Conferenza Episcopale Lombarda
Celebrazione Eucaristica di
ringraziamento
per la canonizzazione di Papa
Giovanni XXIII
Ez
34,11-16; Sal 22; Ef 4,1-7.11-13; Gv 21,15-17
"il nostro mondo, attraversato da fatiche e violenze la cui portata spesso spaventa, ha oggi più che mai bisogno di questo stile di vita buona che San Giovanni XXIII alimentava immergendosi nella Parola di Dio e nei Padri della Chiesa. Essa non è certo bonomia, ma discreta e costante volontà di farsi carico degli altri, per camminare insieme verso la casa del Padre. "
Martedì 3
giugno 2014
Omelia
di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
E' con gioia grande che celebro con
tutti voi, con il Vescovo Francesco Beschi, con tutti i Vescovi lombardi questa
Eucaristia di ringraziamento per la canonizzazione di Giovanni XXIII. Saluto
con affetto e riconoscenza il cardinale Loris Capovilla che mi ha accolto insieme
ai confratelli Vescovi prima della Messa per un colloquio ricco e cordiale.
1. «Ecco,
io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (Prima Lettura, Ez 34,11). La storia della famiglia umana e del
mondo intero è lo scenario su cui, generazione dopo generazione, vediamo
compiersi questa promessa che il Padre ha fatto agli uomini attraverso il
profeta Ezechiele. Anche il nostro prezioso convenire qui a Sotto il Monte ne è
significativa conferma. Davvero Dio continua ad uscire in cerca dei Suoi figli
e se ne prende cura. E lo fa, in modo insistente ed efficace, suscitando nella
Chiesa di Dio pastori secondo il Suo cuore, come ci ha detto oggi la Preghiera di Colletta riferendosi a San
Giovanni XXIII: «Dio onnipotente ed
eterno,… in San Giovanni, papa, hai fatto risplendere per tutto il mondo
l’esempio di un buon pastore». Le nostre generazioni, dal dopoguerra ad
oggi, hanno vissuto il privilegio di veder succedersi una serie di santi papi che
hanno guidato la vita della Chiesa a favore di tutta l’umanità.
Papa Roncalli rappresenta un punto di arrivo di una
plurisecolare tradizione pastorale e un solidissimo punto di partenza per una
rinnovata proposta della storia della salvezza ad ogni uomo. Come insegna la Gaudium et spes, alla Chiesa sta a cuore
il singolo uomo nella trama inevitabile delle relazioni, soprattutto di quelle
costitutive. Sulla scia di San Giovanni XXIII, l’ormai Beato Paolo VI e San
Giovanni Paolo II hanno esercitato, con differenti stili, in modo santo ed
illuminato il ministero petrino.
2. Ma qual è il cuore ardente di questa straordinaria autorevolezza
della santità di Giovanni XXIII? La risposta è quasi ovvia, ma non per questo
meno vera: è l’immedesimazione personale e diuturna con Gesù, buon pastore.
Gli storici hanno documentato con acribia come fin
dall’inizio Roncalli interpretò e visse il suo ministero episcopale
richiamandosi all’immagine evangelica del buon pastore. Come suo successore a Venezia ho potuto toccare con mano,
attraverso testimonianze e scritti, il suo continuo e tenace approfondimento di
questo tema decisivo. Così scriveva il 23 febbraio del 1954: «Qui si vive come in famiglia, con rispetto,
con sincerità, con evangelica carità. Riprenderò dunque il mio passo. “Bonus
Pastor animam suam dat pro ovibus suis: il buon Pastore dà l'anima sua per le
sue pecorelle”. Questo è tutto per me: il mio proposito, la mia vita»[1]. E
proprio questo chiese a Gesù, buon pastore, nel corso degli esercizi spirituali
con l’episcopato triveneto nel maggio 1955: «Per altro il pastor deve essere soprattutto bonus, bonus. Diversamente
senza essere lupus come il mercenarius, rischia, se dormitat, di divenire
inutile e inefficace. O Gesù, bone pastor, che il tuo spirito mi investa tutto:
cosicché la mia vita sia, in questi anni ultimi, sacrificio ed olocausto per le
anime dei miei diletti veneziani»[2].
In seguito, nella prima e terza allocuzione al clero veneziano durante il
sinodo del 1957, Roncalli svilupperà ulteriormente la riflessione sul pastore,
interpretando il pastor come pater: la “pastoralità” diventa
paternità che si fa tutto a tutti per
salvarne ad ogni costo qualcuno»[3]. E
il tema della paternità dà al pastore la carica espressiva dell’amore oggettivo
ed effettivo per i suoi fedeli.
3. Noi, vescovi lombardi, riconosciamo questa sera,
davanti a voi fedeli carissimi, nella figura e nell’intercessione di san
Giovanni XXIII una strada sicura per meglio comprendere ed assumere il compito pastorale
che la Chiesa ci ha affidato. E vogliamo impegnarci davanti a voi tutti in
questo senso.
Dall’inizio della seconda metà del Novecento i tempi
sono indubbiamente cambiati, anche nella Chiesa. E questo grazie all’immenso
dono del Concilio Vaticano II che ebbe in Papa Roncalli il suo profetico
iniziatore. Eppure il nostro ministero resta solidamente ancorato alla figura
del Buon Pastore-Padre, capace di amore generativo. Il Santo Vangelo di oggi ce
ne offre una decisiva chiave di lettura. Il dialogo tra il Risorto e Pietro non
è solo assai toccante, ma soprattutto per noi vescovi è pro-vocazione – di cui
Papa Francesco si fa continuamente eco – ad un permanente atteggiamento di
confessione e di conversione.
Nell’affidare a Pietro il compito pastorale Gesù fa precedere,
per tre volte, la domanda: «Mi ami tu?».
E noi pastori ad essa non possiamo che rispondere con le stesse parole del
pescatore: «Signore, tu sai tutto; tu sai
che ti amo» (Vangelo, Gv 21,15-17). E le nostre debolezze le
nostre contraddizioni, i nostri peccati? Alla fine se riconosciuti e perdonati non
rappresentano una obiezione insuperabile. Perché? Ce lo mostra bene il dialogo
evangelico. In esso Gesù precede Pietro. Siamo sempre preceduti come vescovi,
come presbiteri e come fedeli dal Risorto. Qui sta la sorgente della carità
pastorale. Con parole sempre attuali il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis ci ricorda: «Cristo… rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei
presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a lui nella scoperta
della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato» (PO 14).
4. I pastori sono quindi chiamati a dare la vita per
il gregge a loro affidato perché tutti arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato
di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo»
(Seconda Lettura, Ef 4,13). In questa
tradizione epocale il primo e fondamentale scopo dei ministeri ordinati è la
rigenerazione del Popolo di Dio, in tutte le vocazioni e gli stati di vita che
lo Spirito suscita, affinché la Chiesa possa adempiere nell’oggi la sua
missione.
In questa rigenerazione sta però anche il contributo
più prezioso che la comunità cristiana è chiamata ad offrire a tutti i nostri
fratelli uomini percorrendo il delicato ma affascinante cammino che ci conduce
dalla convenzione alla convinzione. Infatti, quando i cristiani
vivono consapevoli della loro fede confessando «un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti», non
faticano a riconoscere che Egli «agisce
per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Seconda Lettura, Ef 4,6). Vivono così quella passione per l’unità
con tutti che si esprime in «umiltà,
mansuetudine e pazienza» (Seconda
Lettura, Ef 4,2). Queste virtù
trasparivano dal volto di San Giovanni XXIII a beneficio dei cristiani come degli
uomini di buona volontà.
Carissime, carissimi, il nostro mondo, attraversato da
fatiche e violenze la cui portata spesso spaventa, ha oggi più che mai bisogno
di questo stile di vita buona che San Giovanni XXIII alimentava immergendosi
nella Parola di Dio e nei Padri della Chiesa. Essa non è certo bonomia, ma
discreta e costante volontà di farsi carico degli altri, per camminare insieme
verso la casa del Padre.
Le nostre comunità cristiane sono chiamate ad essere,
sempre più, case dalle porte aperte, capaci, nella verità che la carità
legittima, di ricevere tutti e tutti consolare, perché tutti possano conoscere
il volto del Padre e vivere da figli di Dio.
Questo domanda a noi tutti conversione continua: un
dono che, questa sera, imploriamo dal Padre per intercessione di San Giovanni
XXIII. Amen.
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