venerdì 6 dicembre 2013

L'immagine dentro di noi

Alfred Stieglitz, The Net Mender, 1894.

Alfred Stieglitz.
Ha rivoluzionato il modo di concepire la fotografia, con scatti che sono «equivalenti» di quel che si muove in lui. Come davanti a quell'uomo che abbevera i cavalli nella notte di New York. «Era la solitudine ad avermelo fatto vedere…»
«Che volto, e che mani... Quando aprì la bocca, le mie guance si riempirono di lacrime. Non so perché. Quella donna mi afferrò completamente: anche quando stava in silenzio sembrava corrispondermi in ogni cosa». Nell’inverno del 1893, Alfred Stieglitz è tornato da poco a New York dopo esser stato nove anni in Europa. Una sera entra in un teatro dove rappresentano La signora delle camelie di Alexandre Dumas. Protagonista: Eleonora Duse, laDivina. «Sentii, per la prima volta da quando ero tornato, che c’era di nuovo un contatto tra me e il mio Paese. Se negli Stati Uniti ci fossero state più cose come quella donna e quella pièce, il Paese sarebbe stato più sopportabile». Pochi giorni dopo Stieglitz scatta una delle sue immagini più celebri, The Terminal. «Per terra c’era la neve. Un cocchiere in impermeabile dava da bere ai suoi cavalli fumanti. Sembrava ci fosse qualcosa di strettamente legato al sentimento profondo per ciò che avevo visto qualche sera prima a teatro. Decisi allora di fotografare ciò che c’era dentro di me. I cavalli che fumavano e la solitudine che provavo nel mio Paese, tra la mia stessa gente, sembravano, in qualche modo, legati a quel che avevo provato vedendo la Duse ne La signora delle camelie. Ho pensato a che fortuna avevano quei cavalli ad avere almeno un uomo che gli dava da bere. Ed era la solitudine ad avermi fatto vedere quell’uomo».

Alfred Stieglitz è una delle personalità chiave della storia della fotografia. Qui ne parleremo soprattutto come artista, ma la sua figura è quella di un intellettuale a tutto tondo: editore, gallerista, teorico e critico. Al suo nome è legata la rivista di fotografia d’arte Camera Work e la galleria 291. La prima fece conoscere agli americani un modo nuovo di intendere la fotografia, sia a livello tecnico sia a livello tematico. La seconda mostrò, in alcuni casi per la prima volta negli Stati Uniti, artisti europei come Auguste Rodin, Paul Cézanne, Henri Rousseau, Pablo Picasso, Henri Matisse, Costantin Brâncusi e George Braque.
Alfred Stieglitz nasce nel 1864 a Hoboken, nel New Jersey, da una famiglia tedesca. Studia Ingegneria meccanica al Politecnico di Berlino dove, per la prima volta, prende in mano una macchina fotografica. Quando torna negli Stati Uniti è già un fotografo stimato e premiato nell’ambito dei cosiddetti “pittorialisti”. La fotografia, da subito, inizia a entrare in competizione con quella che fino ad allora era stata l’arte per eccellenza: la pittura. I pittori sono sotto scacco e il loro astro è offuscato dalla fedeltà con cui la nuova tecnologia riproduce la realtà. I fotografi, dal canto loro, sono visti - e si sentono - meno “artisti”, perché si affidano a un mezzo meccanico che sembra non prevedere alcun tipo di abilità manuale. Prima ancora che un dibattito tra critici, si tratta di un dramma che scuote le vite di pittori e fotografi. I primi si domanderanno qual è il vero scopo del loro impegno e i secondi cercheranno di dimostrare in che senso la loro può essere considerata arte.
La carriera di Stieglitz inizia in un momento in cui la tentazione di chi, da fotografo, aveva ambizioni artistiche era quella di imitare i temi e i risultati della pittura (da qui, “pittorialisti”). Erano dilettanti disinteressati alla funzione documentaria della fotografia sulla quale sempre più persone costruivano la propria professione. Dunque: paesaggi, scene di vita quotidiana, ritratti e nature morte. Dal punto di vista tecnico, invece, facevano largo uso dello sfocato e privilegiavano procedimenti di stampa in cui l’intervento della mano del fotografo era riconoscibile. Insomma: prima che fotografi, volevano essere artisti.
Fondando Camera WorkStieglitz vuole portare il livello di fotografia alla pari con i risultati europei. Tra il 1903 e il 1917 la rivista pubblica immagini di una nuova generazione di fotografi americani di grande talento. Stieglitz battezza il gruppo Photo-Secession, con riferimento alla frattura prodotta in Europa dalla Secessione austriaca e tedesca. Ma a produrre la vera rottura è lui stesso e le sue fotografie.

«Quando riguardo a quei primi giorni, quando il Flatiron era una delle mie passioni, ripenso a mio padre che mi diceva: “Alfred, ma perché fotografi quel palazzo orrendo?”. “Perché, papà? Non è orrendo, quella è la nuova America. Quell’edificio è per il nostro Paese quello che il Partenone è stato per la Grecia”. Mio padre era disgustato. Non aveva visto il lavoro con l’acciaio per tirarlo su, né gli uomini all’immenso cantiere. Non capiva quella struttura magnifica: la leggerezza combinata alla solidità. Ma alla fine, quando gli feci vedere le foto che avevo fatto, disse: “Non riesco a capire come tu sia riuscito a tirar fuori cose così belle da un edificio così brutto”».
I grattacieli di New York resteranno un tema costante durante la carriera di Stieglitz, anche quando il suo ottimismo per il progresso verrà meno. Sono immagini quasi sempre notturne. Senza persone. Riprese frontali dalle finestre dei propri appartamenti. Ombre, finestre illuminate. Riflessi. Pensieri di un nottambulo. Insonnia. «The Flatironè un’immagine che mostra come Stieglitz intenda la macchina fotografica come un passaporto per una realtà più alta, una forma ideale che produce un senso di rivelazione», spiega lo storico della fotografia Graham Clarke: «L’immagine è offerta come pura presenza. Vi è, per così dire, una qualità poetica della scena, una chiarezza sulla quale si fonda il suo potere come immagine a sé stante. Rimane la fotografia di un solo momento, una condizione unica, ma che il fotografo ha catturato e trasformato attraverso la gamma e la sottigliezza di una stampa in bianco e nero».

La sua immagine più famosa la scatta nel 1907. Con la moglie Emmeline e la figlia Ketty si imbarca sulla prima classe di un transatlantico per un viaggio in Europa. Un giorno si trova sul ponte e vede una scena che lo lascia spellbound, incantato. Un cappello rotondo di paglia, la ciminiera orientata a sinistra, la scaletta a destra, la passerella bianca racchiusa fra due file di catene, un paio di bretelle bianche che s’incrociano sulla schiena di un uomo sul ponte di terza classe. Forme rotonde di congegni di ferro e un albero che taglia il cielo disegnando un triangolo. È la scena di The Steerage, il ponte di terza classe. «Vedevo le forme legate l’una all’altra - un'immagine di forme, e ad essa sottesa, una nuova prospettiva che mi prendeva: le persone semplici, la sensazione delle nave, l’oceano, il cielo. Un senso di liberazione dalla folla dei ricchi. Mi venne alla mente Rembrandt e mi domandavo se si sarebbe sentito come mi sentivo io».
Georgia O’Keeffe è una pittrice, una dei migliori artisti della sua generazione. Incontra Stieglitz nel 1916. Lui inizia a farle dei ritratti. Lei diventerà la sua seconda moglie. Alla fine saranno oltre 500 le immagini che scatterà di lei. «O’Keeffe resiste al tentativo di Stieglitz di provare a definirla, allo stesso modo in cui resiste ai tentativi di lui di influenzare la sua arte», spiega Clarke: «Eppure rimangono immagini incredibilmente radicali, sia in relazione alla natura del ritratto fotografico sia a come un individuo deve essere rappresentato». Il corpo della pittrice è ritratto sempre parzialmente: le mani, i piedi, il petto. Nuda o come personaggio (la moglie, l’artista, la compagna, l’amante). Come figura enigmatica, distante o interrogativa. È la personalità intima di Georgia che Stieglitz vuole ritrarre. Conosce quello che avevano fatto i cubisti con la figura umana, ma lo vuole rifare in fotografia.

