mercoledì 12 marzo 2014

L'ETICA DELLA MISERICORDIA DI FRANCESCO QUEST'ANNO DI GRAZIA


Il primo anno di pontificato di Papa Francesco è stato un tempo buono per imparare quella catechesi del Vangelo della misericordia che il suc­cessore di Pietro «preso quasi alla fi­ne del mondo» sta svolgendo sia sul ver­sante semantico (cos’è la misericordia) sia metodologico (come annunciare e portare misericordia). Qui vogliamo riflettere in particolare su questo secondo versante, es­senziale e decisivo specialmente per i mi­nistri della Parola e della Grazia: sacerdoti anzitutto e, quindi, diaconi, catechisti, teo­logi, formatori, operatori pastorali.
  Parlando, ai sacerdoti di Roma, della Qua­resima come «tempo della misericordia», il Papa ha detto e su queste pagine è già sta­to giustamente evidenziato: «Sappiamo be­ne che né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità. La misericordia invece accompagna il cammino della santità e la fa crescere». Una sottolineatura che ha ri­levanza non solo 'a monte' della teologia e della dottrina, ma anche 'a valle' della ca­techesi e della prassi. «Sappiamo bene», di­ce infatti il Papa: come a richiamare la con­trapposizione (dottrinale e pastorale) ma­nifestatasi lungo i secoli e ancora oggi tra massimalisti e minimalisti.
  Rigoristi i primi, cioè sostenitori della irre­prensibilità del fedele per accedere alla gra­zia e beneficiare della misericordia. Irre­prensibilità assicurata dalla legge e dalla sua osservanza, appunto, rigorosa. «Il rigo­rista - nota il Papa - inchioda la persona al­la legge, intesa in modo freddo e rigido». Di qui la severità, che porta ad allontanare ed escludere, a riservare l’'economia' della salvezza (i sacramenti) e circoscrivere gli 'spazi' della Chiesa ai puri, ai giusti, ai sa­ni. Mentre Gesù dice espressamente- a tut­ti gli indignati per l’accoglienza di pubbli­cani e peccatori - di «non essere venuto a chiamare i giusti ma i peccatori». E aggiun­ge, a spiegazione: «Non sono i sani che han­no bisogno del medico, ma i malati». Con­clude quindi con un imperativo forte: «Im­parate che cosa significhi: 'Misericordia io voglio e non sacrificio'» (cfr Mt 9,11-13). In­segnamento che i rigoristi hanno difficoltà a fare proprio.
  Ha qui le radici l’allegoria, ancora una vol­ta enunciata da Francesco, dell’ospedale da campo: «La Chiesa oggi possiamo pensar­la come un 'ospedale da campo'. (…) C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! C’è tanta gente ferita dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto cura­re le ferite».
 
Nasce da questa visione la figura compiutamente trac­ciata nella Evangelii gaudium della «Chiesa 'in uscita', una Chiesa con le porte aperte»: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e lai­ci di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, fe­rita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di ag­grapparsi alle proprie sicurezze… Più della paura di sba­gliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle nor­me che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abi­tudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è u­na moltitudine affamata». Dal legalismo, che antepone la legge alla persona, il Pa­pa spinge la denuncia del rigorismo fino alla polveriz­zazione 'casistica' in una pluralità di casi applicativi. È la pretesa di inquadrare le difficoltà e le sofferenze mo­rali di una persona in un caso tipico (configurato da 'e­sperti' e valevole per chiunque venga a trovarsi in una situazione a esso riconducibile, a prescindere da ciò che di unico e irripetibile c’è in ogni uomo o donna, in ogni vicenda umana). La casistica è una morale anonima, per 'non importa chi': incapace di guardare negli oc­chi la persona, farsi carico del suo male e accompa­gnarla in un cammino di redenzione. Illuminanti e di­rette, a questo proposuto, le parole di Francesco in un’in­tervista concessa giorni fa, al 'Corriere della Sera': «La tentazione di risolvere ogni problema con la casistica è un errore, una semplificazione di cose profonde, come facevano i farisei, una teologia molto superficiale».
  Sul versante opposto ci sono i lassisti, che svuotano di contenuto e di esigibilità la legge. Questa vale in astrat­to, traccia una linea ideale di condotta, che non incide sul vissuto. A decidere è una coscienza soggettiva, non abitata dal bene e illuminata dal vero, e perciò sola e ar­bitraria. Il lassista abbandona la persona a se stessa, al proprio giudizio. «Si lava le mani», dice il Papa. E ag­giunge: «Solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella co­scienza, minimizzando il peccato». La misericordia non disconosce né sottovaluta il peccato, il potere involuti­vo e dissolutore del peccato. La misericordia muove al riconoscimento e al pentimento. Provoca la conversio­ne.
 E perdona. Rigoristi e lassisti sono senza misericordia: li accomuna l’assenza della grazia donante e perdonante di Dio. Per entrambi la giustificazione non viene dalla grazia ma dalla legge. Per i primi, dal rigore della legge: quanto più rigorosa ed esigente è la legge, tanto più io che la osser­vo sono giusto e meritevole. Per i secondi, dalla permis­sività e dall’accondiscendenza della legge: io sono buo­no e giusto, perché la legge non mi rimprovera nulla. Nell’uno e l’altro caso l’uomo conta su di sé: nel primo per gloriarsi delle proprie opere conformi alla legge; nel secondo della propria impeccabilità secondo la legge. Così la morale scivola sotto la legge: morale della legge, non della grazia. È capovolto l’assetto teologico della morale, espressamente definito da san Paolo: «Noi non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia» (Rm 6,15).
  Con la sua 'etica della misericordia' Francesco riporta sotto il primato della grazia la morale. Primato che non abolisce la legge: ne ristabilisce il ruolo mediatore, di servizio alle coscienze, in ordine al bene da volere. Il pri­mato della grazia implica l’attenzione primaria alle per­sone, nella singolarità e inomologabilità delle loro sto­rie, del cammino di vita di ciascuna, con le sue ferite e le sue miserie, cui sono rivolti gli occhi di Dio. Occhi del­la misericordia, che non guardano prima di tutto alla leg­ge, per giustificare o incolpare. Ma alla persona, per cu­rare e sanare: «La misericordia si fa carico della perso­na, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e l’accompagna nel cammi­no della riconciliazione. Questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta co­me il Buon Samaritano. Ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo'.
  La riprovazione del rigorismo non porta al lassismo. Il Papa mette in guardia dall’uno come dall’altro. Entrambi regressivi e fuorvianti il cammino di vita del cristiano. Cammino di santità: di conformazione al «Dio Santo' (Is 5,16, Ap 4,8) e a Cristo, il «Santo di Dio»«Dio Santo' (Is 5,16, Ap 4,8) e a Cristo, il «Santo di Dio»«Santo di Dio» (Mc 1,24). Cammino che ne ritma «i sentimenti di a­more e di compassione» (Fil 2,1). Da cui tanto il rigori­smo quanto il lassismo divergono. Per questo né l’uno né l’altro «fanno crescere la santità. La misericordia in­vece accompagna il cammino della santità e la fa cre­scere
 ». 
 Mauro Cozzoli
 

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