La visita di Francesco in un quartiere popolare di Roma, come faceva a Buenos Aires
L’importanza di chiamarsi Francesco. Doveva essere una visita «di
routine» ad una parrocchia della periferia romana e invece l’ex presule
delle favelas argentine l’ha trasformata in un’inchiesta sociale, in un
viaggio nella crisi e nell’emarginazione.
Come il santo da cui ha preso il nome, Bergoglio affronta il lupo di
Gubbio invece di rinchiudersi in sagrestia, di rifugiarsi nel sacro.
Tor Sapienza è una Babele secolarizzata e impoverita. «Due ore al
freddo per ascoltare il Papa: finora se me lo avessero proposto avrei
pensato ad uno scherzo - ride Angelo Giordani, infermiere
quarantenne davanti a San Cirillo Alessandrino -. Sono venuto qui
perché c’è rimasto solo Francesco ad opporsi alle ingiustizie e non
me ne sono pentito. Riesce davvero a scaldare il cuore con parole
semplici e profonde». Eppure la distanza da piazza San Pietro alla
borgata pasoliniana sarebbe un salto nel buio per chiunque altro.
«Non viene per farsi acclamare ma per confrontarsi con noi- evidenzia
Silvia Simonetti-. Si vede subito da come cerca il contatto con i fedeli.
Non vuole sorrisi di circostanza, legge nello sguardo lo stato d’animo,
le preoccupazioni, le angosce, le attese. Nulla di ciò che affligge la
gente gli è estraneo». Se il «pastore deve avere l’odore delle pecore»,
qualunque filtro diventa un ingombro. E così il Pontefice azzera i
formalismi e accetta il dialogo su ogni fronte . Quando sente il grido
di chi protesta a gran voce per il diritto alla casa, rivoluziona il
protocollo, manda il fidato Domenico Giani in mezzo al picchetto
delle bandiere rosse e in un attimo improvvisa un incontro con una
delegazione dei manifestanti anti-sfratti. Una dopo l’altra prende di
petto le emergenze di uno degli angoli più degradati della capitale.
Chiede di parlare con i disoccupati, i malati, i senza tetto.
Risponde alle domande dei bambini del catechismo sulla sua
giornata-tipo, sull’emozione provata al momento dell’elezione, sui
problemi da risolvere in Vaticano. «In queste occasioni Bergoglio
fa il pastore non il maestro- evidenzia il teologo Gianni Gennari-.
Vuole capire come sta la gente, in quali condizioni vive. Scende
sul terreno concreto dell’esistenza e parla tenendo conto delle
reali condizioni delle persone».
Nonostante il vento gelido, il quartiere si mobilita per accogliere
il suo vescovo: ne fa il portavoce e l’ interprete di istanze disattese
dalle istituzioni. L’ingresso alla parrocchia è sovrastato da uno
striscione: «Papa Francesco non c’è famiglia senza casa». In
tanti premono sulle transenne, gli animi si accendono. Chiedono
di incontrare il Papa ma non figurano nell’elenco. Le forze
dell’ordine proteggono con un cordone di sicurezza la moderna
chiesa che spunta in una distesa sterminata di palazzoni, cantieri
perenni e sale bingo. Il gesto inatteso di Bergoglio cancella il
protocollo e toglie d’impaccio gli organizzatori. Quindi ribalta il
programma, osserva le ferite del tessuto sociale, guarda negli
occhi gli interlocutori, ammansisce gli inferociti. «Se qualcosa vi
ha disturbato in questa visita, un eccesso di organizzazione, di
sicurezza, di paura, sappiate che io non sono d’accordo, io sono
con voi». Francesco unisce Vangelo sociale e spiritualità. La vita
è un cammino, meglio camminare e magari cadere ma comunque
incontrare Gesù. Il Papa commenta a braccio le letture bibliche e
amministra la cresima a nove ragazzi. «Si incontra Gesù anche se
si è peccatori». Anzi «le persone che Gesù cercava di più erano i
peccatori e la gente lo rimproverava, dicevano “questo non è un vero
profeta, “guarda che bella compagnia che ha”. Tutti siamo peccatorie
Gesù ci perdona». Raccomanda di «pregare per me perché ne ho
bisogno». Con la stessa schiettezza all’Angelus ha invocato farmaci
gratis contro l’Aids affinché «ogni malato, nessuno escluso, possa
accedere alle cure di cui ha bisogno». Nel buio squarciato dai
lampeggianti della polizia, i fedeli sfilano lungo stradoni anonimi
che scendono in via Prenestina. Nessuno appare deluso.
I manifestanti anti-sfratti che poco prima respingevano ad insulti i
cronisti, si abbracciano come per una vittoria. Cercavano una
sponda mediatica alla loro battaglia, hanno trovato un alleato nel
parroco del mondo. «Non siete soli».GIACOMO GALEAZZI
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