di Gloria Riva Èuna giornata tersa, primaverile, quella che si respira nel pannello centrale del Trittico di Mèrode. È ancora Robert Campin a raccontarci l’evento cardine della nostra fede: il Verbo si è fatto carne. Le pesanti ante di legno, poste alle finestra, inquadrano subito il mistero entro l’evento pasquale.
La Vergine dice un sì che la condurrà, col Figlio, alla croce. Non ci curiamo, ora, della Vergine che sta nel suo abito rosso, colore della passione, tutta intenta alla lettura di quello stesso Verbo che l’angelo le annuncia. No, ora siamo attratti da un raggio di luce che penetra da una finestrella ogivale totalmente chiusa da inferriate. È un implicito rimando alle parole del Cantico dei Cantici: «Ecco viene, il mio diletto spia attraverso le inferiate». L’irruenza della venuta è tale da spegnere la tremula fiamma di una candela. Ecco: il tempo è compiuto, l’ora è giunta. Quale ora? L’ora dell’Incarnazione, l’ora di un destino che quel bimbo, prima ancora di formarsi nel grembo della Madre, già porta in sé.
L’uomo medioevale non ha timore di associare il bambino, anzi, il feto, alla croce. Nessuna riserva nel credere che l’uomo nasca già con il suo compito, con la sua missione verso questo mondo malato; nessun timore di render meno libero l’uomo con l’indicargli già lo spessore del suo destino. Così, ciò che ci cattura del raggio di luce che filtra dall’ogiva è, appunto, la figurina che lo cavalca. La mettiamo a fuoco: è un bimbo, anzi è il Cristo bambino che non entra nudo nel grembo, ma porta già con sé il suo abito di legno, la croce. Una siffatta interpretazione compare già in alcune miniature dei libri di preghiere, quasi ad indicare al fedele, condotto dalla liturgia a comprendere i sacri misteri, che non c’è Natale senza Pasqua e non c’è Pasqua senza Natale. Se la prima Chiesa cristiana ha guardato anzitutto al Kerigma (passione, morte e risurrezione del Signore), subito dopo ha sentito l’esigenza di scandagliare l’Incarnazione. Origine e fine – dunque – sono strettamente legati e mai come ai nostri giorni lo si comprende. Questo pertanto ci insegna il piccolo feto portacroce: se vogliamo comprendere la fine di un uomo, illuminiamo il suo inizio. Se vogliamo comprendere il mistero della sua origine, non abbandoniamo la sua fine a un nulla senza speranza. La Quaresima, che idealmente si tende tra Annunciazione e Pasqua, ci aiuta – nel contesto del dibattito attuale e grazie alle testimonianze dell’arte cristiana – a mettere a fuoco una tale verità. |
giovedì 27 marzo 2014
Il Cristo bambino, un feto che porta già la croce
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