martedì 25 marzo 2014

Un sogno evangelico. La salvezza è accanto a noi




M
ilano. «Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva da­to a Giuseppe suo figlio: qui c’era il poz­zo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era ver­so
 mezzogiorno».Queste parole mi risvegliano, in una Messa di marzo del rito ambrosiano, co­me la mano di qualcuno che mi sfiori per richiamare la mia attenzione. «Ge­sù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno». Allora cerco di immaginarmi quell’i­stante, come fossi stata lì anch’io.
  Una giornata calda, il sole allo zenit sul­la Samaria. Terra di sassi e pascoli, e u­livi nodosi; la strada polverosa nella sic­cità, e nel silenzio il fruscio delle lucer­tole guizzanti. «Era verso mezzogiorno», l’ora in cui i pastori e i contadini nei campi si riposano sotto gli alberi. Mi im­magino le ombre nette, nere contro la terra bianca: e il silenzio – come se il Creato stesso fosse in attesa.
  I piedi del viandante sono gonfi di fati­ca, grigi di polvere. L’arsura sale dalla terra nel chiarore accecante. Sete: mi sembra di sentirla, nell’orizzonte riarso. Passi, che si avvicinano: una donna vie­ne a attingere acqua. Una donna bella, sensuale, appena un po’ sfiorita. Forse,
 fra sé, stanca di troppi amori finiti in nulla.
  «Dammi da bere». Lei, la lingua sciolta, risponde senza timidezza. E lui, come la guarda? Mi immagino negli occhi di Ge­sù una assorta, grave tenerezza. «Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa glie­ne avresti chiesto, ed egli ti avrebbe da­to acqua viva». È altra la tua sete, dice lo sconosciuto. E qualcosa di lui accende nella donna un femminile istinto: quel­l’uomo, lei lo capisce subito, è diverso dagli altri.
  Il dialogo prosegue, serrato, nella gran luce del mezzogiorno – l’orizzonte nel­la calura annebbiato da una foschia lie­ve, e quei due, soli. Finché la donna: «So che deve venire il Messia; quando egli
 verrà, ci annunzierà ogni cosa». E Cri­sto, che si rivela: «Sono io, che ti parlo». Allora mi immagino nel silenzio come un arrestarsi del tempo, un attonito fer­marsi del vento, delle foglie sugli alberi: «Sono io, che ti parlo». Il clangore sui sassi del secchio, lasciato cadere.
  (Perché lei? mi chiedo. Forse per lo sfi­nimento di troppi effimeri amori, men­tre, in ritardo, portava il suo secchio al pozzo, quando le altre ne erano da un pezzo tornate. Forse per la folle doman­da di un istante, nemmeno del tutto co­sciente, di un amore che duri per sem­pre). «Sono io, che ti parlo». L’urto, il fra­gore di quelle cinque parole.
  La Messa è andata avanti, e io ho so­gnato, come una sonnambula.
 Marina Corradi

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