martedì 3 dicembre 2013

Dicono: è il tempo dello sfogo Sfoghiamoci contro le volgarità


C’È DI PEGGIO, È VERO. MA LA CRISI DEL LINGUAGGIO È GRAVE COME QUELLA ECONOMICA

Al mondo, certo, c’è di peggio, ma quello della volgarità, del becerume verbale, del turpiloquio greve non è uno spettacolo di cui andar fieri. In Italia, purtroppo, è molto rappresentato, molto visto e, più ancora, molto sentito. E il problema cresce. Dicono, scrivono che sia il tempo dello sfogo. Sarà la crisi, micidiale, saranno l’emancipazione, la trasgressione, le inevitabili arrabbiature, ma ci si deve – sembra – sfogare. Così il padre si sfoga, il figlio si sfoga, l’intellettuale, l’attore, il cantante, il politico si sfogano. E il comico pure, si capisce. Il quale, se va bene e non ricorre al turpiloquio plateale, cerca e immette allusioni e doppi sensi in ogni suo respiro. Con tutti intorno a ridere e a degustarne le parole come fossero ambrosia. Si sente sentenziare che volgarità, parolacce, doppi sensi non fanno male. Che c’è ben di peggio in giro, e che perciò non è il caso di fare gli ipocriti, i perbenisti, i farisei.
  Naturalmente va da sé che nel mettere al bando l’ipocrisia, il perbenismo, i moralismi facili siamo tutti d’accordo, ma si deve, per questo, rinunciare all’educazione? Vuol dire diverse cose l’esser volgari. Vuol dire dilapidare le ricchezze della propria lingua, disperderne la storia, la memoria, il fascino. Vuol dire impoverire il vocabolario e, via via, disimparare a usarlo. Ci sono fior di sinonimi se non ci piace dire che siamo arrabbiati, ma se ne usa uno solo, quello che rimanda, neanche a dirlo, al sesso maschile. E se troviamo debole definire qualcuno sfortunato, si potrebbe provare con qualche sinonimo (iellato, scalognato) che non rinvii sempre e solo al sesso femminile. Ma sono poi, queste, volgarità minori. C’è ben di peggio. E se il turpiloquio di strada, quello che un tempo si diceva linguaggio da carrettiere, si può spesso giustificare con la poca istruzione della persona che lo pratica, quanti vanno in radio e in televisione per argomentare e dibattere non dovrebbero essere in grado di scegliere e pesare le parole? Accade invece che, a un certo punto, qualcuno si arrampichi sulla montagna del turpiloquio come se fosse un’amena collinetta.
  Una volta è il professore disinibito, un’altra il
 politico ruspante, un’altra ancora l’attore spregiudicato. E poi, perenne ciliegina sulla torta, lui, il comico. Sbrocca presto il linguaggio di chi è chiamato a far ridere, ma chi conduce la trasmissione non soltanto non si oppone, ma pienamente si compiace nel convincimento che il vasto pubblico da casa faccia lo stesso. Che se poi volessimo, il giorno dopo, rivivere i momenti clou della performance, ecco il web che tutto il televisto richiama e riproduce. Il web dove, al contrario che in tivù, chiunque può lasciare anche la peggior traccia di sé usandolo in funzione di Cloaca massima, quale spesso è, non di Biblioteca di Alessandria, quale sarebbe bello che fosse.
  La gentilezza del dire una volta era un distintivo, un emblema, un’arte. La gentilezza di parola era un mondo che aveva per abitanti le persone che noi ammiravamo, i modelli cui c’ispiravamo, le figure cui ci riferivamo. Oggi dov’è questo mondo? Prendiamo la circolazione stradale. Chi ha guidato negli anni che seguirono la metà del secolo scorso sa cosa dico. Si capisce, il traffico non era quello di oggi. Ma quando eri al volante non ti trovavi circondato da prepotenza e maleducazione di ogni genere (con molti pericolosi alterati alla guida, purtroppo).
  La perdita della gentilezza è un male sociale. Lo sanno i nostri ragazzi e le nostre ragazze che vanno all’estero a cercare una dignità di lavoro che questo Paese non assicura più e si fanno strada a forza di sacrificio, studio, fatica di conoscenza, non di parolacce. Mi dico spesso che ci vorrebbe una bella campagna educativa, una campagna che dica: 'Impariamo a parlar bene'.
  Non è solo questione di forme. La volgarità è madre di ignoranza. La volgarità ci allontana dalle buone maniere fino a farcele dimenticare. La volgarità porta a peggiorare i comportamenti, il tratto, i gesti, i rapporti. Tutto, oggi, sembra indirizzato a uscire da una crisi economica tremenda, ma c’è anche, perniciosa, una crisi di linguaggio. E imperativo dovrebbe essere cercare di emergere anche da questa, dedicandovi – cosa che finora non è stato minimamente fatto – le forze dell’intelligenza, il pungolo della ragione, un amore della lingua ritrovato.

GIORGIO DE SIMONE 

Nessun commento: