Sabato 7 giugno, nel Duomo di Milano, l’Arcivescovo, cardinale Angelo Scola, ha presieduto la celebrazione eucaristica nella quale ha ordinato 25 nuovi presbiteri ambrosiani. Un gruppo eterogeneo, quello dei preti novelli, il più giovane dei quali ha 24 anni, mentre due hanno superato i 50. Il loro motto era tratto dal Vangelo di Giovanni (13,34), «Come io ho amato voi», mentre come immagine hanno scelto un particolare del Crocifisso di Arcabas, conservato nella parrocchia Espiritu Santu di Portoviejo, in Ecuador.
https://www.youtube.com/watch?v=PVY1rgImRgk
Ordinazioni presbiterali
1 Pt
5,1-7; Sal 135; Col 3,12-17; Gv 13,31-35
Duomo di Milano, 7 giugno 2014
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Eminenza,
Eccellenze,
Carissimi presbiteri e diaconi,
Religiosi e religiose,
Sorelle e fratelli in Cristo Gesù,
con cuore commosso e grato intendo anzitutto ricomprendere, in questa
azione eucaristica alla Santa Trinità, il mio grazie ai Superiori e alla
comunità seminaristica, ai familiari, parenti, amici e conoscenti, alle
comunità di provenienza di questi giovani e agli ambiti di cura pastorale cui
sono stati destinati.
La mia gratitudine però va anzitutto a questi 25 uomini per il tenace
coraggio della loro scelta che brilla luminosa agli occhi di tutti gli
ambrosiani.
1. «Egli ha
cura di voi» (Lettura, 1 Pt 5,7).
Ascoltare queste parole dell’apostolo Pietro ci fa bene. Se c’è una cosa che ci
tieni uniti, che brucia ogni distanza tra di noi – qualunque sia la nostra età,
la nostra cultura, la nostra professione e condizione sociale – è proprio
questa: abbiamo bisogno di Qualcuno che si prenda cura di noi. Chi mi as-sicura è la domanda profonda che
nessuno potrà mai sradicare dal cuore dell’uomo. Ma non basta una cura
qualsiasi. La cura che il nostro cuore desidera è quella che non lascia fuori
nulla di noi: l’esperienza dell’essere amati e dell’amare, il desiderio di
lavorare ed edificare la città di tutti, il bisogno di riposare e far festa,
quello di educare e la necessità di portare il peso del male fisico e di quello
morale. Inoltre ci as-sicura solo una custodia del nostro io, che non sia
intaccata dal logorio del tempo, che sia per sempre.
Chiediamoci, carissimi: questo nostro anelito può
trovare compimento? Basta passeggiare per le vie delle nostre città, sfogliare
il giornale o guardare le immagini che ci arrivano da ogni dove, perché si
affacci insidioso il dubbio che una tale “cura” sia concretamente praticabile.
Il miglior antidoto a questo dubbio che si insinua,
con maggiore o minor forza, nel nostro cuore è considerare attentamente il
fatto che questa mattina siamo usciti dalle nostre case per convenire qui, in
Duomo, ad accompagnare nella preghiera e nell’affetto questi uomini che vengono
eletti e ordinati presbiteri per il servizio del Popolo di Dio. L’abbiamo fatto
solo per affetto verso di loro? La nostra presenza così intensa a questa
assemblea eucaristica dice assai di più. Lo affermo per esperienza diretta: uno
dei momenti più intensi e commoventi del ministero del Vescovo è proprio quello
in cui, mediante l’ordinazione, accoglie in comunione paterna il dono dei nuovi
sacerdoti.
Sì, Dio nella sua imponente presenza al quotidiano
della storia ha cura di noi. E il dono dello Spirito del Risorto, nell’ormai
imminente solennità di Pentecoste, che con gemiti inenarrabili porge al Padre
la nostra impacciata preghiera è di questo alta garanzia.
2. «Pascete il
gregge che Dio vi ha affidato… come piace a Dio… con animo generoso… facendovi
modelli del gregge» (Lettura, 1 Pt
5,2-3). L’Apostolo Pietro descrive il contenuto di questa cura di Dio per
il Suo popolo facendo ricorso all’immagine che sia Israele, sia lo stesso Gesù
hanno usato per descrivere il Signore che si fa carico dei Suoi figli: è l’immagine
del pastore, del Buon Pastore.
«Pascere il
gregge di Dio come piace a Dio»: con queste parole ci viene offerta la
chiave per addentrarci nell’essenza del presbiterato. Per scoprire cosa
significhino c’è un’unica strada: contemplare Gesù Cristo, il Crocifisso
Risorto. Lo ha ricordato Papa Francesco nel suo recente incontro con i Vescovi
italiani. Cristo è il «bene che nessuno
può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. […] essa è manto di
consolazione più grande di ogni amarezza; è metro di libertà […] è fonte di
gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a contemplarne la
presenza in tutto e in tutti» (Papa Francesco, Discorso alla CEI, 19 maggio 2014).
Colui che è nello stesso tempo Buon Pastore e
Agnello immolato, cioè sacerdote, vittima ed altare ci chiede di assimilarci a
Lui per diventare una sola cosa con Lui in favore di tutto il popolo.
