mercoledì 19 marzo 2014

QUEL VUOTO DI PATERNITÀ



 

Q
uell’uomo con il giglio in mano, quel padre silenzioso nell’ombra di Gesù. San Giuseppe, oggi, può apparirci u­na figura antica. Eppure questo santo è l’i­cona di una paternità che, nel vivere degli uomini, è fondante.
  L’altro giorno, visitando un ospedale psi­chiatrico giudiziario, lo psichiatra che ci ac­compagnava parlava di quel luogo come approdo ultimo e drammatico di un ma­lessere mentale diffuso; e riferendosi a fe­nomeni come bullismo, infanticidio e stra­gi in famiglia ne descriveva una comune ra­dice, certo non la sola, e però profonda.
  Questa radice, diceva il professore, è quel­la eclisse del padre, di cui da tempo si par­la; ma, andando oltre, indicava come que­sta assenza o irrilevanza paterna incidono, nella genesi di vicende che poi leggiamo nelle cronache. Il padre assente c’entra con il bullismo: i figli di padri assenti, irrilevan­ti o destituiti di ogni autorità, tenderebbe­ro a improvvisarsi malamente padri di sé stessi, ricorrendo alle minacce e alla vio­lenza. Povere maschere di un genitore, che non hanno avuto.
  Anche gli esplosivi istanti di aggressività che – e ormai non raramente – scoppiano nel­le case e distruggono famiglie che pareva­no come le altre, avrebbero un legame con la crisi del padre: l’incapacità di tollerare un rifiuto o una situazione avversa viene anche dal non avere maturato una esperienza in­fantile fondamentale, quella del 'no' pa­cato
 e fermo di un padre, e quindi la espe­rienza del limite – che è necessario ai figli, come gli argini a un fiume.
  E l’infanticidio, che è un crimine quasi sem­pre femminile? Che c’entra il padre? C’en­tra, perché chi poi ricostruisce la tragedia di molte di queste donne le scopre fisicamente o psicologicamente sole con la fatica di cre­scere un figlio; nella irrilevanza o nella di­strazione o nell’abbandono del compagno, donne abbandonate ai fantasmi della de­pressione
 post partum, o con l’angoscia di non sapere crescere, sole, quei figli.
  E dunque fenomeni diversi che ci allarma­no e sembrano allargarsi sarebbero, non so­lo ma anche, quasi mutazioni patogene che si compiono nella società, quando il padre latita. Un’assenza che, nella generale enfa­si sul 'femminile' del nostro tempo, meri­terebbe di essere maggiormente sottoli­neata: c’è almeno un ruolo, che spetta al­l’uomo che genera. E c’è una domanda co­mune, inconscia, di un padre, che dia dei limiti, e una direzione.
  E quello psichiatra raccontava come tanti, fra i suoi pazienti-detenuti, cerchino nel medico proprio una figura paterna. O ad­dirittura lo dicano esplicitamente. Come quel giovane straniero aggressivo e in­trattabile, che dopo poche parole di collo­quio gli dichiarò, in un italiano malfermo: «Tu, mio papo». E, da quel momento, si
 tranquillizzò.  Marina Corradi 

Stringere tra le braccia il frutto della propria paternità e sapere che si tratta di un dono che non ci appartie­ne; custodire questo dono come la cosa più preziosa al mondo; offrire al mondo il tesoro custodito con così tan­to amore. È questo il modello di paternità vissuto e indi­cato da san Giuseppe, che oggi la Chiesa festeggia con par­ticolare affetto e attenzione. Un santo importante perché non limita il suo esempio a come essere bravi padri per i propri figli, ma si offre come paradigma per ogni creden­te: il dono prezioso che tutti i cristiani, e quindi la Chiesa, sono chiamati a custodire e offrire al mondo è la fede stes­sa. La fede, infatti, è la vera garanzia di futuro, è il seme dal quale può germogliare un’umanità veramente rinnovata. 

  • San Giuseppe è la più bella figura d'uomo concepibile e che il cristianesimo ha realizzato. [...] San Giuseppe ha vissuto come tutti: non c'è una parola sua, non c'è niente, niente: più povera di così una figura non può essere. (Luigi Giussani)

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