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Chi di noi non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti lo abbiamo sperimentato, anch’io. Fa parte del cammino della fede, fa parte della nostra vita». Parlando della comunione dei santi, di quell’unità che comprende in sé quanti appartengono a Cristo, il Papa con semplicità si è raccontato uomo e cristiano come gli altri, come noi. Ammissione che non dovrebbe turbare, se si pensa che il pescatore Pietro, chiamato da Gesù a camminare sulle acque del lago di Genesareth, dopo appena due passi, dubitando, cominciò a affondare.
Che ogni cristiano abbia i suoi personali esili e attraversi coni d’ombra, sopraffatto dalla forza di persuasione del mondo, oppure messo al muro dal dolore, è naturale. Che il Papa lo dica apertamente di sé, fa parte di quel modo di porsi cui Jorge Mario Bergoglio ci sta educando. Un modo schietto: così come si parla a tavola, la sera, in famiglia.
C’è una gran forza, dentro a questa semplicità; c’è, al fondo, una fede che non teme di mostrarsi nella sua verità, nemmeno nei momenti di fatica e dubbio. Perché non è un supereroe, un cavaliere invitto e senza macchia, il cristiano secondo Francesco, come non lo è mai nel racconto evangelico. Anzi, quel racconto testimonia spesso come gli apostoli fossero uomini come gli altri: ambiziosi, paurosi, e nell’ora cruciale addormentati, o infedeli. Il punto nella sequela di Cristo non è mai in un merito personale, ma invece nel domandare, mendicare Cristo, perché sia in noi. E camminando e mendicando accade, il tempo del vuoto, o l’ora in cui ci si sente folli, a giocarsi la vita su un Altro che non si vede, non si misura, non si tocca. Il cuore della sfida cristiana è anche in questo misurarsi quotidianamente con un Dio che, pure sempre accanto, pure presente dentro a un pezzo di pane, non si lascia possedere, né algebricamente dimostrare. Ha detto Francesco nella sua intervista a 'Civiltà Cattolica' che incontrare Dio non è un eureka empirico: lo si incontra invece, come il profeta Elia, in una «brezza leggera». E, ha aggiunto, «in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. (..) Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili». Metteva in guardia, Francesco, dal cercare «solamente un dio a nostra misura». E indicava invece la strada di Agostino: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre.
In un pellegrinaggio costantemente teso più oltre, e mai definitivamente appagato. Mentre nei corsi e ricorsi della nostra vita di uomini e donne si affacciano la sconfitta, la sofferenza, la morte, e possono allargare il loro buio fino, anche noi come Pietro, a farci quasi affondare; oppure, quando tutto va bene, la distrazione ci governa, e Dio? Dio, diventa una variabile non fondamentale.
Accade, di cercare Dio a tentoni, nell’ombra; di attenderlo lungamente, di restare sospesi in una sua apparente eclisse. Per qualcuno è il dubbio, per altri quell’ora si allarga in un buio che sembra infinito, come testimoniano i mistici, da Teresa di Lisieux a Teresa di Calcutta. (E si direbbe quasi, a leggere gli scritti di quest’ultima, che il buio sia tanto più denso quanto più assoluta è la domanda.) Ma, tornando a noi cristiani 'normali', quante volte davanti al dolore innocente sospettiamo di Dio, e non gli perdoniamo che lasci che certe cose accadano. Lo scandalo del male genera dubbio, e ci si riconcilia poi a fatica solo ammettendo che altre sono le vie di Dio dalle nostre, altri i pensieri.
Davvero, come dice Francesco, la fede è andare, camminare, fare, cercare, vedere…: «Entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio». Umana avventura, prestar fede all’annuncio di Betlemme, e interrogarsi, tentennare, dubitare, rialzarsi. Ogni volta sapendo un po’ di più, sapendo nella carne, che il buio è una apparenza, e che la promessa è vera.
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