L’interesse per l’uomo è il cuore del lungo dialogo tra Papa Francesco ed Eugenio Scalfari. Più
ancora ne è la ragione, l’inquietudine. Il non credente legge l’enciclica e pone un interrogativo di
fondo al nuovo pontefice: chi non ha fede sarà perdonato alla fine dei tempi? Se ricerca verità
relative, non credendo nell’assoluto, ciò sarà considerato un errore o un peccato? Qual è dunque lo
status del non credente per il Papa di Roma, che ruolo assegna al libero pensiero, alla sua ricerca
autonoma e indipendente, e in quale misura si sente interpellato da tutto questo?
La decisione di rispondere da parte di Jorge Bergoglio è già in sé una manifestazione di interesse e
di attenzione senza precedenti. Non c’era mai stata una lettera di un Papa a un giornale. Scegliendo
di scriverla, Francesco sceglie anche di interloquire con una platea più vasta ed anomala rispetto
all’uditorio costituito dei fedeli: è come se decidesse di passare dal popolo cristiano alla pubblica
opinione, un soggetto distinto, autonomo, moderno, soggetto attivo e protagonista delle democrazie
occidentali.
La decisione di dialogare, dunque, è un messaggio in sé, è portatrice di significato, fa il giro del
mondo. Scalfari è scelto dal nuovo Papa come il rappresentante di un universo esterno alla Chiesa,
ma un universo che lo interessa, che lo raggiunge, di cui si sente in qualche modo responsabile. E
qui c’è la seconda sorpresa, che è il secondo messaggio. Perché il Papa sceglie la strada del dialogo,
dichiara subito che intende avviare un percorso di confronto per tentativi, tappe, incontri. Qualcosa
di impegnativo, fuori dai canoni, dall’ufficialità, dalla meccanica curiale. Il Papa si sente investito
dalle domande, dall’interlocutore, dall’occasione. Pensa che insieme si possa andare avanti a
cercare, a scambiare porzioni di verità, forse a capire. Insieme. E qui, si arriva al contenuto, che è il
terzo messaggio ed è ancora una sorpresa. Leggendo la lettera, quel pomeriggio in cui è arrivata a
Scalfari, ho avuto la sensazione che il Papa fosse pervaso da un fortissimo interesse spirituale ma
soprattutto intellettuale per la discussione che si stava avviando, quasi spinto dall’urgenza degli
argomenti da mettere in campo, guidato dal desiderio autentico di quella ricerca comune. Il centro
del suo discorso, l’urgenza che lo domina, è Gesù Cristo, Dio fatto uomo e poi risorto. Ma di fronte
al non credente — e quasi insieme con lui — il Papa ripete la domanda del Vangelo quando Gesù ha
calmato il mare fermando i venti e la tempesta: «Chi è costui?» E la risposta di Francesco spiega da
sola le ragioni del dialogo. Perché l’autorità di Gesù non vuole esercitare un potere sugli altri, ma
vuole servirli, dice il Papa, e dare loro libertà e pienezza di vita.
Chi sono questi altri? Sono forse i credenti soltanto? Con ogni evidenza sono gli uomini, con i loro
limiti e i loro errori, la loro incompiutezza e la tensione verso la bellezza, con la loro speciale
(diversa per ognuno, ma intima e autentica) concezione del bene e del male, insomma con la loro
speciale “umanità”. Ecco perché il Papa dà non soltanto ascolto, ma pari dignità al non credente e
alla sua ricerca di significato per il mondo che ognuno di noi attraversa durante la sua esistenza. È il
riconoscimento implicito che anche senza il legame con il trascendente — che per Francesco è
ovviamente centrale e domina la sua vita — l’esperienza terrena può trovare un suo senso e la sua
dignità più alta, quella appunto che sta nei limiti e nell’eccezionalità dell’“umano”.
Il Papa compie qui quello che a me sembra un vero atto di fede nell’uomo. Dice infatti a Scalfari,
sciogliendo il nodo di fondo di questo dialogo, che la vera questione per chi non crede in Dio sta
nell’obbedire alla propria coscienza, perché il peccato, anche per chi non ha fede, si compie quando
si va contro la coscienza. La coscienza può dunque essere la guida dell’uomo e la sua misura, la
risorsa e il riferimento. È un riconoscimento senza precedenti, da parte di un Papa, della possibilità
di autonomia morale e spirituale del libero pensiero laico, che troppi relegano in una posizione di
minorità sostenendo che senza il legame col trascendente non sarebbe in grado di garantire i
presupposti che afferma. Nell’intervista che prosegue e sistematizza il confronto, il Papa si muoverà
invece ancora su questa nuova strada, ricordando che non esiste un Dio cattolico, esiste Dio, e «tutta
la luce sarà in tutte le anime». E aggiunge che la grazia non fa parte della coscienza ma la precede, perché non è sapienza o ragione, ma «la quantità di luce che abbiamo nell’anima ». Tutti, compresi i
non credenti.
Il dialogo che raccogliamo qui, nello scambio di lettere, nel testo dell’intervista, nei commenti di
intellettuali laici, uomini di Chiesa, teologi — è avviato, partendo da posizioni distinte, che restano
ferme e nette. Ma dopo questa testimonianza di fiducia nell’uomo da parte di Francesco si può
camminare insieme.
di Ezio Mauro - la Repubblica” del 10 ottobre 2013
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