Arcidiocesi
di Milano
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo
della Croce»
(Lc 23,48)
«Si è caricato
delle nostre sofferenze» (Stazioni I - III)
Lc
22,63-71; Lc 23,20-25; Is 53,4-5
Testi di Santa
Teresa di Calcutta, Papa Francesco, Beato J.H. Newman
Duomo di Milano, 19 Marzo 2014
Martedì della prima settimana di Quaresima
Catechesi di
S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Introduzione
1. Un dramma sotto gli occhi di tutti
«Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era
accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto» (Lc 23, 48).
Il
termine usato da Luca, Theoria, per dire
spettacolo, non indica un’immagine ferma, ma un dramma in svolgimento, uno
spettacolo che occorre vedere e rivedere, penetrare e meditare (Theoresantes: lo stare osservando). Un
dramma da mettere sotto gli occhi di tutti. Anche ai nostri questa sera. Nelle
intenzioni di coloro che lo hanno condannato come un monito. Un monito anche
per noi peccatori.
2.
Guardare Cristo
è lasciarsi guardare da Lui: la memoria cristiana
Tu
mi guardi dalla Croce:
guardiamo, contempliamo il Crocifisso che ci guarda: il protagonista del
dramma è Lui.
Guardare Cristo
cioè lasciarsi guardare da Lui: è la memoria cristiana, il cui vertice è
l’Eucaristia.
3.
Stupore e
scandalo della Croce
La Croce dice
dell’Onnipotente impotente, di uno sconfitto Vincitore. Nei primi secoli
dell’arte cristiana e per tutto l’Alto Medioevo sulla Croce veniva
rappresentato il corpo di Cristo già glorioso, nel Crocifisso già si
intravedeva il Risorto. La stessa cosa aiuta a comprendere Cristo albero della
vita tra Mosè e Re David.
La Croce dice
della profonda e terribile malvagità dell’uomo e dell’ancora più profonda e
tenace misericordia di Dio.
Il male non è
l’ultima parola sull’uomo e sulla storia. L’ultima parola è l’amore.
4. Amore e cambiamento
«Ripensando
a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto».
Dallo spettacolo della Croce sgorga il
dolore del peccato (contrizione, pentimento), premessa della confessione e
conversione.
«La penitenza induce il peccatore a
sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione,
nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l'umiltà e la feconda
soddisfazione» (CIC 1450 che
riprende Trento).
I. stazione - Gesù è
condannato a morte
Per l’umano pensiero niente è più inaccettabile
del fatto che un innocente decida di espiare (radice ex-pius, purificare) per i peccati che non ha commesso. Invece è
questo che ha voluto compiere, in obbedienza al Padre, il Figlio di Dio fattosi
uomo: proprio perché è il Puro in assoluto, Gesù, bevendo fino in fondo il
calice della sofferenza come antidoto alla morte, vince definitivamente la
morte e il peccato in nostro favore.
«Lo
deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi… lo insultavano» (cf. Lc 22, 63-65). L’Innocente accetta di
essere deriso, oltraggiato, percosso, insultato..., accetta di patire tutto il
male fisico e morale per trasformare la sofferenza in strumento di salvezza.
L’Innocente accetta di essere condannato a morte per liberarci dal peccato e
dalla morte come condanna. Siamo di fronte al mistero insondabile del dolore
umano del Figlio di Dio. Per questo la beata Madre Teresa di Calcutta ci ha
detto: «È importante che ognuno di noi
riesca a vedere Gesù e a prendere su
di sé la sua croce».
Il Signore, patendo e morendo sulla
croce in nostro favore, ha svelato tutta la fecondità dell’amore effettivo ed oggettivo,
l’amore che non si tira mai indietro. Non ha cercato di eliminare il dolore attraverso
una teoria più completa delle altre, ma l’ha condiviso illuminandone il
significato profondo: se la vita mi è data allora chiede di essere donata. In
caso contrario il tempo me la ruba.
Per quanto parlare di espiazione delle
colpe del mondo possa infastidire la nostra sensibilità post-moderna, non
possiamo negare questa realtà.
