martedì 11 marzo 2014

TRE ANNI DI GUERRA E L’INFANZIA NEGATA .L’impegno del volontariato internazionale in Siria



Buon compleanno bisognerebbe dire, a pochi giorni da quel 15 marzo, ma purtroppo tre anni dopo l’inizio della rivolta in Siria di buono non è rimasto niente. Di quei ragazzi che in un cittadina siriana imbrattarono i muri con scritte contro il regime di Assad e del loro spirito di libertà non c’è più traccia. L’aspirazione ad una società più giusta e più libera è stata soppiantata da una guerra che ad oggi ha provocato più di 160.000 morti e sta facendo sì che 9 milioni e 300mila persone abbiano urgente bisogno di assistenza umanitaria. Tra queste ultime, 2 milioni e 600mila hanno lasciato il loro Paese per rifugiarsi in Iraq, Egitto, Turchia; tantissimi in Giordania e, qui, in Libano, da dove invio questa testimonianza.
  In tre anni si è passati dalle scritte sui muri all’arrivo di decine di migliaia di jihadisti provenienti da tutto il mondo che stanno combattendo non in nome di primavere (finte), ma con la furia dell’estremismo islamico, che non solo brucia croci e altri simboli religiosi, ma terrorizza tutti quelli che credono e pensano diversamente, cioè gli 'infedeli', ai quali tagliare la testa è, purtroppo, una pratica ricorrente. La più grande tragedia umanitaria dal dopoguerra» è stata definita e, in questo 'compleanno', vorrei guardarla con gli occhi di chi ne ha sofferto più di tutti, cioè i bambini che vivono in Libano in situazioni disumane e che noi incontriamo tutti i giorni nel nostro lavoro. Tre anni equivalgono a 1.100 giorni lontani da casa e 1.100 notti nelle quali si è dormito su un materasso posato sul cemento o sulla nuda terra; tre anni sono più della metà di un ciclo scolastico inferiore che non si è potuto frequentare; in questo periodo questi bambini hanno sofferto il freddo e il caldo, i pidocchi in testa e la fame in pancia; i loro genitori (se ci sono ancora) non hanno più avuto un lavoro e loro, i bambini, non hai più ricevuto un giocattolo;
 mangiare un pasto caldo è la festa, mangiare tre volte al giorno è un soltanto bellissimo sogno notturno. Questo è il compleanno di 3 anni di non vita, dove non sei morto ma non hai veramente vissuto, dove tutto intorno a te è violenza, sporcizia, povertà, stenti, umiliazioni. In questo contesto, che cosa abbiamo fatto anche noi di Avsi, e che cosa facciamo oggi?
  Molto meno di quanto avremmo voluto. Noi, in particolare, lo abbiamo fatto in Libano e Giordania per circa 30mila persone e lo faremo presto anche in Siria con l’aiuto di Unicef, Echo, Cooperazione Italiana e di tantissime famiglie che sanno che quello che succede oggi da questi parti del Mediterraneo potrebbe presto toccare altri innocenti di altre sponde dello stesso mare.
  Proprio oggi, in una zona del Libano che si chiama Bekaa­Ovest, stiamo lanciando un progetto di 'cash for work', che vuole dire fare lavorare i profughi, pagandoli. Sì, fare lavorare: permettere loro di guadagnare i soldi per comperare quanto è loro necessario e non dipendere dagli acquisti decisi dal mondo dell’aiuto umanitario. Pensiamo che lavoro, dignità e libertà siano tre aspetti della stessa questione e, quindi, abbiamo scelto di percorrere quella che sembra essere una strada meno facile rispetto al semplice scaricare camion carichi di soccorsi, ma una strada che ci sembra urgente e praticabile al terzo compleanno della guerra. Sempre oggi, a 50 chilometri dai luoghi di lavoro di 150 profughi adulti, più di 200 bambini stanno seguendo lezioni scolastiche, nel pomeriggio 170 faranno corsi di recupero e 250 parteciperanno ad attività ricreative e psico-sociali che permetteranno loro di vivere qualche ora di normale fanciullezza in un mondo che di normale (per loro e per tanti altri) non ha più niente.
 
Marco Perini Responsabile AVSI in Libano
 

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