mercoledì 19 marzo 2014

«La Croce, risposta alle nostre ferite»


 

D
allo 'spettacolo della Croce' sgorga il dolore del peccato, premessa della Con­fessione e della conversione del cuore. Al versetto del Vangelo di Luca (23, 48) che ri­chiama allo stupore della Croce si ispira il cam­mino catechistico per la Quaresima che l’arci­vescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola con­durrà lungo i quattro martedì di Quaresima, pre­siedendo la Via Crucis in Duomo. Ieri sera in Cat­tedrale, nella prima delle quattro tappe, Scola, percorrendo le prime tre Stazioni della Via Cru­cis, ha meditato sul tema: 'Si è caricato delle no­stre
 sofferenze'. Di fronte al mistero insondabile del dolore u­mano di Cristo, l’arcivescovo ha ricordato due fi­gure esemplari che hanno trasformato il dolore in strumento di salvezza: «La beata Madre Tere­sa di Calcutta che ci ha detto: 'È importante che ognuno di noi riesca a vedere Gesù e a prende­re su di sé la sua croce'». Ma anche il padre dei mutilatini, il beato Carlo Gnocchi che «raccon­ta in un celebre scritto, come i suoi mutilatini u­na volta resi partecipi della forza redentiva del dolore del Crocifisso, trovassero un’energia qua- si sovrumana di sopportazione. In tal modo il do­lore, anche nelle tenebre della morte, apre il var­co alla Risurrezione». Alla seconda stazione l’arcivescovo ha prose­guito nella meditazione: «Gesù è condannato a morte al posto dell’omicida che viene ’salva­to’. In Barabba, in un certo senso, possiamo ri­conoscerci tutti». Per «tutti la salvezza è possi­bile in forza della morte del Redentore», la Cro­ce è dunque la suprema manifestazione del­l’amore di Dio. E qui non è mancato un riferi­mento alle parole di papa Francesco nella Via Crucis dello scorso anno al Colosseo: «La Cro­ce di Gesù è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo».
  Proseguendo nella meditazione, alla III Stazio­ne quando Gesù cade per la prima volta, l’arci­vescovo ha sottolineato come continui il rove­sciamento dell’amore: «Lui castigato perché noi fossimo risparmiati, Lui flagellato e piagato per­ché noi fossimo guariti». «Nella società del vir­tuale, dell’immagine, dell’apparenza, questa ’­carnalità’ del divino sorprende e scandalizza lo scetticismo dell’uomo postmoderno. Eppure è la cifra distintiva del cristianesimo». Non è poi mancato un richiamo al beato cardinale New-
 man e «all’Uomo dei dolori che porta su di Sé la lunga storia del mondo, non c’è che Dio che ne possa sopportare il peso»: Gesù prendendo su di Sé il dolore del mondo intero, ha chiamato cia­scuno di noi ad accompagnar­lo. «Croce fedele – la preghiera finale – fra tutti unico albero no­bile, croce abbracciata da Cristo e caricata sulle sue spalle con tutti i nostri peccati, o Croce, ri­sposta di amore e di misericor­dia alla nostra malvagità, o Cro­ce di Gesù, noi ti adoriamo e ti rendiamo grazie».
  E come gesto caritativo, alla fine di ogni cele­brazione della Via Crucis, i fedeli ambrosiani so­no stati invitati a raccogliere offerte da destina­re al Fondo Famiglia Lavoro e ai progetti all’e­stero ideati da Caritas Ambrosiana e ufficio mis­sionario per la Quaresima di fraternità: una re­te di centri professionali femminili in Algeria, un centro di aggregazione giovanile a Lusaka (Zam­bia),
 una mensa pubblica a Nis (Serbia).

Arcidiocesi di Milano


Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo della Croce» (Lc 23,48)


«Si è caricato delle nostre sofferenze» (Stazioni I - III)
Lc 22,63-71; Lc 23,20-25; Is 53,4-5

Testi di Santa Teresa di Calcutta, Papa Francesco, Beato J.H. Newman

Duomo di Milano, 19 Marzo 2014
Martedì della prima settimana di Quaresima

Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano


Introduzione



1.      Un dramma sotto gli occhi di tutti
«Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto» (Lc 23, 48).
Il termine usato da Luca, Theoria, per dire spettacolo, non indica un’immagine ferma, ma un dramma in svolgimento, uno spettacolo che occorre vedere e rivedere, penetrare e meditare (Theoresantes: lo stare osservando). Un dramma da mettere sotto gli occhi di tutti. Anche ai nostri questa sera. Nelle intenzioni di coloro che lo hanno condannato come un monito. Un monito anche per noi peccatori.

2.      Guardare Cristo è lasciarsi guardare da Lui: la memoria cristiana
Tu mi guardi dalla Croce: guardiamo, contempliamo il Crocifisso che ci guarda: il protagonista del dramma è Lui.
Guardare Cristo cioè lasciarsi guardare da Lui: è la memoria cristiana, il cui vertice è l’Eucaristia.

3.      Stupore e scandalo della Croce
La Croce dice dell’Onnipotente impotente, di uno sconfitto Vincitore. Nei primi secoli dell’arte cristiana e per tutto l’Alto Medioevo sulla Croce veniva rappresentato il corpo di Cristo già glorioso, nel Crocifisso già si intravedeva il Risorto. La stessa cosa aiuta a comprendere Cristo albero della vita tra Mosè e Re David.
La Croce dice della profonda e terribile malvagità dell’uomo e dell’ancora più profonda e tenace misericordia di Dio.
Il male non è l’ultima parola sull’uomo e sulla storia. L’ultima parola è l’amore.

4.      Amore e cambiamento
«Ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto».
Dallo spettacolo della Croce sgorga il dolore del peccato (contrizione, pentimento), premessa della confessione e conversione.
«La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione» (CIC 1450 che riprende Trento).





