sabato 14 giugno 2014

Il Papa: a chi soffre serve l’amore di Gesù, non i bei discorsi

Imitando Gesù, date il cuore ai più bisognosi. E’ l’esortazione di Papa Francesco ai gruppi delle Misericordie e "Fratres" d’Italia, ricevuti in Piazza San Pietro. Parlando a oltre 30 mila persone, il Papa ha ribadito che non si può “essere spettatori” davanti alla povertà e alle tribolazioni, ma bisogna diventare “segno della vicinanza di Dio”. Il Papa è stato salutato dall'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, dal presidente della Confederazione nazionale, Roberto Trucchi e da quello dei gruppi "Fratres", Luigi Cardini. 
Un grande mosaico con tante tessere gialle e blu, colori delle uniformi delle Misericordie e altrettante bianche e rosse, binomio cromatico delle divise dei gruppi donatori di sangue "Fratres". Appariva così oggi Piazza San Pietro agli occhi di Papa Francesco che ha voluto rendere omaggio, con questo incontro festoso, ai 770 anni di storia delle Misericordie d’Italia. Una storia di servizio che - come dimostravano i tanti stendardi e gonfaloni presenti in Piazza - ha attraversato i secoli e si è radicato nel territorio, in ogni contrada del Paese. Un’esperienza che, proprio il 14 giugno di 28 anni fa, San Giovanni Paolo II definiva testimonianza della “cultura della carità”. Di qui ha come ripreso il filo Papa Francesco, che ha aperto il suo intervento soffermandosi sulla radice del nome “misericordia”:
“Tutto il vostro servizio prende senso e forma da questa parola:misericordia, parola latina il cui significato etimologico è miseris cor dare, “dare il cuore ai miseri”, quelli che hanno bisogno, quelli che soffrono. È quello che ha fatto Gesù: ha spalancato il suo Cuore alla miseria dell’uomo. Il Vangelo è ricco di episodi che presentano la misericordia di Gesù, la gratuità del suo amore per i sofferenti e i deboli".
Dai racconti evangelici, ha osservato, “possiamo cogliere la vicinanza, la bontà, la tenerezza con cui Gesù accostava le persone sofferenti e le consolava”. E questo, ha soggiunto, è un esempio da seguire. “Anche noi – ha detto – siamo chiamati a farci vicini, a condividere la condizione delle persone che incontriamo”. Le “nostre parole, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti”, ha ribadito, devono esprimere “la solidarietà, la volontà di non rimanere estranei al dolore degli altri, e questo con calore fraterno e senza cadere in alcuna forma di paternalismo”. Il Papa ha quindi denunciato il “rischio di essere spettatori informatissimi e disincarnati” della povertà, “oppure di fare dei bei discorsi che si concludono con soluzioni verbali e un disimpegno rispetto ai problemi reali”:
“Troppe parole, troppe parole, troppe parole, ma non si fa niente! Questo è un rischio! Non è il vostro, voi lavorate, lavorate bene, bene! Ma c’è il rischio… Quando io sento alcune conversazioni tra persone che conoscono le statistiche: ‘Che barbarie, Padre! Che barbarie, che barbarie!’. ‘Ma cosa fai tu per questa barbarie?’ ‘Niente!  Parlo!’. E questo non rimedia niente! Di parole ne abbiamo sentite tante! Quello che serve è l’operare, l’operato vostro, la testimonianza cristiana, andare dai sofferenti, avvicinarsi come Gesù ha fatto”.
Gesù, ha ripreso, “va per le strade e non ha pianificato né i poveri, né i malati, né gli invalidi che incrocia lungo il cammino”. E tuttavia, ha annotato, “con il primo che incontra si ferma, diventando presenza che soccorre, segno della vicinanza di Dio che è bontà, provvidenza e amore”:
“L’attività delle vostre associazioni si ispira alle sette opere di misericordia corporale, che mi piace richiamare, perché farà bene sentirle un'altra volta: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Vi incoraggio a portare avanti con gioia la vostra azione e a modellarla su quella di Cristo, lasciando che tutti i sofferenti possano incontrarvi e contare su di voi nel momento del bisogno.
Papa Francesco ha dunque concluso il suo discorso esortando le “Misericordie” e i gruppi "Fratres" a essere sempre “luoghi di accoglienza e di gratuità, nel segno dell’autentico amore misericordioso per ogni persona”.

E' stata una grande festa quella vissuta in Piazza San Pietro dalle numerose Confraternite delle Misericordie arrivate da tutta Italia per incontrare Papa Francesco. Ma cosa spinge una persona ad entrare a fare parte di questa realtà? Alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro:
R. – Dare aiuto a chi ha bisogno e rendersi disponibili è una sensazione che è anche difficile da spiegare, da descrivere. Per me è una cosa fondamentale, perché parecchie persone stanno male. Qualcuno se ne interessa e altri no. Far parte di chi se ne interessa è davvero una cosa fantastica!
R. – Le motivazioni possono essere svariate. Di certo, c’è una storia personale che comunque ti spinge e che poi si concretizza, trovando proprio nello spirito di servizio la vera realizzazione. Oggi essere qui presenti è una testimonianza di fede, per me.
R. – E’ proprio il desiderio di essere disponibili al dono del proprio tempo per qualcuno che è meno fortunato di te.
D. – Lei è il presidente della Misericordia di Settignano: cosa l’ha spinta, tanti anni fa, a far parte di questa realtà?
R. – E’ semplicemente uno spirito di servizio: mettersi a disposizione di tutti per cercare insieme di fare qualcosa di più.
D. – In che modo si diventa prossimi al dolore di chi ci è accanto?
R. – Tutti siamo prossimi di qualcuno. Ora siamo noi ad aiutare qualcun altro, il prossimo, e un domani potremmo essere noi il prossimo da dover aiutare. Quindi, fai oggi quello che vorresti ti venisse fatto domani.
R. – E’ la vita quotidiana che ti porta poi a vivere di tante piccole esperienze. Può essere l’accoglienza del povero o di chi ha bisogno, come ci ha insegnato Cristo. Quindi, vivere quotidianamente questo che è il nostro rapporto con il fratello.
R. – Io parto dal presupposto che per me ogni intervento che faccio in ambulanza è sempre un intervento che mi insegna un qualcosa. C’è sempre da imparare. C’è sempre da servire la sofferenza degli altri.
D. – Cosa vuol dire imitare Cristo, ritrovare nel volto di chi soffre il volto di Cristo?
R. – Ti senti parte di una famiglia che aiuta, che si rende disponibile. Vedi la gente che sta male, che poi ti ringrazia, che è contenta del lavoro che hai svolto.
D. – Ricordi qualche episodio particolare di soccorso, che ti è rimasto nel cuore?
R. – Una donna che è caduta da tre metri: la sua preoccupazione non era di stare bene lei, ma dove fosse la sua bambina: “Dov’è la mia bambina? Portatela con me!”. E’ qualcosa che mi è rimasto impresso: lei ha messo prima la figlia del suo dolore.
D. – Il nostro spirito è questo: vediamo Gesù in ogni persona che soffre e quindi con lo spirito del buon cristiano che aiuta Gesù, aiutiamo il prossimo nelle sofferenze.  

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