Non sono gli unici ritratti che realizza. Nel suo studio si susseguono molte personalità del mondo culturale di New York. Chi lo conosce sa quanto sia forte la sua personalità e molti attribuiscono la qualità dei suoi ritratti a una sorta di potere ipnotico. Per dimostrare che non è vero, Stieglitz sceglie soggetti sui quali non poteva esercitare alcuna influenza: il cielo e le nuvole. «Se la mia serie di nubi dipende dalle mie facoltà ipnotiche, mi dichiaro colpevole. Solo alcuni “fotografi pittorialisti”, quando visitano la mostra, sembrano del tutto ciechi a queste opere. Le mie fotografie sembrano fotografie, e pertanto ai loro occhi non possono essere arte. Come se non avessero la più pallida idea di arte o di fotografia, o una qualsiasi idea sulla vita. Il mio intento è di realizzare fotografie che sembrino sempre più fotografie e che non saranno viste a meno che non si abbiano occhi e si guardi, e che chi le ha viste una volta non le dimentichi mai più». Dal 1922, per descrivere queste immagini, comincia a usare la parola equivalents. Erano gli equivalenti delle sue «più profonde esperienze di vita». Col tempo iniziò a concepire tutte le proprie immagini come equivalenti. L’arte era questo: l’equivalente di ciò che c’è di più profondo dentro l’animo dell’uomo. Qualcosa di simile aveva pensato T.S. Eliot quando parlava di “correlativo oggettivo”. Un’immagine che esprime uno stato d’animo in modo molto più efficace e profondo che le parole che di solito si usano per definirlo. «Voglio solamente fare un’immagine di quello che ho visto, non di ciò che significa per me», spiega Stieglitz: «È solo dopo che ho creato l’equivalente di ciò che si muoveva in me che possono iniziare a pensare al suo significato». Di queste immagini la fotografa e critica Doroty Norman dirà: «Ha visto, e sentito, i momenti più fugaci della più fragile e angelica delicatezza, fusi perfettamente con i vertici più profondi, eterni e senza tempo del rapporto che l'uomo ha con tutte le cose dell'universo».
La rottura con il pittorialismo è completa. Si aprono le porte a un nuovo modo di concepire la fotografia d’arte. L’inquadratura, la composizione, l’esposizione, il gioco di luci e di toni di nero. La qualità materiale della stampa, poi, è fondamentale, tanto che Stieglitz non concepisce che le proprie immagini possano essere riprodotte. Tutti questi elementi, che appartengono esclusivamente alla fotografia, diventano l’ambito della ricerca artistica. Lo scopo, poi, è la comunicazione di ciò che le cose suscitano nel profondo dell’animo degli uomini. Come quella solitudine. Davanti al fumo che saliva dai corpi dei cavalli stremati nella notte di New York.
Luca Fiore
The Terminal. 1893Sun Rays, Paula, Berlin, 1889The Net Mender, 1894The Steerage, 1907Two Towers, New York, 1912
From the Black Window, 1915Marsden Hartley, 1915Georgia O'Keeffe, 1918Georgia O'Keeffe, 1918Georgia O'Keeffe, 1918
Rainbow, Lake George, 1920Georgia O'Keeffe, 1921Equivalent, 1925Equivalent, 1926Equivalent, 1929
Equivalent, 1930Doroty Norman, 1932Looking Northwest from the Shelton, 1932Georgia O'Keeffe, 1933New York from the Shelton, 1935

Nessun commento: