venerdì 27 dicembre 2013

L’Italia in preghiera davanti al Bambino «luce del mondo»



Mai come in questi tempi di crisi l’avvento del Bambino giunge propizio, segnale di speranza per affrontare con rinnova­ta energia le difficoltà e non farsi so­praffare dalle tenebre.
  I vescovi italiani lo hanno ricordato con forza nelle omelie del Natale ai fe­deli, spesso smarriti eppure deside­rosi di non farsi vincere dallo scora­mento.
 Il desiderio di «luce» giunge proprio da Betlemme, da Gesù «luce del mondo». Perché quello di Dio è un progetto d’amore che solo la vita vissuta da cristiani può edificare.
  Così le attese e le speranze dei fedeli hanno la certezza che questo oggi dif­ficile sarà superato: nella comunio­ne, nel vedere negli altri il fratello, nel sapere donarsi anche nei piccoli ge­sti,
 nel sapere accogliere.
  Perché in una società in rapida mu­tazione, dove è difficile stare al passo con i tempi e si deve 'lottare' anche per i bisogni primari, una sola è la cer­tezza: Gesù fattosi carne per noi, Ge­sù che col suo amore ci indica la stra­da
 e ci salva. 

Bagnasco: «Arrendiamoci e accogliamo la gioia di Betlemme»


 «Populismi e demagogie sono dannosi: parlare con luoghi comuni ad effetto è disonesto: si inganna il popolo, specie la povera gente che soffre l’indigenza, lo smarrimento, la paura del domani». Così il cardinale Angelo Bagnasco nell’omelia della Notte di Natale. «Il nostro tempo – ha affermato – si è lasciato sedurre dalla vanità, dalla cupidigia del denaro facile e del potere. La crisi, che si prolunga e grava sempre più sulle spalle dei poveri e dei deboli, ha qui la sua vera radice». Bagnasco ha esortato ad «arrenderci alla luce di Betlemme, accoglierla grati nei nostri cuori, lasciare che illumini i meandri dell’anima nostra, delle strutture e del Paese». Infatti, «il Paese ha un’anima: essa è fatta da quel tessuto, non materiale ma ben più decisivo di ogni macchinario, che è una coscienza formata e onesta, perché guidata dalla verità di Dio». Un concetto ripreso nella Messa del mattino. «Ci vogliono far credere – ha affermato – che la gente è ormai sbandata moralmente e spiritualmente, è 'moderna' come si dice, che il Paese è marcio, spargendo su tutto e su tutti fango senza che nessuno paghi mai per il male fatto alle persone, alle istituzioni e al Paese. Ma così non è. Se anche ogni giorno si sparge fango, il bene c’è ed è enormemente più grande»

Il sogno di Nosiglia: una «grotta» e un pasto caldo per i bisognosi

 Un sogno per Natale? Le mense dei poveri vuote, almeno per un giorno: perché tutti i frequentatori abituali sono stati invitati come ospiti nelle famiglie dei torinesi… L’arcivescovo Cesare Nosiglia ha fatto il possibile per realizzare il sogno: in arcivescovado, il giorno di Natale, c’erano 220 persone, invitate dalla Comunità di Sant’Egidio, per un pranzo insieme. Nosiglia ne aveva parlato alla Messa del giorno in Cattedrale, dove aveva ripreso anche un altro appello, secondo le intenzioni di papa Francesco: «Si faccia tutto il possibile perché a nessuna famiglia manchi il bene della casa.
  Incoraggio pertanto le nostre istituzioni a lavorare ancora più intensamente su questo problema, che è uno dei più acuti oggi nel nostro territorio, in riferimento a quelle famiglie incolpevoli che non sono in grado di pagare l’affitto dell’alloggio popolare dove sono ospitate. Bisogna trovare una soluzione equa che – senza eludere la necessaria responsabilità delle persone – consenta loro di non perdere l’alloggio, per non cadere in una situazione di gravissima difficoltà»


Scola: «Non paura e rabbia ma solidarietà per battere la crisi»

 «L’umiltà del Dio che si fa uomo in questo santo Natale ci indica la modalità con cui affrontare questa assai delicata fase di passaggio. Non con paura e rabbia, comprensibili quando non hai più un terreno solido su cui poggiare i piedi, ma, alla fine, impotenti a generare futuro. Serve condivisione, ospitalità, amicizia civica che generano la solidarietà necessaria per uscire insieme dalla prova». È un passo dell’omelia del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, offerta nella Messa del giorno di Natale. Nel Duomo gremito, Scola ha additato le coordinate di un percorso di «rinascita» in questi tempi di crisi. «Dalla sobrietà, dalla giustizia e dalla pietà sorgono quegli stili di vita che partendo dalla persona, attraverso i corpi intermedi, potranno consentire di affrontare l’ormai improcrastinabile urgenza di un nuovo ordine mondiale. Il travaglio che accompagna l’ingresso nel terzo millennio si manifesta dolorosamente nella crisi economico-finanziaria che continua a pesare su molte donne e molti uomini, soprattutto bambini, giovani e famiglie», ha riconosciuto l’arcivescovo. Ma non saranno «paura e rabbia» la via per uscirne. È «l’umiltà» la «grande lezione» del Natale, aveva detto Scola nell’omelia della Messa nella notte. E l’unità fra i popoli che nasce dalla pace, la via aperta all’uomo dalla Natività del Signore. «Il nuovo nome della pace annunciata da Isaia – aveva spiegato Scola – è l’essere e vivere come figli di Dio, capaci di condividere ogni sofferenza ed ogni pena. Tra tutte le gravi prove cui troppi oggi sono sottoposti non possiamo tacere, in questa notte di tenerezza, i molti cristiani perseguitati in tanti Paesi».


Sepe: «Il progetto di Dio è progetto d’amore per ciascuno di noi»

 Nel Natale segnato da una «grave crisi» l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, ha invitato i napoletani riuniti in Cattedrale per partecipare alla celebrazione ad avere «fiducia in quel Dio che vi ama ed è diventato uomo»; a non lasciarsi rubare la speranza. «Reagite con coraggio, nella certezza che il Signore della vita non abbandona nessuno – ha detto Sepe – nonostante i tanti e tragici inferni creati dagli uomini, l’amore trionferà». La nascita del Bambino, ha detto l’arcivescovo, non può essere trasformata «in una festa del consumismo, dello spreco, del panettone», altrimenti ha aggiunto «soffocheremmo questo Dio Bambino con il nostro modo di vivere egoistico, fatto di chiusure ad ogni forma di carità, di solidarietà e di fraternità verso i più poveri ed abbandonati, verso coloro che hanno perduto la loro dignità di uomini». Dio, invece, si identifica con i malati di Napoli, ha ricordato l’arcivescovo, con i senza-lavoro e senza-casa, con gli sfiduciati ed i delusi, con i genitori, che non hanno più la forza ed il coraggio di impegnarsi a dare una autentica educazione e formazione ai loro figli, con i giovani, ai quali non si offre nessun sostegno reale e concreto per aiutarli oggi a costruire il loro futuro. Sepe, infine, ha sottolineato che «Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi per essere il Dio con noi, il Dio per noi, il Dio in noi. Il suo progetto è un progetto di amore per ciascuno di noi».


Caffarra: «Il Verbo è venuto per introdurci nella sua beatitudine»

 «Nessuno si senta escluso da questa gioia, poiché ciascuno, qualunque sia la sua condizione spirituale, sociale e materiale, dopo questa notte sa quanto è prezioso agli occhi del Signore». Lo ha detto l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, nella notte di Natale ai fedeli nella Cattedrale di San Pietro. «Egli nasce nella nostra natura umana per liberarci dal potere delle tenebre e donarci la vera libertà». Adorando e celebrando questo mistero, ciascuno di noi è guarito dalla più terribile delle sue malattie spirituali: la tristezza del cuore. «In che cosa consiste questa malattia?» ha domandato. «Nel ritenere che il desiderio naturale che abbiamo di una felicità intera non parziale, duratura non passeggera, sia un desiderio vacuo.
  Da ciò consapevolmente o inconsapevolmente concludiamo che siamo 'fatti male': la natura ci ha messo nel cuore un desiderio la cui realizzazione è impossibile». Ma la nostra zattera non può più naufragare, perché su questa si trova anche Dio stesso. «Oggi abbiamo la più grande ragione per sperare – ha concluso il cardinale –. Il Verbo-Dio è venuto per introdurci nella sua stessa beatitudine».

Betori: nelle tenebre di oggi forte il desiderio di chiarezza

 La gioia del Natale «è altra cosa rispetto alla confusa e superficiale spensieratezza con cui il consumismo di questi giorni vorrebbe avvolgerci, per nascondere le ferite». Lo ha detto il cardinale Giuseppe Betori nell’omelia della notte in Santa Maria del Fiore. Per l’arcivescovo di Firenze siamo «amareggiati da tanti segnali di crisi» che minacciano famiglie, futuro dei giovani, lavoro, cura degli anziani, cibo e un tetto per i poveri, dignità dei detenuti. Ma «mentre camminiamo 'nelle tenebre' tanto più avvertiamo insopprimibile il desiderio della luce, l’aspirazione alla verità e alla giustizia, a poter scorgere cioè il volto autentico di noi stessi, degli altri, di Dio». La mattina di Natale Betori ha detto che solo da prospettive sbagliate «possano scaturire la scomparsa del riferimento a Gesù nei canti natalizi» o la sparizione del termine Natale dai biglietti degli auguri. Possono sembrare fatti trascurabili ma in essi «si rivela un’incapacità a reggere l’urto dell’incrocio tra culture, popoli e religioni. Pensare che una cultura condivisa possa nascere dall’oscuramento dei fatti, è negare le conquiste più grandi della nostra civiltà»


L’augurio di Moraglia: incontrare Gesù in fasce

 «Questo Natale 2013 ci raggiunge mentre siamo alle prese con una crisi perdurante che solo la politica delle facili promesse e delle brutte figure ritiene e, di fatto, giudica quasi superata». Lo ha detto Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, alla solenne Messa di Natale nella Basilica di San Marco, parlando appunto di una crisi «che, in realtà, continua a procurare alle persone, alle famiglie, alle imprese e in genere al mondo del lavoro gravi difficoltà». Secondo Moraglia «l’augurio per il Santo Natale è prima di tutto – e non potrebbe essere altrimenti – quello di incontrare nel bambino di Betlemme il Dio che ci salva. Ma non dispiacerebbe trovare, sotto l’albero di Natale, anche il regalo di una politica, poco importa se fatta da quarantenni o sessantenni, che, rilasciando meno proclami, sia più attenta alla gente e al fare».

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