sabato 1 marzo 2014

L’arrotino, il codista... l’ora di vecchi e nuovi lavori

 

L
o scrivano o lo stagnino; l’impagliatore o, per dirne un altro, il burattinaio. Chi se li ricorda? Quando mai capita oggi di ritrovare traccia di quei mestieri su un’insegna, in una strada, nelle chiacchiere quotidiane o in un cercalavoro? Professioni che solo i meno gio­vani hanno incrociato, poi travolte dal muta­mento di usanze gusti costumi, avvenuto di pari passo con la diffusione di più moderni strumenti professionali.
  Quella dei 'mestieri dimenticati' naturalmente non è novità di questi anni. Anche i padri dei nostri padri avevano memorie di cui s’era per-
 sa traccia, lo stesso era stato per i padri dei lo­ro padri, e così via. Anche se oggi in questa im­placabile catena della memoria abbandonata si intravvede qualche novità. La voglia o la ne­cessità di riscoprire l’uso di cose e abitudini perse. Sarà il duro malessere sociale che com­porta un diverso modo di affrontare la quoti­dianità (pensate al tramonto dell’'usa e get­ta'), sarà un rinato desiderio di forme di più bu­colica convivenza, sarà che spesso purtroppo proprio non c’è alternativa... fatto è che spul­ciando tra le indagini di qualche centro ricer­che si ritrovano segni di un ritorno di profes­sioni ormai lontane. Esempio: un piccolo boom di spazzacamini, oggi ce ne sarebbero circa 350, con un incre­mento del 20 per cento in due anni (certo, pa­recchi di loro sono in realtà piccoli imprendi­tori che si occupano di mille cose, tra le quali la pulizia delle canne fumarie). E poi, riecco lo stagnino e l’arrotino (sì, quello che... «donne, è arrivato l’arrotino»): quasi 400 in tutto il Pae­se, concentrati soprattutto in Lombardia ed E­milia Romagna. E le ricamatrici (qualcuna in più rispetto alle 200 di tempo fa) e le sartorie domestiche (spesso avviate da immigrate).
  Ovvio, minuscoli segnali fatti di minuscole ci­fre. Più o meno le stesse che segnano, all’op­posto, il debutto di mestieri del tutto nuovi, fi­gli di una crisi che spinge la fantasia a inven­tarsi l’impossibile. Prendiamone uno: il 'codi­sta'. Cioè colui che mette in vendita il proprio tempo per sostituirsi ai 'clienti' in una delle più detestate incombenze della vita quotidiana: la coda. Il primo è stato, solo pochi mesi fa, un sa­lernitano trapiantato a Milano, Giovanni Ca­faro, laureato in Scienze della comunicazione. Era direttore marketing di un’importante a­zienda,
 di colpo s’è trovato a spasso causa chiu­sura. «Dovevo inventarmi qualcosa – dice ora – alla fine ho provato ad offrire alla gente la chance di utilizzare al meglio ore di vita». Fa la coda ovunque venga richiesto, dalla banca al­la Posta all’Agenzia delle entrate al municipio. «Non le dico – precisa – nei giorni dell’Imu...». Costa 10 euro l’ora, regolare ricevuta fiscale. Pare che le cose gli vadano bene, il suo obiet­tivo è diventare un autentico imprenditore del­la coda (anche se per ora non vuole sbilanciarsi e dice che è difficile quantificare il guadagno). A Pavia, Napoli e Sanremo altri stanno già per­correndo la stessa strada. Che, a ben pensarci, è la strada di chi rifiuta lo sfascio e con un po’ di fantasia ci mette impegno e coraggio. Fatte le debite proporzioni, potrebbe essere un e­sempio mica male... 

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