giovedì 3 aprile 2014

Tornati dall'Aldilà di Antonio Socci

Tornati dall'Aldilà di Antonio Socci

C’è uno scetticismo triste e superficiale che si esprime
nella vulgata popolare con la frase: «Dall’Aldilà non è
mai tornato nessuno».
S’intende dire che, in fin dei conti, quelle sull’oltretomba
sono tutte congetture, ipotesi, magari anche vere, ma chi lo sa davvero se
 c’è qualcosa? E cosa poi? Nessuno può dirlo, si pensa.
Gran parte delle persone afferma di credere che c’è
una vita dopo la morte, ma la prospettiva è comunque
avvolta dal mistero, dalle nebbie e dal timore. Ed
è spesso vissuta come una «credenza», come una convinzione
soggettiva, un sentimento irrazionale, anche
quando si professa una fede cristiana che di «prove»
di ragionevolezza ne fornisce a bizzeffe.
La morte resta un abisso oscuro e nessuno sa veramente se c’è un
Aldilà e com’è precisamente, perché – ci si dice – nessuno
c’è stato e nessuno è tornato per raccontarcelo.
Ebbene, questo libro vuol mostrare che non è così: di persone che sono tornate dall’Aldilà ce ne sono, e tantissime. Anche viventi, testimoni che si possono interpellare, se superano la diffusa riservatezza di chi ha vissuto un’avventura così grande e indicibile come l’esperienza di pre-morte.
Ripeto: tantissime persone.
E non si tratta certo di pazzoidi allucinati, ma di
persone normalissime. Non si tratta nemmeno solo di
famosi mistici o di coloro che hanno avuto doni speciali
come i veggenti di certe apparizioni soprannaturali.
Ma di uomini e donne che noi, ignari del loro segreto,
incontriamo ogni giorno.
Se fino a pochissimo tempo fa queste esperienze,
quando raramente emergevano, potevano essere relegate
nello scaffale delle cose strane, misteriose, bizzarre
e irrazionali (o addirittura esoteriche), e così sostanzialmente
rimosse, da pochi anni non è più così perché
la stessa scienza medica si è interessata, ha studiato e
approfondito queste testimonianze e ha dovuto constatare
la loro veridicità.
Cosicché paradossalmente si può dire che oggi abbiamo
addirittura le prove scientifiche dell’esistenza
dell’anima e della sua vita fuori dal corpo, una volta
che le nostre funzioni vitali sono cessate e noi siamo
biologicamente morti.
Quello che tali testimonianze ci dicono, a dire il vero,
è molto di più dell’esistenza e della sopravvivenza
dell’anima, perché tutte concordano nel riferire e
nel descrivere – dopo l’evento della morte fisica – una
realtà di felicità straripante e di amore inimmaginabile,
da una parte, o un luogo di terrore e strazio indicibili
dall’altra.
Ma quello che qui anzitutto mi interessa sottolineare,
almeno inizialmente, è ciò che ho chiamato dimostrazione
scientifica dell’esistenza dell’anima: un’anima
immortale in ciascuno di noi. Che vede e sperimenta una vita più vera e intensa di questa terrena dopo la morte.
Sono evidenze che oggi pure la scienza deve constatare,
così come la scienza si trova anche a studiare e
riconoscere i casi di guarigioni miracolose e di fatto è
diventata la migliore alleata della Chiesa: addirittura la
Chiesa – sia nelle cause di beatificazione e canonizzazione
sia per i miracoli che avvengono in santuari come
Lourdes – esige che sia prima la scienza a vagliare i
casi e a pronunciarsi, se siamo di fronte a qualcosa che
vince le leggi naturali in modo inspiegabile.
Quindi il soprannaturale, che si pensava dovesse
appartenere al passato, a un tempo di creduloni, paradossalmente
è molto più evidente e indiscutibile oggi che disponiamo di strumenti scientifici per indagare la realtà.
E questo smantella vecchi pregiudizi e ammuffite ideologie positiviste imponendo una riflessione profonda a tutti.
All’inizio del Novecento un grande filosofo, Henri
Bergson, concludeva la sua opera “Le due fonti della
morale e della religione”, pubblicata nel 1932, sostenendo
che sappiamo abbastanza «per intuire l’immensità
della “terra incognita” di cui inizia soltanto l’esplorazione».
Poi faceva un’ipotesi e formulava una speranza:
“Supponiamo che un barlume di questo mondo sconosciuto
si faccia visibile agli occhi del nostro corpo.
Quale trasformazione in una umanità generalmente
abituata, per quanto si dica, ad accettare come esistente
solo ciò che le è dato di vedere e di toccare! (…). Non ci sarebbe bisogno d’altro per trasformare in realtà vivente e operante
una credenza nell’Aldilà che sembra ritrovarsi nella
maggior parte degli uomini, ma che il più delle volte
resta verbale, astratta, inefficace. Per sapere in quale
misura essa conti basta guardare come ci si getta sul
piacere; non ci si terrebbe fino a questo punto se non
vi si vedesse tanto di guadagnato sul nulla, un mezzo
per non curarsi della morte. In realtà se fossimo sicuri,
assolutamente sicuri, di sopravvivere, non potremmo
più pensare ad altro. I piaceri sussisterebbero, ma
offuscati e sbiaditi, perché la loro intensità non sarebbe
che l’attenzione da noi fissata su di essi. Impallidirebbero,
come la luce delle nostre lampade al sole
del mattino. Il piacere sarebbe eclissato dalla gioia”. 
In effetti così dovrebbe essere. Già la saggezza induce,
di fronte all’effimera fragilità della vita e alla prospettiva
certa della morte, a non attaccarsi avidamente ai
beni terreni e a «cercare le cose di lassù», dove la felicità
o la sofferenza sono per sempre.
Tanto più – scriveva Bergson – di fronte all’evidenza
della vita ultraterrena: se essa si mostrasse con certezza
l’umanità intera dovrebbe cambiare e puntare a essa,
scommettere tutto su ciò che veramente dura e vale. Secondo
il filosofo tutto dovrebbe cambiare sulla Terra.
Tuttavia l’uomo tende a comportarsi in maniera irrazionale
sulle cose veramente importanti dell’esistenza.
Specialmente nella modernità. È vero infatti ciò che
Gesù dice nella parabola del ricco Epulone. Ricordate?
Quando il gaudente nababbo, per la vita senza pietà
che ha condotto, si trova poi sprofondato nell’Inferno,
dopo aver provato inutilmente a ottenere un sollievo,
così implora Abramo: «Ti prego di mandare Lazzaro
a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca,
perché non vengano anch’essi in questo luogo
di tormento».
Però Abramo risponde: «Hanno Mosè e i Profe-
ti; ascoltino loro». E lui: «No, padre Abramo, ma se
qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno».
Ma a questo punto Abramo conclude: «Se non ascoltano
Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai
morti saranno persuasi» (Lc 16,30-31).
L’apologo di Gesù era rivolto anzitutto agli uomini
del suo tempo perché gli avevano visto operare proprio
miracoli di resurrezione e tuttavia in buona parte
negavano l’evidenza e gli erano ostili. Cosicché la misericordia
di Dio inutilmente aveva dato questi segni
grandiosi.
Quelle parole di Gesù sono anche profetiche di ciò
che sarebbe accaduto di lì a poco, perché lui stesso sarebbe
resuscitato dai morti, come prova suprema data
al mondo della sua identità divina e della sua missione
salvifica, ma nemmeno questo – prevedeva Gesù – sarebbe
stato sufficiente a persuadere tutti.
Peraltro la sua resurrezione non fu un semplice ritorno
alla vita terrena, come per quelli che lui beneficò,
ma segnò la vittoria definitiva sulla morte (…).
La resurrezione di Gesù, attraverso la quale entrò
nella gloria, manifestò la sua signoria sul tempo e sull’universo,
cosicché Lui, restando misteriosamente vivo e
presente sulla Terra in mezzo ai suoi, cioè nella Chiesa,
in questi duemila anni ha continuato a operare miracoli
e anche resurrezioni – a centinaia! – come quelle riferite
nei Vangeli. Per mostrare la sua potente presenza
nella Chiesa, prova clamorosa che il Nazareno è vivo.
In effetti le resurrezioni di morti sono i segni più eclatanti
che parlano all’intelligenza degli uomini. Specie degli
uomini del nostro tempo, così fiduciosi nella scienza
e nelle sue certezze. Eppure per molti vale ancora oggi
l’amara profezia di Gesù secondo la quale «neanche
se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Fino a tal punto si continueranno a sprecare le grazie
che il Cielo ci dà per la nostra salvezza. (…).
Tuttavia non si può e non si deve dire più, con triste
disincanto, che «da là nessuno è tornato». Perché non
è così. Sono tornati. Ed è davvero il caso di ascoltarli.
Antonio Socci

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