sabato 14 giugno 2014

Socci: «Cosa mi ha insegnato la limpidezza e la semplicità di Chiara Corbella, testimone di una fede vera»

chiara corbella
«C’è un giardino nel mondo dove fioriscono queste meraviglie. (…) Dove accadono cose stupende, inimmaginabili altrove. In quel giardino Gesù passa davvero, affascina e chiama anche questa generazione e noi vediamo i figli diventare gli amici del Salvatore del mondo. Sono invisibili ai media, ma grandi agli occhi di Dio». Così il giornalista e scrittore Antonio Socci parlò della storia di Chiara Corbella Petrillo, la giovane 28enne romana morta il 13 giugno del 2012, che scelse di non curare il tumore sviluppato durante la terza gravidanza per non mettere a rischio il figlio. Chiara aveva già dato alla luce due bambini, sapendo che sarebbero vissuti solo poche ore e ai suoi funerali la Chiesa, per voce del cardinale Agostino Vallini, si espresse definendola una «seconda Beretta Molla».
socci
Socci, sono passati due anni dalla scomparsa di Chiara Corbella. Lei ne ha parlato nel suo libro Lettera a mia figlia, pubblicato l’anno scorso. Cosa la colpisce di questa vicenda che finì sui giornali di tutto il mondo?Lettera a mia figlia è un libro sugli anni di cammino seguiti alla vicenda che ha coinvolto mia figlia Caterina, in cui ho inserito le vicende che mi hanno confortato di più. Quando venni a sapere di lei rimasi profondamente colpito dalla fede di questa giovane donna e dal fatto che Chiara con suo marito Enrico frequentassero gli ambienti che visito quotidianamente, come la Porziuncola dove c’è un importante centro vocazionale diretto dai frati francescani. Insomma, ci siamo solo sfiorati. E solo dopo che ne parlai conobbi il suo padre spirituale, fra Vito, ed Enrico, con cui è nata un’amicizia che mi sostiene anche ora.

In che cosa la vicenda di Chiara ed Enrico l’hanno aiutata?Enrico e Chiara sono come una persona sola, sono una testimonianza di amore incredibile. Quello che più mi ha segnato è la limpidezza e la semplicità della loro fede. La loro vita fa capire che basta prendere sul serio quello che il Signore propone che si fiorisce. Vedere due ragazzi normalissimi, che si sono lasciati poi si sono ripresi e sposati, che volevano una famiglia come tutti, e che infine hanno accettato tutta una serie di prove inaudite che avrebbero stroncato qualsiasi essere umano, è straordinario. Chiara ed Enrico accoglievano ogni cosa nella certezza che il disegno del Signore è buono, anche quando sembra terribile. Così, anziché disperarsi, sono diventati dei testimoni di fede, di amore e di speranza. Mi viene in mente quando il cardinale Ratzinger disse che per rendere veramente credibile la fede non servono i successi mondani della Chiesa, dei papi o di uomini importanti, ma che la gente semplice porti la croce con Gesù: così si convince il mondo. Mi impressiona come, in questo periodo, il Signore continui a metterci davanti giovani donne sposate e madri come Chiara,Meriam (nella foto in basso) e Asia Bibi. Tutte donne disposte a lasciare tutto per Lui.

sudan-meriam-islam-wani

Le tre vicende che ha citato cosa hanno da insegnare a un mondo come il nostro?
Nel Vangelo di cui Maria Valtorta ebbe visione intera, Gesù dice agli apostoli che a loro avrebbe dato il compito di governare la Chiesa, ma che dovevano imparare dalle donne, perché sanno amare e soffrire. Le donne hanno questa capacità di accogliere e far proprie le gioie e i dolori altrui. Don Luigi Giussani, parlando della verginità, diceva che non c’è nulla che faccia pensare di più al Paradiso di una giovane donna che si consacra. Il martirio di queste ragazze è un po’ la stessa cosa: lasciare tutto per un amore più grande, che poi è il possesso vero. Si capisce cosa intendo guardando il sorriso di Chiara, che è come un anticipo del regno di Dio, dove un giorno, nemmeno troppo tardi, faremo festa.
Oltre che giovani donne, queste testimoni sono madri che si sacrificano con gesti che a molti appaiono folli.
È possibile sacrificarsi solo quando si crede che sia per un bene maggiore, quando si ha una totale fiducia in Dio. Chiara non era folle, era convinta che Gesù non l’avrebbe fregata, anche quando sembrava chiederle l’impossibile. E dicendo di sì ha dato dei frutti contagiosi, acquisendo una maturità di fede semplicissima ma geniale che le fece dire: «Siamo nati, ma non moriremo mai più». E poi attorno a lei ed Enrico si è formato un popolo, insomma dal loro sacrificio è nata la Chiesa, una compagnia di amore vero.


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Un’esperienza del genere è possibile al di fuori della Chiesa?
Chiara ed Enrico non sono mai stati soli, ma tutto quello che è successo è accaduto grazie al sì detto all’interno di un cammino, cominciato prima nel movimento a cui appartiene la famiglia di Chiara, poi seguendo Dio che li ha portati su altri percorsi con diverse realtà ecclesiali, in grande libertà. Come a dire che la Chiesa è una, fatta di tanti carismi che servono ad arricchirci, e che non c’è un meglio o un peggio. Il punto è seguire Cristo, come hanno fatto loro.
Cosa pensa del fatto che queste nuove martiri siano delle laiche?
Sono laiche che danno testimonianze eroiche, capaci di commuovere il popolo cristiano, ma che purtroppo il mondo ecclesiale spesso fatica a capire. Laiche che ci fanno comprendere che la santità è per tutti e non dipende dalla scaltrezza dei piani ecclesiastici, ma dalla scelta di Dio che vuole testimoniarci la sua resurrezione: guardando la foto di Chiara che ride con in mano il violino poco prima di morire come si fa a non credere alla vita eterna?
C’è chi parla di un’estraniazione dal dolore, di pazzia…
Spero che chi parla così possa avere la fortuna di vivere almeno un centesimo della felicità che Chiara ha comunicato a chiunque l’abbia avvicinata.


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