Quel fuoco acceso su una barca gremita a forse un miglio da terra, era uno struggente segnale nel buio: siamo qui, siamo in tanti, aiutateci. Ma sul ponte bagnato di benzina le fiamme hanno attecchito subito, voraci, incollandosi ai vestiti, ai giubbotti dei naufraghi. E nella calca spaventevole – le madri, ve le immaginate le madri che cercavano di tenersi stretti i bambini? – fra le urla, nel riverbero infernale delle fiamme, il barcone ha oscillato paurosamente e si è capovolto.
E di nuovo grida strazianti, e implorazioni in lingue diverse, e straniere; sempre più flebili, e poi più nulla. «Non sappiamo dove mettere i morti», piangevano ieri i soccorritori a Lampedusa. Già, è davvero molto piccolo quell’estremo scoglio d’Italia, per un simile battaglione di morti. E noi si resta zitti davanti alla tv a guardare l’ultima strage, e le fila di cadaveri composti nei sacchi sul molo dell’isola; si resta zitti per pietà e sgomento, e non avendo parole, e nemmeno poi sapendo che cosa concretamente potrebbe fermare questi massacri.
Eppure, mentre si proclama il lutto nazionale, scopri, scorrendo i commenti dei lettori su un sito online molto frequentato, che c’è un’Italia che guarda a quei morti con tutt’altro sguardo. A metà pomeriggio l’intervento più votato è quello di un lettore che si firma Skinsteal e che scrive: «Mentre gli incompetenti di Roma si preoccupano a tirare a campare e mantenere il sedere caldo sulle loro poltrone, noi assistiamo all’invasione di "migranti" senza fiatare. Siamo un Paese F I N I T O». Alle 18 erano più di trecento le adesioni a questo commento, il più votato. E certo, molti lettori di quel sito online hanno risposto con durezza a Skinsteal; meno, però, di quanti ne condividono il giudizio.
Perché la verità è che nel ventre di questa Italia dell’ottobre 2013, di fronte a un’ecatombe di essere umani, c’è chi si preoccupa, invece, di quanti sono scampati: «Il problema adesso sono i sopravvissuti che dovremo mantenere a nostre spese. 50 euro al giorno se non mi sbaglio. C´è qualche buonista che è disposto a farsi prelevare 50 euro ogni giorno?», scrive un tale che si firma "Genuino", e raccoglie una dozzina di "mi piace".
Così nella pancia dell’Italia, quelle che si confessa on line protetta dall’anonimato, in un giorno di tragedia si avverte che la pietas cristiana non è più così del tutto condivisa.
Né sembra, il dibattito sul web, ordinabile in un sentire di destra o di sinistra, ma invece in un confuso vociare carico di paura e di rabbia: rabbia perché ci si sente più poveri, e si teme che "quei là" vengano a strapparci ciò che ci resta; paura di facce e lingue nuove, come se temessimo di essere, in una tale babele, cancellati. C’è un’Italia che anche davanti a centinaia di morti grida alla "invasione". Mentre altre voci certo, ma meno numerose, domandano pietà, e che ci si ricordi che siamo anche noi, da secoli, migranti; mentre il mondo dell’associazionismo cattolico e laico reagisce con la prontezza e la generosità di sempre.
Eppure, troppo forte è il contrasto fra quei corpi allineati a Lampedusa e questo brusio di commenti cinici. Come dettati da una impossibilità assoluta di concepire da cosa si fugga, da quale violenza e miseria, per imbarcarsi con i figli su una carretta sfasciata e sfidare la morte (perché, restando, per molti la morte sarebbe semplicemente una certezza). E dunque, meglio salire su quelle barche, stringersi a centinaia, navigare nel buio, pregare, e intravedere infine le luci della terra. E allora eccitati, credendo d’esser salvi, accendere un fuoco per dire: siamo qui, salvateci. E il fuoco invece, che in un istante divora.
"Chi ha pianto?", aveva chiesto il Papa a Lampedusa, alludendo agli ultimi morti. E certo essere addolorati è poco, e non salva vite umane, ma almeno testimonia una compassione e una solidarietà fra uomini. Ciò che si muove anonimo nelle viscere del web è invece anche altro: una grettezza, una eclisse di pietà cui trent’anni fa non avremmo creduto. Qualcosa, come ci dice ancora il Papa, di cui davvero vergognarci.
