Milano. «Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno».Queste parole mi risvegliano, in una Messa di marzo del rito ambrosiano, come la mano di qualcuno che mi sfiori per richiamare la mia attenzione. «Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno». Allora cerco di immaginarmi quell’istante, come fossi stata lì anch’io. Una giornata calda, il sole allo zenit sulla Samaria. Terra di sassi e pascoli, e ulivi nodosi; la strada polverosa nella siccità, e nel silenzio il fruscio delle lucertole guizzanti. «Era verso mezzogiorno», l’ora in cui i pastori e i contadini nei campi si riposano sotto gli alberi. Mi immagino le ombre nette, nere contro la terra bianca: e il silenzio – come se il Creato stesso fosse in attesa. I piedi del viandante sono gonfi di fatica, grigi di polvere. L’arsura sale dalla terra nel chiarore accecante. Sete: mi sembra di sentirla, nell’orizzonte riarso. Passi, che si avvicinano: una donna viene a attingere acqua. Una donna bella, sensuale, appena un po’ sfiorita. Forse, fra sé, stanca di troppi amori finiti in nulla. «Dammi da bere». Lei, la lingua sciolta, risponde senza timidezza. E lui, come la guarda? Mi immagino negli occhi di Gesù una assorta, grave tenerezza. «Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti dice: dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato acqua viva». È altra la tua sete, dice lo sconosciuto. E qualcosa di lui accende nella donna un femminile istinto: quell’uomo, lei lo capisce subito, è diverso dagli altri. Il dialogo prosegue, serrato, nella gran luce del mezzogiorno – l’orizzonte nella calura annebbiato da una foschia lieve, e quei due, soli. Finché la donna: «So che deve venire il Messia; quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». E Cristo, che si rivela: «Sono io, che ti parlo». Allora mi immagino nel silenzio come un arrestarsi del tempo, un attonito fermarsi del vento, delle foglie sugli alberi: «Sono io, che ti parlo». Il clangore sui sassi del secchio, lasciato cadere. (Perché lei? mi chiedo. Forse per lo sfinimento di troppi effimeri amori, mentre, in ritardo, portava il suo secchio al pozzo, quando le altre ne erano da un pezzo tornate. Forse per la folle domanda di un istante, nemmeno del tutto cosciente, di un amore che duri per sempre). «Sono io, che ti parlo». L’urto, il fragore di quelle cinque parole. La Messa è andata avanti, e io ho sognato, come una sonnambula. Marina Corradi |
martedì 25 marzo 2014
Un sogno evangelico. La salvezza è accanto a noi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento