, Giovanni Battista.
Al centro di questa domenica, infatti, c’è il
Precursore, preannunciato dal profeta Malachia – «Ecco, io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me»
(Lettura, Ml 3,1) – e personificato
in Giovanni.
2. Il testimone
è “relativo” a Colui al quale dà testimonianza
Essere mandati
avanti [pre-cursore] a preparare la
via del Signore è un altro modo per dire testimonianza, una parola-chiave del cristianesimo, che non
finiremo mai di scoprire.
Guardando alla figura di Giovanni, domandiamoci: quali
sono le caratteristiche del testimone del Signore?
Anzitutto l’essere mandato da Dio: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome
era Giovanni» (Vangelo, Gv 1,6).
Nessuno si manda da sé.
Poi l’essere in funzione di un altro: «Giovanni
gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo
di me è avanti a me, perché era prima di me”» (Gv 1,15).
In terzo luogo l’essere cosciente di essere “secondo” rispetto a Gesù. Il
suo compito, come dirà più avanti l’evangelista Giovanni, consiste nel farsi da parte, per permettere a
Gesù di compiere la sua missione.
Se ora ci immedesimiamo un poco con questi tre aspetti di testimone propri
del Battista possiamo comprendere che il valore del testimone consiste nel suo stare
in relazione con Colui al quale dà testimonianza: «Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (Gv 1,8).
Nella Chiesa, che in ogni sua espressione è una “comunità guidata di donne e di uomini che seguono Gesù”, ognuno di
noi, con autentica libertà, è chiamato a vivere questi tre fattori costitutivi
della testimonianza. Domandiamoci allora: ci pensiamo e, soprattutto, viviamo
come mandati? Agiamo a gloria dell’umanità di Cristo, che ha dato la vita per
noi, o diamo gloria a noi stessi? Il nostro quotidiano è in permanente rapporto
con Gesù?
Vi è un test che verifica questo
modo proprio dei cristiani di stare nel mondo. È l’alternativa fra
l’appartenere solo a noi stessi (la malattia mortale del narcisismo) o
l’appartenere a Cristo, espressione della persona-in-relazione.
In questa alternativa non si gioca solo il cristiano, ma anche il
cittadino. Non si può contribuire alla vita buona, all’amicizia civica, in una
parola alla giustizia e alla pace se non si sceglie per la seconda posizione. Per
appartenere, se uno non crede o non riesce a credere, può affidarsi, in retta coscienza,
all’abbraccio della verità che, in modo ragionevole, si offre a tutti come
significato e direzione per il cammino dell’esistenza.
3. La legge e la fede
L’essere “secondo” di Giovanni rispetto a Cristo stesso è simile all’essere
“seconda” della Legge rispetto alla fede in Cristo di cui parla Paolo nella
Lettera ai Galati: «Prima che venisse la
fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede
che doveva essere rivelata» (Epistola,
Gal 3,23). La Legge assume la funzione del pedagogo antico, lo schiavo che
aveva il compito di sorvegliare e accompagnare il bambino verso la sua
maturazione. La legge non è in grado di salvarci, ma al massimo di introdurci
al Salvatore.
4. Il Figlio rivela il volto del
Padre
Ma il testimone per eccellenza non è Giovanni né la Legge, è Gesù Cristo. Testimone fedele come lo definisce il
libro dell’Apocalisse (Ap 1,5). A Lui
si riferisce l’espressione di Malachia: «Io…
sarò un testimone pronto» (Lettura,
Ml 3,5a).
Di più, Gesù è la luce stessa che rivela agli uomini il volto del Padre: «il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno
del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Vangelo,
Gv 1,18).
Il Figlio è Colui che racconta e spiega Dio Padre e,
in questo modo, è Colui che Lo rende “amabile” ai nostri occhi.
5. Il miracolo dell’unità
Se Gesù ci racconta il vero volto di Dio si comprende bene perché
l’evangelista Giovanni affermi: «Dalla
sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Vangelo, Gv 1,16).
San Paolo trae da qui una conseguenza decisiva: «Tutti voi siete uno in
Cristo Gesù» (Epistola, Gal
3,28). L’Apostolo si riferisce anzitutto al fatto che, attraverso il sacramento
del Battesimo, siamo resi membra di Cristo. Emerge, ancora una volta, la
bellezza della relazione a Cristo, che apre a rapporti armonici con gli altri e
con Dio.
Dall’unità con la Persona di Cristo, dalla nostra appartenenza a Lui, deriva
il miracolo dell’unità tra i cristiani, speranza per tutti gli uomini.
San Paolo giunge però fino a descrivere un’altro, decisivo ed assai attuale
effetto che proviene da questo essere uno. Egli afferma che non c’è più
discriminazione tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi, tra maschio e femmina.
Appare agli uomini il prezioso valore dell’essere figli di Dio.
È esaltata così la pari dignità di ogni persona. Non c’è bisogno di
dimostrare quanto questo criterio sia prezioso per la vita in società,
soprattutto in un momento di travaglio come il nostro: giustizia, uguaglianza,
equità, solidarietà a tutti i livelli sono compiutamente possibili per il
tenero, personale abbraccio di Dio Padre.
6. Con Gesù
nasce e rinasce la gioia
Col Santo Natale di Gesù, ormai alle porte, la liturgia
di oggi conferma, quindi, che non è una utopia, ma è possibile edificare pace a
livello personale, sociale e geopolitico.
Per questo «con
Gesù sempre nasce e rinasce la gioia» (Francesco, Evangelii gaudium 1), soprattutto se domandiamo il perdono che
Egli offre sempre alla nostra libertà. Possiamo gioire per il Dio-Bambino che
viene, con Sua madre, con San Giuseppe. AndiamoGli allora solerti incontro,
come i pastori, senza indugio. Amen.
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