Oggi, festa di san Francesco patrono d’Italia, con il Papa ad Assisi, è lutto nazionale. Un sovrapporsi di date doloroso e singolare, che quasi turba. Pregheremo per quei poveri migranti. Ma, se un certo sguardo si va diffondendo, quanto poveri, in verità, anche noi.
E di nuovo grida strazianti, e implorazioni in lingue diverse, e straniere; sempre più flebili, e poi più nulla. «Non sappiamo dove mettere i morti», piangevano ieri i soccorritori a Lampedusa. Già, è davvero molto piccolo quell’estremo scoglio d’Italia, per un simile battaglione di morti. E noi si resta zitti davanti alla tv a guardare l’ultima strage, e le fila di cadaveri composti nei sacchi sul molo dell’isola; si resta zitti per pietà e sgomento, e non avendo parole, e nemmeno poi sapendo che cosa concretamente potrebbe fermare questi massacri.
Eppure, mentre si proclama il lutto nazionale, scopri, scorrendo i commenti dei lettori su un sito online molto frequentato, che c’è un’Italia che guarda a quei morti con tutt’altro sguardo. A metà pomeriggio l’intervento più votato è quello di un lettore che si firma Skinsteal e che scrive: «Mentre gli incompetenti di Roma si preoccupano a tirare a campare e mantenere il sedere caldo sulle loro poltrone, noi assistiamo all’invasione di "migranti" senza fiatare. Siamo un Paese F I N I T O». Alle 18 erano più di trecento le adesioni a questo commento, il più votato. E certo, molti lettori di quel sito online hanno risposto con durezza a Skinsteal; meno, però, di quanti ne condividono il giudizio.
Perché la verità è che nel ventre di questa Italia dell’ottobre 2013, di fronte a un’ecatombe di essere umani, c’è chi si preoccupa, invece, di quanti sono scampati: «Il problema adesso sono i sopravvissuti che dovremo mantenere a nostre spese. 50 euro al giorno se non mi sbaglio. C´è qualche buonista che è disposto a farsi prelevare 50 euro ogni giorno?», scrive un tale che si firma "Genuino", e raccoglie una dozzina di "mi piace".
Così nella pancia dell’Italia, quelle che si confessa on line protetta dall’anonimato, in un giorno di tragedia si avverte che la pietas cristiana non è più così del tutto condivisa.
Né sembra, il dibattito sul web, ordinabile in un sentire di destra o di sinistra, ma invece in un confuso vociare carico di paura e di rabbia: rabbia perché ci si sente più poveri, e si teme che "quei là" vengano a strapparci ciò che ci resta; paura di facce e lingue nuove, come se temessimo di essere, in una tale babele, cancellati. C’è un’Italia che anche davanti a centinaia di morti grida alla "invasione". Mentre altre voci certo, ma meno numerose, domandano pietà, e che ci si ricordi che siamo anche noi, da secoli, migranti; mentre il mondo dell’associazionismo cattolico e laico reagisce con la prontezza e la generosità di sempre.
Eppure, troppo forte è il contrasto fra quei corpi allineati a Lampedusa e questo brusio di commenti cinici. Come dettati da una impossibilità assoluta di concepire da cosa si fugga, da quale violenza e miseria, per imbarcarsi con i figli su una carretta sfasciata e sfidare la morte (perché, restando, per molti la morte sarebbe semplicemente una certezza). E dunque, meglio salire su quelle barche, stringersi a centinaia, navigare nel buio, pregare, e intravedere infine le luci della terra. E allora eccitati, credendo d’esser salvi, accendere un fuoco per dire: siamo qui, salvateci. E il fuoco invece, che in un istante divora.
"Chi ha pianto?", aveva chiesto il Papa a Lampedusa, alludendo agli ultimi morti. E certo essere addolorati è poco, e non salva vite umane, ma almeno testimonia una compassione e una solidarietà fra uomini. Ciò che si muove anonimo nelle viscere del web è invece anche altro: una grettezza, una eclisse di pietà cui trent’anni fa non avremmo creduto. Qualcosa, come ci dice ancora il Papa, di cui davvero vergognarci.
Oggi, festa di san Francesco patrono d’Italia, con il Papa ad Assisi, è lutto nazionale. Un sovrapporsi di date doloroso e singolare, che quasi turba. Pregheremo per quei poveri migranti. Ma, se un certo sguardo si va diffondendo, quanto poveri, in verità, anche noi.
Marina Corradi
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