mercoledì 4 giugno 2014

Lasciamo che i figli facciano casino (anche al ristorante e in chiesa) sconvolgendo la nostra misura

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«Nel ventre tuo si raccese l’amore» (Paradiso, canto XXXIII)
Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. È stato ovvio pensare a questo passo evangelico quando qualche tempo fa, trovandomi in una pizzeria, ho visto un cameriere che educatamente informava una famiglia (composta da genitori e tre figli piccoli) che non c’era posto, salvo poi far giovialmente accomodare una compagnia di 7 adulti (che non avevano prenotato, occorre precisarlo). Poi ho scoperto che c’è un vero e proprio trend, ed esistono i locali «no kids» o «childfree»; espressioni entrambe abominevoli.
Comunque, ogni esercente è libero di usare la propria strategia di mercato e sono convinta che, al di là della fuffa di certi discorsi (del tipo: il ristorante non è un luogo adatto all’esuberanza dei bambini), il punto nodale sia il consumismo: qui lo dico e qui lo confermo, la famiglia è l’antidoto naturale allo spreco. Ne consegue che l’avventore adulto e solitario sia un ottimo cliente. Ma, dicevo, l’esercente faccia pure i suoi calcoli. Resto, invece, un po’ più perplessa quando in chiesa alcuni preti storcono il naso alla presenza esuberante dei bambini.
Su questo sono armata fino ai denti; perché è senz’altro giusto che i genitori educhino la prole a distinguere i contesti in cui si trovano, ma fino a un certo punto. Mi limito a esprimere il mio parere per via di paradosso, dicendo che il grido fastidioso dei bambini sarà l’unica campana che ci resterà, quando abbatteranno i nostri campanili.
In molti deridono il cristiano che prega, perché non lo capiscono; e in molti casi è lo stesso cristiano ad avere le idee annebbiate su cosa fa quando prega. Ma tutti capiamo le risate e gli strilli dei bambini: sono i richiami scomposti di un figlio verso il mondo e verso il padre. Ecco, chi ci spiega la preghiera. Lasciamo che facciano casino. Quando si dice che la famiglia è disposta ad accogliere la vita, non si sta facendo catechismo sugli anticoncezionali. Ogni gravidanza – anche quando è desiderata – resta indesiderata, cioè non c’entra coi propri desideri, perché significa acconsentire al casino. Significa godere del fatto che la vita non è un monologo di cui il tuo ego è il regista, ma una trama il cui canovaccio ti chiede di improvvisare, di intraprendere qualcosa che non puoi preventivare. È un furto generoso accettare la misura imprevedibile della vita, come scrive Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato: «E se toccasse a te farmi scoprire il significato di quelle cinque lettere assurde [mamma]? Proprio a te che mi rubi a me stessa e mi succhi il sangue e mi respiri il respiro?».
Mi scrive una dottoressa, portando alla mia attenzione il caso di un medico che, avendo sbagliato la prescrizione di un anticoncezionale, ha causato un «danno» alla paziente: è rimasta incinta. Alla fine, il medico dovrà pagare: il giudice attribuisce alla famiglia del concepito il diritto a pretendere il costo delle spese che sarà necessario affrontare per il suo mantenimento, fino al raggiungimento della sua indipendenza economica. Ho risposto alla dottoressa che se s’imbatterà in casi simili, apriremo insieme un asilo. E lei, che è più creativa di me, ha già coniato il nome: «Bambini a sorpresa». In tempi di indolenza ed egoismo, facciamo mattate. Annalisa Teggi

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