venerdì 6 giugno 2014

«Obbedire al Mistero è l'unica cosa che ci fa crescere»

 Il 5 giugno è morto don Alberto Bertaccini. Missionario in Paraguay, poi in Ecuador e di nuovo ad Asunción. Tutta la vita nell'obbedienza alla missione della Chiesa e del movimento. «Gesù è ciò che ci ha dato, da subito fino all'ultimo istante»
Ho avuto la grazia di conoscere don Alberto durante gli anni che è stato in Ecuador (dal 2008 al 2012) e di rincontrarlo tre settimane fa, per una visita qui in Ecuador in occasione degli Esercizi della Fraternità.
Siamo stati insieme alcuni giorni proprio come amici, raccontandoci quanto di essenziale avevamo vissuto in questi mesi che non ci eravamo visti né sentiti, però soprattutto pregando, leggendo insieme, facendo una gita al Cotopaxi, il vulcano che lui amava tanto. Insomma, stando insieme davanti al Mistero.

Era cambiato e raccontandoci di sé ci diceva ricordando una delle ultime conversazioni avute con don Julián Carrón: «Obbedire al Mistero è l'unica cosa che dobbiamo fare e che ci fa crescere». E lo diceva un uomo, sacerdote, di 60 anni, pieno di acciacchi ma con tanto desiderio di camminare, seguire, imparare, amare, aiutare e rispondere senza indugio alle circostanze che il Mistero gli stava facendo vivere, pur nella fatica.

Tanto è che, vedendolo così e vedendo il bene che era per la mia persona stare con lui e il bene che lui era per tanta gente intorno a me e che proprio in quei giorni era diventato potente ai miei occhi, avevo iniziato a desiderare tanto che un giorno ritornasse in Ecuador.

Ma il Signore ha avuto altri piani e, da ieri mattina, quando ho saputo la notizia, sento Alberto più presente e compagno di prima, compagno nelle mie giornate, delle mie gioie e delle mie fatiche, proprio come Gesú. Se lui è con Gesù allora è presente come Gesù, come sono presenti misteriosamente quei volti che pur nella distanza física mi sono compagni perché testimoni.

Ma Alberto ora è di più. E Gesù è stato ciò che ci ha dato, da subito e fino all'ultimo istante.

Al suo arrivo, rimanendo senza medicine per il diabete, in pochi giorni hanno dovuto tagliarli un dito del piede: un fatto che sempre ricordava, come segno dell'offerta totale di sé che voleva vivere venendo in Ecuador.

Con le persone nella parrocchia, tra cui Geovanna, ragazzina sulla sedia a rotelle della cui esistenza non sapeva e, quando entrò a casa sua per la benedizione della casa, esortò dicendo: «Eccoti finalmente, ti stavo aspettando!», commuovendo fino alle lacrime lei e la sua famiglia, fino a diventarne un grande amico, introducendo nella loro vita una novità e arrivando a costruire la rampa fuori dalla chiesa, per permettere a Geovanna di ricevere la Prima Comunione.

O con i barboni, che incontrava per la strada nelle sue lunghe camminate dalla parrocchia alla sua casa a Guayaquili, diventando amico di alcuni. E gli ammalati e i più bisognosi, gli ultimi, di cui ne diventava subito amico come Gesù.

Con gli amici del movimento, accompagnandoli come un vero padre, uno a uno, senza scandalizzarsi mai dei peccati e del passato di tanti, ma abbracciando tutti. Un'apertura, un'umiltà e una misericordia infinita.

«Lui era pronto», è quello che da questa mattina ci diciamo qui dopo averlo visto "più" padre Alberto in questa ultima visita.
Ed io forse anche, pur nel dolore grande che sento, sono certa che come siamo stati davanti al Mistero e insieme in quest'ultima sua visita è stato un anticipo di quello che sarà nel Cielo e per l'eternità. Amici, cioé insieme tesi.
Stefania, Quito (Ecuador)

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