I. stazione -  Gesù è condannato a morte

Per l’umano pensiero niente è più inaccettabile del fatto che un innocente decida di espiare (radice ex-pius, purificare) per i peccati che non ha commesso. Invece è questo che ha voluto compiere, in obbedienza al Padre, il Figlio di Dio fattosi uomo: proprio perché è il Puro in assoluto, Gesù, bevendo fino in fondo il calice della sofferenza come antidoto alla morte, vince definitivamente la morte e il peccato in nostro favore.
«Lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi… lo insultavano» (cf. Lc 22, 63-65). L’Innocente accetta di essere deriso, oltraggiato, percosso, insultato..., accetta di patire tutto il male fisico e morale per trasformare la sofferenza in strumento di salvezza. L’Innocente accetta di essere condannato a morte per liberarci dal peccato e dalla morte come condanna. Siamo di fronte al mistero insondabile del dolore umano del Figlio di Dio. Per questo la beata Madre Teresa di Calcutta ci ha detto: «È importante che ognuno di noi riesca a vedere Gesù e a prendere su di sé la sua croce».
Il Signore, patendo e morendo sulla croce in nostro favore, ha svelato tutta la fecondità dell’amore effettivo ed oggettivo, l’amore che non si tira mai indietro. Non ha cercato di eliminare il dolore attraverso una teoria più completa delle altre, ma l’ha condiviso illuminandone il significato profondo: se la vita mi è data allora chiede di essere donata. In caso contrario il tempo me la ruba.
Per quanto parlare di espiazione delle colpe del mondo possa infastidire la nostra sensibilità post-moderna, non possiamo negare questa realtà.
Il Beato Carlo Gnocchi, condividendo lungo tutta la sua vita il dolore e, soprattutto, il dolore innocente racconta in un celebre scritto come i suoi mutilatini, una volta resi partecipi della forza redentiva del dolore del Crocifisso, trovassero energia quasi sovrumana di sopportazione. In tal modo il dolore, anche nelle tenebre della morte, apre il varco alla resurrezione.
Un padre, parlandomi del figlio dodicenne morto in un incidente stradale, ha potuto dire: “Non è vero che Dio dà e toglie; Dio dona sempre”.


II. Stazione – Gesù è caricato della croce

Pilato «rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per omicidio… e consegnò Gesù al loro volere» (Lc 23,25). Gesù è condannato a morte al posto dell’omicida che viene “salvato”. In Barabba, in un certo senso, è possibile riconoscere e rappresentare tutti gli uomini.
Per tutti la salvezza è possibile in forza della morte del Redentore.
Più volte nel Nuovo Testamento si incontrano le espressioni “per voi”, “per noi”, “per molti” dove la preposizione per esprime di volta in volta l’idea che Gesù è morto al posto nostro, è morto per causa nostra, è morto in nostro favore. I Padri della Chiesa hanno parlato di commercium, di un divino scambio a proposito dell’incarnazione che giunge fino alla croce-risurrezione del Figlio di Dio: Egli è diventato uomo ed «ha umiliato se stesso fino alla morte e alla morte di croce» (cf. Fil 2,8), perché noi fossimo divinizzati.
Del resto, questo scambio è una realtà che si può un poco capire dall’esperienza umana universale: quale madre, che sia veramente tale, davanti al figlio divorato dalla sofferenza, non ha implorato di poter prendere il suo posto?
È la legge dell’amore: soltanto nell’esistere per l’altro l’uomo realizza pienamente se stesso, solo nel dono di sé. Così la Croce si rivela come la suprema manifestazione dell’amore di Dio: «La croce di Gesù è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. … la sua risposta è la Croce di Cristo. … Dio ci giudica amandoci» (Papa Francesco).




III Stazione – Gesù cade la prima volta

«Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5). Continua il rovesciamento dell’amore: Lui castigato perché noi fossimo risparmiati, Lui flagellato e piagato perché noi fossimo guariti.
«Egli – scrive San Pietro – portò i nostri peccati nel suo corpo» (1Pt 2,24). E non per modo di dire. Nella società del virtuale, dell’immagine, dell’apparenza, questa “carnalità” del divino sorprende e quasi scandalizza. Eppure è la cifra distintiva del cristianesimo.
Passio Christi, passio hominis: l’Uomo dei dolori porta su di sé «la lunga storia del mondo e non c’è che Dio che ne possa sopportare il peso… [tutte] le scene crudeli, miserabili,… sono davanti a lui, sopra di lui e dentro di lui» (Beato Card. Newman).
Ma Gesù prendendo su di Sé il dolore del mondo intero, ha voluto chiamare ciascuno di noi ad accompagnarlo. Cadendo sotto il peso della Croce, rivolge il Suo sguardo a noi e ci chiede – mistero della divina misericordia – di aiutarlo a risollevarci. La carità dei cristiani, ogni gesto con cui fanno presente per grazia l’amore di Dio per gli uomini, risolleva e accompagna Cristo sulla via del Calvario.
Di fronte ai bambini diversamente abili incontrati nella sua Visita ad Assisi Papa Francesco disse: «Questi ragazzi sono le piaghe di Gesù che hanno bisogno di essere riconosciute».

Croce fedele, fra tutti
unico albero nobile,
croce abbracciata da Cristo
e caricata sulle sue spalle con tutti i nostri peccati,
o Croce, risposta di amore e di misericordia
alla nostra malvagità,
alla violenza, alla persecuzione, al tradimento, alla menzogna, all’ingiustizia, all’oppressione e all’abbandono del povero e del debole.
O Croce giudizio per il perdono,
O Croce di Gesù,
noi ti adoriamo e ti rendiamo grazie. Amen.

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