lunedì 9 dicembre 2013

L’ATTESA D’UN VOLTO TRA FACCE TIRATE. I tempi difficili e il tempo d’Avvento



volti tirati, una luce rada alle tempie. Un velo di preoccupazione, di concentrazione, non di rado un’ombra d’ansia negli occhi. Li vedi così, ci vediamo così, molto spesso. Fin dal mattino. Le preoccupazioni, i problemi. Dietro i parabrezza delle automobili, sulle scale della metropolitana, negli atrii delle stazioni o dei grandi snodi. Sono i volti degli altri. E spesso il tuo. Volti nei tempi della prova, della crisi. Concentrati, un po’ ansiosi. È comprensibile.
  Motivi di tensione, di preoccupazione non mancano in ogni casa. E oggi in generale. E dunque intorno a noi, sul nostro viso va in scena quel che siamo, quel che ci abita e agita. I volti tirati di questo nostro tempo. Tale è la pressione degli impegni in cui ciascuno è calato (e non di rado invischiato) che passando o correndo in mezzo a questa galleria e folla di volti tirati, sembra raro cogliere una luce di sorriso, di cortesia. Volti duri.
  Induriti.
  Guardare questi volti, in colonna in auto, sui mezzi di trasporto, nei tunnel delle stazioni o dei passaggi è una buona preparazione per la liturgia. Sì, ora che la liturgia ci invita a considerare l’Avvento, si può iniziare a capire di cosa si tratta guardando i visi che abbiamo. I tempi liturgici non sono distanti dalla quotidianità che si vive. La interpretano. La rivelano. E questi visi tirati, queste maschere spesso dure che indossiamo tutti, o quasi, ci mostrano che l’unico inizio di cambiamento, l’inizio di un volto nuovo si ha quando c’è l’avvento di un altro volto desiderato, amato. Quando si incontra un altro volto che ci attrae più di ogni cosa che ci occupa e preoccupa. Anche il viso più indurito dalla preoccupazioni e dalla tensione si apre al sorriso quando gli si fa incontro il viso di una persona amata, di una presenza desiderata. Un altro viso, non un discorso. Avvento, avvento. Arrivo di un volto. Come accade al padre che torna o parte e ha mille cose in testa e le tempie divorate dalla luce aspra dei problemi, e però all’avvento del viso dei figli si apre, si illumina come un panorama dove il sole esce dalle nubi. O come capita alla donna che aspetta l’amato. O all’amico che attende l’amico da tempo.


  Avvento, abbiamo bisogno di questo avvento di un viso che ci ricordi chi siamo, e ci faccia ricapitolare anche le nostre preoccupazioni, e considerarle in una nuova luce. Senza quel volto amato, infatti, le preoccupazioni sarebbero solo una montagna sotto cui perdere il respiro, l’energia, la vita. Invece, proprio l’avvento di un volto amato (un figlio, un amore, un amico) ridanno il senso al nostro faticare, danno anche ordine e importanza al nostro affaccendarsi. Se non venisse a noi quel volto amato, infatti, che senso avrebbe tutto questo impegno di forze per fronteggiare la crisi, per migliorare se possibile le cose, per fronteggiare le avversità?
  Sarebbe solo, come dice Leopardi, un « vano faticar».
  'Avvento, avvento' viene quasi da mormorare, gridare, pregare mentre si va per la strada, mentre si gira anonimi nella folla. Che venga questo volto. Per ciascuno. Per ognuno dei visi tirati che incontriamo e che abbiamo. Che venga il volto dell’Amato, del Dio che si è fatto volto umano incontro ai nostri imperfetti volti umani. Che non ha avuto paura di farsi incontro alle nostre fronti ombrose, ai nostri occhi stanchi e devianti, alle nostre labbra serrate. Che si è presentato amabile e, come dice Michelangelo, con una «ineffabil cortesia», ovvero con la notizia e con il corpo che vince la morte.

  
  Che perfeziona ogni amore e ogni desiderio. Un «Iddio che rida come un bimbo» ha scritto il grande Ungaretti.
  Avvento di un Volto tra i nostri volti induriti. Il tempo liturgico ci parla di un Volto atteso, che viene. Possono fare di tutto per occultarlo, anche usare le luminarie e la retorica di una festa che si vuole – che ipocrisia banale... – staccare da quel Volto. Ma non ce la fanno.
  Ovunque si vedono volti che lo guardano arrivare. Che vivono nell’Avvento. Che non sono fissi in una durezza, in una rigidità che anticipa la morte. Fissando quei volti e seguendo la traiettoria del loro sguardo si vede arrivare l’Atteso. E, sì, in mezzo a ogni ombra, sorridere.
 
Davide Rondoni

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