lunedì 17 marzo 2014

La scienza del bene e del male nella Divina Commedia

La scienza del bene e del male nella Divina CommediaPer un’ermeneutica protologica dell’opera dantesca.

PREFAZIONE

La ricerca del dr. Ricardo Lucio Perriello che viene pubblicata nel presente volume è stata guidata da una precisa opzione ermeneutica, quella di ricostruire la fondatezza di un’interpretazione platonica della Divina Commedia, che apre la poesia dantesca ad una riflessione metafisica, ancorata alla tradizione, ma che risulta detentrice di uno scavo originale del mistero umano nei suoi esiti ultimi e nella sua apertura al trascendente.

Nel plesso della metafisica platonica viene individuata una specificità dei generi sommi di identico, essere, diverso, specificità che si fonda a livello protologico e, sulla base dell’Uno e della Diade, consente la comprensione dei nessi tra questi tre generi. Il genere dell’identico vede in se medesimo la prevalenza dell’Uno, il genere del diverso la prevalenza della Diade, il genere dell’essere si colloca come intermedio tra i due, comportando in se stesso un equilibrio tra il principio dell’Uno e il principio diadico.

Assumendo il diverso come legato al sensibile, nella sua tendenza al molteplice ed alla differenziazione, l’identico come connesso all’intelligibile, nel suo sommo ordine, e l’essere come mediano tra i due, Perriello avanza l’ipotesi-guida della sua lettura delle tre Cantiche dantesche. Egli vede la compatibilità del genere dell’identico con il Paradiso dantesco, regno dell’identità e dell’armonia, la compatibilità del diverso con l’Inferno, regno della differenziazione da Dio, della deformità e della degenerazione delle tendenze più basse, ed infine la compatibilità dell’essere con il Purgatorio, che è il regno mediano tra i primi due, superiore all’Inferno, in quanto luogo del cammino aperto alla redenzione, inferiore al Paradiso, in quanto segnato dalla esistenziale vicenda della resistenza alla seduzione e della necessità della purificazione, per quella”caduta” che ha portato l’uomo ad abitare nella regione lontana dall’incontaminato regno dell’Uno e del Bene, descritta come “regio dissimilitudinis” dagli autori neoplatonici.

Questa lettura è dichiaratamente debitrice a una precisa ermeneutica della protologia platonica, quella avanzata negli ultimi anni del secolo scorso dalla Scuola di Tubinga- Milano, avente come referenti principali i professori H. J. Kramer, K. Gaiser e G. Reale, che hanno offerto una nuova interpretazione di Platone sulla base delle cosiddette “Dottrine non scritte”. Scavando sia nelle testimonianze indirette dei discepoli, sia in puntuali passaggi degli scritti autentici di Platone, sono state evidenziate interessanti presenze degli insegnamenti esoterici di Platone all’interno dell’Accademia, le quali hanno offerto la possibilità di una reiterpretazione del pensiero platonico, di una rilettura con occhi nuovi dei dialoghi del filosofo nella direzione di una prospettiva più aperta a temi metafisici rilevanti sia per contesto storico-testuale di Dante, sia per il nostro tempo.

Conscio della differenza culturale e temporale che intercorre tra Platone e Dante, Perriello procede a ricostruire quello che giudica il comune orizzonte ontologico, ossia il riferimento alla dimensione eterna ed intelligibile dei fondamenti della realtà, quale verità suprema per l’uomo. Il volume mostra notevole famigliarità sia con le fonti, sia con i molti studi circa il filone platonico antico, quello platonico-cristiano e quello platonico-mistico-francescano, in una dinamica non gerarchica, bensì dialogica, sempre in atteggiamento non assertorio, ma genuinamente euristico. Sottolineo molto questo aspetto della presente ricerca, come prefigurando, e in qualche modo esorcizzando, la reazione perplessa   dei “dantisti” di professione, i quali si domanderanno che cosa sarà mai possibile aggiungere di significativo alla plurisecolare ricostruzione relativa alle fonti ispiratrici del pensiero filosofico, teologico e politico di Dante.

Se veramente ampio negli ultimi cento anni è stato lo scavo in direzione della presenza dell’aristotelismo, altrettanto dibattuta è stata la fedeltà di Dante al pensiero di Tommaso d’Aquino, ed altresì molto è stato scritto sui rapporti tra Dante e S. Agostino, è invece più recente, ancorché non secondaria, l’indagine sulle fonti bonaventuriane, o, più in generale, francescane, assunte come luoghi che hanno detenuto e convogliato l’espressione più vicina e accessibile a Dante della mistica monastica, soprattutto degli autori Cisterciensi e della scuola di San Vittore. E’ in questo campo di indagini e di letture delle tematiche e delle fonti del pensiero di Dante che Perriello si inserisce con una proposta sicuramente inedita, per certi versi audace, ma che, dopo averla seguita attentamente, personalmente giudico stimolante e meritevole di essere presa in seria considerazione. Su quali basi formulo questo parere? Perché, nel caso di un autore come Dante, non si può dire mai di avere esaurito la comprensione delle sue molteplici tematiche, figure, analogie, tanto meno delle innervature che innesca il suo cammino anagogico, della forza creativa e immaginativa del suo viaggio nel mondo “ultraterreno”, che in realtà è l’ulteriore che accoglie la trasformazione del mondo terreno, soprattutto del mondo umano, in una vicenda metamorfosizzante, per la forza di un affidamento al mito e sotto la spinta di una allegoresi poetica potenziata dalla genialità del cantore-viaggiatore, autorizzata in virtù di un “mandato” biograficamente attestato, cronologicamente tracciato e detentore del compito di trasmettere un messaggio veritiero. Una autentica “rivelazione” come “Offen-barung”, una manifestazione aperta e non ingannevole dello stato delle anime dopo la morte, di quelle già trapassate, ma proletticamente esigente un esame di coscienza critico da parte di quanti nel 1300 sono ancora vivi sulla terra: ad essi è chiesto di proiettarsi, nonostante la comprensibile grande riluttanza, sul come saranno accolte le loro anime nel momento in cui deporranno le spoglie del corpo.

Le appassionate pagine di Perriello possono in quest’ottica contribuire a incrementare gli spazi dell’approfondimento delle presenze filosofiche, e metafisiche in particolare, nel poema dantesco.   Resto perplesso ogni volta che mi capita di leggere, e di recente mi è capitato più volte in pubblicazioni dedicate a Dante, la svalutazione degli sforzi ermeneutici di tanti appassionati studiosi, i cui scritti su argomenti danteschi vengono dichiarati superati o inadeguati perché non viene riscontrata in essi l’attenzione a un singolo tema o a una possibile fonte, che invece per i critici sarebbe decisiva per accostarsi a Dante. Ho la sensazione che in diversi casi l’attenzione al dettaglio erudito, come pure l’ipervalutazione narcisistica del tema preferito, inducano un eccesso di presunzione nella critica, e finiscano per configurare l’atteggiamento poco accorto che è ben illustrato dalla parabola della luna e il dito: quando un saggio addita la luna, lo sciocco si sofferma a guardare il dito. 
Prof. Alessandro Ghisalberti
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

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