martedì 25 marzo 2014

L’ANTIDOTO ALLE MISERIE :FAMIGLIA E COMUNITÀ, NON IPERINDIVIDUALISMO


Non sarà qualche 'zero-virgola' di Pil in più a marcare la ripresa del Paese. Non basterà. Perché senza un cambio di pa­radigma, il ritorno all’auspicata cresci­ta economica rischia di rivelarsi alla lunga solo l’ennesima «falsa partenza». A beneficio di pochi, senza produrre risultati duraturi per molti. Per ri-partire davvero occorre invece anzitutto ri-pen­sarsi. Declinarsi al plurale e non più al singolare. Pas­sando da un’economia dell’'io' a una del 'noi': par­tecipata, cooperativa. È questa preoccupazione che si coglie nelle parole del cardinale Angelo Bagnasco, pronunciate ieri in aper­tura del Consiglio permanente della Conferenza epi­scopale italiana a Roma. Una riflessione che, senza ce­dere allo sconforto, guarda alla fiaccata realtà italiana. Come non essere allarmati, d’altrocanto, dalla povertà, materiale e morale, crescente nel Paese. Le cifre del­l’impoverimento delle famiglie italiane sono note: il 12% dei nuclei è sotto la soglia di povertà relativa, qua­si 5 milioni di persone vivono in condizioni di miseria assoluta, 1 milione di minori manca del necessario. E dopo sei anni di crisi, quasi un terzo della popolazio­ne è a rischio di cadere in povertà. Il Paese che frana è quello che fa la fila agli 824 centri di ascolto della Cari­tas, che sempre più spesso cerca aiuto e conforto nel­le 25mila parrocchie italiane. Sono gli impiegati licen­ziati al Nord, che a 40-50 anni nessuno vuole più. So­no gli operai del Sud in cassa integrazione perenne, as­sieme ai giovani inoccupati o precari a vita. Sono so­prattutto i genitori che hanno fatto 'la pazzia' di rea­lizzare un progetto di vita. E si ritrovano soli, senza aiu­ti e giusto riconoscimento, ad affrontare la crescita dei figli. Sono i 'nuovi poveri' delle separazioni, quel 66% di separati che dichiara di non riuscire a mettere as­sieme il necessario per vivere. È una larga porzione del Paese, il Mezzogiorno, come inghiottito dalle sabbie mobili fra mancanza di lavoro, emigrazione dei giova­ni e degrado amministrativo. Certo, la rete delle famiglie ha resistito: ha sopporta­to la crisi e supportato i suoi componenti, con una re­silienza per certi versi inaspettata. Ma le maglie ri­schiano di slabbrarsi sempre più sotto i colpi delle dif­ficoltà e più ancora dell’indifferenza quando non del­la vera ostilità politica. Per uscire da questa palude, bene allora le misure che «possano incentivare i consumi». In particolare quelli essenziali di sostegno al reddito di chi più oggi si trova nel disagio, «senza tornare nella logica perversa del con­sumismo », nota il cardinale Bagnasco. Ma soprattutto occorre da un lato «semplificare le inutili e dannose bu­rocrazie », dall’altro rimodulare «la concezione del la­voro ». Perché se l’obiettivo è una crescita economica che si traduca anzitutto in aumento dell’occupazione e dell’inclusione sociale, le vecchie contrapposizioni del Novecento, gli scontri 'ideologici' che finiscono so­lo per danneggiare i più deboli debbono lasciare spa­zio «a una mentalità più partecipativa, collaborativa», che faccia dell’appartenenza a un comune destino; del­l’orgoglio del fare e fare insieme; della «responsabilità verso il proprio lavoro, la famiglia, l’azienda, la società e il Paese» la chiave del proprio agire. 
Solo una parte del sindacato e delle imprese si è incamminata su questa strada, mentre – nota ancora il presidente della Cei – il governo sembra oggi impegnato «a incidere su spre­chi e macchinosità istituzionali e burocratiche». Occorre allora un passo più spedito nella giusta direzione, da parte degli uni e degli altri, atti concreti e non semplice rivendicazione di un potere di veto o di decisione. Avendo come bussola appunto il bene comune anziché l’interesse particolare; la collettività e non quell’«iperindividualismo che ci fa camminare sul­la pelle dei poveri», quasi grida Bagnasco. È questo individualismo assoluto, in definitiva, il male che divora l’Italia e le nostre società. E come un filo rosso ritorna nell’analisi del presidente della Cei, legando le questioni eco­nomiche a quelle bioetiche. Perché il mancato riconoscimento del ruolo delle famiglie non è forse connesso a una visione distorta che ha il suo fuoco nel singolo? Un 'io' slegato da o­gni relazione, per il quale perciò – a seconda delle contingenze – può risultare legittimo sia il soddisfacimento di qualsiasi desiderio (ad esempio avere un figlio con qualsiasi mezzo) sia la soppressione della vita. O ancora, risulta possibile negare il dato di differenza e com­plementarietà uomo/donna – quel primordiale 'noi' che genera la vita – sostituendolo con un 'io' indefinito, un 'gender' addirittura da insegnare a scuola, «come un indottrinamen­to in un campo di rieducazione», denuncia esplicitamente l’arcivescovo di Genova.
  È questo iperindividualismo che il cardinale Bagnasco indica come la nuova, più pericolo­sa, ideologia del XXI secolo. Ed è paradossale che pervada (soprattutto, ma non solo) gli e­redi del pensiero collettivista del secolo scorso e quell’Europa che è stata culla dell’umane­simo, cristiano e pure laico. La ripresa che tutti auspichiamo è allora qualcosa che va molto al di là di qualche pur necessario e urgente provvedimento economico. È il ri-considerarsi come comunità, passando da una politica orientata al singolo, alla parte, a un’azione real­mente sociale, essenzialmente democratica perché ha ben chiaro il valore dei rapporti rela­zionali tra le persone. Quei pilastri portanti che ci fanno 'popolo' e senza i quali non solo non c’è autentica crescita, ma alla lunga collassa la società stessa.
 
 Francesco Riccardi
 

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