sabato 5 ottobre 2013

BELLA E SCOMODA, CI CHIEDE DI CAMBIARE DAVVERO - LA VIA DI FRANCESCO


È bella e scomoda la via di Francesco. Stare nel mondo senza cedere allo “spirito del mondo”. Spogliarsi di quella «monda­nità », spirituale e pratica, con ovvia fatica e con serena gioia. Per­ché è così che si arriva a scegliere, per libertà e responsabilità, la parte giusta: quella di Dio e dell’uomo, cioè i poveri, quelli senza denaro e quelli senza voce. La via parte, passa e ritorna sempre in un “luogo” che non è solo città e non è soltanto questa città d’Umbria: Assisi e ciò che Assisi da secoli, nonostante errori e o­missioni, dimenticanze e soprassalti, grazie a quel suo santo fi­glio chiamato Francesco, continua a dire ai cristiani e anche a chi cristiano non è.
  È bella e scomoda la via di Francesco. E nessun cristiano può pen­sare di percorrerla per procura. Magari per una sorta di delega, an­che solo mediatica, data al Papa o ai cardinali. È proprio papa Fran­cesco a dircelo, proprio ad Assisi, con un sorriso che impegna di­rettamente ognuno di noi allo spasimo, ma non ridimensiona in alcun modo, anzi con ogni gesto e parola conferma, che l’esempio deve venire dall’alto, e ancora di più nella Chiesa.
  Bisogna spogliarsi delle sicurezze della «fede secondo me» e della «vita secondo il mondo» e decidersi, tutti, a guardare e toccare sen­za ritrosie il cuore e le piaghe della nostra concreta umanità di og­gi, dice il Papa. C’è da convertirlo quello strano cuore opulento e «selvaggio». E i piagati, coloro che in molti modi sono tenuti o fi­niscono ai margini, i “periferici”, meritano di essere abbracciati e curati con speciale dedizione, alla scuola di un Santo che si fece pic­colo e capovolse davvero la propria esistenza, la riempì di povertà e di letizia e consegnò a Cristo non solo le vesti da ricco, ma la sua stessa carne.
  Sì, è bella e scomoda la via di Francesco, la via della spoliazione. E riguarda tutta la Chiesa, ma proprio tutta, «dal primo battezzato» all’ultimo. Perché, scandisce piano, con la semplicità che non con­sente alibi e non fa sconti ad alcuno, papa Francesco, «la Chiesa sia­mo tutti». E davanti a questa verità elementare, eppure non sem­pre alimentata a dovere nella consapevolezza del popolo di Dio, nes­sun cristiano – laico o consacrato, sacerdote o vescovo – può illu­dersi di chiamarsi fuori. È questa la via della spoliazione, che papa Francesco – indossando solo quel nome e la croce sulla veste bian­ca – ha cominciato a vivere e a predicare al cospetto di tutta la ter­ra e di tutti i popoli dal giorno dell’elezione a Vescovo di Roma e a Pastore della Chiesa universale. È la via dell’adesione a Cristo, spo­gliato e umiliato in tutto, crocifisso e risorto. E il Papa la indica di nuovo dal luogo più simbolicamente proprio, la Sala della Spolia­zione del Vescovado di Assisi, dove un figlio del suo tempo che era ricco e di successo rinunciò, accolse e fu accolto. E come san Fran­cesco, il Papa
 ha detto con voce sommessa e parole tonanti dentro le nostre vite, ma solo dopo aver fatto,cioè dopo aver dato, nell’in­contro a uno a uno, un’attenzione personale e vera ai poveri in car­ne e ossa. E chi era lì, in silenzio, ad ascoltare ha sentito chiedere di rinunciare a qualcosa di comodo e di successo (e alle logiche e agli strumenti ingiusti che tutto questo propiziano solo per alcu­ni) davanti a persone che già sono “senza”: senza lavoro, senza sa­lute, senza forza, senza patria, senza soldi. Donne e uomini, in­somma, già «spogliati da questo mondo selvaggio», come ha pian­to il Papa tornando con la parola e la preghiera anche agli ultimi morti di Lampedusa. Donne e uomini che apparentemente nien­te più hanno da perdere o da donare. Eppure parlava anche a loro, Francesco, dell’esigente spoliazione che può e deve dare senso al­la vita delle persone, delle famiglie e delle comunità cristiane. Per­ché loro sono noi, e noi siamo loro. Ed è così sebbene lo neghiamo in molti modi, ma non perché la ruota del mondo gira e le parti pos­sono invertirsi, bensì perché lo «spirito del mondo» – vanità, orgo­glio, cupidigia, idolatria – maltratta e persino «uccide» come «can­cro e lebbra», dice il Papa, ma non cambia la realtà di figli che ci ac­comuna, ci libera e, da cristiani, ci incammina con Gesù e ci im­pone di non servirne il «nemico».
  Chi si aspettava che Francesco ad Assisi regalasse titoli a effetto, sarà magari un po’ deluso. Chi vede e sa l’effetto che la spoliazione vis­suta e predicata dal Papa sta avendo su chi ama Dio e lo cerca, su chi ama l’uomo e lo rispetta, sente il peso del mandato e la grati­tudine.
  MARCO TARQUINIO

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