domenica 27 ottobre 2013

Le due luci di Paolo un ritratto della Chiesa


Siamo a un passo dalla chiusura dell’Anno della Fede. E di fede abbiamo molto bisogno di fronte alle problematiche emergenti che vanno dai grandi problemi etici ai naufragi dei profughi che si avventurano per il Mediterraneo, fino al problema mai risolto delle carceri trasformate per troppi in disumani luoghi di tortura. Amnistia? Abolizione del reato di clandestinità? Percepiamo tutti che tali cose non risolvono il problema, ma che occorre una riflessione più profonda sugli eventi. E che bisogna fare un bilancio per poi ripartire. Non a caso l’inizio dell’enciclica Lumen fidei iniziata da Papa Benedetto, completata, fatta propria e firmata da papa Francesco, ci spinge a una sorta di bilancio della fede. La fede che è descritta e vissuta da tanti come antinomia della luce e che finisce «per essere associata al buio», la fede che è luce che rischiara. Il dialogo di papa Francesco con i laici del nostro tempo induce tutti noi a prendere sul serio le sfide di coloro che – seguendo il dettato dei filosofi del Novecento – percepiscono la fede in opposizione alla ricerca esistenziale dell’uomo.
  Se dovessi fotografare la Chiesa in questo momento storico preciso userei un dipinto bellissimo di Rembrandt che ritrae san Paolo nel suo domicilio coatto di Roma. Un Paolo in carcere, in attesa di giudizio, un Paolo reduce da viaggi in cui ha sperimentato di tutto: fame, privazioni, naufragi, percosse. Un’immagine di Chiesa profondamente coinvolta nei drammi dell’uomo comune. Come è la nostra, oggi.
  L’Apostolo, ritratto da Rembrandt, si trova fra due luci, le stesse di cui parla il Papa nella
 Lumen fidei. Una luce, a sinistra, viene dall’alto: è la luce di una lampada necessaria per scrivere, dato che Paolo è colto mentre è seduto davanti allo scrittoio. L’altra luce invece è radente e calda e sembra provenire dalla finestra di un abbaino. È la luce del tramonto che getta gli ultimi bagliori infuocati sul carteggio di Paolo rivolto alle Chiese. Le lettere di Paolo ai 'suoi' cristiani si trovano in ombra. Un’ombra che sembra simboleggiare tutte la difficoltà che quelle Chiese incontrano dentro a un mondo pagano. Per lo sforzo immane di tali sfide, Paolo sembra sul punto di cedere: la luce di sinistra ci rivela una mano che ha abbandonato la penna e cade inerte. L’Apostolo ha già detto tutto, ora non gli resta che essere sciolto dalle catene di questo mondo e congiungersi a Cristo. Ma è l’altra luce che inaspettatamente rivela la mano sinistra di Paolo, quella che con vigore si appoggia al desco sulle nocche, come sogliono fare gli anziani e, raccolte tutte le forze, decide di avanzare ancora, di giocare l’ultima carta fino a che il popolo di Dio sia formato nella misura della maturità di Cristo. Vedo i nostri due Papi in queste mani: la mano abbandonata di Benedetto che ha scelto la via del nascondimento e della preghiera, tanto necessaria all’uomo d’oggi, e la mano indomita di Francesco che, pur consapevole della croce cui va incontro, è deciso a raccogliere le forze e affrontare tutte le sfide. E noi siamo lì, nel cono d’ombra che avvolge il carteggio, sollecitati dall’una e dall’altra luce, sopraffatti dal buio di molti interrogativi insoluti. Accettiamo questa oscurità, fa parte della fede, ma afferriamo una delle due mani, quella con cui lo Spirito ci spinge, e rimaniamo uniti.
  Sorgerà un’alba nuova, la stessa sorta all’indomani del sacrificio dell’Apostolo delle genti. La luce di una nuova visione cristiana del mondo e della storia.
  
MARIA GLORIA RIVA

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