martedì 18 marzo 2014

IL SEME E IL FRUTTO . DON DIANA, I GIOVANI, LA TERRA LIBERATA


  


P
asso e ripasso tra le mani quelle due paginette ingiallite dal tempo. Con rispetto. Due paginette che hanno fatto paura alla camorra, che hanno cambiato una terra, che hanno se­gnato la vita e la morte di una persona, di un sa­cerdote, don Peppe Diana. Ma anche di tante altre persone di questa terra. Sono il famoso do­cumento «In nome del mio popolo» del Natale 1991. Un 'Avviso sacro', come è scritto accanto al titolo, ma che preoccupò a tal punto i clan da far loro decidere di colpire il parroco di Casal di Principe, che con i suoi confratelli aveva pro­messo di non tacere sulla violenza camorrista. Era il 19 marzo 1994, giorno del suo onomasti­co. È la forza delle parole, soprattutto delle per­sone che le incarnano. Persone credibili. Parole che restano e persone che restano vive, anche dopo la morte.
  Questo hanno voluto dire con allegria, speran­za, concretezza, le migliaia di scout che dome­nica hanno attraversato le vie di Casal di Princi­pe. Canti, colori, tanta commozione e tanti con­tenuti. Parole, persone e fatti. «Don Peppe uno di noi», lo slogan che è rimbombato fin sotto ca­sa del parroco e già capo scout dell’Agesci. «Don Peppe anche noi promettiamo sul nostro ono­re di non tacere», hanno proclamato i ragazzi in camicia azzurra davanti al cimitero dove riposa quel loro fratello, Peppino, che per amore si era fatto padre. Due paginette, due semplici pagi­nette. Quante parole, quanti trattati, quanti con­vegni, pieni di se, inutili... Invece due paginette e una persona credibile hanno fatto crescere u­na generazione nuova e hanno cambiato que­sta terra. Lo ha affermato con forza il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo. «Oggi don Peppino vive qui nel nostro essere in cammino per annunciare la benedizione di Dio, mentre la camorra è fon­te di maledizione». Parole che ricordano quelle che venti anni fa il suo predecessore, Lorenzo Chiarinelli, aveva detto con chiarezza profeti­ca nel corso del funerale. Leggo altre pagine in­giallite e attualissime. «Conservare la sua me­moria è continuare a operare il bene. Quanto avete ricevuto da lui, ora in suo nome donate. E il cammino continuerà». Perché quando un seme muore, dà poi buoni frutti, soprattutto quando il seme è speciale.
  Il seme è cresciuto insieme a tante persone, por­tato in giro dal vento del cambiamento, dalle ca­micie azzurre degli scout e da tante altre asso­ciazioni. «Annunciare, ascoltare, osservare, spor­carsi le mani» sono state le parole – sì, ancora pa­role come semi – che hanno scandito la mani­festazione di domenica. Fatte germogliare in tanti modi, allegri e colorati, dalla fantasia dei giovani col fazzolettone. Decisi a sporcarsi dav­vero le mani con la 'terra', la terra di don Pep­pe, per la quale lui è morto. E alla quale così si rivolgeva venti anni fa monsignor Chiarinelli: «In te ci sono energie positive, volontà genero­se; i tuoi giovani coltivano sogni di pace; gli oc­chi dei tuoi bambini guardano con incanto al futuro; la tua gente è capace di impegno e di te­nacia ». Quei giovani, quei bambini sono cre­sciuti con queste parole nel cuore, e con quelle di don Peppe: il suo invito a «risalire sui tetti a riannunciare la Parola di Vita». I suoi giovani fra­telli domenica lo hanno fatto: sono saliti sulle mura del cimitero per esporre lenzuola colora­te. Vent’anni fa, nel corso del funerale del sacer­dote, erano bianche di protesta. Ora sono piene di vita e di parole. «La voglia di cambiare ci spin­ge a continuare». «Non una conclusione, ma un inizio». E abitano le strade e le piazze della città. «Io sono solo un prete che parla con le parole del Signore, che usa la parole e l’esempio, non fac­cio battaglie», diceva don Peppe, e lo ripete nel­la bella fiction di RaiUno in onda oggi e doma­ni in prima serata. Scorrono le immagini del fu­nerale. Anche allora tanti scout. E le toccanti pa­role della canzone di Pino Daniele. «Terra mia terra mia, tu si’ chiena ’e libbertà. Terra mia ter­ra mia, i’ mò sento ’a libbertà». Già libertà, figlia del Vangelo dell’amore, sorella della giustizia. Don Peppino la cercava per la sua terra, la pro­clamava nella preghiera e dall’altare, la realiz­zava coi 'suoi' giovani. E oggi cammin
a spedi­ta, con le gambe di tanti, con la speranza dei giovani.  ANTONIO MARIA MIRA 

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