Lo scrivano o lo stagnino; l’impagliatore o, per dirne un altro, il burattinaio. Chi se li ricorda? Quando mai capita oggi di ritrovare traccia di quei mestieri su un’insegna, in una strada, nelle chiacchiere quotidiane o in un cercalavoro? Professioni che solo i meno giovani hanno incrociato, poi travolte dal mutamento di usanze gusti costumi, avvenuto di pari passo con la diffusione di più moderni strumenti professionali. Quella dei 'mestieri dimenticati' naturalmente non è novità di questi anni. Anche i padri dei nostri padri avevano memorie di cui s’era per- sa traccia, lo stesso era stato per i padri dei loro padri, e così via. Anche se oggi in questa implacabile catena della memoria abbandonata si intravvede qualche novità. La voglia o la necessità di riscoprire l’uso di cose e abitudini perse. Sarà il duro malessere sociale che comporta un diverso modo di affrontare la quotidianità (pensate al tramonto dell’'usa e getta'), sarà un rinato desiderio di forme di più bucolica convivenza, sarà che spesso purtroppo proprio non c’è alternativa... fatto è che spulciando tra le indagini di qualche centro ricerche si ritrovano segni di un ritorno di professioni ormai lontane. Esempio: un piccolo boom di spazzacamini, oggi ce ne sarebbero circa 350, con un incremento del 20 per cento in due anni (certo, parecchi di loro sono in realtà piccoli imprenditori che si occupano di mille cose, tra le quali la pulizia delle canne fumarie). E poi, riecco lo stagnino e l’arrotino (sì, quello che... «donne, è arrivato l’arrotino»): quasi 400 in tutto il Paese, concentrati soprattutto in Lombardia ed Emilia Romagna. E le ricamatrici (qualcuna in più rispetto alle 200 di tempo fa) e le sartorie domestiche (spesso avviate da immigrate). Ovvio, minuscoli segnali fatti di minuscole cifre. Più o meno le stesse che segnano, all’opposto, il debutto di mestieri del tutto nuovi, figli di una crisi che spinge la fantasia a inventarsi l’impossibile. Prendiamone uno: il 'codista'. Cioè colui che mette in vendita il proprio tempo per sostituirsi ai 'clienti' in una delle più detestate incombenze della vita quotidiana: la coda. Il primo è stato, solo pochi mesi fa, un salernitano trapiantato a Milano, Giovanni Cafaro, laureato in Scienze della comunicazione. Era direttore marketing di un’importante azienda, di colpo s’è trovato a spasso causa chiusura. «Dovevo inventarmi qualcosa – dice ora – alla fine ho provato ad offrire alla gente la chance di utilizzare al meglio ore di vita». Fa la coda ovunque venga richiesto, dalla banca alla Posta all’Agenzia delle entrate al municipio. «Non le dico – precisa – nei giorni dell’Imu...». Costa 10 euro l’ora, regolare ricevuta fiscale. Pare che le cose gli vadano bene, il suo obiettivo è diventare un autentico imprenditore della coda (anche se per ora non vuole sbilanciarsi e dice che è difficile quantificare il guadagno). A Pavia, Napoli e Sanremo altri stanno già percorrendo la stessa strada. Che, a ben pensarci, è la strada di chi rifiuta lo sfascio e con un po’ di fantasia ci mette impegno e coraggio. Fatte le debite proporzioni, potrebbe essere un esempio mica male... |
sabato 1 marzo 2014
L’arrotino, il codista... l’ora di vecchi e nuovi lavori
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