Il Beato Carlo Gnocchi, condividendo
lungo tutta la sua vita il dolore e, soprattutto, il dolore innocente racconta
in un celebre scritto come i suoi mutilatini, una volta resi partecipi della
forza redentiva del dolore del Crocifisso, trovassero energia quasi sovrumana
di sopportazione. In tal modo il dolore, anche nelle tenebre della morte, apre
il varco alla resurrezione.
Un padre, parlandomi del figlio
dodicenne morto in un incidente stradale, ha potuto dire: “Non è vero che Dio
dà e toglie; Dio dona sempre”.
II. Stazione – Gesù è caricato della croce
Pilato «rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per omicidio… e
consegnò Gesù al loro volere» (Lc
23,25). Gesù è condannato a morte al posto dell’omicida che viene “salvato”. In
Barabba, in un certo senso, è possibile riconoscere e rappresentare tutti gli
uomini.
Per tutti la salvezza è possibile in
forza della morte del Redentore.
Più volte nel Nuovo Testamento si
incontrano le espressioni “per voi”,
“per noi”, “per molti” dove la preposizione per
esprime di volta in volta l’idea che Gesù è morto al posto nostro, è morto per
causa nostra, è morto in nostro
favore. I Padri della Chiesa hanno parlato di commercium, di un divino scambio a proposito dell’incarnazione che
giunge fino alla croce-risurrezione del Figlio di Dio: Egli è diventato uomo ed
«ha umiliato se stesso fino alla morte e
alla morte di croce» (cf. Fil
2,8), perché noi fossimo divinizzati.
Del resto, questo scambio è una realtà
che si può un poco capire dall’esperienza umana universale: quale madre, che
sia veramente tale, davanti al figlio divorato dalla sofferenza, non ha
implorato di poter prendere il suo posto?
È la legge dell’amore: soltanto nell’esistere
per l’altro l’uomo realizza pienamente se stesso, solo nel dono di sé. Così la
Croce si rivela come la suprema manifestazione dell’amore di Dio: «La croce di Gesù è la Parola con cui Dio ha
risposto al male del mondo. … la sua risposta è la Croce di Cristo. … Dio ci
giudica amandoci» (Papa Francesco).
III Stazione – Gesù cade la prima volta
«Il
castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe siamo
stati guariti» (Is 53,5).
Continua il rovesciamento dell’amore: Lui castigato perché noi fossimo
risparmiati, Lui flagellato e piagato perché noi fossimo guariti.
«Egli
– scrive San Pietro – portò i nostri
peccati nel suo corpo» (1Pt
2,24). E non per modo di dire. Nella società del virtuale, dell’immagine,
dell’apparenza, questa “carnalità” del divino sorprende e quasi scandalizza.
Eppure è la cifra distintiva del cristianesimo.
Passio
Christi, passio hominis: l’Uomo dei dolori porta su di sé «la lunga storia del mondo e non c’è che Dio
che ne possa sopportare il peso… [tutte] le scene crudeli, miserabili,… sono davanti a lui, sopra di lui e
dentro di lui» (Beato Card. Newman).
Ma Gesù prendendo su di Sé il dolore del
mondo intero, ha voluto chiamare ciascuno di noi ad accompagnarlo. Cadendo
sotto il peso della Croce, rivolge il Suo sguardo a noi e ci chiede – mistero
della divina misericordia – di aiutarlo a risollevarci. La carità dei
cristiani, ogni gesto con cui fanno presente per grazia l’amore di Dio per gli
uomini, risolleva e accompagna Cristo sulla via del Calvario.
Di fronte ai bambini diversamente abili
incontrati nella sua Visita ad Assisi Papa Francesco disse: «Questi ragazzi sono le piaghe di Gesù che
hanno bisogno di essere riconosciute».
Croce
fedele, fra tutti
unico albero
nobile,
croce
abbracciata da Cristo
e caricata sulle
sue spalle con tutti i nostri peccati,
o Croce,
risposta di amore e di misericordia
alla nostra
malvagità,
alla violenza,
alla persecuzione, al tradimento, alla menzogna, all’ingiustizia,
all’oppressione e all’abbandono del povero e del debole.
O Croce giudizio
per il perdono,
O Croce di Gesù,
noi ti adoriamo
e ti rendiamo grazie. Amen.
|
Nessun commento:
Posta un commento