Giova però ricordare, carissimi ordinandi, che l’essenza
del nostro ministero non è alla nostra portata. Siamo chiamati e scelti per
compiere un ministero esorbitante per le nostre forze. Non è questione né di
capacità, né di generosità: qui c’è veramente dell’altro, molto di più !
Il Concilio Vaticano II lo insegna con precisione
nel numero 2 del decreto Presbyterorum
Ordinis: «il sacerdozio dei
presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell'iniziazione cristiana – un
inciso importante perché il presbitero è anzitutto un cristiano –, viene conferito da quel particolare
sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito
Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo
sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della Chiesa» (PO
2). È in forza del dono sacramentale che oggi ricevete che siete configurati a
Cristo non per sostituirlo – sarebbe folle oltre che impossibile! – ma per
agire in Suo nome: perché Egli stesso continui ad agire, attraverso la nostra
povera persona, donandosi come Pane della Vita nell’Eucaristia e misericordia
del Padre nella penitenza. I presbiteri, infatti, rappresentano
sacramentalmente Cristo nella comunità. Tramite il loro ministero lo stesso
Gesù Cristo nello Spirito si fa presente sacramentalmente nell’oggi della
storia.
Siamo solo dei mandati. Siamo co-agonisti, non
protagonisti. Non dimentichiamolo mai!
Si capisce bene, allora, il titolo scelto da San
Giovanni Paolo II per il libro scritto in occasione del 50° del suo sacerdozio Dono e mistero. Due profondissime parole
che radicano la nostra vocazione e la nostra missione in un Oltre, in un Altro.
Abbiamo di recente assistito sia alla canonizzazione di San Giovanni Paolo II e
di San Giovanni XXIII, sia all’annuncio dell’imminente beatificazione di Paolo
VI. Prego, preghiamo perché la paternità di questi tre santi pastori che hanno
consegnato la vita, senza risparmiarsi per il bene della Chiesa, vi accompagni
lungo tutta la vostra vita sacerdotale.
3. Abbiamo già detto che la cura pastorale dei
presbiteri, come «necessari collaboratori
e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e
governare il popolo di Dio» (PO 7), propri dell’ordine episcopale, ha come
orizzonte la crescita e la vita del popolo di Dio, segno e strumento di
salvezza per tutti i nostri fratelli uomini.
Questa vita, infatti, è il frutto della
glorificazione che, nella morte e risurrezione di Gesù, il Padre ha fatto del
Figlio nello Spirito: «Ora il Figlio dell’uomo
è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato
glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà
subito» (Vangelo, Gv 13,31-32),
abbiamo ascoltato nel Santo Vangelo.
Riflettiamo: nel tradimento
Gesù è glorificato ed è glorificato subito.
Il mistero della gloria di Cristo è nel dono totale di sé che tutto accetta. La
gloria è già tutta nel Crocifisso.
E dalla gloria di Cristo viene la gloria della
Trinità. Essa si manifesta a tutti nella storia dell’umanità attraverso il
comandamento nuovo dell’amore: «Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli. Se avete amore gli uni per gli altri»
(Vangelo, Gv 3,13,35). È
impressionante l’insistenza dell’evangelista: tutti sapranno. L’amore fraterno, la carità, infatti, è un linguaggio
accessibile ad ogni uomo: ecco perché non esistono lontani! Anche colui che
apparentemente sembra il più separato dalla Chiesa comprende immediatamente il
linguaggio della carità. Realmente come ci ha ricordato Benedetto XVI la carità
legittima la verità. La descrizione dell’incontro tra il cardinale Federigo e l’Innominato,
che abbiamo potuto gustare in tutta la sua bellezza durante la Professio fidei dell’8 maggio, esprime
magistralmente questa evidenza.
4. La carità si fa trama di rapporti e sostanza
della vita quotidiana nell’esistenza feriale della comunità cristiana a cui
servirete come presbiteri. Le parole dell’Epistola descrivono con efficacia
questo stile di vita che vi supplico di domandare ogni mattina con speciale
tenacia: «Rivestitevi dunque di
sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri,
se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore
vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi
della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di
Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo
corpo. E rendete grazie!» (Epistola,
Col 3,12-15). Sono questi i segni del
Dio vicino. Gli uomini e le donne che abitano il campo del mondo li aspettano
come il seme buono che darà frutto.
5. Carissimi, nel cammino che oggi iniziate col dono
del sacramento dell’ordine non sarete mai da soli. Con una bellissima
espressione il decreto Presbyterorum
ordinis dice che i presbiteri sono «segregati
in seno al popolo di Dio» (PO 3). “In seno”, non “dal seno”. Tutta la
vostra vita si svolgerà nel seno del popolo di Dio, fratelli tra fratelli, come
collaboratori del Vescovo e nella comunione con tutto il presbitero per il bene
di tutti. Questi rapporti costitutivi – col Vescovo, con gli altri presbiteri,
con tutti i fedeli – vissuti, in favore di tutti gli uomini, sono ormai l’alveo
sicuro della vostra vita.
Vi affidiamo alla solerte protezione di Maria
Santissima, Mater sacerdotum. Amen.
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